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DANNO PARENTALE

PARERE DIRITTO CIVILE

Tizio e Caia, genitori di Sempronio, unico figlio che viveva ancora presso la casa familiare in quanto giovane studente, si recano da un legale, esponendo che Sempronio, dopo essere stato investito sulle strisce pedonali, aveva riportato gravi lesioni e che, ricoverato in ospedale, dopo ventuno giorni dal sinistro, era deceduto a causa delle predette lesioni. Tizio e Caia espongono i fatti al legale, per sapere come e in che misura possono essere risarciti dei danni subiti, sottolineando la circostanza che il decesso del loro unico figlio fosse avvenuto dopo diversi giorni di agonia e che a causa dell’illecito hanno dovuto sopportare il totale stravolgimento della loro vita esistenziale e la privazione di tutte le abitudini, anche piccole (ma solo apparentemente insignificanti) del vivere quotidiano. Assunte le vesti del legale di Tizio e di Caio, tratti il candidato del danno parentale e delle problematiche sottese e prospetti ai suoi assistiti i possibili esiti di un’azione nei confronti dell’investitore di Sempronio, evidenziando le diverse tipologie di danno risarcibile.

La fattispecie proposta dalla traccia si inquadra senza dubbio nell’istituto del danno non patrimoniale, inteso come danno morale, che per lungo tempo è stato considerato danno-conseguenza, risarcibile solo in presenza di un danno-evento, consistente nel danno biologico, vale a dire di una injuria personale e per questo motivo, sul piano pratico, non è stato sviluppato da subito un suo autonomo criterio di quantificazione, normalmente - e riduttivamente - desunto solo dopo la liquidazione delle altre voci di danno.  

Le Sezioni Unite della Cassazione, con quattro pronunce nel 2008, di identico contenuto, hanno ridisegnato l’assetto del danno non patrimoniale, sancendo definitivamente il passaggio da un sistema tripolare (danno patrimoniale/morale/alla salute) ad uno bipolare (danno patrimoniale/non patrimoniale) e finendo col ricostruire la fattispecie in modo unitario ed onnicomprensivo delle precedenti figure nate e moltiplicatesi nella prassi (biologico, esistenziale, morale, etc.), degradate adesso ad un livello meramente descrittivo. L’intervento si è reso necessario dopo che una scrupolosa ordinanza di rimessione della S.C. aveva evidenziato le incertezze che circondavano il tema del danno non patrimoniale e per questo motivo aveva invitato le Sezioni unite a pronunciarsi su numerosi quesiti precisi: l’intento era quello di ottenere un intervento chiarificatore "intensamente auspicato in tutti gli ambienti (forensi, dottrinari, giurisprudenziali) degli attuali operatori del diritto, al fine di giungere ad una definitiva risposta ai molteplici quesiti che il tema del danno non patrimoniale poneva.

La traccia proposta - nello specifico - pone all’attenzione la questione del danno morale come danno non patrimoniale in famiglia e quindi il collegamento tra responsabilità civile e relazioni familiari: l’uccisione di un congiunto provoca la lesione dell’interesse, di rilievo costituzionale, alla intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia. Vi è nel caso de quo, indubbiamente, anche una lesione ad un altro bene primario: la vita. A questo riguardo, però, la giurisprudenza era ed è ancora più restrittiva. La morte non rappresenta la massima lesione al bene della salute, ma al diverso bene della vita, come espressamente affermato anche dalla Corte costituzionale nella stessa sentenza antecedentemente menzionata. Secondo un indirizzo dottrinale e giurisprudenziale, la Costituzione tutelerebbe espressamente solo la salute (art. 32), ma non il diritto alla vita. Sarebbe, tuttavia, assurdo concludere che la vita, il primo dei diritti inviolabili di cui all’art. 2 Cost., norma di chiusura del sistema sia tuttavia sprovvista di tutela.

In particolare il caso dei familiari di Sempronio è da ricondursi al c.d. danno (ingiusto) da morte, quale danno “riflesso”, concetto definitivamente "sdoganato" dalla fondamentale pronuncia delle Sezioni Unite 2002, n. 9556, che ha coronato un lungo ed aspro dibattito dottrinale e giurisprudenziale. La tesi tradizionale escludeva in ogni caso il risarcimento della vittima “secondaria” di un illecito, ma nei tempi successivi, un nutrito orientamento in senso favorevole si è consolidato e le stesse Sezioni Unite hanno riconosciuto il danno non patrimoniale ai prossimi congiunti della vittima, in forza del particolare legame affettivo tra questi soggetti, purché il danno fosse stato causato da un fatto costituente reato. La Cassazione ha preso spunto dal generale principio fissato dall’art. 1223 c.c. (richiamato in tema di responsabilità aquiliana dal 2056 c.c.), in base al quale i danni sono risarcibili se rappresentano la conseguenza immediata e diretta della condotta del reo: anche i danni alle "vittime secondarie", ha affermato, possono ritenersi conseguenza immediata e diretta della condotta del reo. Infatti, in base al criterio della causalità adeguata, il danno sofferto dai prossimi congiunti può legarsi alla condotta del reo in quanto nella normalità dei casi ne rappresenti la conseguenza diretta ed il danno "riflesso" o "indiretto" è risarcibile se rientra tra le conseguenze "non improbabili" della condotta criminosa.

Nel caso de quo, i parenti della vittima chiedono consulenza legale in merito al possibile risarcimento, iure hereditario, dei gravissimi danni sofferti dal loro congiunto. Le lesioni sono state così gravi da determinarne la morte in tre settimane, dopo il ricovero in ospedale. Verosimilmente il legale incaricato dai familiari dovrà spiegare ai suoi assistiti che la giurisprudenza, in caso di morte immediata o quasi immediata, non sempre riconosce alcuna tutela risarcitoria alla vittima, in virtù di un risalente principio che ha anche affermato che il danno biologico jure hereditario, non è risarcibile, nel caso di decesso immediato, non essendo sorto nel patrimonio del defunto un diritto di risarcimento relativo al danno alla salute. Pertanto, nella fattispecie dovrà valutarsi l’eventualità che si possa  ipotizzare un "danno biologico terminale", definito come gravissima lesione alla salute cui consegue, in tempi più o meno rapidi, la morte, ma non il danno parentale come potrebbe invero rinvenirsi, rifacendosi al criterio "cronologico", su cui la giurisprudenza mostra ormai di far riferimento, in base al quale la sofferenza patita dalla vittima nel periodo intercorso tra morte e lesione è risarcibile a titolo di danno biologico, a condizione che la vittima non muoia subito, ma sopravviva per un apprezzabile lasso di tempo. Deve trascorrere un arco temporale atto a "consolidare" le conseguenze della lesione. Solo così il soggetto perde la propria attitudine a vivere, la propria capacità di riprendere una vita normale, e riporta inoltre un significativo danno psichico, medicalmente accertabile. In questo caso si può ipotizzare un danno biologico, da escludersi, invece, radicalmente per i casi di decesso immediato. Si tratta di una soluzione di compromesso (per questo denominata "intermedia") tra la tesi favorevole all’integrale risarcimento del danno, anche in caso di decesso immediato, e la tesi recisamente contraria, rispetto alla quale la dottrina maggioritaria ha avuto modo di esprimersi in termini estremamente negativi.

Nel caso in esame, nulla quaestio in ordine all’applicabilità dell’art. 2059 c.c., in presenza di un illecito costituente reato. La Cassazione promuovendo a principio di rango costituzionale il diritto delle vittime di ottenere il risarcimento totale dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, conseguenti alla lesione di diritti umani fondamentali. Nel caso del danno alle vittime "secondarie", i beni lesi sono ben due: l’integrità familiare e la solidarietà familiare. Pertanto, conclude la Cassazione, il principio da applicare è che «la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., ferma la tipicità della fattispecie in relazione al danno ingiusto ed alla lesione del diritto o dell’interesse della persona, include anche la qualificazione e la stima del danno morale da reato, e del danno parentale subito dalla vittima di un omicidio colposo».

Rimane da definire il criterio per la quantificazione del danno ai prossimi congiunti (da quello di più immediata determinazione rappresentato dalle spese funerarie, alle spese di assistenza legale, fino alle quote di reddito abitualmente versate dalla vittima ai familiari a titolo di contributo al loro sostentamento). Più complessa si presenta la determinazione della perdita futura, anche se la prassi denota un forte ricorso alle presunzioni ed ai fatti notori ex art. 115 c.p.c. per accertare il concorso anche materiale dei figli al sostentamento dei genitori, soprattutto negli ultimi anni di vita e dopo il pensionamento lavorativo. La stessa Cassazione nel 2001 affermava che “ai fini del risarcimento integrale del danno morale sofferto dai congiunti si deve considerare che tale categoria non riguarda solo il petitum doloris od il prezzo del patema d’animo transeunte (una sorta di danno da lutto), ma implica la valutazione della lesione della dignità umana, tanto più intensa, quanto la sofferenza morale attiene agli effetti ed alla integrità di una famiglia numerosa e solidale. In mancanza di criteri oggettivi, questa materia ha visto un uso della liquidazione equitativa sulla base del combinato disposto degli artt. 1223, 2056 e 2059 c.c.: alla valutazione del danno morale, che, per sua natura, non può essere provato nel suo preciso ammontare, bisogna procedere in via equitativa, tenendo conto delle qualità morali della persona e delle sue condizioni, oggettive oltre che soggettive. La valutazione equitativa deve partire dalla soglia della gravità e permanenza degli effetti del danno ingiusto, considerato che la gravità della sofferenza è funzionale alla gravità dell’offesa e che il risarcimento monetario deve assicura una gratificazione: perché vi sia un riequilibrio, e la gratificazione compensi la sofferenza (né vi sia un ultra-risarcimento), l’entità del ristoro monetario deve essere strettamente corrispondente alla gravità del fatto dannoso, valutato con tutte le sue circostanze, compresa la possibilità statistica del verificarsi dell’evento, essendo pacifico come l’evento lesivo abbia assunto connotati di eccezionalità statistica, al quale i familiari erano ragionevolmente impreparati e ciò non può che aver concorso ad accrescere la loro costernazione.

Alla luce di tutte le considerazioni fin qui argomentate, a Tizio e Caia il legale potrà illustrare la possibilità di agire in giudizio jure proprio, l’ormai pacifica sussistenza della risarcibilità del danno parentale e da perdita del figlio e quindi l’opportunità di proporre la suddetta azione. Ulteriormente, al caso de quo si potrebbero aggiungere ulteriori argomentazioni: una desumibile dalla sentenza Cass. 2010/3581, nella quale la Cassazione si è addirittura spinta a sostenere che si potrebbe affermare che la perdita di un congiunto sia meglio tollerata nell’ambito di una famiglia numerosa di quanto non avvenga ove il defunto fosse l’unico familiare o parente esistente (come nel caso de quo), il che supporta l’alta probabilità del buon esito del giudizio a favore degli assistiti che rappresentano una famiglia “nucleare”, dal legame sicché più intenso; una seconda desumibile a contrario dal principio affermato nella sentenza Cass. 2007/1203 sulla quantificazione del danno morale sofferto dai prossimi congiunti di una vittima mortale di un fatto costituente reato: l’accertata convivenza del soggetto danneggiato con il congiunto deceduto può rappresentare un idoneo elemento indiziario da cui desumere un maggiore danno morale.

Riferimenti normativi:

-      Art. 185 cod. pen.

-      Art. 2 Cost.

-      Art. 32 Cost.

-      Art. 1223 cod. civ.

-      Art. 2043 cod. civ.

-      Art. 2059 cod. civ.

Riferimenti giurisprudenziali:

Sul danno non patrimoniale in generale

-      Cass. 2010/13431

-      Cass. Sez. III 2010/8724

-      Cass. Sez lav. 2009/27845

-      Cass. Sez. III 2009/12885

-      Cass. Sez. III 2009/13530

-      Cass. Sez. III 2009/14531

-      Cass. Sez. III 2009/20324

-      Cass. Sez. III 2009/23734

-      Cass. Sez. III 2009/24030

-      Cass. SS.UU. 2009/18356

-      Cass. SS.UU. 2008/26972 e 26975

-      Cassazione n. 8827 e 8828/2003

 

Sul danno da perdita rapporto parentale

-      Cass. Sez. III 2010/3581

-      Cass. Sez. III 2009/26505

-      Cass. Sez. III 2009/16914

-      Cass. Sez. III 2009/14551

-      Cass. Sez. III 2007/1203

-      Cass. Sez. III 2007/1183

-      Cass. Sez. III 2006/15760

-      Cass. 2006/3181

-      SS.UU. Cass. 2002/9556

-      Trib. Siena Sentenza 25 marzo 2003

-      Trib. Palermo 25 giugno 2001

-      App. Torino 4 ottobre 2001

-      Trib. Milano 31 maggio 1999

-      Trib. Treviso 25 novembre 1998

-      Trib. Latina 4 aprile 1996

PARERE DIRITTO CIVILE

Tizio e Caia, genitori di Sempronio, unico figlio che viveva ancora presso la casa familiare in quanto giovane studente, si recano da un legale, esponendo che Sempronio, dopo essere stato investito sulle strisce pedonali, aveva riportato gravi lesioni e che, ricoverato in ospedale, dopo ventuno giorni dal sinistro, era deceduto a causa delle predette lesioni. Tizio e Caia espongono i fatti al legale, per sapere come e in che misura possono essere risarciti dei danni subiti, sottolineando la circostanza che il decesso del loro unico figlio fosse avvenuto dopo diversi giorni di agonia e che a causa dell’illecito hanno dovuto sopportare il totale stravolgimento della loro vita esistenziale e la privazione di tutte le abitudini, anche piccole (ma solo apparentemente insignificanti) del vivere quotidiano. Assunte le vesti del legale di Tizio e di Caio, tratti il candidato del danno parentale e delle problematiche sottese e prospetti ai suoi assistiti i possibili esiti di un’azione nei confronti dell’investitore di Sempronio, evidenziando le diverse tipologie di danno risarcibile.

La fattispecie proposta dalla traccia si inquadra senza dubbio nell’istituto del danno non patrimoniale, inteso come danno morale, che per lungo tempo è stato considerato danno-conseguenza, risarcibile solo in presenza di un danno-evento, consistente nel danno biologico, vale a dire di una injuria personale e per questo motivo, sul piano pratico, non è stato sviluppato da subito un suo autonomo criterio di quantificazione, normalmente - e riduttivamente - desunto solo dopo la liquidazione delle altre voci di danno.  

Le Sezioni Unite della Cassazione, con quattro pronunce nel 2008, di identico contenuto, hanno ridisegnato l’assetto del danno non patrimoniale, sancendo definitivamente il passaggio da un sistema tripolare (danno patrimoniale/morale/alla salute) ad uno bipolare (danno patrimoniale/non patrimoniale) e finendo col ricostruire la fattispecie in modo unitario ed onnicomprensivo delle precedenti figure nate e moltiplicatesi nella prassi (biologico, esistenziale, morale, etc.), degradate adesso ad un livello meramente descrittivo. L’intervento si è reso necessario dopo che una scrupolosa ordinanza di rimessione della S.C. aveva evidenziato le incertezze che circondavano il tema del danno non patrimoniale e per questo motivo aveva invitato le Sezioni unite a pronunciarsi su numerosi quesiti precisi: l’intento era quello di ottenere un intervento chiarificatore "intensamente auspicato in tutti gli ambienti (forensi, dottrinari, giurisprudenziali) degli attuali operatori del diritto, al fine di giungere ad una definitiva risposta ai molteplici quesiti che il tema del danno non patrimoniale poneva.

La traccia proposta - nello specifico - pone all’attenzione la questione del danno morale come danno non patrimoniale in famiglia e quindi il collegamento tra responsabilità civile e relazioni familiari: l’uccisione di un congiunto provoca la lesione dell’interesse, di rilievo costituzionale, alla intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia. Vi è nel caso de quo, indubbiamente, anche una lesione ad un altro bene primario: la vita. A questo riguardo, però, la giurisprudenza era ed è ancora più restrittiva. La morte non rappresenta la massima lesione al bene della salute, ma al diverso bene della vita, come espressamente affermato anche dalla Corte costituzionale nella stessa sentenza antecedentemente menzionata. Secondo un indirizzo dottrinale e giurisprudenziale, la Costituzione tutelerebbe espressamente solo la salute (art. 32), ma non il diritto alla vita. Sarebbe, tuttavia, assurdo concludere che la vita, il primo dei diritti inviolabili di cui all’art. 2 Cost., norma di chiusura del sistema sia tuttavia sprovvista di tutela.

In particolare il caso dei familiari di Sempronio è da ricondursi al c.d. danno (ingiusto) da morte, quale danno “riflesso”, concetto definitivamente "sdoganato" dalla fondamentale pronuncia delle Sezioni Unite 2002, n. 9556, che ha coronato un lungo ed aspro dibattito dottrinale e giurisprudenziale. La tesi tradizionale escludeva in ogni caso il risarcimento della vittima “secondaria” di un illecito, ma nei tempi successivi, un nutrito orientamento in senso favorevole si è consolidato e le stesse Sezioni Unite hanno riconosciuto il danno non patrimoniale ai prossimi congiunti della vittima, in forza del particolare legame affettivo tra questi soggetti, purché il danno fosse stato causato da un fatto costituente reato. La Cassazione ha preso spunto dal generale principio fissato dall’art. 1223 c.c. (richiamato in tema di responsabilità aquiliana dal 2056 c.c.), in base al quale i danni sono risarcibili se rappresentano la conseguenza immediata e diretta della condotta del reo: anche i danni alle "vittime secondarie", ha affermato, possono ritenersi conseguenza immediata e diretta della condotta del reo. Infatti, in base al criterio della causalità adeguata, il danno sofferto dai prossimi congiunti può legarsi alla condotta del reo in quanto nella normalità dei casi ne rappresenti la conseguenza diretta ed il danno "riflesso" o "indiretto" è risarcibile se rientra tra le conseguenze "non improbabili" della condotta criminosa.

Nel caso de quo, i parenti della vittima chiedono consulenza legale in merito al possibile risarcimento, iure hereditario, dei gravissimi danni sofferti dal loro congiunto. Le lesioni sono state così gravi da determinarne la morte in tre settimane, dopo il ricovero in ospedale. Verosimilmente il legale incaricato dai familiari dovrà spiegare ai suoi assistiti che la giurisprudenza, in caso di morte immediata o quasi immediata, non sempre riconosce alcuna tutela risarcitoria alla vittima, in virtù di un risalente principio che ha anche affermato che il danno biologico jure hereditario, non è risarcibile, nel caso di decesso immediato, non essendo sorto nel patrimonio del defunto un diritto di risarcimento relativo al danno alla salute. Pertanto, nella fattispecie dovrà valutarsi l’eventualità che si possa  ipotizzare un "danno biologico terminale", definito come gravissima lesione alla salute cui consegue, in tempi più o meno rapidi, la morte, ma non il danno parentale come potrebbe invero rinvenirsi, rifacendosi al criterio "cronologico", su cui la giurisprudenza mostra ormai di far riferimento, in base al quale la sofferenza patita dalla vittima nel periodo intercorso tra morte e lesione è risarcibile a titolo di danno biologico, a condizione che la vittima non muoia subito, ma sopravviva per un apprezzabile lasso di tempo. Deve trascorrere un arco temporale atto a "consolidare" le conseguenze della lesione. Solo così il soggetto perde la propria attitudine a vivere, la propria capacità di riprendere una vita normale, e riporta inoltre un significativo danno psichico, medicalmente accertabile. In questo caso si può ipotizzare un danno biologico, da escludersi, invece, radicalmente per i casi di decesso immediato. Si tratta di una soluzione di compromesso (per questo denominata "intermedia") tra la tesi favorevole all’integrale risarcimento del danno, anche in caso di decesso immediato, e la tesi recisamente contraria, rispetto alla quale la dottrina maggioritaria ha avuto modo di esprimersi in termini estremamente negativi.

Nel caso in esame, nulla quaestio in ordine all’applicabilità dell’art. 2059 c.c., in presenza di un illecito costituente reato. La Cassazione promuovendo a principio di rango costituzionale il diritto delle vittime di ottenere il risarcimento totale dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, conseguenti alla lesione di diritti umani fondamentali. Nel caso del danno alle vittime "secondarie", i beni lesi sono ben due: l’integrità familiare e la solidarietà familiare. Pertanto, conclude la Cassazione, il principio da applicare è che «la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., ferma la tipicità della fattispecie in relazione al danno ingiusto ed alla lesione del diritto o dell’interesse della persona, include anche la qualificazione e la stima del danno morale da reato, e del danno parentale subito dalla vittima di un omicidio colposo».

Rimane da definire il criterio per la quantificazione del danno ai prossimi congiunti (da quello di più immediata determinazione rappresentato dalle spese funerarie, alle spese di assistenza legale, fino alle quote di reddito abitualmente versate dalla vittima ai familiari a titolo di contributo al loro sostentamento). Più complessa si presenta la determinazione della perdita futura, anche se la prassi denota un forte ricorso alle presunzioni ed ai fatti notori ex art. 115 c.p.c. per accertare il concorso anche materiale dei figli al sostentamento dei genitori, soprattutto negli ultimi anni di vita e dopo il pensionamento lavorativo. La stessa Cassazione nel 2001 affermava che “ai fini del risarcimento integrale del danno morale sofferto dai congiunti si deve considerare che tale categoria non riguarda solo il petitum doloris od il prezzo del patema d’animo transeunte (una sorta di danno da lutto), ma implica la valutazione della lesione della dignità umana, tanto più intensa, quanto la sofferenza morale attiene agli effetti ed alla integrità di una famiglia numerosa e solidale. In mancanza di criteri oggettivi, questa materia ha visto un uso della liquidazione equitativa sulla base del combinato disposto degli artt. 1223, 2056 e 2059 c.c.: alla valutazione del danno morale, che, per sua natura, non può essere provato nel suo preciso ammontare, bisogna procedere in via equitativa, tenendo conto delle qualità morali della persona e delle sue condizioni, oggettive oltre che soggettive. La valutazione equitativa deve partire dalla soglia della gravità e permanenza degli effetti del danno ingiusto, considerato che la gravità della sofferenza è funzionale alla gravità dell’offesa e che il risarcimento monetario deve assicura una gratificazione: perché vi sia un riequilibrio, e la gratificazione compensi la sofferenza (né vi sia un ultra-risarcimento), l’entità del ristoro monetario deve essere strettamente corrispondente alla gravità del fatto dannoso, valutato con tutte le sue circostanze, compresa la possibilità statistica del verificarsi dell’evento, essendo pacifico come l’evento lesivo abbia assunto connotati di eccezionalità statistica, al quale i familiari erano ragionevolmente impreparati e ciò non può che aver concorso ad accrescere la loro costernazione.

Alla luce di tutte le considerazioni fin qui argomentate, a Tizio e Caia il legale potrà illustrare la possibilità di agire in giudizio jure proprio, l’ormai pacifica sussistenza della risarcibilità del danno parentale e da perdita del figlio e quindi l’opportunità di proporre la suddetta azione. Ulteriormente, al caso de quo si potrebbero aggiungere ulteriori argomentazioni: una desumibile dalla sentenza Cass. 2010/3581, nella quale la Cassazione si è addirittura spinta a sostenere che si potrebbe affermare che la perdita di un congiunto sia meglio tollerata nell’ambito di una famiglia numerosa di quanto non avvenga ove il defunto fosse l’unico familiare o parente esistente (come nel caso de quo), il che supporta l’alta probabilità del buon esito del giudizio a favore degli assistiti che rappresentano una famiglia “nucleare”, dal legame sicché più intenso; una seconda desumibile a contrario dal principio affermato nella sentenza Cass. 2007/1203 sulla quantificazione del danno morale sofferto dai prossimi congiunti di una vittima mortale di un fatto costituente reato: l’accertata convivenza del soggetto danneggiato con il congiunto deceduto può rappresentare un idoneo elemento indiziario da cui desumere un maggiore danno morale.

Riferimenti normativi:

-      Art. 185 cod. pen.

-      Art. 2 Cost.

-      Art. 32 Cost.

-      Art. 1223 cod. civ.

-      Art. 2043 cod. civ.

-      Art. 2059 cod. civ.

Riferimenti giurisprudenziali:

Sul danno non patrimoniale in generale

-      Cass. 2010/13431

-      Cass. Sez. III 2010/8724

-      Cass. Sez lav. 2009/27845

-      Cass. Sez. III 2009/12885

-      Cass. Sez. III 2009/13530

-      Cass. Sez. III 2009/14531

-      Cass. Sez. III 2009/20324

-      Cass. Sez. III 2009/23734

-      Cass. Sez. III 2009/24030

-      Cass. SS.UU. 2009/18356

-      Cass. SS.UU. 2008/26972 e 26975

-      Cassazione n. 8827 e 8828/2003

 

Sul danno da perdita rapporto parentale

-      Cass. Sez. III 2010/3581

-      Cass. Sez. III 2009/26505

-      Cass. Sez. III 2009/16914

-      Cass. Sez. III 2009/14551

-      Cass. Sez. III 2007/1203

-      Cass. Sez. III 2007/1183

-      Cass. Sez. III 2006/15760

-      Cass. 2006/3181

-      SS.UU. Cass. 2002/9556

-      Trib. Siena Sentenza 25 marzo 2003

-      Trib. Palermo 25 giugno 2001

-      App. Torino 4 ottobre 2001

-      Trib. Milano 31 maggio 1999

-      Trib. Treviso 25 novembre 1998

-      Trib. Latina 4 aprile 1996