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Per una cosmo-grafia degli atti amministrativi: parte I - Ogni delibera inizia con “Premesso che”

Cosmo-grafia
Cosmo-grafia

Questo mese iniziamo un percorso di tre puntate di “cosmo-grafia” degli atti amministrativi. Si tratta di porre ordine (cosmos) alla scrittura (grafia) amministrativa, enucleando le parti fondamentali in cui dobbiamo strutturare un provvedimento collegiale o monocratico. Nel concreto, ci concentreremo sulle deliberazioni e sui decreti in ambito universitario, ma il metodo è applicabile anche a ulteriori tipologie delle altre amministrazioni pubbliche (ordinanze, determinazioni, etc.). In questo contesto, inoltre, utilizzeremo le espressioni tecniche in modo algoritmico: a parola uguale corrisponderà un significato uguale per introdurre ciascuna delle parti in cui articolare il testo del provvedimento.

Preliminarmente, risulta necessario richiamare la norma di riferimento e, segnatamente, l’art. 3, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241 che, com’è noto, ha da tempo statuito che:

«Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria».

Il cuore pulsante di questo comma è rappresentato dalla motivazione. Del resto, essa è anche il fulcro – e avremo modo di esaminarlo diffusamente – di qualsiasi provvedimento amministrativo. Tuttavia, prima di giungere a descrivere compiutamente la motivazione, il responsabile del procedimento amministrativo è chiamato a esporre i fatti (presupposti di fatto) e a richiamare le norme di riferimento (le ragioni giuridiche).

In quale ordine? Prima di rispondere, giova riferirsi a una recentissima pronuncia amministrativa con la quale, conformandosi a numerosa e consolidata giurisprudenza di merito, il giudice ha statuito che

«La motivazione di un provvedimento amministrativo consiste nell'enunciazione delle ragioni di fatto e nella individuazione delle relative norme di diritto che ne hanno giustificato il contenuto, ed è finalizzata a consentire al destinatario del provvedimento la ricostruzione dell'iter logico-giuridico che ha determinato la volontà dell’Amministrazione [...] sicché la motivazione degli atti amministrativi costituisce uno strumento di verifica del rispetto dei limiti della discrezionalità allo scopo di far conoscere agli interessati le ragioni che impongono la restrizione delle rispettive sfere giuridiche o che ne impediscono l'ampliamento» (TAR Lazio, sez. III bis, 16 aprile 2019, n. 5795).

Prima di arrivare alla motivazione, dunque, il responsabile del procedimento amministrativo – vero e proprio dominus della legittimità del provvedimento – deve descrivere i fatti, le norme e gli eventuali accertamenti tecnici.

Dicevamo, in quale ordine? Per rispondere è sufficiente seguire la medesima sequenza prevista dalla legge 241/1990, come successivamente confermata dalla giurisprudenza amministrativa: prima i fatti, poi le norme.

Infatti, anche il giudice ha stabilito la necessaria sequenza, attraverso l’espressione, ormai cristallizzata in quasi trent’anni di giurisprudenza, di iter logico-giuridico. Dunque, prima quanto accaduto, quanto accade o deve ancora accadere (si pensi a una “mozione”) e poi le ragioni giuridiche sottese alla scelta discrezionale del soggetto giuridico da cui promana il provvedimento. In buona sostanza, si tratta di applicare al dipanarsi del provvedimento una logica argomentativa: prima i fatti logicamente e cronologicamente descritti e poi le principali norme a sostegno della tipicità dell’azione amministrativa enucleata nel provvedimento.

Ogni agito amministrativo, inoltre, ha un lessico peculiare Per queste ragioni, risulta imprescindibile normalizzare il lessico amministrativo: bisogna scegliere una sola parola univoca per ciascuna azione e per ciascuna delle parti del provvedimento. Utilizzare le parole giuste nel punto giusto introduce chiarezza, elimina il possibile contenzioso e, soprattutto, normalizza la lettura e la comprensione dei provvedimenti amministrativi in una logica di trasparenza.

Il grande linguista Tullio De Mauro, infatti, evidenziando un dovere costituzionale della chiarezza del linguaggio amministrativo, scrisse (www.dueparole.it):

«Le parole sono fatte, prima che per essere dette, per essere capite: proprio per questo, diceva un filosofo, gli dei ci hanno dato una lingua e due orecchie. Chi non si fa capire viola la libertà di parola dei suoi ascoltatori. È un maleducato, se parla in privato e da privato. 
È qualcosa di peggio se è un giornalista, un insegnante, un dipendente pubblico, un eletto dal popolo. Chi è al servizio di un pubblico ha il dovere costituzionale di farsi capire ».

Orbene, in una logica di semplificazione del linguaggio amministrativo, convenzionalmente i presupposti di fatto sono introdotti dal “Premesso che” (www.procedamus.it). Di conseguenza, ogni delibera dovrebbe iniziare con la puntuale esposizione dei fatti che, quindi, dovrebbero essere introdotti dal “Premesso che”. In questo modo, anche a una rapida lettura, risulteranno evidenziati, anche in maniera lessicale, gli elementi fattuali del provvedimento.

Il prossimo mese esamineremo la parte relativa alle norme e agli accertamenti tecnici, per concludere il nostro percorso con la motivazione.

 

Parte II