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Croce, il filosofo che praticò la libertà

Benedetto Croce
Benedetto Croce

Chi era Benedetto Croce? Un uomo libero in una cultura schiava di tendenze totalitarie. Ecco perché Croce rappresenta uno scandalo nella nostra storia nazionale, e il suo liberalismo una sorta di scandalo nello scandalo. Ciò che lo distingue dagli altri intellettuali e filosofi è che Croce la libertà non si limitò a teorizzarla e a predicarla, ma la praticò. E quel “vizio insopportabile” della libertà, che gli era così caro, non gli venne mai in alcun modo perdonato, risultando politicamente intollerabile a destra, a sinistra e al centro, avversato e perseguitato prima dal fascismo e poi dal Pci di Togliatti.

La pietra dello scandalo, scrive Giancristiano Desiderio in Lo scandalo Croce. Quel vizio insopportabile della libertà, consiste «nel rigore del pensiero, nella libertà della coscienza morale, nel carattere civile dell’azione politica.» Gli scandalizzati furono in molti: dai positivisti ai cattolici, dai fascisti ai comunisti, e questo libro è il racconto di tale “scandalo”, fatto attraverso diversi scritti legati da un unico filo, nati come postille o come note a margine della fortunata Vita intellettuale e affettiva di Benedetto Croce (Liberilibri, 2014-2015), che ha al suo attivo quattro edizioni e si è aggiudicata prestigiosi premi nazionali. Soltanto il primo saggio che dà il titolo al libro, Lo scandalo Croce, è inedito, mentre Borghesia, Vitalità e Opera sono voci del Lessico crociano. Un breviario filosofico-politico per il futuro, curato da Rosalia Peluso e rivisto da Renata Viti Cavalieri, e infine Croce antitotalitario è apparso sulla rivista «Critica liberale».

Ancora oggi Benedetto Croce resta dunque una figura scomoda per la cultura italiana e il volume, pubblicato nel 2016 nella ricorrenza dei centocinquant’anni della sua nascita, lungi dal voler riproporre il filosofo come oggetto di culto da abbandonare nella memoria, si propone di continuare a illustrarne l’opera, «un alimento – come puntualizza Desiderio nella Premessa – della libertà della cultura nella storia del pensiero occidentale.»

 

Eccone un estratto, tratto dal capitolo “Croce antitotalitario”:

Che cosa significa pensare per Croce? Giudicare. E giudicare equivale a distinguere: distinguere il soggetto dal predicato e il predicato – alla maniera del Sofista platonico – dagli altri predicati possibili. Se dal sapere assoluto può nascere il potere assoluto – è questa la linea del marxismo e dei suoi ripetitori – dal giudizio storico o individuante nasce la differenza, la distinzione che, come diceva Nicola Matteucci, è l’atto di fondazione del pluralismo. Proprio perché il giudizio non è totalizzante ma individua le differenze, lo Stato non è mai e poi mai – come è invece in Hegel e perfino nei marxisti che avrebbero voluto sbarazzarsi dello Stato e ne fecero invece un mostro peggiore del Leviatano – un organo di conoscenza, bensì un’azione che per sua natura tende a potenziare se stessa.

L’attenzione che Croce dedica al momento politico dell’azione, sia prima del fascismo sia durante il fascismo sia dopo il fascismo, va vista proprio in questa ottica: solo se consideriamo realisticamente la politica e la politica che si fa Stato e anche Stato di diritto – cioè se scopriamo la politica nella sua realtà diversa e opposta rispetto alla conoscenza – siamo in grado di limitarne la potenza, le pretese, i mascheramenti e affermare così le libertà e tutelarle. Il momento politico dell’azione è davvero machiavellico non perché sia diabolico ma perché se non è distinto schiaccia le nostre possibilità di scelta con le tirannie, le teocrazie o i moderni totalitarismi che si presentano a noi con l’inganno del “superamento” dell’opposizione e del conflitto che non tarda a rivelarsi il classico rimedio peggiore del male. Il problema del Machiavelli – come si esprimeva Croce – è esattamente questo: il distinto politico non è superabile in una “pace perpetua”, non è componibile in una non meglio specificata “natura umana”, non è riconducibile una volta e per tutte ad un “ordine liberale”. Il problema del Machiavelli è senza soluzione, ma la nostra libertà – sia le libertà civili che si basano sulla non ingerenza dello Stato, sia la libertà morale che si basa sulla nostra autonomia – dipende proprio da questa assenza o, meglio, da questa inconcepibilità di una “soluzione finale” che se ci fosse sancirebbe – ormai lo sappiamo per esperienza storica – la nostra fine di esseri umani.

La dottrina, illuminista o neoilluminista che sia, dei diritti naturali o individuali basta a difenderci? La risposta di Croce è esemplare: se vogliamo conservarci liberi non dobbiamo fondare la cultura sugli istituti o diritti o procedure ma, all’inverso, dobbiamo poggiare gli istituti o diritti o procedure sulla cultura o sensibilità liberale. Nel primo caso corriamo il serio pericolo di perdere sia la prima sia i secondi: come accadde con il fascismo; nel secondo caso abbiamo la possibilità di ottenere i diritti – che non sono un dato ma un risultato – perché non abbiamo fatto come gli struzzi che mettono la testa sotto la sabbia ma abbiamo guardato in faccia la realtà e lavorandoci abbiamo considerato i “problemi della libertà” e ne abbiamo favorito le soluzioni.

Il realismo politico di Croce, dunque, non è un ostacolo né per la comprensione del suo liberalismo né per l’affermazione della libertà ma, all’inverso, ne è parte integrante.

Come, allo stesso modo, l’affermazione del contrattualismo e del giusnaturalismo presuppone le lotte concrete per la limitazione del potere del sovrano. O pensiamo, ad esempio, che la Magna Carta Libertatum cadde dal cielo piuttosto che esser conquistata dai nobili inglesi opponendosi con fermezza a Giovanni Senzaterra? O pensiamo, ad esempio, che la Petizione dei diritti del 1628 sia il frutto di un convegno di professori piuttosto che lo scontro tra il Parlamento inglese e Carlo I? O pensiamo che il costituzionalismo inglese ormai maturo nel 1688 sia comprensibile senza la fine di re Carlo, la repubblica e la stessa tirannia di Oliver Cromwell e la successiva Gloriosa rivoluzione? O addirittura, per stare a casa nostra, crediamo che la libertà italiana sia data con la bella proclamazione dei diritti dell’uomo e del cittadino e non dalla guerra fatta per noi da americani e inglesi che quella cultura dei diritti vollero riconosciuta con la pace di Parigi?

Insomma, non c’è libertà senza lotta per la libertà, tanto nel pensiero quanto nell’azione, e l’umanesimo umana che sarebbe a noi muta come una sfinge se la interrogassimo con la litania dei diritti.

La celebre uscita di Croce secondo la quale il liberalismo ha avuto in Germania la teoria e in Inghilterra la pratica è da prendere sul serio, sia pure con beneficio d’inventario. È da questa distinzione che diritti e procedure trovano collocazione e funzione in un mondo perennemente in lotta con se stesso.

La lotta deriva proprio da quell’opposizione o conflitto che si lascia pensare e lavorare, addolcire e vivere ma è indomabile in modo definitivo e se lo fosse metterebbe fine alla umanissima esigenza di pensare, fare e agire.

Giancristiano Desiderio, Lo scandalo Croce. Quel vizio insopportabile della libertà, collana Oche del Campidoglio, pagg. 106, euro 15,00, ISBN 978-88-98094-35-6