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Decreti generali legislativi

Apollo e Dafne, Bernini, Galleria Borghese, Roma
Apollo e Dafne, Bernini, Galleria Borghese, Roma

Can. 29 - “I decreti generali, con i quali dal legislatore competente vengono date disposizioni comuni per una comunità capace di ricevere una legge, sono propriamente leggi e sono retti dalle disposizioni dei canoni sulle leggi.

Can. 30 - “Chi gode soltanto della potestà esecutiva non può validamente emanare il decreto generale, di cui al can. 29, a meno che in casi particolari a norma del diritto ciò non gli sia stato espressamente concesso dal legislatore competente, e adempiute le condizioni stabilite nell'atto della concessione.

Questi canoni, relativamente poco studiati di per sé, hanno un'importanza sistematica notevole, giacché si situano all'incrocio tra due grandi temi, la nozione di legge ecclesiastica e la distinzione dei poteri. In ragione di ciò, mi sembrano adatti a fungere da cerniera tra la disamina dei cann. 7-22, condotta fin qui, e i fondamenti del diritto amministrativo canonico, di prossima trattazione.

Non è necessario descrivere, in via preliminare, le discussioni che hanno condotto il legislatore canonico, già ai primi passi della revisione del Codice, ad accogliere l'idea di una distinzione netta tra potere legislativo, esecutivo e giudiziale, estranea alla tradizionale nozione di iurisdictio;[1] basti dire che non si può parlare di una vera e propria “separazione” dei poteri come negli ordinamenti giuridici moderni, perché tanto il Papa quanto i singoli Vescovi nelle rispettive sedi, et quidem iure divino, godono di una plenitudo potestatis generale, sono tanto legislatori quanto esecutori e giudici. Non così, però, i loro collaboratori, che partecipano di potestà e funzioni ora amministrative, ora giudiziali, ma di regola non della potestà legislativa (cfr. can. 135 §2); e siccome la natura dei loro provvedimenti ha un'incidenza diretta sui rimedi esperibili e gli organi competenti, il CIC 1983 ha introdotto diverse norme volte a facilitare la loro qualificazione.

Alla luce di queste succinte premesse, il can. 29 può essere letto in due modi.

Il primo, potremmo dire “in positivo”, sancisce l'irrilevanza dei nomi usati nell'intitolazione degli atti normativi generali: se provengono dal legislatore competente e si rivolgono ad una communitas capax recipiendi legem, sono leggi a tutti gli effetti. In questo senso, come una sorta di norma di chiusura, esso tiene anche luogo di quella definizione formale di lex cui i codificatori hanno rinunziato.

Il secondo opera “in negativo”: “In questo c. si formula anche l'implicito invito alle autorità ecclesiastiche titolari tanto della potestà legislativa che di quella esecutiva, a non esercitare quest'ultima personalmente, soprattutto se si tratta di disposizioni di indole generale”,[2] perché ciò comporterebbe il rischio di veder l'atto qualificato come legislativo, con relativa compressione delle possibilità di ricorso in capo ai fedeli.

Ci si può chiedere, però, se questo rischio sia inevitabile o se il titolare di un ufficio in cui i poteri siano uniti possa dichiarar espressamente, o anche con parole equivalenti, che non intende agire come legislatore.

Il problema non è meramente teorico, almeno non da quando il m.p. Mitis Iudex Dominus Iesus, di riforma del processo matrimoniale canonico, reca un'appendice di “regole procedurali, che ho ritenuto necessarie per la corretta e accurata applicazione della legge rinnovata, da osservarsi diligentemente a tutela del bene dei fedeli”: termini adatti ad un regolamento di esecuzione, per usare la terminologia italiana, e che comunque suppongono che le regole siano qualcosa di diverso dalla legge cui si riferiscono.

A mio parere, va accolta la soluzione affermativa: dopotutto, il concetto di plenitudo potestatis include anche la libertà di graduarne l'esercizio, evitando di impegnarla nel massimo grado; e nessuno dubita che sia il Papa sia il Vescovo possano porre atti amministrativi singolari senza che ciò li trasformi automaticamente in privilegi, che a loro volta presuppongono l'esercizio della potestà legislativa. In più, anche quando non era stata ancora teorizzata la natura amministrativa del rescritto, non vi era dubbio che esso fosse assoggettato ad un controllo giudiziale assai penetrante, anche quando proveniva dal Romano Pontefice e conteneva clausole di deroga espressa alla legge universale.

In caso di dubbio, però, non dovrebbe né potrebbe presumersi la natura amministrativa di atti generali del Papa o del Vescovo: il can. 29 non lascia spazio ad atti amministrativi indipendenti,[3] sebbene manchi una definizione di potestà esecutiva il fatto stesso che la si distingua dalla legislativa ex can. 135 §1 implica che non possa porre equivalenti funzionali delle leggi;[4] e d'altronde, se tutte le altre caratteristiche dell'atto legislativo sono presenti, occorrerebbe almeno una buona ragione per ritener che l'autore abbia voluto, invece, porlo come amministrativo. Considerato che avverso le leggi non sono ammessi altri rimedi che la supplica rivolta allo stesso legislatore o il ricorso al Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi se si tratti di denunciare la non conformità della norma particolare con il diritto universale, mentre gli atti amministrativi generali sono nulli ipso iure se contrari alla legge, l'invito ravvisato dal Lombardía nel can. 29 appare quanto mai opportuno ed appropriato per la miglior tutela della posizione dei fedeli.

Infine ma non da ultimo, detto canone, in combinato disposto con il successivo, chiarisce in maniera equivocabile che i Dicasteri della Curia Romana, pur emanando spesso norme generali, non godono di potestà legislativa. Il che risolve una vexata quaestio dottrinale, agitata almeno dall'entrata in vigore del Codice del 1917, accogliendo peraltro l'opinione maggioritaria.

Invero, siccome i legislatori inferiori sono astretti da un generale divieto di delega ex can. 135 §2,  il can. 30 serve in sostanza solo a qualificare gli atti generali della Curia, o di chi si dica delegato dall'Autorità Suprema, anche se in termini sistematici si pone a fondamento di altre norme che prevedono concessioni analoghe a soggetti determinati, come il can. 455 per le Conferenze Episcopali.

La dottrina tende a parlare di “decreti legislativi” e ad evocare paralleli con la delega quali si configura nei moderni sistemi statuali (cfr. il nostro art. 76 Cost.). A mio avviso, questi paralleli possono avere al massimo un valore descrittivo di prima introduzione al tema, non fosse che per il fatto che il Papa, essendo legibus solutus, non è obbligato a conferire deleghe nel rispetto del can. 30 ma ne può prescindere. L'indubbia analogia sta nella necessità di ben determinare l'oggetto della delega (si parla di “casi particolari”), di prevederla in modo espresso e di vincolare il delegato alle condizioni stabilite. Tuttavia, mentre negli ordinamenti secolari la legge di delegazione ha un iter noto e pubblico, così come ne è pubblico il testo, la Curia Romana, soprattutto ai livelli apicali, funziona come una cerchia di notabili la cui legittimazione deriva dal fatto che godono della fiducia del Sovrano, in un senso ben diverso dal mandato parlamentare: basti dire che l'atto di delega ex can. 30 non viene – di regola – reso pubblico e che è il delegato stesso ad attestare la sua esistenza con una semplice menzione nel corpo dell'atto. Ciò pone notevoli problemi di possibili abusi, che però riguardano principalmente il rapporto tra il Pontefice e i suoi collaboratori; l'interprete – qui sta tutta l'importanza del canone – ha un criterio certo sulla scorta del quale procedere alla qualificazione dell'atto, poiché se il can. 30 non è citato allora è sicuro che deve dirsi amministrativo. Dovrebbe riconoscersi il diritto di sindacare la sussistenza della delega e il rispetto dei requisiti legali; tuttavia in concreto il problema viene superato in altro modo.

Appunto perché il Papa non è vincolato dal can. 30, né dal Codice in genere, al caso della delega preventiva si aggiunge la conferma successiva: un documento preparato da un Dicastero della Curia Romana, di propria iniziativa, ma che contiene deroghe al diritto universale (diverse dalla dispensa in un caso singolo) o vuol essere una legge o un decreto ex can. 29 può essere emanato ed avere valore, purché ottenga l'approvazione specifica del Sommo Pontefice (cfr. art. 125 Regolamento Generale della Curia Romana).[5]

In pratica, il più delle volte i due istituti si combinano: un Dicastero, che gestisce la quotidiana applicazione del diritto in un dato ambito, ravvisa la necessità di un intervento legislativo; il suo Prefetto o Presidente ne parla con il Papa, di persona o tramite la Segreteria di Stato; gli arriva un'autorizzazione a studiare un progetto di legge (necessaria ai sensi dell'art. 18 della Cost. Ap. Pastor Bonus); la bozza, acquisiti i pareri degli altri Dicasteri interessati, è quindi sottoposta al Papa, nel testo definitivo, per ottenere la necessaria specifica approvazione. Se il documento viene emanato in forma di legge pontificia, porta la sottoscrizione del Papa; se figura come atto del Dicastero ed ha carattere generale, la menzione del can. 30 importa la qualifica di legislativo, ma può anche darsi il caso che rechi la diversa dicitura “[Papa] in forma specifica approbavit”, che significa che la natura dell'atto è amministrativa (cfr. art. 126 RGCR),[6] ma il Papa se ne assume la paternità a tutti gli effetti, il che per un verso lo rende non impugnabile, per altro legittima tutte le deroghe al diritto universale – o particolare[7] - ritenute necessarie e previamente comunicate al Sovrano.[8]

Ai fini pratici, la differenza tra approvazione specifica e in forma specifica, pur postulata dalla formulazione degli artt. 125 e 126 RGCR, non è grande. Tuttavia, da un lato si possono approvare in forma specifica anche atti amministrativi singolari – senza che, peraltro, siano previste particolari garanzie per gli interessati contro la conseguente perdita della possibilità di impugnare – e dall'altro, a mo' di contrappeso, è possibile chiedere la grazia della aperitio oris, che restituisce cioè questa possibilità, o meglio “apre la bocca” al giudice e gli permette di giudicare. Trattandosi di grazia attinente all'amministrazione della giustizia, la relativa istanza passa al vaglio della Segnatura Apostolica, a norma degli artt. 35 n. 2° e 116 della sua Lex Propria, che esprime un parere sull'opportunità di concederla; la scelta non manca di suscitare perplessità, poiché pregiudica l'imparzialità dell'organo di vertice della giustizia amministrativa, chiamato a giudicare i ricorsi proprio contro gli atti dei Dicasteri di Curia, quale appunto sarà l'oggetto dell'approvazione in discorso. A meno di non voler ripristinare l'antica separazione della Segnatura in due sezioni distinte, una per le richieste di grazia e l'altra per quelle di giustizia, sarebbe opportuno che l'esame della causa, una volta concessa la aperitio oris, venisse affidato alla Rota.

Unanime, in dottrina, il rilievo per cui le cautele formali fin qui viste – delega espressa ex can. 30, formula tipica per l'approvazione in forma specifica – non vengono rispettate da una prassi curiale rimasta in larga misura ancorata alle abitudini precedenti, forte anche dell'impossibilità di vincolare il Papa ad una legge umana in termini tali da invalidare l'atto contrario. A rigor di esegesi, e sulla scorta di una tradizione canonica ben consapevole dei pericoli di abuso anche involontario della plenitudo potestatis, tutti gli atti privi dell'una o dell'altra dovrebbero essere qualificati come amministrativi, con declaratoria di nullità delle previsioni contrastanti con il diritto universale; ma l'impossibilità di proporre ricorso gerarchico diretto contro gli atti amministrativi generali, dovuta ad una delle modifiche subite dal Codice al termine del suo iter, ha reso sostanzialmente impossibile reagire, giacché non si ravvisa a tutt'oggi, almeno nella giurisprudenza edita di Segnatura, un solo caso in cui l'impugnazione contro un provvedimento individuale – o formalmente generale, ma immediatamente lesivo della posizione di un singolo - abbia portato, almeno in via mediata, a chiarimenti sul can. 30 o sugli artt. 125-6 RGCR.[9] Di fatto, quindi, le aspirazioni di riforma nel senso di una maggior chiarezza sulla natura degli atti, ma soprattutto di una maggior tutela dei diritti dei fedeli, se possono forse dirsi soddisfatte almeno in parte sul piano della qualificazione giuridica, restano però frustrate nell'aspetto più importante, la tutela e l'effettività.

 

[1]    Cfr., anche per l'evoluzione storica, E. Labandeira, Trattato di Diritto amministrativo canonico, Milano 1994, pagg. 45-76, 129-34.

[2]    P. Lombardía, ad loc., in Pontificia Università della S. Croce (cur.), Codice di Diritto Canonico e leggi complementari commentato, Roma 2020, pag. 93.

[3]    Cfr., in senso diverso, J. Huels, Independent General Administrative Norms in Documents of the Roman Curia, in The Jurist 76 (2016), pagg. 85-113, che tuttavia non riguarda il can. 29 dato che la Curia Romana non ha potestà legislativa, salvo che la riceva per delega dal Papa, ai sensi del can. 30.

[4]    J. Miras – J. Canosa – E. Baura, Compendio di Diritto Amministrativo Canonico, Roma 2018, pag. 98, qualificano come “indipendenti” - tra virgolette - gli statuti e i regolamenti “poiché non sviluppano qualcosa contenuto in una disposizione legislativa anteriore, ma regolano degli spazi non disciplinati, all'interno dei limiti fissati dalla legge”; anche qui, però, il can. 94 §3 opera in un senso analogo al 29, tanto che “In molti casi […] non risulta chiara la qualificazione amministrativa degli statuti, dal momento che l'autorità che li dà di solito gode di potestà kegislativa ed esecutiva, e non è sempre possibile determinare con precisione quale delle due stia esercitando” (ivi, pag. 115). Invece, secondo P.V. Pinto, Diritto amministrativo canonico, Bologna 2006, pag. 226, statuti e regolamenti “sono piuttosto espressioni del diritto particolare e perciò sono dati, in genere, da organi legislativi”.

[5]    In argomento cfr., anche per ulteriori ampi riferimenti, I. Zuanazzi, Praesis ut prosis. La funzione amministrativa nella diakonia della Chiesa, Napoli 2005, pagg. 509-17.

[6]    Non mi occupo qui dell'art. 126-bis, che prevede una procedura analoga per la richiesta di facoltà speciali, limitandomi ad osservare che anche in tal caso si tratta di deroghe al diritto vigente, almeno in termini di riparto di competenze, ma spesso anche sostanziali o processuali.

[7]    Cfr. Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, decreto definitivo 14 novembre 2007, c. Mussinghoff. In causa prot. n. 38415/06 CA, Iurium, Sig. X / Congregazione per il Clero, in Ius Ecclesiae 21 (2009), pagg. 66-72, secondo cui l'Istruzione interdicasteriale Ecclesiae de mysterio, appunto in forza dell'approvazione in forma specifica, aveva il potere di abrogare le leggi e le consuetudini contrarie, anche particolari, come appunto disponeva la clausola finale. A mio parere, però, se è ammissibile che un atto amministrativo deroghi ad una legge lasciandola sussistere per altri casi, il potere di abrogarla può solo essere legislativo: appurato che quella era davvero la volontà del Papa, come minimo si sarebbe dovuto riqualificare l'intero documento. 

[8]    Quest'approvazione può riguardare l'atto tutto intero, ad es. la già citata Ecclesiae de mysterio, rispetto a cui la chiarificazione del diritto vigente su un tema “scottante” come i ruoli rispettivi di preti e laici è stata ritenuta così importante che si è voluta escludere in radice la possibilità di contestarne la rispondenza alle norme di legge; oppure può riguardare quei singoli articoli che non abbiano base legale, com'è avvenuto per il Regolamento per l'esame delle dottrine da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede, riguardo all'art. 28 che esclude l'impugnabilità delle pronunce dichiarative di scomunica per eresia, apostasia o scisma, nonché per l'art. 29 che estende la competenza penale del Dicastero anche agli errori dottrinali meno gravi, purché rilevati nel corso dell'esame di libri o dottrine ad esso denunziati.

[9]    Informazioni verificate tramite la consultazione del repertorio disponibile su iuscangreg.