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Contro i piccoli mondi

Pierre Claverie
Pierre Claverie

Quale dialogo?

Il volume di cui vorrei parlarvi non è un trattato teorico che, per quanto professionale e documentato, affronti lo spinoso tema del dialogo interreligioso da una posizione di assoluta sicurezza, bensì un breve testo capace di affrontare la questione sulla base di un incontro reale e doloroso[1].

Sto parlando del volume “L’incontro e il dialogo. Breve trattato di mons. Pierre Claverie O.P. che, nel corso del suo ministero[2], visse in paesi a maggioranza musulmana e lì ha predicato molti ritiri spirituali, per lo più a religiose poste nella medesima situazione. Il testo si basa su alcuni di questi ritiri, predicati tra il 1984 e il 1995 e, come intuibile, da ciò deriva il suo stile rapido, breve e diretto.

Claverie non nasconde la situazione molto difficile della Chiesa algerina né le difficoltà che deve affrontare nel suo ministero episcopale, nella speranza che questa, pur nella sua precarietà, non solo possa essere un luogo di riconciliazione tra cristiani di diverse confessioni, ma anche di dialogo e incontro con i musulmani. Questo fa sì che all’inizio del suo percorso si preoccupi di evitare il pericolo della chiusura, della superficialità e dell’equivocismo, proponendo un semplice quanto deciso «partiamo dalla differenza»[3] come punto di partenza.

Pied-Noir[4], ha confessato di aver vissuto in una sorta di «bolla coloniale» drammaticamente «scoppiata sotto la pressione della guerra in Algeria»[5]. Da allora, ha cercato di far esplodere queste «bolle» in tutte le circostanze possibili, per sé e per gli altri, sempre con indiscutibile gentilezza.

Mons. Claverie dimostra una profonda conoscenza dell’Islam, soprattutto nella sua componente mistica[6], come religione segnata dalla consapevolezza della trascendenza di un Dio che chiama ad adorarLo ma che non viene incontro all’uomo. Nell’esperienza cristiana invece, Dio si rivela in modo totalmente diverso, impegnandosi nella storia umana in Gesù. Questo pone una differenza sostanziale tra il Dio immensamente grande del mondo musulmano e il singolare Dio cristiano, che

sfugge a tutto ciò […]. Se è trascendente, è proprio perché è tutt’altra cosa rispetto a ogni rappresentazione umana, compreso ciò che noi immaginiamo che Dio sia. Egli è altro. Per dimostrare che è radicalmente altro, diventa come un bambino[7].

Incontro a partire da Cristo

A partire da questo dato fondamentale Claverie percepisce la specificità della preghiera cristiana, che è incontro con il Dio vivente che vuole stringere un’alleanza con l’uomo; egli legge le Beatitudini in una prospettiva relazionale e vede anche i voti religiosi come ulteriore occasione che la Chiesa offre per far scoppiare le «bolle» a favore di uno spazio dove l’amore vero possa nascere.

Ci troviamo di fronte ad un trattato sull’incontro e il dialogo?

In senso lato sì, perché dall’esperienza del vescovo Claverie emerge un codice vero e proprio di regole per identificare e purificare tutti quei limiti o condizionamenti che ci impediscono di affrontare il dialogo con piena apertura e fiducia totale nella azione dello Spirito Santo.

In pochi capitoletti il nostro Autore tenta di tracciare un’antropologia cristiana dell’incontro.

Attraverso l’esperienza di alcuni personaggi biblici, egli ci mostra la varietà di incontri che la Scrittura propone: sono tutte sfide per uscire da sé, occasioni di conversione. Risaltano in modo particolare le esperienze che Gesù vive lungo la Sua missione: l’incontro con la donna samaritana, con Zaccheo, con l’adultera, con i lavoratori dell’undicesima ora, con il giovane ricco, con i pellegrini di Emmaus.

Gesù appare come l’uomo dell’incontro, ma è un incontro in cui non solo Si rivela, ma spesso rivela l’altro a se stesso, formula costantemente ricorrente a partire dal Concilio Vaticano II:

In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. […] Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione. Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità su esposte in lui trovino la loro sorgente e tocchino il loro vertice[8].

Claverie prosegue affermando che questa attitudine di Gesù all’incontro viene dalla sua appartenenza trinitaria: la Trinità è fondamentalmente la Relazione per eccellenza, per cui la fede cristiana riguarda meno le verità al di fuori di se stessi che quelle inerenti alla relazione con l’altro, che è una presenza che invita ad una conversione costante.

È a questo punto che Pierre Claverie, commentando le Beatitudini come «leggi dell’incontro», inventa la cosiddetta «beatitudine zero», che è

quella che precede le altre e le rende possibili. […] Una beatitudine, in particolare, mi ha colpito: Beati quelli che hanno creduto senza aver visto (Gv 20,29). […] La inverto e creo una nuova beatitudine: “Beati quelli in cui si è creduto”. Secondo me, questa è la beatitudine delle Beatitudini. È la fiducia ricevuta da quel Qualcuno che è Gesù Cristo, o dal Padre di Gesù Cristo, o da quelli che Dio pone sulla nostra strada per liberarci da noi stessi. Beati quelli in cui si è creduto, perché così possono credere in se stessi e credere negli altri![9]

Sarebbe a dire che il fatto di essere radicati e lieti nella propria fede permette di entrare in un dialogo pacifico con l’altro. Se il dialogo interreligioso, propriamente detto, rimane il suo scopo, Pierre Claverie sente la preoccupazione di fondarlo antropologicamente e soprattutto cristianamente. Ecco svelato l’intento di «questo breve trattato».

 

[1] Dal titolo del libro qui recensito: P. Claverie, L’incontro e il dialogo. Breve trattato, ESD, Bologna 2019; il testo traduce la versione originale francese Id., Petit traité de la rencontre et du dialogue, Éditions du Cerf, Paris 2004.

[2] Si tratta di un frate domenicano nominato vescovo della città di Orano in Algeria; assassinato il 1 agosto 1996, è stato beatificato l8 dicembre 2018 assieme ad altri 18 martiri algerini.

[3] P. Claverie, L’incontro e il dialogo, o. c., p. 46.

[4] Pied-Noir (plur. Pieds-Noirs), che letteralmente significa «piede nero», è il termine di origine francese dato ai figli di genitori francesi nati in Algeria, e per estensione ai francesi che vivevano in Algeria prima che la colonia conquistasse l’indipendenza nel 1962.

[5] Id., L’incontro e il dialogo, o. c., p. 29. La parola «bolla» si trova molto spesso sulle labbra del vescovo Claverie, che la utilizza come immagine molto efficace per esprimere quella chiusura, consapevole o meno, che l’uomo ha di fronte all’altro, quali che ne siano le ragioni, sotto la spinta preponderante della ricerca di una sicurezza, poiché di fatto una bolla racchiude ed esclude al tempo stesso.

[6] È il cosiddetto Sufismo, che è «una delle manifestazioni più autenticamente creative della vita religiosa dell’Islam» e «deriva probabilmente dal vocabolo arabo ṣūf («lana»), in quanto gli aderenti al Sufismo indossavano indumenti di lana grezza come simbolo del loro rifiuto del mondo», J. Waardenburg, voce Sufismo, in M. Eliade (ed.), Enciclopedia delle religioni, Vol. 8, Islam, Jaca Book, Milano 2004, p. 614.

[7] P. Claverie, L’incontro e il dialogo, o. c., p. 82.

[8] Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes sulla chiesa nel mondo contemporaneo, n. 22.

[9] P. Claverie, L’incontro e il dialogo, o. c., p. 97.

Testi consigliati:

  • P. Claverie, L’incontro e il dialogo. Breve trattato, ESD, Bologna 2019.
  • P. Claverie, Un vescovo racconta l’Islam, ESD, Bologna 2018.