Diffamazione - Cassazione Penale: integra il reato di diffamazione l’invio per conoscenza a più destinatari di email contenenti offese

Diffamazione - Cassazione Penale: integra il reato di diffamazione l’invio per conoscenza a più destinatari di email contenenti offese
Diffamazione - Cassazione Penale: integra il reato di diffamazione l’invio per conoscenza a più destinatari di email contenenti offese

La Corte di Cassazione ha stabilito che integra il reato di diffamazione chi invia, ad una pluralità di soggetti, email dal contenuto offensivo dell’altrui onore, configurandosi il concorso tra l’illecito civile ex articolo 4 Decreto Legislativo n. 7/2016 e il delitto di diffamazione ex articolo 595 Codice Penale.

 

Il caso in esame 

Il ricorso proposto dalla parte civile si basa sulla considerazione che il Tribunale di Sondrio aveva assolto l’imputato per il fatto di aver prodotto delle offese nei confronti di un funzionario doganale, contenute in una comunicazione via mail, inviata non solo al diretto interessato ma anche a numerosi dirigenti apicali dell’Amministrazione doganale. Il reato ascrittogli era quello qualificato come diffamazione aggravata ai sensi dell’articolo 595 Codice Penale e articolo 61 Codice Penale n.10, diversamente qualificato dal Tribunale come reato di ingiuria ex articolo 594 Codice Penale, ormai abrogato

Il ricorso proposto per violazione di legge è supportato dalla motivazione che la email di contenuto ingiurioso inviata all’offeso e ai terzi non potrebbe costituire ingiuria aggravata ai sensi dell’articolo 594, comma 1 e 4, Codice Penale, perché presupporrebbe la presenza fisica della persona offesa; al contrario la condotta in esame integrerebbe il comma 2 del predetto articolo e il reato di diffamazione ex articolo 595 Codice Penale. 

La memoria presentata dall’imputato richiede, qualora si riscontrasse una sussumibilità astratta nella cornice dell’articolo 595, comma 3, Codice Penale, l’annullamento della sentenza impugnata e la trasmissione degli atti alla Procura competente, oppure, in caso contrario, il rigetto del ricorso o la dichiarazione di ammissibilità.

 

Motivi della decisione 

La Cassazione Penale ritiene il ricorso fondato e lo accoglie, sulla base delle seguenti motivazioni. 

Occorre premettere che il reato di ingiuria è stato integralmente depenalizzato ad opera del Decreto Legislativo n. 7/2016, il quale, all’articolo 4 prevede un illecito civile; il Tribunale trae le sue conclusioni analizzando l’articolo 594 Codice Penale, in vigore al momento del compimento dei fatti, che, tuttavia, non appaiono convincenti in quanto il concetto di “presenza”, indicato nel comma 1 e 4 dell’articolo 594 Codice Penale,  implica necessariamente la presenza fisica, in unità di tempo e di luogo, di soggetto offeso e spettatori o il verificarsi di una situazione ad essa sostanzialmente equiparabile, realizzata con l’ausilio dei moderni sistemi tecnologici

Qualora l’offesa sia arrecata per iscritto ed inviata all’interessato e a terzi, non può escludersi il concorso tra ingiuria e diffamazione, nel caso in cui la concreta fattispecie comprenda elementi costitutivi delle due distinte norme incriminatrici

Facendo riferimento ad un proprio precedente orientamento, la Cassazione afferma che: “l’invio di e-mail a contenuto diffamatorio, realizzato tramite l’utilizzo di internet, integra un’ipotesi di diffamazione aggravata e l’eventualità che fra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona a cui si rivolgono le espressioni offensive, non consente di mutare il titolo del reato nella diversa ipotesi di ingiuria; ed ancora che la missiva a contenuto diffamatorio diretta a una pluralità di destinatari, oltre l’offeso, non integra il reato di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, bensì quello di diffamazione”, anche se non vi è stato il contestuale recepimento delle offese e la maggior diffusione delle stesse. 

Un orientamento più tradizionale configurava il concorso tra i reati di ingiuria e diffamazione nel momento in cui le lettere offensive fossero state inviate anche alla persona offesa

In un’altra sentenza di poco precedente a quella in esame, la Corte ha sostenuto che: “quando la corrispondenza con più destinatari avviene per via telematica, se è vero che la digitazione della missiva avviene con unica azione, la sua trasmissione si realizza attraverso una pluralità di atti operati dal sistema e di cui l’agente è ben consapevole; di qui la coerente conclusione che in ogni caso il fatto contestato integra quantomeno anche il reato di diffamazione”. 

L’aver inviato la missiva anche ad altri soggetti “per conoscenza” non determina una diversa interpretazione in quanto la fattispecie incriminatrice esige solamente che l’offesa sia comunicata ad una pluralità di destinatari, senza che rilevi il titolo o le ragioni della comunicazione

La difesa dell’imputato, nel richiedere l’annullamento della sentenza impugnata, osserva che la condotta contestata era stata realizzata con un unico messaggio trasmesso, in primis, alla persona offesa, in cui erano stati messi in copia “per conoscenza” gli altri titolari dei vari Uffici. Se così fosse, si configurerebbe l’aggravante prevista dal comma 3 dell’articolo 595 Codice Penale, per l’uso di uno strumento di pubblicità a notevole capacità diffusiva. 

La tesi non risulta condivisibile secondo la Cassazione in quanto “l’articolo 595, comma 3, riguarda il caso in cui l’offesa sia arrecata con il mezzo della stampa o comunque con mezzo pubblicitario potenzialmente diffusivo e non può essere esteso sino a ricomprendere il caso in cui l’offesa sia stata arrecata con uno scritto inoltrato per conoscenza a un numero circoscritto e limitato di destinatari, personalmente individuati e determinati, a cui la missiva è stata diretta per renderli informati del suo contenuto, sia pure per posta elettronica”. 

La posta elettronica è solo uno strumento più efficiente e comodo della posta tradizionale; nel caso in questione la missiva è stata inviata a soli sei soggetti, portando, dunque, alla conclusione che esso non configura, di per sé e automaticamente, un “mezzo pubblicitario”, al quale può essere concretamente equiparato quando, per le particolari modalità della condotta, sia stato possibile raggiungere un gruppo indeterminato o molto elevato di destinatari. 

Per tali ragioni, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e annulla la sentenza impugnata, rinviando gli atti al Giudice civile competente per valore in grado di appello

(Corte di Cassazione - Sezione Quinta Penale, Sentenza 6 luglio - 20 luglio 2018, n. 34484)