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Cosa sono le Startup

The sunset, Caspar David Friedrich, 1830-1835, Museo dell'Ermitage, San Pietroburgo
The sunset, Caspar David Friedrich, 1830-1835, Museo dell'Ermitage, San Pietroburgo

Il termine startup sta ormai invadendo molti ambiti che vanno oltre quello economico e che toccano il mondo finanziario, quello giuridico ma anche quello televisivo o radiofonico. I nuovi media poi sono pieni di blog e testate che si dedicano a seguire il mondo delle startup.

Una rubrica su questo argomento, all’interno di Filodiritto, nasce per approfondire con occhio un po’ disincantato un mondo che viene visto da alcuni con superficialità, da altri con eccessive aspettative, cercando di contestualizzare nel “caso italiano” le caratteristiche di un fenomeno mondiale.

Il verbo inglese start-up significa avviare e nello specifico start-up a business significa avviare una nuova impresa. Ma il sostantivo Startup identifica invece un certo tipo di nuova impresa e non tutte le nuove imprese sono Startup. La questione terminologica induce spesso confusione ed in Italia la confusione tra i due termini è molto diffusa, oserei dire che ci si gioca proprio.

Ma andiamo con ordine, come possiamo definire una Startup?

Le due definizioni che secondo me rappresentano meglio cos’è una Startup sono ovviamente di due americani, autori di due dei libri che hanno meglio contribuito a definire e teorizzare cosa significa fare Startup (e non avviare semplicemente una nuova azienda).

Il primo, Steve Blank, definisce una Startup come “Un’organizzazione temporanea che ha lo scopo di cercare un business model scalabile e ripetibile” [Startupper. Guida alla creazione di imprese innovative, Steve Blank e Bob Dorf, Egea, 2013].

La seconda, di Eric Ries, definisce la Startup come “un’organizzazione umana progettata per creare un nuovo prodotto o servizio in condizioni di estrema incertezza”.

Da notare che Ries è allievo di Steve Blank e ha codificato il metodo chiamato Lean Startup, che applica le metodologie mutuate dal Lean Manufacturing di Toyota alla creazione d’impresa [Partire Leggeri, Eric Ries, Rizzoli Etas, 2012].

Se uniamo le due definizioni, otteniamo quella che può essere la definizione migliore di una Startup: “Un’organizzazione temporanea progettata per creare un nuovo prodotto o servizio in condizioni di estrema incertezza, cercando un modello di business scalabile e ripetibile”.

Da questa definizione derivano alcuni elementi.

1. Una Startup non è un’impresa, è un’organizzazione diversa (temporanea appunto), volta a capire come individuare un modello di business scalabile e ripetibile per un nuovo prodotto. Per questo le modalità manageriali tipiche dell’impresa non sono utili, anzi sono spesso controproducenti, in una Startup che vive oltretutto in condizioni di estrema incertezza.

2. La scalabilità e ripetibilità del modello di business determinano la natura della Startup e la differenziano dalle altre nuove imprese che nascono. Potremmo semplificare che le Startup nascono per diventare grandi in fretta e per questo hanno bisogno di risorse finanziarie ingenti già dai primi momenti della loro esistenza. Non hanno come obiettivo quello di raggiungere al più presto la sostenibilità economico finanziaria e crescere linearmente negli anni, ma quello di crescere esponenzialmente in poco tempo, sfruttando anche le risorse fornite dagli investitori ai quali devono garantire un elevato ritorno, vista la grande componente di rischio.

Questo è molto chiaro nel mondo anglosassone, che infatti distingue i due tipi di iniziativa chiamandoli il primo Startup ed il secondo Lifestyle Business: un’iniziativa imprenditoriale cioè che si identifica con le aspettative di stile di vita dell’imprenditore, che vuole lavorare in proprio, crescere correndo pochi rischi e migliorando la propria condizione economica attraverso la crescita dell’impresa appunto e poi tramandare l’azienda ai propri figli.

Cosa c’è di male in tutto ciò? Non è quello che migliaia di piccoli, medi ed anche grandi imprenditori italiani hanno fatto dal dopoguerra?

Non c’è assolutamente nulla di male in tutto ciò, anzi questo tipo di iniziative sono assolutamente lodevoli e vanno supportate.

Con due caveat però: nel mondo globalizzato ed interconnesso di oggi, il “piccolo è bello” non funziona più e soprattutto non funziona da solo.

Un eccesso di Lifestyle business porta ad un’economia fragile perché la competizione che queste imprese devono affrontare è oggi mondiale e rapidissima e spesso non lascia lo spazio a chi fa le cose in piccolo e lentamente, se non in settori di business molto marginali.

Se anche si vuole favorire, come è giusto che sia, lo sviluppo di Lifestyle businesses, occorre chiarire che le modalità per farlo devono essere differenti dalle Startup.

Questi business non potranno mai garantire un ritorno all’investitore che ne compensi il rischio e quindi le forme di supporto e finanziamento dovrebbero essere diverse (pubbliche, bancarie etc.).

Spacciare per Startup i Lifestyle business per attirare gli investitori (sfruttando anche gli incentivi fiscali), non è il modo per far crescere il sistema economico italiano in modo efficace, ma crea una bolla, basata sulla voluta confusione terminologica, che distoglie risorse alle vere Startup (che devono cercare fondi all’estero e trasferirsi) e lascerà una pletora di investitori insoddisfatti che farà diventare il termine Startup, ora tanto di moda, un sinonimo delle .com di fine anni 90.