Covid-19 in azienda: dall’emergenza alla quotidianità
Non ricordo con precisione quando è iniziato tutto, e nemmeno quali sono stati i primi pensieri quando in azienda circolavano le prime voci riguardo all’emergenza Covid-19.
Ricordo però molto bene la lucidità dell’Amministratore Delegato quando, senza pensarci due volte, ha immediatamente agito con naturalezza e compostezza per assumere le prime importanti decisioni:
la produzione continua, anche perché nel nostro settore i clienti continuano ad ordinare e non è di conseguenza possibile stoppare l’attività;
per realizzare il punto 1 è necessario mettere in sicurezza una realtà di circa 40 dipendenti: acquistiamo mascherine di protezione, comunichiamo ai dipendenti le iniziative adottate all’interno dello stabilimento e da adottare al di fuori, acquistiamo massicci quantitativi di liquido per le mani sanificante, inseriamo un’addetta alla pulizia delle parti comuni (mensa, spogliatoi, scrivanie) che lavora quotidianamente sia in produzione che negli uffici, rileviamo tutti i giorni la temperatura di tutti i lavoratori impegnati sui tre turni produttivi;
viene attivato e coinvolto un gruppo di lavoro che si identifica nella Direzione ed apre i canali di collegamento con le istituzioni (Confindustria, Istituti di credito, Commercialista, Legale), per mantenere un dialogo costante che consenta di interpretare velocemente i DPCM che via via seguiranno, e quotidianamente compie una verifica della forza attiva per accertarsi dell’assenza di fenomeni di contagio o altro.
Col passare dei giorni trascorre il mese di marzo e si arriva a Pasqua, e ci si districa tra i dilemmi Codice Ateco sì o no, filiera fornitura (e relative dichiarazioni), tipologie di certificazione che decidiamo di riassumere in un unico documento, adesione al protocollo per il lavoro e l’attenzione a renderlo aderente alla nostra realtà.
In parallelo alle difficoltà burocratiche che ho sintetizzato si innesta la componente psicologica e la conseguente attenzione a comunicare ai dipendenti un messaggio di speranza e positività che contrasta con le notizie e le immagini che giungono dall’esterno: i lavoratori apprezzano lo sforzo aziendale che si esprime anche attraverso l’adozione di misure di sicurezza (distribuzione di mascherine e totale rigidità nei confronti dell’accesso di esterni all’azienda), l’introduzione mirata di telelavoro e il mantenimento di attività consulenziale attraverso strumenti digitali installati in tempi non sospetti.
Concludo la carrellata sottolineando che in tutto questo non è stato fatto un minuto di cassa integrazione / ferie forzate, anzi sono state inserite alcune figure importanti il cui ingresso era stato pianificato alla fine del 2019.
Questa l’esperienza lavorativa, e quella personale?
In queste settimane ho scoperto un lato di me che non conoscevo: un costante senso di commozione per le notizie collegate al Covid-19 che contengono esempi di abnegazione, eroismo, condivisione, gentilezza, umanità, attenzione al prossimo … e potrei continuare. Ogni episodio che vivo sul luogo di lavoro, che leggo su giornali o post che rimanda agli esempi di cui sopra, ogni video che richiama ad un sentimento patriottico mi fa venire le lacrime agli occhi, che a stento riesco a trattenere.
È lo stesso sentimento che ho provato quando la nazionale di calcio ha vinto il mondiale del 2006; quando le immagini e l’effetto degli ultimi terremoti italiani hanno monopolizzato le pagine di tutti gli organi di informazione e non solo.
Vorrei partire da questa sensibilità, che mai come ora mi sta accompagnando, per immaginare se nei prossimi mesi sarò sopraffatto da una situazione “lacrime & sangue” oppure se sarà possibile resettare e ripartire con una diversa visione dell’esistenza e del concetto di umanità, tenendo conto che ad oggi non sappiamo comunque ancora quando sarà la fine di questo incubo.
Cosa succederà per esempio al settore immobiliare e delle infrastrutture, sia locale e di breve respiro legato al fenomeno Airbnb che dei medio-grandi investimenti (es. per rimanere a Bologna il Passante autostradale e l’oramai leggendario progetto del tram di superficie, di cui non ricordo il nome perché tante volte ne sono mutati padri e percorsi)? Andranno avanti o si areneranno in maniera definitiva per mancanza di fondi e vedranno spostato l’orizzonte di 20 anni? E quanto impiegherà il settore turistico legato agli affitti brevi per riprendere fiato e recuperare il terreno perduto?
E il settore della logistica? Un paio di anni fa in un illustre think tank internazionale si ipotizzava nel giro di 10 anni la scomparsa della figura del camionista / autista / taxista in quanto sostituito da veicoli dotati di guida intelligente. Considerando l’attuale ruolo svolto in particolare dai camionisti e dagli autisti nell’emergenza Covid-19 per la consegna delle merci non vedo una loro sostituzione così repentina.
Nel frullato dei pensieri e dei timori, delle speranze e delle illusioni, dei buoni propositi e delle rassegnate considerazioni che in questi giorni mi assalgono vi sono 4 punti per i quali non trovo pace:
1. Quale sarà il futuro delle start up, italiane ed estere? Cosa succederà al patrimonio di esperienze e di capitali investiti in questo mercato, che comunque ha già in parte scontato una selezione naturale di progetti meritevoli e che era (è) considerato un propellente importante per lo sviluppo delle attuali fiacche economie tradizionali? E tutto il movimento che sta dietro alle start up, spesso fatto di fuffa e autoreferenzialità ma comunque un ecosistema di giovani che forse trovano (trovavano?) finalmente il modo di esprimere le proprie aspirazioni e potenzialità?
Da modesto attore coinvolto, nel mio piccolo, in questo contesto posso sperare che i grandi player istituzionali (in primis le banche) continuino a destinare fondi e risorse alle idee innovative nate grazie alle start up e non dissipino i sacrifici e l’impegno che negli ultimi 5 / 10 anni sono stati profusi.
2. Volgendo lo sguardo al settore delle grandi opere e delle infrastrutture italiane mi chiedo se in un momento come quello attuale, che riporta tra l’altro un calo del traffico su gomma a dir poco importante, non sarebbe opportuno per procedere alla rapida e progressiva manutenzione della rete autostradale e delle principali arterie nazionali: viadotti, ponti, pulizia e drenaggio del letto dei fiumi ecc.. Un simile intervento consentirebbe da un lato di ridurre l’italica arretratezza cronica e dall’altro di impiegare manodopera e risorse con un effetto volàno non disprezzabile.
3. Quale sarà l’impatto del Covid-19 sulle forme di aggregazione sociale costituite dalle migliaia di società sportive dilettantistiche che già prima dell’epidemia erano sull’orlo del collasso finanziario e rappresentavano un valido contributo alla crescita dei giovani e al mantenimento psicofisico dei diversamente giovani?
Se lo Stato italiano non dispone di risorse sufficienti per affrontare l’emergenza Covid-19 dubito che a breve possa trovarle per il settore sportivo, anche perché la pesante riduzione dei fondi raccolti grazie agli sport di massa (il calcio su tutti) finirà inesorabilmente per compromettere l’esistenza di tante piccole realtà. Scenario possibile: ricorso all’autotassazione delle famiglie che vogliono praticare sport oppure, in alternativa, una società di obesi con forti problemi di convivenza sociale e il proliferare di patologie cardio-vascolari.
4. L’ultimo aspetto che, da cittadino italiano mi crea un malessere diffuso misto ad un senso di inadeguatezza e di rassegnazione è legato alla condizione stessa dell’emergenza Covid-19 nel nostro Paese.
Cerco di spiegarmi: nel secolo corrente siamo passati dal terremoto del 2006 de L’Aquila (dove buona parte degli edifici pubblici sono ancora da ripristinare) a quello del 2012 in Emilia Romagna (non dispongo di dati certi e completi ma credo che i problemi siano stati quasi tutti risolti); poi abbiamo avuto il terremoto del 2016 nell’Italia centrale, con le sue innumerevoli ferite ancora aperte, e ricordo infine l’inondazione di Venezia del novembre 2019, e mi scuso se ho dimenticato qualche sciagura. Dai disastri che ho appena citato non siamo ancora usciti del tutto, come se l’ultima emergenza che nasce in Italia avesse il potere di cancellare e sostituire quella (o quelle precedenti), col risultato di un loop continuo dal quale non si riesce ad uscire.
Sarei profondamente amareggiato se l’attuale Covid 19 e il suo impatto negativo dovesse stoppare le iniziative già intraprese e non completate per le emergenze precedenti, ma non ho grandi aspettative da un Governo che ha messo in campo come misura di sostegno alle imprese lo slittamento di ben 4 (quattro) giorni per il pagamento di imposte e contributi.
Concludo con questo pensiero di Seneca: anche se il timore avrà più argomenti, scegli la speranza.