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Detenuti e alimentazione

Brevi osservazioni

alimentazione e sciopero della fame
alimentazione e sciopero della fame

Detenuti e alimentazione

Abstract: L’alimentazione contro la volontà del detenuto, è ammissibile soltanto, se: 1) è necessaria, per ovviare a un imminente, grave pericolo per la vita o la salute 2) deve essere rispettata  la dignità della persona 3) può essere disposta esclusivamente da un medico e sotto la responsabilità dello stesso. Questo è il tenore di una recente sentenza della Corte costituzionale federale della RFT.

Introduzione

I problemi, che l’alimentazione forzata di un detenuto pone, sono, senz’altro, non semplici e non pochi.

 Già la privazione della libertà personale, di per sè, implica una compressione “massiccia” di uno dei diritti fondamentali della persona. Se poi, in sede di esecuzione della pena detentiva, viene disposta pure l’alimentazione forzata (“Zwangsernährung”) del detenuto, ci sono due diritti fondamentali, che vengono pressoché “annullati”. Deve, in ogni caso, essere rispettata la dignità del detenuto, ma, al contempo, va salvaguardata pure la credibilità e l’autorità dello Stato.

Da un lato, si pone lo Stato con il proprio “Strafdurchsetzungsanspruch” e con l’esigenza della “Rechtssicherheit”; dall’altro lato, il detenuto, sui diritti del quale si “interviene”, privandolo di uno dei suoi “Verfügungsrechte” (libera decisione di sottoporsi a trattamento sanitario o meno). Non va poi trascurato, che anche un sanitario viene a trovarsi un una “posizione” non sempre agevole pure sotto il profilo dell’etica professionale.

Sciopero della fame del detenuto

Lo sciopero della fame, viene spesso usato come “mezzo di pressione” nei confronti della pubblica autorità e dell’opinione pubblica; ma può essere anche una forma di protesta, di resistenza passiva, posta in essere da un singolo detenuto o anche da un gruppo di detenuti.

In questi casi, è stato detto, che la pubblica autorità “diventa l’accusato”. È stato osservato anche, che il rifiuto di assumere alimenti, rientrerebbe nei diritti di una persona, diritto, che, secondo alcuni, sarebbe anche un’estrinsecazione (?) della “Meinungsfreiheit” (diritto di opinione).

Dato che il rifiuto di assumere alimentari, può comportare (e non di rado comporta) danni gravi alla salute (e perfino causare la morte), ci si deve porre la domanda, fino a che punto, questa forma di “pressione” sia lecita, vale a dire, non venga ad assumere un’inammissibile “Nötigung” (per non dire un’”Erpressung”) nei confronti dello Stato, sul quale, indubbiamente, incombe l’obbligo di una ”besondere Fürsorgepflicht für den Häftling”.

Sia la tesi della “Nötigung”, che quella dell’”Erpressung”, non hanno – entrambe – fondamento, difettando, per l’”Erpressung”, una disposizione patrimoniale e per la “Nötigung” una rilevante compressione della libertà di agire (“Handlungsfreiheit”).

Con lo sciopero della fame, il detenuto agisce, in fin dei conti, contro se stesso, contro la propria salute e - in casi estremi – contro la propria vita.

Più sono chiare le norme, che disciplinano il comportamento delle pubbliche autorità in caso di sciopero della fame di un detenuto, meno può essere scalfita la stabilità dell’ordinamento statale, messa in dubbio, legalità e legittimità.

Alimentazione forzata – Obbligo dello Stato?

La parola “Zwangsernährung” (alimentazione forzata) rispecchia bene, che si tratta di una misura coercitiva, che incide profondamente sui diritti fondamentali della persona sottoposta a tale “trattamento”; viene agito contro la volontà del detenuto, contro la libertà personale dello stesso. Si contrappongono, da un lato, le “gesetzlichen Fürsorgepflichten” dello Stato e il diritto alla vita del detenuto; dall’altro lato, il diritto di libertà della persona.

Va rispettato, in ogni caso, il principio, secondo il quale, lo Stato non deve (o non può) intervenire, se la persona detenuta rifiuta l’alimentazione e ha la capacità di decidere liberamente.

Milita in favore del “non intervento” dello Stato, il diritto di ognuno, all’integrità fisica, nel senso, che dipende dalla persona, se far ricorso o meno a trattamento sanitario (inteso, questo concetto, in senso ampio). Si tratta di un diritto tutelato, sia dal diritto privato, che da quello pubblico.

"Patientenverfügung” – Che valore ha?

Che valore può avere, in casi del genere, una cosiddetta Patientenverfügung, mediante la quale, il dichiarante, dispone in ordine ai trattamenti sanitari, per i casi, in cui non è piu  in grado di fare esternazioni in proposito? Si reputa, generalmente, che una “Verfügung” del genere, possa avere effetti limitati, specie se non vergata di pugno dall’interessato, ma redatta su uno stampato. Pertanto, spesso, la volontà deve essere desunta aliunde.

Per quanto concerne i rapporti tra medico del carcere e detenuto, va osservato, che - questo riguarda almeno la Svizzera – i detenuti, in linea di massima, hanno lo stesso diritto alla salute, come le altre persone. Pertanto, accertamenti diagnostici (la stessa cosa vale per le terapie), possono essere effettuati soltanto previo consenso del detenuto. In casi di urgenza, trovano applicazione le norme dettate per le situazioni di emergenze e valevoli per tutte le persone.

Se un detenuto attua lo sciopero della fame, da ciò possono conseguire rischi considerevoli per la salute; può cadere in coma, nel qual caso, ogni decisione è riservata al medico a meno che, non ci sia una “Patientenverfügung”, che disponga in merito. La “Bundesanwaltschaft” della Svizzera, qualche anno fa, aveva fatto un sondaggio tra i medici, al fine di “raccogliere” il parere dei sanitari, se, in caso di “Hungerstreik”, un detenuto debba essere sottoposto ad alimentazione forzata in ogni caso, vale a dire, contro la volontà dello stesso. La maggioranza dei “Befragten”, si era espressa nel senso dell’esclusione di ogni uso di “coazione” nei confronti dello “scioperante”.

Nel 2021, nella RFT, un detenuto “im Hungerstreik”, era deceduto. Non era stata attuata l’alimentazione forzata. La Corte costituzionale federale aveva poi sentenziato, che ogni persona capace di intendere e di volere, ha “il diritto di suicidarsi”, rifiutando il cibo. Al detenuto, durante la sciopero della fame, era stato offerto, ripetutamente, cibo solido e liquido, ma egli ha continuato l’”Hungerstreik”, fino a morire in carcere. Il PM, dopo poche settimane, aveva chiesto l’archiviazione del procedimento iniziato per “Totschlag durch Unterlassen Dritter”.

Nella RFT, lo sciopero della fame da parte di detenuti, è stato ritenuto “Schnittpunkt von Recht und Medizin”.

L’alimentazione forzata (“Zwangsernährung”), da un lato, è stata ritenuta ammissibile con riferimento al “besonderen Schutz” (tutela particolare) e alla “Fürsorgepflicht” delle autorità nei confronti dei detenuti; dall’altro lato, non sono mancate voci, anche autorevoli, che hanno prospettato la tesi, secondo la quale, l’alimentazione forzata, contrasterebbe con principi sanciti dalla Costituzione federale (GG), in particolare, verrebbe violato il diritto “auf körperliche Unversehrtheit”. C’è stato poi addirittura chi ha parlato di “Recht auf Selbstmord” (diritto al suicidio) nel senso, che ognuno sarebbe “selbst Herr über Leben und Tod” (padrone della propria vita e della morte). Ciò anche “in der Unfreiheit des Gefängnisses”.

Non vi sarebbe, è stato sostenuto, una “Rechtspflicht zum Weiterleben” (un obbligo giuridico di continuare a vivere); un obbligo in tal senso, non sarebbe desumibile dall’ordinamento costituzionale della RFT.

La volontà di chi attua lo sciopero della fame

Attualmente, nella RFT, la normativa in materia di alimentazione forzata, è nel senso, che il “freie Wille” (la libera volontà) dell’”Hungerstreikenden”, deve essere rispettata, se e fino quando, è in grado di esprimerlo validamente.

Se non è più nelle condizioni di esternare la propria volontà (per esempio, qualora sia intervenuto uno stato comatoso), deve essere iniziata la “Zwangsernährung”. È stato detto, che, nel caso di “Willenlosigkeit”, lo Stato deve intervenire.

Questa “soluzione” era stata, in un primo tempo, bene accolta dai sanitari. Successivamente, però, si sono manifestate resistenze in quanto parte dei medici ha ritenuto, che con la predetta “soluzione”, il sanitario “setzt sich über den Willen des Patienten hinweg” (non rispetta la volontà del paziente). Questa tesi è stata ampiamente criticata, perchè, si è detto, una volontà, che non può più essere esternata, non sarebbe volontà.

È stato affermato, in proposito, che i medici “würden sich vom Staat instrumentalisieren lassen” (si farebbero strumentalizzare dallo Stato).

Le discussioni, nella RFT, si dice, continuano e continueranno fino a quando non sarà trovata una “soluzione” migliore…...

Qualche accenno a sentenze della Corte EDU

Ancora un breve accenno ad alcune sentenze della Corte EDU sull’”Hungerstreik in Haft”.

Il figlio della ricorrente era deceduto, mentre era detenuto in un carcere della Turchia, dopo aver attuato lo sciopero della fame, per protestare contro l’introduzione delle carceri di tipo “F”. Nonostante il parere dell’Istituto di medicina forense, il detenuto, non era stato liberato.

La ricorrente aveva dedotto la violazione dell’art. 2 CEDU (Diritto alla vita). La Corte EDU ha però ritenuto, che la morte del figlio della ricorrente era, con certezza, stato causato dallo sciopero della fame intrapreso dal detenuto (e non dalle condizioni di detenzione, come adombrato dalla ricorrente). Alle autorità della Turchia, ha affermato la Corte EDU, non potevano essere mossi rilievi in ordine al loro comportamento nei confronti del detenuto, morto in carcere dopo un lungo sciopero della fame (Horoz/Turchia).

In un altro caso, la Corte EDU ha, invece, accertata l’avvenuta violazione dell’art. 3 CEDU. Il detenuto, anch’esso in isciopero della fame, più volte, era stato nutrito forzatamente e le modalità, con le quali era stata attuata la “Zwangsernährung”, gli avevano causato notevoli sofferenze fisiche e psichiche. Era stato, infatti, legato – con mani e piedi - a una sedia o a un calorifero e costretto a ingoiare un tubo di gomma, collegato a una sostanza nutriente liquida.

Durante la detenzione, non vi era stata assistenza sanitaria con riferimento alle malattie di cui soffriva e che erano note alla direzione del carcere. Era stato, inoltre, tenuto in isolamento per 10 giorni. Ciò configurava, ad avviso del ricorrente, violazione l’art. 3 CEDU (divieto di tortura e di trattamento inumano o degradante).

Ha osservato la Corte EDU, preliminarmente, che trattamenti sanitari di carattere terapeutico, eseguiti secondo i canoni della scienza medica, non possono, ovviamente, essere considerati, nè degradanti, nè inumani. Ciò vale anche per l’alimentazione forzata, se effettuata allo scopo di tutelare la vita del detenuto, che si rifiuta di assumere cibo. Tuttavia, in questo caso, deve essere provata – da parte delle autorità sanitarie – la necessità dell’alimentazione forzata – in modo convincente.

Nel caso de quo, la Corte EDU ha ritenuto, che sia stato violato l’art. 3 CEDU (divieto di tortura). Le autorità dell’Ucraina, non avevano fornito prova circa la necessità- dal punto di vista sanitario – di dover sottoporre il detenuto ad alimentazione forzata; ha reputato, la Corte, che la sottoposizione del detenuto ad alimentazione forzata costituisse, nel caso de quo, un comportamento arbitrario o comunque ingiustificato, perchè era emerso, che il ricorso all’alimentazione forzata, era avvenuto al fine di far pressione sul detenuto, di porre termine allo sciopero della fame. Il ricorso alla forza (manette, sonda gastrica), configura un “trattamento sanitario”, che deve essere qualificato come tortura, con conseguente violazione dell’art. 3 CEDU (Nevmerzhitsky/Ucraina).

Anche in un altro caso deciso dalla Corte EDU, il ricorrente aveva dedotto la violazione dell’art. 3 CEDU.

Lamentava il peggioramento delle condizioni di detenzione, dopo l’inizio dello sciopero della fame e l’attuazione dell’alimentazione forzata, contro la volontà di esso ricorrente.

Le autorità si erano rifiutate di esaminare il suo ricorso avverso l’alimentazione forzata, motivando questo rifiuto con il mancato pagamento delle spese (di giustizia) e dei diritti dovuti.

Ha osservato la Corte EDU, che dalla documentazione a essa trasmessa, non risultava, in alcun modo, che la vita e la salute del ricorrente fossero seriamente in pericolo o comunque tali, che si dovesse procedere all’alimentazione forzata. Il ricorso a quest’ultima, secondo essa Corte, aveva avuto lo scopo, di far desistere il detenuto dalla sua protesta. Non vi era documentazione, dalla quale risultava inizio e fine dell’alimentazione forzata, quantità e composizione delle sostanze somministrate.

L’alimentazione forzata era avvenuta contro la volontà del detenuto, ammanettato. Sarebbe stato possibile, procedere a infusione.

Le modalità, con le quali era stata attuata l’alimentazione forzata, avevano procurato al detenuto gravi sofferenza, non necessarie, degradanti. Erano ravvisabili gli estremi della tortura (art. 6 CEDU). Inoltre, al detenuto, con la “scusa” del mancato pagamento delle spese e dei diritti, era stato negato l’”accesso” alla giustizia. (Ciorop/ Moldavia).