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Covid-19: falsità in autocertificazione

il Tribunale di Milano assolve il privato
Budapest
Ph. Enrico Gusella / Budapest

La recente sentenza del Tribunale di Milano – Ufficio per le Indagini preliminari – intema di falsità in autocertificazione da Covid-19 porta una svolta.

La vicenda vede protagonista un giovane ragazzo che circa un anno fa, in data 14 marzo 2020 alle ore 20.45, durante un controllo di una pattuglia della Polfer, aveva sottoscritto un’autocertificazione, ai sensi degli articoli 46 e 47 DPR n. 445/2000, che dichiarava il falso. Infatti il ragazzo affermava di essere in transito per comprovate esigenze lavorative, ma in realtà, non era così. Nello specifico l’Assistente Capo della Polfer, al fine di compiere al meglio il proprio compito, nei giorni seguenti, aveva contattato il titolare di lavoro del ragazzo fermato scoprendo così che lo stesso non era di turno in quella giornata come, invece, dichiarato.

In sede di giudizio al ragazzo veniva contestato il reato di cui all’articolo 483 Codice Penale in relazione all’articolo 76 DPR n. 445/2000 ovvero, sebbene non chiaramente indicato in imputazione, per le presunte dichiarazioni false rese in sede di autodichiarazione sottoscritta.

Il ragazzo era stato ammesso al giudizio abbreviato richiesto dal suo difensore. Il Gup ha però concluso con sentenza di assoluzione in quanto “il fatto non sussiste” in particolare l’articolo 483 Codice Penale – si legge nella sentenza – «incrimina esclusivamente il privato che attesti al pubblico ufficiale “fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità”; […] Escluso che la norma in esame preveda un generale obbligo di veridicità nelle attestazioni che il privato renda al pubblico ufficialela destinazione ‘alla prova’ è stata individuata nella specifica rilevanza giuridica che abbia la documentazione pubblica dell’attestazione del privato. Per pacifica giurisprudenza di legittimità, le false dichiarazioni del privato integrano infatti il delitto di falso in atto pubblico quando sono destinate a provare la verità dei fatti cui si riferiscono nonché ad essere trasfuse in un atto pubblico: secondo la Corte, in altri termini, il delitto previsto dall’articolo 483 Codice Penale sussiste solo qualora l’atto pubblico, nel quale la dichiarazione del privato è stata trasfusa, sia destinato a provare la verità dei fatti attestati, e cioè quando una norma giuridica obblighi il privato a dichiarare il vero ricollegando specifici effetti all’atto-documento nel quale la sua dichiarazione è stata inserita dal pubblico ufficiale».

A tal proposito «in tutti i casi quale quello in esame – nel quale l’autodichiarazione in ipotesi infedele è resa dal privato all’atto di un controllo casuale sul rispetto della normativa emergenziale – appare difficile stabilire quale sia l’atto del pubblico ufficiale nel quale la dichiarazione infedele sia destinata a confluire con tutte le necessarie e previste conseguenze di legge. Da un lato, infatti, il controllo successivo sulla veridicità di quanto dichiarato dai privati è solo eventuale e non necessario da parte della pubblica amministrazione: pertanto, quanto dichiarato dal singolo all’atto della sottoscrizione dell’autodichiarazione  potrebbe  di fatto restare privo di qualunque conseguenza giuridica; dall’altro, occorrerebbe ipotizzare che l’atto destinato a provare la verità dei fatti auto-dichiarati e certificati dal privato sia il successivo (eventuale) verbale di contestazione di una sanzione amministrativa o l’atto di contestazione di un addebito di natura penale, come l’atto di ‘informativa ai fini della conoscenza del procedimento’ e il ‘verbale di identificazione e dichiarazione o elezione di domicilio: in proposito, va rilevato che, nel caso di specie, all’epoca di commissione del fatto contestato all’imputato la violazione delle prescrizioni contenute nel D.P.C.M. dell’8.3.2020 relative al divieto di spostamento fuori dalla propria abitazione o Comune di residenza se non per le comprovate ragioni ivi previste era sanzionata penalmente ai sensi dell’articolo 650 Codice Penale».

In conclusione la pronuncia afferma che non sussiste alcun obbligo giuridico a dire il vero sui fatti oggetto dell’autocertificazione resa pur sapendo che ciò potrebbe comportare la sua sottoposizione ad indagini. «Inoltre questo obbligo non è previsto da alcuna norma di legge e una sua ipotetica configurazione si porrebbe in palese contrasto con il diritto di difesa del singolo (articolo 24 Cost.) e con il principio nemo tenetur se detegere, in quanto il privato, scegliendo legittimamente di mentire per non incorrere in sanzioni penali o amministrative, verrebbe comunque assoggettato a sanzione penale per le false dichiarazioni rese».

Inoltre il GUP fa notare che nel caso delle autocertificazioni per emergenza Covid il controllo successivo da parte della pubblica amministrazione è solo eventuale e non necessario. Proprio per questo molti presunti atti falsi possono rimanere privi di sanzioni.