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Controllo giudiziario delle aziende e impugnazione dell’informazione interdittiva antimafia: quale rapporto tra giurisdizione ordinaria e amministrativa?

Judicial control of companies and appeal against anti-mafia interdictory information: what relation between ordinary and administrative jurisdiction?

Independence Day, l'astratto a fuoco
Ph. Giacomo Porro / Independence Day, l'astratto a fuoco

Articolo pubblicato nella sezione Mondi paralleli al penale del numero 1/2020 della Rivista "Percorsi penali".

 

Abstract

Lo scritto analizza l’istituto del controllo giudiziario delle aziende sottoposte a informazione interdittiva antimafia e la relazione che esso crea tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa.

The paper analyzes the institution of judicial control of companies subjected to anti-mafia information and the relation it creates between ordinary jurisdiction and administrative jurisdiction.

 

Sommario

1. Premessa

2. Caratteristiche generali del controllo giudiziario delle aziende

3. Controllo giudiziario dell’impresa destinataria di un’informazione interdittiva antimafia

4. Considerazione giurisprudenziale del controllo giudiziario delle imprese interdette

5. L’informazione interdittiva antimafia

6. Impugnabilità dell’informazione interdittiva antimafia

7. Rapporto tra il controllo giudiziario ex art. 34-bis, comma 6, e il giudizio di impugnazione dell’interdittiva antimafia: il dibattito nella giurisprudenza amministrativa

8. Focus sulla giurisprudenza del TAR Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria

9. Riflessioni conclusive

 

Summary

1. Introduction

2. Overall characteristics of the judicial control of companies

3. Judicial control of the company subjected to an anti-mafia interdictory information

4. Jurisprudential consideration of the judicial control of interdicted companies

5. The anti-mafia interdictory information

6. Possibility of appeal of the anti-mafia interdictory information

7. Relation between the judicial control pursuant to art. 34-bis, paragraph 6, and the appeal against the anti-mafia interdictory information: the debate in administrative jurisprudence

8. Focus on the jurisprudence of the TAR Calabria, branch of Reggio Calabria

9. Concluding reflections

 

1. Premessa

Due anni fa, in conseguenza dell’ampio intervento riformatore compiuto dalla legge 17 ottobre 2017, n. 61, l’armamentario delle misure di prevenzione patrimoniali diverse dalla confisca (Libro I, Titolo II, Capo V, d.lgs. 159/2011, meglio noto come Codice antimafia) è stato arricchito da un nuovo strumento, disciplinato dall’art. 34-bis e denominato controllo giudiziario delle aziende.

Lo scopo di questo scritto è esplorare la particolare conformazione assunta dall’istituto quando è attivato a richiesta di un’impresa che, dopo essere stata destinataria di un’informazione interdittiva antimafia, abbia impugnato il relativo provvedimento dinanzi al giudice amministrativo (art. 34-bis, commi 6 e 7).

Interessa ancora più specificamente comprendere quale rapporto si instauri, e quali principi e regole normative siano pertinenti per la sua definizione, tra la giurisdizione del giudice ordinario cui spetta la delibazione della richiesta di controllo giudiziario e la giurisdizione del giudice amministrativo cui spetta invece pronunciarsi sull’impugnazione del provvedimento prefettizio che dà luogo all’informativa antimafia.

 

2. Caratteristiche generali del controllo giudiziario delle aziende

I primi cinque commi dell’art. 34-bis delineano compiutamente la disciplina del controllo giudiziario delle aziende.

Occorre anzitutto (art. 34-bis, comma 1), come si desume dall’esplicito richiamo all’agevolazione descritta nell’art. 34, comma 1, Codice antimafia, che, in virtù di una sufficiente base indiziaria, il libero esercizio di una determinata attività economica appaia capace di agevolare l’attività delle persone “controindicate” elencate dal medesimo comma e che tuttavia questa condizione strumentale sia non strutturale ma meramente occasionale.

Occorrono in aggiunta circostanze di fatto che consentano di affermare l’esistenza del pericolo concreto di infiltrazioni mafiose tali da poter condizionare l’attività.

In presenza di questo duplice requisito, il tribunale competente è tenuto, su impulso di parte o d’ufficio, a disporre il controllo giudiziario che può essere variamente modulato e ad intensità crescente (mera imposizione di obblighi comunicativi, nomina di un giudice delegato e di un amministratore giudiziario, assegnazione a quest’ultimo di poteri di controllo e intervento correttivo, autorizzazione di addetti della polizia giudiziaria ad accedere negli uffici dell’impresa e acquisire documenti e informazioni presso enti pubblici e organismi privati, passaggio all’amministrazione giudiziaria ove siano violate le prescrizioni impartite).

In via generale, dunque, il controllo giudiziario delle aziende si staglia come uno strumento conservativo la cui funzione primaria è l’accompagnamento dell’impresa verso un percorso virtuoso, sul presupposto che disponga degli anticorpi per liberarsi da un’influenza nociva ma contingente.

 

3. Controllo giudiziario dell’impresa destinataria di un’informazione interdittiva antimafia

I tratti caratterizzanti di questa seconda tipologia di controllo la differenziano non poco da quella descritta nel paragrafo precedente.

La prima ed essenziale particolarità è che lo strumento è riservato a imprese che abbiano ricevuto un’informazione interdittiva antimafia in applicazione dell’art. 84, comma 4, Codice antimafia, in quanto soggette a “eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa” tendenti a condizionarne le scelte e gli indirizzi e desunti da una o più delle situazioni elencate nel predetto comma.

Il secondo requisito è che l’impresa interdetta abbia impugnato dinanzi al giudice amministrativo il provvedimento prefettizio da cui discende l’interdizione.

In presenza di queste due condizioni l’impresa è legittimata a chiedere di essere sottoposta a controllo giudiziario al tribunale delle misure di prevenzione il quale a sua volta, se riconosce la ricorrenza dei presupposti, è tenuto a disporlo in esito ad una procedura camerale cui sono ammessi ad intervenire ed esporre le rispettive ragioni il procuratore distrettuale e gli altri interessati.

Il controllo giudiziario di cui si parla produce un effetto di particolare rilevanza per le sorti dell’impresa che vi è sottoposta: sospende infatti gli effetti negativi dell’informazione interdittiva disciplinati dall’art. 94 Codice antimafia e libera quindi l’impresa dalle preclusioni previste nel suo comma 1 (art. 34-bis, comma 7).

Resta da dire che, una volta disposto il controllo giudiziario, il tribunale può revocarlo così come può disporre altre misure di prevenzione.

Merita infine di essere segnalata, per la sua pertinenza al tema trattato, la circolare n. 11001/119/20 emessa il 22 marzo 2018 dal Ministero dell'Interno che ha posto a carico del prefetto l'obbligo di iscrivere nella white list[1] richiesta dall’azienda destinataria di informazione interdittiva che abbia impugnato il relativo provvedimento ed ottenuto dal Tribunale competente per le misure di prevenzione l’applicazione del controllo giudiziario di cui alla lett. b) del comma 2, dell’art. 34-bis. Se, infatti, la consultazione dell’elenco è la modalità obbligatoria attraverso la quale deve essere acquisita la documentazione antimafia per le attività a rischio, un eventuale rifiuto dell’iscrizione finirebbe con il vanificare la sospensione disposta dal Giudice, la cui finalità è proprio quella di incentivare l’adesione spontanea dell’impresa a questo nuovo strumento di autodepurazione dalle infiltrazioni criminali consentendole di continuare ad operare nei rapporti con la pubblica amministrazione. Nel procedere all’iscrizione, tuttavia, sembra opportuno che il Prefetto annoti di avere così provveduto per effetto della misura adottata dal Tribunale ai sensi della norma sopra citata. Si sottolinea, altresì, la necessità di monitorare con particolare attenzione la posizione dell’impresa iscritta, alla luce non solo dell’esito dell’impugnazione proposta avverso il provvedimento interdittivo che la riguarda ma anche degli sviluppi del procedimento di prevenzione instauratosi nei suoi confronti.

 

4. Considerazione giurisprudenziale del controllo giudiziario delle imprese interdette

Si sono già formate, nonostante il periodo relativamente breve della sua vigenza, significative correnti interpretative sul controllo giudiziario delle imprese destinatarie di un’informazione interdittiva antimafia.

Si deve, ad esempio, a Cass. pen. sez. VI, n. 22889/2019, un’importante ricostruzione sistematica di cui si evidenziano i passaggi legati allo specifico oggetto dello scritto.

Si legge nella decisione che “Non é casuale né approssimativa la scelta del legislatore di prevedere, come requisito della domanda di ammissione al controllo giudiziario in esame, l'impugnazione del relativo provvedimento - quale che essa sia, amministrativa o giurisdizionale - né la descrizione delle conseguenze del provvedimento di ammissione, individuata attraverso l'espressione "sospende gli effetti", indicazione che comporta la necessità che il procedimento di impugnazione in sede amministrativa sia ancora pendente. La ratio e la funzione dell'istituto non possono ragionevolmente consistere nell'aggiramento della misura interdittiva amministrativa, ovvero in una sua anomala impugnativa dinanzi al tribunale della prevenzione (in violazione del principio di riparto della giurisdizione), con la produzione degli effetti tipici di tale decisione di annullamento ovvero revoca della misura di prevenzione amministrativa, esiti decisori che permangono in capo alla competente autorità amministrativa o giurisdizionale. […] Deve, invece, escludersi qualsiasi potere di controllo da parte del tribunale di prevenzione sui presupposti che legittimano l'applicazione dell'interdittiva antimafia, venendo, altrimenti, a realizzarsi una illegittima invasione delle sfere di competenza dell'autorità amministrativa ed una illegittima duplicazione di procedimenti aventi ad oggetto la legittimità delle interdittive, la cui valutazione resta esclusivamente di competenza del prefetto e del "giudice" amministrativo, quale esso sia […] In caso di esito positivo di accoglimento della richiesta, con applicazione della misura del controllo giudiziario, per l'accertata sussistenza di situazioni, ancorché occasionali, di infiltrazione/condizionamento criminale dell'impresa […] non si produce un effetto decisorio definitivo suscettibile di incidere sulla situazione soggettiva dell'impresa destinataria della informativa, esito connesso al giudizio dinanzi alla competente autorità amministrativa, ma solo una sospensione degli effetti del provvedimento inibitorio, analoga a quella che interviene per effetto di un provvedimento di sospensiva autorità amministrativa, effetti che, ove sopravvenga il giudicato amministrativo di rigetto, sono destinati a riespandersi, ovvero a venire meno del tutto, nel caso in cui la decisione amministrativa sia favorevole all'impresa che, per l'effetto, viene rimessa nel pieno esercizio dei suoi diritti […] Certamente, poi, nel caso in cui l'impugnativa amministrativa sia favorevole all'impresa, viene meno uno dei requisiti soggettivi che costituisce il presupposto dell'applicazione della misura del controllo giudiziario che da tale soggetto era stato attivato. Conclusivamente, si ritiene che l'accoglimento della richiesta di controllo giudiziario , ex art. 34-bis, comma 6, secondo l'esito auspicato dalla impresa richiedente, che è l'unica legittimata a proporre la domanda, determina l'attivazione degli obblighi connessi al controllo giudiziario e la mera sospensione (e non già l'annullamento ovvero la revoca) della interdittiva prefettizia, effetti caducatori, questi ultimi, che possono prodursi solo nella competente sede amministrativa, secondo una precisa scelta del legislatore - anche di natura semantica - e dell'inquadramento sistematico dell'istituto del controllo giudiziario per nulla casuale, scelta che ribadisce la natura provvisoria dell'applicazione dell'istituto e funzionale a ridimensionarne gli effetti, nelle more della definitiva decisione amministrativa sulla misura interdittiva applicata dal prefetto, che ne costituisce il presupposto”.

Considerazioni simili si leggono in Cass. pen., sez. II, n. 39412/2019 per la quale “Si deve in definitiva ritenere che l'accesso all'istituto sia "fisiologicamente" ed inscindibilmente connesso alla pendenza di un ricorso avverso l'interdittiva essendo la sua ratio quella di consentire, a mezzo di specifiche prescrizioni e con l'ausilio di un controllore nominato dal Tribunale, la prosecuzione dell'attività di impresa nelle more della definizione del ricorso amministrativo al fine di evitare, in tale lasso di tempo, la decozione dell'impresa che, privata di commesse pubbliche e/o di autorizzazioni essenziali per la prosecuzione della propria attività, potrebbe subire conseguenze irreparabili a causa della "pendenza" del provvedimento prefettizio […] si è in presenza di una provvedimento di prosecuzione "controllata" dell'attività di impresa mediante l'adozione di provvedimenti utili a neutralizzare per il futuro i pericoli di infiltrazione e di condizionamento alla base dell'interdittiva e previa sospensione degli effetti di quest'ultima e che, come pure si è giustamente sottolineato, non può certo avere la conseguenza di vanificare un provvedimento ormai definitivo sospendendone di fatto tutti gli effetti e configurandosi, nella sostanza, come uno strumento alternativo di impugnazione”.

Valutazioni pressoché identiche si rinvengono nella giurisprudenza amministrativa.

Chiarisce, ad esempio, il Tribunale amministrativo regionale (di seguito TAR) Campania, sez. I, n. 6423/2018, che “Il controllo giudiziario non è idoneo a modificare il giudizio in ordine alla sussistenza dei pericoli di infiltrazione nella società colpita dall’interdittiva; ciò in quanto in primo luogo il controllo giudiziario che permette la prosecuzione dell’attività imprenditoriale sotto controllo giudiziario non ha effetti retroattivi ed in secondo luogo perché non costituisce un superamento dell’interdittiva, ma in un certo modo ne conferma la sussistenza, con l’adozione di un regime in cui l’iniziativa imprenditoriale può essere ripresa per ragioni di libertà di iniziativa e di garanzia dei posti di lavoro, sempre naturalmente in un regime limitativo di assoggettamento ad un controllo straordinario […] In altri termini la misura del controllo giudiziario costituisce un tentativo di salvaguardare, con le necessarie cautele, le realtà produttive che, per quanto incise da tentativi di infiltrazione mafiosa, manifestino un grado di autonomia gestionale (dalle consorterie criminali) non ancora totalmente compromesso e, anzi, sufficiente a consentirne un’attività economica corretta  pure in forma “controllata”, sforzandosi in tal modo il Legislatore di conservare, per quanto possibile, realtà produttive che, soprattutto nelle zone in cui esistono i fenomeni associativi criminali più eclatanti, possano costituire rimedio all’assenza di credibili opportunità occupazionali. In tale ottica non può certo opinarsi dall’ammissione alla procedura in discorso un superamento ovvero una qualche forma di attenuazione del giudizio formulato dalla Prefettura con l’informativa. L’ammissione alla procedura in discorso attesta solo la presenza di un procedimento che gemma da quello che ha condotto all’adozione dell’interdittiva, presupponendolo, e che risponde al fine di verificare se l’impresa che ne è attinta non sia strutturalmente compromessa con la criminalità organizzata e se ne possa, quindi, consentire un regime di “operatività controllata”. In conclusione, mentre non vengono travolti gli effetti dei provvedimenti già adottati in esecuzione dell’interdittiva antimafia e precedenti all’ammissione al controllo giudiziario ne viene preclusa l’adozione successiva”.

A conclusione di questa breve ma significativa rassegna, si può affermare che nella concorde interpretazione del giudice ordinario e di quello amministrativo l’ammissione dell’impresa richiedente al controllo giudiziario ex art. 34-bis, comma 6, non pone affatto nel nulla l’informazione interdittiva antimafia ma si limita a paralizzarne temporaneamente gli effetti nella prospettiva di salvaguardare il futuro dell’impresa e dei suoi dipendenti.

Al tempo stesso, le sfere funzionali del giudice della prevenzione e di quello amministrativo sono perfettamente distinte e non ammettono sovrapposizioni o assorbimenti.

Infine, il procedimento di prevenzione non è affatto insensibile alle decisioni assunte dal giudice amministrativo poiché sia la conferma che l’annullamento del provvedimento prefettizio che ha applicato l’interdittiva hanno un preciso e significativo rilievo sulle sorti del controllo giudiziario.

 

5. L’informazione interdittiva antimafia

L’istituto compone, unitamente alla comunicazione antimafia, il genus della documentazione antimafia, regolato dai Capi II, III e IV del Libro II del Codice antimafia.

L’atto prefettizio che ne è la fonte ha la natura di provvedimento amministrativo (Consiglio di Stato, sez. III, n. 1743/2016).

La costante giurisprudenza amministrativa gli attribuisce la natura di “una tipica misura cautelare di polizia, preventiva e interdittiva, che si aggiunge alle misure di prevenzione antimafia di natura giurisdizionale, essendo espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alla criminalità organizzata” (Consiglio di Stato, sez. III, 4398/2018).

Quanto ai suoi effetti, il provvedimento di cosiddetta “interdittiva antimafia” determina una particolare forma di incapacità ex lege, parziale (in quanto limitata a specifici rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione) e tendenzialmente temporanea, con la conseguenza che al soggetto – persona fisica o giuridica – è precluso avere con la pubblica amministrazione rapporti riconducibili a quanto disposto dall’art. 67”. b) l’art. 67, co. 1, lett. g), nella parte in cui prevede il divieto di ottenere, da parte del soggetto colpito dall’interdittiva antimafia, “contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità Europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali”, ricomprende anche l’impossibilità di percepire somme dovute a titolo di risarcimento del danno patito in connessione all’attività di impresa” (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, n. 3/2018).

Riguardo alla dimostrazione dei presupposti per l’applicazione dell’informazione interdittiva, si osserva che “Il proprium che differenzia l’informativa antimafia da altre misure preventive è la finalità da essa perseguita di salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica amministrazione: nella sostanza, attraverso di essa il Prefetto esclude che un imprenditore – pur dotato di adeguati mezzi economici e di una idonea organizzazione – possa meritare la fiducia delle Istituzioni e, in quanto controparte “affidabile”, possa essere titolare di rapporti contrattuali con le Pubbliche Amministrazioni ovvero destinatario di titoli abilitativi da queste rilasciati o di “contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate”. Dunque, l’interdittiva antimafia risponde ad una logica probatoria diversa da quella tipica degli accertamenti di natura penale e non deve necessariamente collegarsi a provvedimenti giurisdizionali o a misure preventive di altro tipo, la cui proposta di adozione o il cui provvedimento di applicazione, siano esse misure di natura personale o patrimoniale, non a caso figurano tra gli elementi dai quali è possibile desumere il rischio di infiltrazione mafiosa (art. 84, comma 4, lett. b). Sul piano probatorio questa demarcazione tre le due aree di intervento (la repressione penale e la prevenzione amministrativa) si traduce nel fatto che il rischio di inquinamento mafioso rilevante ai fini della emissione della informativa deve essere valutato in base al criterio del più “probabile che non”, quindi alla luce di una regola di giudizio che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, quale è, anzitutto, anche quello mafioso; sicché gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione. Profonda è dunque la differenza tra i destinatari delle misure di prevenzione e i destinatari delle informazioni interdittive: per i primi, rilevano i fatti penalmente rilevanti; per i secondi, rilevano anche fatti non necessariamente aventi rilevanza penale” (Consiglio di Stato, sez. III, n. 4938/2019).

In sintesi, e attingendo a una recente pronuncia di elevato spessore sistematico (Consiglio di Stato, sez. III, n. 6105/2019[2]), si può affermare che, nell’interpretazione giurisprudenziale, l’informazione interdittiva antimafia è una fattispecie di pericolo presunto, costituisce una sorta di pietra angolare del sistema normativo antimafia, ha la finalità precipua di liberare il corpo sociale dalla pressione parassitaria delle organizzazioni mafiose, può essere emessa solo in presenza di indizi gravi, precisi e concordanti da valutare secondo il criterio del più probabile che non, legittima l’uso di elementi conoscitivi tipici e atipici e attribuisce pertanto al Prefetto un ampio potere discrezionale.

 

6. Impugnabilità dell’informazione interdittiva antimafia

Nella visione del massimo organo nomofilattico della giurisdizione amministrativa (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, ordinanza n. 17/2014) “L’informativa antimafia costituisce un provvedimento autonomamente lesivo, in quanto incidente sulla capacità contrattuale e sulla produttività dell’impresa destinataria, la quale è quindi interessata alla relativa impugnazione anche indipendentemente dall’esito della gara; detto interesse si apprezza sia sotto il profilo risarcitorio (valutabile in relazione al pregiudizio all’immagine, al credito commerciale oltre che alla capacità di guadagno che si produce nel periodo di efficacia della prima interdittiva, allorché la seconda informativa non sia stata ancora adottata); sia sotto il profilo dell’interesse morale (correlato alla più generale onorabilità del soggetto interdetto), in quanto anch’esso direttamente inciso in senso pregiudizievole dalla misura antimafia”.

La relativa giurisdizione è devoluta al giudice amministrativo, in applicazione dell’art. 7, comma 1, Codice del processo amministrativo (di seguito CPA), poiché, a fronte dell’esercizio del potere prefettizio, l’impresa che vi è assoggettata è titolare di una posizione giuridica soggettiva qualificabile come interesse legittimo di tipo oppositivo.

La competenza spetta al TAR del luogo in cui ha sede il Prefetto che ha emesso il provvedimento impugnato (art. 13, comma 1, CPA).

 

7. Rapporto tra il controllo giudiziario ex art. 34-bis, comma 6, e il giudizio di impugnazione dell’interdittiva antimafia: il dibattito nella giurisprudenza amministrativa

La necessità di trattare questo tema specifico nasce dalla previsione contenuta nell’art. 34-bis, comma 7, e dagli effetti che la giurisprudenza amministrativa ne sta derivando.

Come si è ricordato in precedenza, questa disposizione fa discendere dal provvedimento che dispone il controllo giudiziario la sospensione degli effetti preclusivi generati dall’interdittiva antimafia (art. 94 Codice antimafia).

Nessuna disciplina è stata invece prevista riguardo ai riflessi della sospensione sull’andamento del giudizio di impugnazione dell’interdittiva medesima.

Il silenzio del legislatore ha legittimato un dibattito interno alla giurisdizione amministrativa di cui si dà subito conto.

La tesi prevalente in seno al Consiglio di Stato è nel senso di sospendere il giudizio amministrativo utilizzando come fonte normativa di riferimento l’art. 295 cod. proc. civ. il quale appunto consente (o meglio impone) al giudice di sospendere il processo quando egli stesso o altro giudice debba risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa.

Si può citare, tra le tante ordinanze così orientate emesse dalla terza sezione, la n. 4719/2018 di cui si riporta testualmente il passaggio più significativo: “ritenuto che, ai sensi dell’art. 34-bis, comma 7, del d. lgs. n. 159 del 2011, il provvedimento che dispone l’amministrazione giudiziaria prevista dall’art. 34 o, come nel caso di specie, il controllo giudiziario ai sensi del comma 6 dello stesso articolo sospende gli effetti di cui all’art. 94, derivanti dall’emissione del provvedimento antimafia; considerato che tale sospensione degli effetti interdittivi, quale conseguenza scaturente ex lege dal provvedimento che dispone il controllo giudiziario, comporta, ad avviso del Collegio, anche la sospensione del giudizio avente ad oggetto l’informativa antimafia, in quanto l’eventuale conferma di tale provvedimento, da parte del giudice amministrativo, renderebbe definitivi gli effetti di detto provvedimento e, quindi, vanificherebbe la previsione del medesimo art. 34-bis, comma 7, del d. lgs. n. 159 del 2011, che contempla una pur temporanea sospensione di tali effetti, e la ratio stessa del controllo giudiziario, volto a consentire alle imprese colpite da informazione antimafia, che l’abbiano impugnata, di potere nelle more del giudizio amministrativo proseguire nella propria attività, a determinate condizioni, sotto il controllo del Tribunale della prevenzione, che nomina un amministratore a tal fine; considerato che quindi, una volta disposto il controllo giudiziario, la sospensione degli effetti interdittivi conseguenti all’informazione antimafia debba operare indefettibilmente per tutto il tempo della misura del controllo giudiziario adottata dal Tribunale in sede di prevenzione, ai sensi dell’art. 34-bis, comma 7, del d. lgs. n. 159 del 2011, e di conseguenza anche il giudizio amministrativo relativo all’informazione antimafia debba essere sospeso, salva ulteriore prosecuzione all’esito della misura, sino a quando la sospensione degli effetti interdittivi non abbia esaurito il proprio corso”.

Una strada parzialmente diversa è quella scelta dal TAR di Catanzaro, sez. I, con l’ordinanza n. 658/2019. I giudici calabresi hanno preferito ricorrere non alla sospensione ma al rinvio e, ciò che più conta, hanno ritenuto non obbligatorio ma discrezionale il ricorso a tale strumento, soprattutto in dipendenza del grado di fondatezza attribuito all’impugnazione. Ne deriva che la pronuncia deve essere resa senza rinvio allorché, ad esempio, l’impugnazione appaia fondata poiché una diversa soluzione negherebbe all’impresa interessata effettività di tutela e manterrebbe artificiosamente in vita una procedura di prevenzione ormai priva di ragion d’essere. Il rinvio, al contrario, è plausibile allorché (come nel caso di specie) la prima delibazione non consenta di escludere il rigetto del ricorso sicché l’immediatezza della decisione sarebbe svantaggiosa per la ricorrente privandola della possibilità di avvalersi di uno strumento tendenzialmente “salvifico” come è il controllo giudiziario e frustrerebbe lo scopo del legislatore.

Questo è il passo rilevante dell’ordinanza in esame: “considerato […] che non convince la strada della sospensione non riscostrandosi i rigidi presupposti di pregiudizialità logica e giuridica richiesti per l’applicazione dell’art. 295 c.p.c. (v. per tutte Cass. n. 20469/2018 e Cons. St. n. 1478/13); - che questo Tar ritiene che corretta sia, invece, la strada processuale del rinvio del giudizio amministrativo a data successiva alla cessazione della misura di prevenzione per non porre nel nulla gli effetti di possibile legalizzazione di imprese marginalmente inquinate; - che, infatti, rammentato che l’ammissione al controllo non sconfessa la legittimità dell’informativa in punto di sussistenza di pericolo di infiltrazione non costituendone un superamento, ma in un certo modo conferma[ndone] la sussistenza (v. Cons. Stato, n. 6377/2018; 3268/ 2018), deve sottolinearsi che esso costituisce istituto di sostegno previsto dall’ordinamento per l’imprenditore che sia marginalmente toccato dai clan e che individualmente (specie in realtà piccole e contaminate e ad economia scarsa) non sia in grado di reagire alla criminalità, sostegno costituito da un percorso imprenditoriale sorvegliato dall’amministratore giudiziale che conduca alla sua bonifica ; - che gli effetti positivi attestati dall’organo giudiziale potrebbero anche comportare un aggiornamento favorevole da parte del Prefetto dell’informazione ai sensi dell’art. 91 comma 5 d.lgs. n. 159/2011, con soluzione finale che armonizza ragionevolmente il sistema; - che lo strumento processuale del rinvio ben si presta a garantire e non compromettere l’auspicato percorso di redenzione dell’impresa (v. ratio parimenti valorizzata dal citato decreto del Tribunale – Mis. Pr- Santa Maria C.V. nell’escludere la caducazione della misura al sopravvenire del giudicato amministrativo di rigetto); - che esso è rimesso al discrezionale e ponderato uso del potere di direzione del procedimento (v. artt. 175 c.p.c. e 39 c.p.a.) da parte del Tribunale, il quale potrebbe negarlo ove risultino circostanze che richiedano la necessità di decisione del merito (v. revoca del controllo); - che, ovviamente, il rinvio potrà essere valutato solo in caso di ammissione dell’impresa al controllo e non in ipotesi di mera presentazione dell’istanza; - che, al contrario, ove il Tribunale dall’esame degli atti riscontri una evidente fondatezza del ricorso, ad esempio per travisamento della sussistenza di infiltrazioni occasionali e non stabili, sarà tenuto alla emissione della decisione definitiva sia per garantire l’effettività della tutela dell’imprenditore sia per determinare chiusure di procedure di prevenzione, generanti aggravio per l’amministrazione della giustizia, aperte solo per garantire il prosieguo dell’attività nella pendenza del giudizio amministrativo; Considerato nel procedimento in esame: - che, come noto, il sindacato giurisdizionale dei provvedimenti interdittivi, ampiamente discrezionali e fondati sulla regola causale del ‘più probabile che non’, è limitato al riscontro dei vizi di manifesti vizi di eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti; - che ad un primo sommario esame gli elementi probatori acquisiti non escludono che si possa giungere al rigetto del ricorso; - che se il Collegio addivenisse alla decisione di rigetto si avrebbe, per quanto detto, incidenza negativa sul disposto controllo giudiziario; - che l’ipotesi dell’imprenditore come quello in esame in quanto vittima di estorsione è quello che merita un percorso di “rafforzamento e purificazione”; Ritenuto: - che in accoglimento della domanda subordinata vada concesso il rinvio a data successiva al periodo di efficacia della misura di prevenzione”.

Un percorso meno flessibile è quella adottato dal TAR di Bari, espresso da alcune ordinanze della sezione II (tra queste la n. 987/2019), anch’esso propenso allo strumento del rinvio che tuttavia non è ancorato a delibazioni preliminari e viene disposto alla prima udienza pubblica successiva al periodo di efficacia della misura di prevenzione disposta dal giudice ordinario o, in alternativa, alla prima udienza pubblica successiva al deposito della segnalazione del rigetto dell’istanza di controllo giudiziario.

 

8. Focus sulla giurisprudenza del TAR Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria

Merita infine di essere specificamente segnalata un’autonoma corrente interpretativa seguita da tempo (si vedano le sentenze nn. 15 e 350/2019) dal TAR Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria.

Ne è recentissima espressione la sentenza n. 560/2020[3].

La vicenda sottostante al giudizio può essere riassunta nei termini che seguono.

Un’impresa individuale è stata sottoposta ad interdittiva antimafia dalla Prefettura di Reggio Calabria alla quale è seguita un’ordinanza del Comune di Reggio Calabria di immediato divieto della prosecuzione dell’attività artigianale svolta dalla titolare dell’impresa (l’interessata esercitava il mestiere di estetista in un piccolo laboratorio).

La titolare dell’impresa ha impugnato dinanzi al TAR reggino entrambi i provvedimenti.

Si sono costituiti in giudizio entrambi gli enti, contestando la fondatezza del ricorso.

Respinta la domanda cautelare della ricorrente e giunto il giudizio in prossimità dell’udienza di discussione, la ricorrente ha documentato di aver presentato istanza al tribunale delle misure di prevenzione di Reggio Calabria, ai sensi dell’art. 34-bis Codice antimafia e ha chiesto il rinvio della trattazione.

Il giudice adito ha scelto per contro di pronunciarsi nel merito.

Ha giustificato la scelta (paragrafi 9.2.1 e ss.) affermando di non condividere la prassi favorevole alla sospensione seguita dal Consiglio di Stato né quella del TAR Calabria favorevole al rinvio.

Ha considerato rilevante a tal proposito già l’assenza nel corpo dell’art. 34-bis di una disposizione che imponga la stasi del giudizio amministrativo.

Questo il passaggio testuale (par. 9.2.2): “Milita in senso contrario alle riferite prassi applicative anzitutto una considerazione di carattere testuale, risultando del tutto omessa nella regolamentazione normativa della misura di prevenzione patrimoniale di nuovo conio qualsiasi indicazione circa la sorte del ricorso amministrativo proposto avverso l’interdittiva antimafia in conseguenza dell’accoglimento dell’istanza, limitandosi la norma a stabilire che la pendenza del processo costituisca l’imprescindibile condizione per la relativa ammissibilità. Né argomenti conducenti in senso contrario sembrano potersi trarre dal co. 7 della disposizione, là dove riconnette alla favorevole delibazione dell’istanza la sospensione ex lege degli effetti derivanti dall’interdittiva (di cui all’art. 94). Tale ultimo elemento, valorizzato dal Consiglio di Stato a sostegno della tesi della sospensione del giudizio avente ad oggetto l’informativa antimafia (ex multis, sez. III, ord. n. 4873/2019, secondo cui “tale sospensione degli effetti interdittivi, quale conseguenza scaturente ex lege dal provvedimento che dispone il controllo giudiziario, comporta… anche la sospensione del giudizio avente ad oggetto l’informativa antimafia, in quanto l’eventuale conferma di tale provvedimento, da parte del giudice amministrativo, renderebbe definitivi gli effetti di detto provvedimento e, quindi, vanificherebbe la previsione del medesimo art. 34-bis, comma 7, del d. lgs. n. 159 del 2011, che contempla una pur temporanea sospensione di tali effetti, e la ratio stessa del controllo giudiziario…”), sembra invero poggiare sul presupposto della reciproca interferenza, e dei correlati condizionamenti, tra i due giudizi, sottendendovi l’idea che l’eventuale reiezione del ricorso amministrativo comporti inesorabilmente il travolgimento degli effetti, favorevoli per l’impresa, conseguenti all’adozione del controllo ex art. 34-bis. Ciò che appunto suggerirebbe (o, secondo siffatta opzione interpretativa, imporrebbe) la sospensione del processo amministrativo, anche in considerazione del fatto che proprio durante il periodo di vigilanza statuale sull’impresa potrebbero essere acquisiti elementi utilizzabili in vista dell’eventuale proposizione di un’istanza di riesame in sede amministrativa”.

Il percorso motivazionale prosegue così (paragrafi 9.2.3 e 9.2.4): “Orbene, ad avviso del Collegio, pur dovendosi ritenere effettivamente sussistente un’interdipendenza tra l’ammissione al controllo giudiziario e il processo amministrativo sull’interdittiva – che tuttavia, per quanto a breve si osserverà, è da ritenersi operare in senso ‘unidirezionale’ –, da essa non pare possibile far discendere le conseguenze poc’anzi esposte sul versante dei relativi rapporti, ponendosi siffatta prospettazione in aperto contrasto con la considerazione della ratio e della funzione della nuova misura di prevenzione patrimoniale. 9.2.4. In tal senso, del resto, depongono le indicazioni esegetiche offerte dalle prime decisioni della giurisprudenza di legittimità intervenute sul recentissimo istituto”.

Nella parte immediatamente successiva il TAR prende in considerazione e valorizza il panorama interpretativo segnalato nel paragrafo 4 cui hanno dato vita ormai plurime decisioni delle sezioni penali della Corte di Cassazione.

Segue (par. 9.2.5) la conclusione, a questo punto scontata: “Proprio sulla scorta della lineare ricostruzione offerta nei richiamati arresti di legittimità in ordine alla ratio ed alla funzione dell’istituto di cui all’art. 34-bis d.lgs. n. 159/2011, sembra doversi ragionevolmente escludere la sussistenza di elementi che possano indurre a ritenere necessitato, o anche soltanto opportuno, il rinvio della trattazione del processo allorché il ricorrente dia prova dell’avvenuto accoglimento da parte del Tribunale di Prevenzione dell’istanza volta ad ottenere il controllo giudiziario. È proprio la considerazione della natura cautelare della misura, volta a paralizzare interinalmente gli effetti pregiudizievoli dell’interdittiva medesima nel tempo occorrente alla definizione del processo amministrativo promosso per contestarne la legittimità, a suggerire al contrario l’esigenza della sua regolare prosecuzione, onde giungerne al suo epilogo definitivo. Questa lettura, che pur presenta l’inconveniente di inficiare le energie profuse per l’attivazione della procedura di controllo nell’evenienza di una decisione reiettiva del ricorso (ovviamente definitiva), appare nondimeno l’unica coerente con la fisionomia, appunto strumentale e ‘servente’, impressa all’istituto del controllo giudiziario e resa evidente, d’altro canto, nell’evenienza opposta di accoglimento dell’impugnativa, dal venir meno dei presupposti della misura, con sua conseguente automatica cessazione. In altri termini, siffatta natura strumentale e ‘servente’, riconosciuta sul piano sostanziale, deve trovare chiara corrispondenza sul piano processuale, con conseguente precedenza del vaglio di legittimità della misura interdittiva da parte del giudice amministrativo competente, a prescindere dai tempi, peraltro variabili, di durata del connesso controllo giudiziario. È, peraltro, evidente che l’istanza di rinvio (o di sospensione) non potrebbe che essere esaminata in termini oggettivi, a prescindere da un supposto esito della lite, sicché è da escludere, ad avviso della Sezione, che essa possa trovare accoglimento solo allorché ad un primo sommario esame gli elementi probatori acquisiti non escludono che si possa giungere al rigetto del ricorso. 9.2.6. Per le esposte ragioni la sollecitata richiesta di rinvio della trattazione deve dunque essere respinta, dovendo solo soggiungersi come la circostanza della mancata decisione, al momento della trattazione del ricorso, sull’istanza della ricorrente ex art 34-bis non può che condurre a fortiori ad analoga conclusione”.

Si segnala infine, per mera completezza informativa, che il TAR ha accolto il ricorso della ricorrente e annullato entrambi i provvedimenti impugnati.

 

9. Riflessioni conclusive

Esposto l’attuale stato dell’arte sulla questione che ha dato spunto a questo scritto, è adesso possibile avviarsi alla sua conclusione.

Si condividono senza riserve l’indirizzo seguito dal TAR reggino e le argomentazioni su cui lo ha fondato.

Si ritiene nondimeno di poter spendere qualche ulteriore considerazione integrativa.

Il punto di partenza è dato da una recente decisione della Corte costituzionale, precisamente la sentenza n. 57/2020, che ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 89-bis e 92, commi 3 e 4, Codice antimafia sollevate dal tribunale di Palermo per asserito contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost.

Così la sentenza riepiloga la questione: “il Tribunale di Palermo afferma di condividere i princìpi espressi dal Consiglio di Stato in ordine alla pervasività e alla profonda lesività dell’infiltrazione mafiosa nell’economia, e alla conseguente necessità di una risposta efficace da parte dello Stato che si estenda a tutto campo, e che dunque elidendo in radice la libertà di iniziativa economica privata assicurata dall’art. 41 Cost. sostanzialmente elimini dal circuito dell’economia legale, e non solo da quello dei rapporti con la pubblica amministrazione, i soggetti economici infiltrati dalle associazioni mafiose, che, in quanto tali, quella iniziativa esercitano in contrasto con l’utilità sociale, e in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana. Tuttavia, il rimettente ritiene che una legislazione che affida tale radicale risposta ad un provvedimento amministrativo, quale è l’informazione antimafia, sostanzialmente equiparandola negli effetti ad un provvedimento giurisdizionale definitivo, pone dubbi di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost. Ad avviso del rimettente è irragionevole ricollegare al rilascio dell’informazione antimafia interdittiva, dunque ad un atto di natura amministrativa, gli stessi effetti e cioè il divieto generalizzato di ottenere tutti i provvedimenti indicati nell’art. 67, comma 1, del d.lgs. n. 159 del 2011, e la decadenza di diritto da tutti quelli eventualmente già ottenuti che il suddetto art. 67 riconnette all’applicazione con provvedimento definitivo di una misura di prevenzione personale, vale a dire alla definitività di un provvedimento di natura giurisdizionale. Ciò apparirebbe irragionevole anche considerando che: l’effetto dell’informazione antimafia interdittiva è immediato ai sensi dell’art. 91, comma 7-bis, del d.lgs. n. 159 del 2011, e non è subordinato alla definitività del provvedimento; l’autorità amministrativa non può procedere ad alcuna esclusione delle decadenze e dei divieti, a differenza di quanto può fare il tribunale, in ragione della previsione dell’art. 67, comma 5, del medesimo decreto legislativo, «nel caso in cui per effetto degli stessi verrebbero a mancare i mezzi di sostentamento all’interessato e alla famiglia»”.

La Consulta ha opposto un ragionamento complessivo.

Ha evidenziato anzitutto che la discrezionalità del potere prefettizio è giustificata dalla rilevante componente tecnica delle valutazioni richieste per l’uso più efficiente di uno strumento con finalità cautelari e preventive ma è adeguatamente bilanciata dall’obbligo posto a carico del Prefetto di ponderare equilibratamente i contrapposti valori costituzionali in gioco  (la libertà di impresa e i beni che presidiano il principio di legalità sostanziale) e di motivare accuratamente la scelta adottata.

Ha poi considerato che le valutazioni prefettizie “sono soggette ad un vaglio giurisdizionale pieno ed effettivo. Di fatto è questa la portata delle numerose sentenze amministrative che si sono occupate dell’istituto. Esse non si limitano ad un controllo “estrinseco” […] e, pur dando il giusto rilievo alla motivazione, procedono ad un esame sostanziale degli elementi raccolti dal prefetto, verificandone la consistenza e la coerenza. Il risultato di questo impegno è la individuazione di un nucleo consolidato (sin dalla sentenza del Consiglio di Stato, sezione terza, 3 maggio 2016, n. 1743, come ricorda la sentenza della terza sezione, 5 settembre 2019, n. 6105) di situazioni indiziarie, che sviluppano e completano le indicazioni legislative, costruendo un sistema di tassatività sostanziale. Tra queste: i provvedimenti “sfavorevoli” del giudice penale; le sentenze di proscioglimento o di assoluzione, da cui pure emergano valutazioni del giudice competente su fatti che, pur non superando la soglia della punibilità penale, sono però sintomatici della contaminazione mafiosa; la proposta o il provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione previste dallo stesso d.lgs. n. 159 del 2011; i rapporti di parentela, laddove assumano una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica”; i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia; le vicende anomale nella formale struttura dell’impresa e nella sua gestione, incluse le situazioni in cui la società compie attività di strumentale pubblico sostegno a iniziative, campagne antimafia, antiusura, antiriciclaggio, allo scopo di mostrare un “volto di legalità” idoneo a stornare sospetti o elementi sostanziosi sintomatici della contaminazione mafiosa; la condivisione di un sistema di illegalità, volto ad ottenere i relativi “benefici”; l’inserimento in un contesto di illegalità o di abusivismo, in assenza di iniziative volte al ripristino della legalità. Si tratta di puntualizzazioni di cui va apprezzata la rilevanza alla luce di quella giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 24 del 2019) che, anche se relativa a fattispecie diversa, ha valorizzato l’apporto fornito da una giurisprudenza costante e uniforme, al fine di delimitare l’applicazione di disposizioni legislative incidenti su diritti costituzionalmente protetti, pure caratterizzate da una certa genericità”.

Nella parte conclusiva della sentenza il giudice delle leggi ha inteso impartire un monito: “va sottolineata al riguardo la necessità di un’applicazione puntuale e sostanziale della norma, per scongiurare il rischio della persistenza di una misura non più giustificata e quindi di un danno realmente irreversibile”.

La Consulta ha dunque escluso che l’informazione interdittiva antimafia leda o ponga in pericolo principi o libertà di rango costituzionale ma ha considerato che per la loro salvaguardia sia imprescindibile l’esame sostanziale (e non già il mero controllo estrinseco) affidato al giudice amministrativo.

Se tale giudice sospende o rinvia questo suo ineludibile dovere, quale che sia la motivazione espressa o implicita a cui si appiglia, indebolisce ingiustificatamente uno statuto garantistico senza il cui pieno rispetto la discrezionalità dell’informativa antimafia potrebbe trasmodare in arbitrio.

Si fa apprezzare ancora di più, per questa via, la scelta del TAR reggino ed è auspicabile che la visione di cui è frutto riesca a superare le opposte e ingiustificate prassi manifestatesi nella restante giurisprudenza amministrativa.

 

[1] Il termine identifica un elenco, da istituire presso ogni Prefettura ai sensi della l. 190/2012, dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa. L’iscrizione di un’impresa nell’elenco equivale a certificazione dell’insussistenza delle cause ostative alla partecipazione alle procedure di affidamento di appalti pubblici ed alla stipula dei relativi contratti. Si rendono in tal modo più agevoli ed efficienti i controlli antimafia in settori considerati tradizionalmente a rischio di infiltrazioni quali, ad esempio, i noli a caldo, movimentazione terra, trasporto e lo smaltimento rifiuti.

[2] Sia consentito, per un più dettagliato commento della pronuncia in questione, il rinvio a V. Giglio, L’informazione interdittiva antimafia, il sospetto e la paura, Filodiritto, 16 dicembre 2019, a questo link.

[3] La si può consultare e scaricare integralmente dal sito web istituzionale della giustizia amministrativa, a questo link.