Corte Costituzionale: condanna alle spese della fase cautelare del giudizio amministrativo
La disciplina della tutela cautelare nella giustizia amministrativa costituisce un tema da sempre al centro di una intensa dinamica evolutiva, caratterizzata dal passaggio da una originaria concezione rigida, che limitava l’accoglimento dell’istanza cautelare alle ipotesi di atti aventi "efficacia esecutiva" (la cui attuazione era fonte di danni gravi e irreparabili,o difficilmente reparabili), alle (relativamente) recenti aperture della giurisprudenza verso la possibilità di adottare anche misure interinali atipiche, dirette a cautelare tutte le situazioni soggettive tutelabili in sede di merito, al fine di ovviare agli eventi dannosi derivanti dal periculum in mora.
Si è trattato di un processo evolutivo, di matrice sostanzialmente giurisprudenziale, diretto a dare piena attuazione al principio di effettività della tutela giurisdizionale. I risultati dell’elaborazione giurisprudenziale hanno stimolato l’intervento del legislatore, che si è sostanziato nella introduzione di misure speciali per rendere più celere l’iter del processo (Cfr le misure acceleratorie previste nella legge di riforma 21.7.2000 n. 205, artt. 3-4), e nel riordino della disciplina della tutela cautelare mutuando, per taluni aspetti, la normativa corrispondente del processo civile .
In linea con la nuova concezione dell’istituto ormai affermatasi in dottrina e giurisprudenza, l’art. 3 della predetta legge di riforma (sostitutivo del settimo comma dell’art. 21 L. 1034/1971), configura gli strumenti cautelari come misure atipiche, nel cui paradigma possono essere ricondotti, oltre alla tradizionale sospensione degli effetti dell’atto impugnato, una gamma di misure a carattere propulsivo, dirette ad imporre all’amministrazione un facere (specie con riguardo a quelle situazioni connesse all’impugnazione di atti negativi o di comportamenti omissivi) o a carattere ingiuntivo, oppure che facciano, comunque, obbligo all’Amministrazione di riesaminare il provvedimento o il comportamento assunto, alla stregua di nuovi documenti o fatti sopravvenuti
In tal senso la norma citata attribuisce al giudice amministrativo il potere discrezionale di decidere le misure cautelari ritenute più consone a garantire, in via provvisoria, "gli effetti della decisione del ricorso", onde impedire gli eventi pregiudizievoli paventati dal ricorrente nelle more della trattazione del merito e conferendo così al provvedimento cautelare natura anticipatoria degli effetti della futura sentenza.
Nell’ambito della disciplina di riforma ha suscitato notevoli perplessità la disposizione che attribuisce al giudice il potere, nel caso di rigetto dell’istanza cautelare (o dell’appello contro un’ordinanza negativa), di provvedere in via provvisoria in ordine alle spese del procedimento. Ciò a differenza dell’ipotesi opposta di accoglimento della domanda cautelare, per la quale non è prevista alcuna disciplina per quanto concerne le spese, in linea con il consolidato indirizzo giurisprudenziale che, in considerazione della funzione strumentale di tale incidente , ha sempre rinviato al merito ogni statuizione al riguardo.
Proprio in merito a tale disciplina il Tribunale amministrativo regionale delle Marche ha proposto, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 21, undicesimo comma, della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), nel testo introdotto dall’art 3 della legge 21 luglio 2000, n. 205 (Disposizioni in materia di giustizia amministrativa), nella parte in cui non prevede che, con l’ordinanza che accoglie la domanda cautelare, il giudice amministrativo possa provvedere in via provvisoria sulle spese del procedimento cautelare medesimo.
Le argomentazioni di censura si incentrano sulla constatazione che siffatta disciplina determinerebbe una palese diversità di trattamento tra la parte pubblica e quella privata (con conseguente violazione degli artt. 3 e 111, secondo comma, Cost.), tale da incidere sulla piena esplicazione del diritto di difesa di quest’ultima, precludendo (in contrasto con l’art. 24, primo e secondo comma, Cost.) la possibilità stessa di chiedere la condanna dell’amministrazione al pagamento delle spese relative alla fase cautelare.
La Corte dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale sulla base della constatazione che la norma censurata costituisce espressione non irragionevole della discrezionalità di cui, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, gode il legislatore ordinario nel configurare gli istituti processuali.
In merito il Giudice delle leggi rileva che la differenziazione tra le ipotesi di rigetto ed accoglimento dell’istanza cautelare appare pienamente coerente con la ratio complessiva della norma, diretta a disincentivare un ricorso indiscriminato alla tutela cautelare, costituendo una remora alla proposizione di domande palesemente infondate. Esigenza che evidentemente non ricorre nel caso di accoglimento dell’istanza cautelare. L’incomparabilità delle esigenze di fondo e, di conseguenza, delle situazioni disciplinate, vale pertanto ad escludere l’addotta lesione dei principi di cui agli artt. 3 e 111 Cost.
Non sussiste neppure la violazione del diritto di difesa tutelato dall’art. 24, primo e secondo comma, Cost., dal momento che la parte privata può chiedere ed ottenere la liquidazione delle spese relative alla fase cautelare all’esito del giudizio di merito, evento che, ai sensi dell’art. 21, decimo comma, della legge n. 1034 del 1971, può anche coincidere con la decisione cautelare.
(Corte Costituzionale, Sentenza 23 ottobre 2009, 265).
[Avv. Dario Immordino]
La disciplina della tutela cautelare nella giustizia amministrativa costituisce un tema da sempre al centro di una intensa dinamica evolutiva, caratterizzata dal passaggio da una originaria concezione rigida, che limitava l’accoglimento dell’istanza cautelare alle ipotesi di atti aventi "efficacia esecutiva" (la cui attuazione era fonte di danni gravi e irreparabili,o difficilmente reparabili), alle (relativamente) recenti aperture della giurisprudenza verso la possibilità di adottare anche misure interinali atipiche, dirette a cautelare tutte le situazioni soggettive tutelabili in sede di merito, al fine di ovviare agli eventi dannosi derivanti dal periculum in mora.
Si è trattato di un processo evolutivo, di matrice sostanzialmente giurisprudenziale, diretto a dare piena attuazione al principio di effettività della tutela giurisdizionale. I risultati dell’elaborazione giurisprudenziale hanno stimolato l’intervento del legislatore, che si è sostanziato nella introduzione di misure speciali per rendere più celere l’iter del processo (Cfr le misure acceleratorie previste nella legge di riforma 21.7.2000 n. 205, artt. 3-4), e nel riordino della disciplina della tutela cautelare mutuando, per taluni aspetti, la normativa corrispondente del processo civile .
In linea con la nuova concezione dell’istituto ormai affermatasi in dottrina e giurisprudenza, l’art. 3 della predetta legge di riforma (sostitutivo del settimo comma dell’art. 21 L. 1034/1971), configura gli strumenti cautelari come misure atipiche, nel cui paradigma possono essere ricondotti, oltre alla tradizionale sospensione degli effetti dell’atto impugnato, una gamma di misure a carattere propulsivo, dirette ad imporre all’amministrazione un facere (specie con riguardo a quelle situazioni connesse all’impugnazione di atti negativi o di comportamenti omissivi) o a carattere ingiuntivo, oppure che facciano, comunque, obbligo all’Amministrazione di riesaminare il provvedimento o il comportamento assunto, alla stregua di nuovi documenti o fatti sopravvenuti
In tal senso la norma citata attribuisce al giudice amministrativo il potere discrezionale di decidere le misure cautelari ritenute più consone a garantire, in via provvisoria, "gli effetti della decisione del ricorso", onde impedire gli eventi pregiudizievoli paventati dal ricorrente nelle more della trattazione del merito e conferendo così al provvedimento cautelare natura anticipatoria degli effetti della futura sentenza.
Nell’ambito della disciplina di riforma ha suscitato notevoli perplessità la disposizione che attribuisce al giudice il potere, nel caso di rigetto dell’istanza cautelare (o dell’appello contro un’ordinanza negativa), di provvedere in via provvisoria in ordine alle spese del procedimento. Ciò a differenza dell’ipotesi opposta di accoglimento della domanda cautelare, per la quale non è prevista alcuna disciplina per quanto concerne le spese, in linea con il consolidato indirizzo giurisprudenziale che, in considerazione della funzione strumentale di tale incidente , ha sempre rinviato al merito ogni statuizione al riguardo.
Proprio in merito a tale disciplina il Tribunale amministrativo regionale delle Marche ha proposto, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 21, undicesimo comma, della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), nel testo introdotto dall’art 3 della legge 21 luglio 2000, n. 205 (Disposizioni in materia di giustizia amministrativa), nella parte in cui non prevede che, con l’ordinanza che accoglie la domanda cautelare, il giudice amministrativo possa provvedere in via provvisoria sulle spese del procedimento cautelare medesimo.
Le argomentazioni di censura si incentrano sulla constatazione che siffatta disciplina determinerebbe una palese diversità di trattamento tra la parte pubblica e quella privata (con conseguente violazione degli artt. 3 e 111, secondo comma, Cost.), tale da incidere sulla piena esplicazione del diritto di difesa di quest’ultima, precludendo (in contrasto con l’art. 24, primo e secondo comma, Cost.) la possibilità stessa di chiedere la condanna dell’amministrazione al pagamento delle spese relative alla fase cautelare.
La Corte dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale sulla base della constatazione che la norma censurata costituisce espressione non irragionevole della discrezionalità di cui, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, gode il legislatore ordinario nel configurare gli istituti processuali.
In merito il Giudice delle leggi rileva che la differenziazione tra le ipotesi di rigetto ed accoglimento dell’istanza cautelare appare pienamente coerente con la ratio complessiva della norma, diretta a disincentivare un ricorso indiscriminato alla tutela cautelare, costituendo una remora alla proposizione di domande palesemente infondate. Esigenza che evidentemente non ricorre nel caso di accoglimento dell’istanza cautelare. L’incomparabilità delle esigenze di fondo e, di conseguenza, delle situazioni disciplinate, vale pertanto ad escludere l’addotta lesione dei principi di cui agli artt. 3 e 111 Cost.
Non sussiste neppure la violazione del diritto di difesa tutelato dall’art. 24, primo e secondo comma, Cost., dal momento che la parte privata può chiedere ed ottenere la liquidazione delle spese relative alla fase cautelare all’esito del giudizio di merito, evento che, ai sensi dell’art. 21, decimo comma, della legge n. 1034 del 1971, può anche coincidere con la decisione cautelare.
(Corte Costituzionale, Sentenza 23 ottobre 2009, 265).
[Avv. Dario Immordino]