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Il caso Dan c. Repubblica di Moldavia

e il “sequel” sulla rinnovazione della prova in appello in caso di overturning della sentenza di assoluzione

The case Dan v. Republic of Moldova (no. 2) and the "sequel" on the renewal of the evidence on appeal in case of overturning of the acquittal sentence
Siamo (noi) la più grande tempesta
Ph. Paolo Panzacchi / Siamo (noi) la più grande tempesta

Abstract

Lo scritto ricostruisce il percorso argomentativo seguito dalla Corte di Strasburgo nelle sentenze Dan 1 e 2 che sono state l’occasione per sottolineare il valore dell’ascolto diretto dei testimoni e il relativo dovere dei giudici di merito, ivi compreso il giudice di appello, di rendere concreto ed effettivo tale principio, evitando esami esclusivamente formali o confermativi di precedenti dichiarazioni.

The paper reconstructs the argumentative path followed by the Strasbourg Court in the sentences Dan 1 and 2 which were the occasion to underline the value of direct hearing of witnesses and the relative duty of the trial judges, including the appellate judge, to make this principle concrete and effective, avoiding exclusively formal or confirmatory examinations of previous declarations.

 

Sommario

1. Un po’ di storia

2. La prima sentenza Dan c. Repubblica di Moldavia e l’affermazione del principio “Dan”

3. La seconda sentenza Dan del 10 novembre 2020 e le possibili ricadute applicative

Summary

1. A little background

2. The first ruling Dan v. Republic of Moldova and the affirmation of the "Dan" principle

3. The second Dan ruling of 10 November 2020 and the possible application implications

 

1. Un po’ di storia

La Seconda Sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza dello scorso 10 novembre 2020 nel ricorso contrassegnato dal n. 57575/2014 proposto da Mihail Dan ha nuovamente condannato la Repubblica di Moldavia per la violazione dell’art. 6 § 1 della CEDU.

Ancora una volta, la questione oggetto di particolare attenzione da parte della Corte è quella relativa alle interconnessioni tra giudizio di primo grado e quello di appello con riguardo all’istituto della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale disciplinata, nel nostro ordinamento, dall’art. 603 c.p.p.

In molte pronunce la Corte di Strasburgo si era interrogata sulla compatibilità con l’art. 6 della CEDU della disciplina collegata sia alla iniziativa probatoria delle parti, private e pubbliche, sia ai parametri richiesti per l’ammissione della prova in appello.

Si pensi alla sentenza, la prima in argomento, Delcourt c. Belgio, Requête n. 2689/65 del 17 gennaio 1970 ove al paragrafo 26 si legge: «L’article 6 par. 1 (art. 6-1) s’applique donc bien à la procédure de cassation. La manière dont il s’y applique dépend toutefois à l’évidence des particularités de cette procédure» con ciò affermando, espressamente, che le garanzie del “fair trial” debbono applicarsi anche ai giudizi di impugnazione.

Successivamente, già nella sentenza Colozza c. Italia, Ricorso n. 9024/80 del 12 febbraio 1985, viene affermato il principio secondo cui «the object and purpose of article 6 taken as a whole show that a person “charged with a criminal offence” is entitled to take part in the hearing. Moreover, sub-paragraphs c), d) and e) of paragraph 3 guarantee to “everyone charged with a criminal offence” the right “to defend himself in person”, “to examine or have examined witnesses”».

Ed ancora, nella sentenza Monnell e Morris c. Regno Unito, Ricorsi n. 9562/81 e n. 9818/82 del 2 marzo 1987 si giunge ad affermare che l’imputato deve essere presente nel giudizio di appello ed essere sentito nel processo («Article 6 required that they should have been allowed to be present and enabled to be heard during the contested procedure»).

Nella sentenza della Grande Camera Ekbatani c. Svezia, Ricorso n. 10563/83 del 26 maggio 1988 si nota un ulteriore sviluppo del pensiero della Corte: «Though the Court confirmed that if there had been a public hearing at first instance, and the absence of a public hearing before a second or third instance tribunal might be justified, and since the Court of Appeal had to make what a “full assessment of the question of the applicant’s guilt or innocence” it flows from the notion of a fair trial that a person charged with a criminal offence should, as a general principle, be entitled to be present at the trial hearing». In conseguenza, per garantire il rispetto del principio dell’equo processo è necessario che l’imputato e il denunciante vengano esaminati di nuovo anche davanti al giudice dell’appello. Nel caso in esame, la Corte svedese aveva confermato la sentenza di condanna di primo grado senza che si fosse svolta un’udienza alla presenza dell’imputato. Dato importante da considerare, per l’evidente affinità con il nostro ordinamento processual-penalistico, è che la Corte di appello in Svezia è competente a giudicare il fatto anche nel merito - il c.d. “full assessment” - e questo è un parametro preso come essenziale riferimento dalla Corte EDU per stabilire, in siffatti casi, se sussista o meno la violazione dell’equo processo.

Anche la sentenza Popovici c. Moldavia, Ricorso n. 289/04 del 27 gennaio 2007, ulteriore tassello verso la pronuncia Dan c. Moldavia del 2011, dichiara la violazione dell’art. 6 CEDU poiché il ricorrente, assolto in primo grado, era poi stato condannato alla pena dell’ergastolo e ciò era avvenuto in appello senza che si fosse proceduto a sentirlo personalmente e senza aver acquisito in contradditorio le prove.

 

2. La prima sentenza Dan c. Repubblica di Moldavia e l’affermazione del principio “Dan”

La prima sentenza pronunciata dalla Corte EDU nel caso Dan c. Repubblica di Moldavia, Ricorso n. 8999/07 del 5 luglio 2011, segna un vero e proprio spartiacque perché viene affermato in modo chiaro che «having regard to what was at stake for the applicant, the Court in not convinced that the issues to be determined by the Court of Appeal when convicting and sentencing the applicant - and, in doing so, overturning his acquittal by the first-instance court - could, as a matter of fair trial, have been properly examined without a direct assessment of the evidence given by the prosecution witnesses. The Court considers that those who have the responsibility for deciding the guilt or innocence of an accused ought, in principle, to be able to hear witnesses in person and assess their trustworthiness. The assessment of the trustworthiness of a witness is a complex task which usually cannot be achieved by a mere reading of his or her recorded words».

In altri termini, quando la prova decisiva è quella testimoniale la cui valutazione di attendibilità è un compito, per il Giudice, di estremo rilievo e complessità, si dovrebbe procedere, prima di stabilire l’innocenza o la colpevolezza di un imputato, ad ascoltare direttamente i testimoni, salvo che la loro audizione sia nel frattempo divenuta impossibile oppure debba essere tutelato il diritto alla non autoincriminazione. Ciò dimostra, in modo inequivocabile, che l’operazione di mera rilettura degli atti processuali è fondata su un processo cognitivo di minore affidabilità.

Il principio “Dan” trovava poi ulteriori affermazioni nella giurisprudenza della Corte EDU con un grado di affinamento sempre più elevato.

Tra le pronunce significative va ricordata Manolachi c. Romania, Ricorso n. 36605/04 del 5 marzo 2013. Di notevole interesse quanto si legge ai paragrafi 49 e 50: «La Corte osserva che la corte d’appello e l’Alta Corte, quando hanno sostituito l’iniziale decisione di assoluzione con una decisione di condanna, non disponevano di alcun dato nuovo. La giurisprudenza della Corte sottolinea al riguardo che la possibilità per l’imputato di confrontarsi con un testimone in presenza del giudice chiamato a decidere in ultima istanza sull’accusa è una garanzia di un processo equo, in quanto le osservazioni del giudice per quanto riguarda il comportamento e l’attendibilità di un testimone possono avere delle ripercussioni per l’imputato (…).

Per quanto il Governo sottolinei il fatto che il ricorrente non ha chiesto né la sua audizione né quella dei testimoni, la Corte ritiene che il giudice del ricorso fosse tenuto ad adottare d’ufficio misure positive a tale scopo, anche se ciò non era stato espressamente richiesto dal ricorrente (…). In ogni caso, la Corte osserva che non può essere attribuito al ricorrente un disinteresse per il suo processo (…)».

Nello stesso senso anche le sentenze Flueras c. Romania, Ricorso n. 17520/04 del 9 aprile 2013, Hanu c. Romania, Ricorso n. 10890/04 del 4 giugno 2013, Mischie c. Romania, Ricorso n. 50224/07 del 16 settembre 2014 (la Alta Corte rumena non si era limitata al controllo del diritto ma aveva effettuato una nuova valutazione del fatto nel merito. Tale circostanza impone al giudice di appello di rispettare i parametri convenzionali dell’art. 6 e quindi l’oralità nella acquisizione della prova dichiarativa che sia decisiva per la condanna, pena la sostanziale iniquità della procedura basata su una valutazione cartolare della testimonianza), Lazu c. Repubblica di Moldavia, Ricorso n. 46182/08 del 5 luglio 2016. In tali pronunce si indica anche che lo strumento di adeguata riparazione, in caso di violazione dell’art. 6, deve essere la celebrazione di un nuovo giudizio richiesto dal ricorrente vittorioso a Strasburgo.

In Italia, il principio “Dan” germogliava e dava i suoi frutti: prima con le Sezioni Unite n. 27620 del 5 ottobre 2016, Dasgupta poi con le Sezioni Unite n. 18620 del 14 aprile 2017, Patalano e infine con le Sezioni Unite n. 14800 del 21 dicembre 2017, Troise (intervenuta dopo la Legge n. 103/2017 che ha introdotto all’art. 603 c.p.p. il comma 3-bis), inframezzata dalla prima condanna in tema di rinnovazione dell’istruttoria in appello Lorefice c. Italia, Ricorso n. 63446/13 del 29 giugno 2017.

I principi di questa stagione italiana dopo la prima sentenza Dan possono riassumersi nella declinazione dell’obbligo in capo al giudice di secondo grado di rinnovare, anche di ufficio, l’esame delle fonti di prova dichiarativa ritenute decisive dal giudice di primo grado e ciò al fine di poter legittimamente ribaltare la sentenza di assoluzione. Il corollario è che, in assenza di rinnovazione istruttoria, la sentenza di appello è censurabile in cassazione per vizio di motivazione sub specie di mancato rispetto della regola del BARD e a prescindere dal richiamo alla CEDU.

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