Droga e furti in Vaticano

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Per un lungo periodo il Vaticano ha preferito “delegare” alla giustizia italiana lo svolgimento delle indagini e dei processi per fatti commessi all’interno dello Stato Città del Vaticano. Una norma del Trattato del Laterano (articolo 22) prevede, infatti, che i delitti commessi nello Stato papalino, a richiesta o per delega della Santa Sede, possano essere perseguiti penalmente dagli organi di giustizia italiana.

L’articolo 22 stabilisce: “A richiesta della Santa Sede e per delegazione che potrà essere data dalla medesima o nei singoli casi o in modo permanente, l’Italia provvederà nel suo territorio alla punizione dei delitti che venissero commessi nella Città del Vaticano, salvo quando l’autore del delitto si sia rifugiato nel territorio italiano, nel qual caso si procederà senz’altro contro di lui a norma delle leggi italiane. La Santa Sede consegnerà allo Stato italiano le persone, che si fossero rifugiate nella Città del Vaticano, imputate di atti, commessi nel territorio italiano, che siano ritenuti delittuosi dalle leggi di ambedue gli Stati”.

Sicché le locali prigioni vaticane, fatte costruire da Papa Pio XI nel 1929, e l’attiguo palazzetto del tribunale finirono per essere normalmente adibite ad altri usi.

La felpata giustizia di Oltretevere, abituata al silenzio e alle smentite di vicende conclamate ha preferito risolvere avanti alla giurisdizione “domestica” alcune vicende poco edificanti. L’episodio dei furti all’interno dell’appartamento privato di Paolo VI e più recentemente la sottrazione e successiva diffusione di documenti da parte di un maggiordomo infedele del Santo Padre e il processo per una ipotesi di spaccio di droga e da ultimo il processo, agli ex vertici dello Ior, concluso il 21 gennaio del 2021 con la prima condanna al carcere per reati finanziari.

Nell’ottobre 2015, vennero arrestati monsignor V. B. e F. I. C. in concomitanza all’uscita in libreria dei volumi “Avarizia” di Emiliano Fittipaldi e ”Via crucis” di Gianluigi Nuzzi contenenti molti documenti della Commissione COSEA sulle finanze vaticane di cui facevano parte il monsignore spagnolo vicino all’Opus Dei.

Il Papa si espose in prima persona nell’Angelus dell’8 novembre 2015, appena tre giorni dopo la pubblicazione dei due libri: “Rubare quei documenti è un reato. È un atto deplorevole che non aiuta. Io stesso avevo chiesto di fare quello studio, e quei documenti io e i miei collaboratori già li conoscevamo bene, e sono state prese delle misure che hanno incominciato a dare dei frutti, anche alcuni visibili. Perciò voglio assicurarvi che questo triste fatto non mi distoglie certamente dal lavoro di riforma che stiamo portando avanti con i miei collaboratori e con il sostegno di tutti voi”.

L’interesse mediatico ha fatto scoprire anche le peculiarità che l’ordinamento giuridico vaticano presenta. Il velo sollevato sulla realtà giuridica dello Stato Città del Vaticano ha portato a riscoprire il codice penale italiano del 1889, o codice Zanardelli, che vige in Vaticano dal 1929 grazie ad un rinvio fatto dal legislatore vaticano al codice allora vigente in Italia. La legge 7 giugno 1929 n. II all’articolo 4, sulle fonti del diritto, per cui “si osserva nella Città del vaticano il vigente Codice penale del regno d’Italia insieme alle leggi che l’hanno modificato o integrato ed ai relativi regolamenti, fino all’entrata in vigore della presente”.

Ripercorriamo alcuni processi “scomodi” svolti in Vaticano davanti alla giustizia papalina. Nell’estate del 1968 l’appartamento privato papale fu sottoposto agli annuali lavori di manutenzione e di restauro. Al ritorno dalle vacanze il Papa Paolo VI scoprì il furto di circa 30 medaglie d’oro e di preziose croci pettorali.

La Sante Sede preferì non divulgare la notizia per evitare uno scandalo. Tale decisione spinse i ladri (tecnici telefonici) a tentare di ripetere l’operazione furtiva nell’anno successivo, convinti che nessuno si fosse accorto della sottrazione.

Il Papa Paolo VI partì per un viaggio pastorale in Uganda e i ladri entrarono in azione riuscendo a sottrarre numerosi oggetti in oro, tra i quali delle monete di notevole valore numismatico perché mai poste in commercio. Nel gennaio del 1973 una delle monete venne esposta in un negozio filatelico-numismatico posto a poche centinaia di metri dal vaticano.

Le indagini condotte dalla gendarmeria portarono all’arresto dei ladri e questa volta il Vaticano preferì processarli per evitare la “possibile divulgazione di particolari riservati della vita privata del papa”.

Le indagini furono svolte in maniera ultra riservata e inizialmente i diritti di difesa furono, per lo meno, accantonati.

Come ha scritto Benny Lay : “le indagini svolte dal giudice Giuseppe Spinelli contro gli autori del furto, assunsero delle forme …. definite dall’avvocato Francesco Zanchini, che dopo quaranta giorni dall’arresto non aveva ancora potuto avere un colloquio con gli assistiti, in dispregio dei diritti dell’uomo”. La risposta del giudice fu lapidaria ed autoritaria: “nessun tribunale dello Stato Città del Vaticano è tenuto a rispettare tali diritti, dato che il suo Governo opera come un organismo retto da un potere assoluto e senza limiti, al cui vertice è il Papa”. Tre degli imputati furono sottoposti a carcerazione preventiva, il quarto, sfuggito fortunosamente all’arresto, rimase tranquillamente nella sua abitazione romana e comunicò che “trovandosi in Italia intendeva essere giudicato esclusivamente da un tribunale italiano”; confidando nel fatto che mai l’autorità giudiziaria vaticana avrebbe trasmesso le carte alla magistratura italiana. Infatti, così avvenne.

Il processo ai tre “galeotti vaticani” che confessarono il furto, venne celebrato nel 1974 e si risolse con pene miti. Nessuno dei tre scontò mai la pena irrogata in quanto per evitare “problemi” sarebbe stato sufficiente non entrare in Vaticano, circostanza fatta propria dai condannati.

Nel processo nei confronti del maggiordomo del Papa, oltre al furto materiale di documenti in originale si è posta la questione se la semplice riproduzione di un documento, prontamente rimesso al suo posto, venisse a configurare il reato di furto.

Ebbene, i giudici vaticani hanno risolto la querelle nel seguente modo:”…a differenza del vigente codice penale italiano che adotta un criterio personale, per il quale il furto avviene con la sottrazione della cosa – a chi la detiene – il nostro codice adotta un criterio spaziale, nel senso che la fattispecie criminosa presuppone l’amotio della cosa dal luogo in cui si trova. Ciò significa, e la giurisprudenza italiana sul codice Zanardelli lo segnalava con chiarezza, che il momento consumativo del furto si ha già con la semplice rimozione della cosa dal luogo in cui è depositata, pur non allontanandosi il ladro dall’ambiente in cui si trova”.

Riguardo alle questioni penali e civili, l’unico codice propriamente vaticano è il Codice di procedura civile emanato da Pio XII con il motu proprio dell’1 maggio 1946, mentre, come ribadito dalla legge in vigore sulle fonti del diritto, il Vaticano ha recepito e mantiene in vigore il codice civile italiano del 1942, il codice penale italiano,  In forza degli artt. 4  e ss. della legge 7 giugno 1929, n. II dello Stato della Città del Vaticano sulle Fonti del diritto è ivi ancora vigente il codice penale del Regno d’Italia (R.D. 30 giugno 1889, n. 6133).

Anche per questa ragione, perché i codici di riferimento sono italiani e la lingua ufficiale dell’ordinamento giudiziario dello Stato città del Vaticano è la lingua italiana, è prassi che siano italiane le persone chiamate a giudicare in Vaticano, anche se nessuna norma vieta che possano essere straniere.

Fin dall’inizio, si applicano nello Stato Città del Vaticano il codice penale ed il codice di procedura penale vigenti in Italia nel 1929, vale a dire in ambito sostanziale il codice Zanardelli, promulgato nel 1899, e per quanto concerne il rito il codice di procedura del 1913. Il legislatore vaticano, nell’esercizio della sua sovranità, è peraltro ripetutamente intervenuto sulla disciplina penale originariamente mutuata dal sistema italiano, apportando nel tempo una serie di modifiche, fino alle recenti riforme in tema di illeciti finanziari, con la legge 30 dicembre 2010, n. CXXVII e le successive integrazioni e modificazioni. Con Papa Francesco il processo riformatore è proseguito ed in materia di trasparenza, vigilanza e informazione finanziaria è stata emanata la legge 8 ottobre 2013, n. XVIII.

Le modifiche introdotte sono tese non solo ad intervenire sulla regolamentazione di alcuni reati, peraltro particolarmente gravi, o a configurare semplicemente nuove fattispecie incriminatrici, quanto piuttosto ad apportare una serie di riforme in termini più complessivi dell’intero ordinamento penale, per adeguarlo alle sempre crescenti esigenze di prevenzione e contrasto della criminalità, specie per quanto riguarda gli illeciti finanziari.

Nell’ambito del sistema ordinamentale dello Stato Città del Vaticano, per come fin qui sommariamente delineato, è interessante cogliere alcune suggestioni su come vengano concretamente declinati in esso alcuni dei principi propri di qualsiasi sistema penale.

Il primo di questi è certamente il principio di legalità.

Il sistema vaticano accoglie in sé il principio nullum crimen sine lege, contenuto nel codice penale italiano del 1889 recepito nello Stato Vaticano: all’articolo 1, co. 1, è infatti previsto che nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite”.

Peraltro, nel successivo articolo 9 delle Leggi sulle Fonti del diritto, rubricato “poteri del giudice in materia penale”, si dice: ”Qualora manchi qualunque disposizione penale e tuttavia sia commesso un fatto che offenda i principi di religione o della morale, l’ordine pubblico o la sicurezza delle persone o delle cose, il giudice può richiamarsi ai principi generali della legislazione per comminare pene pecuniarie sino a Euro tremila, ovvero pene detentive sino a sei mesi, applicando, se del caso, le sanzioni alternative di cui alla legge 14 dicembre 1994, n. CCXXVII”.

Ecco le peculiarità della Città del Vaticano, come Stato di tipo confessionale.

In Vaticano, per quanto realtà statuale, si “subiscono” gli influssi dell’ordinamento canonico che suggeriscono una particolare modulazione del principio di legalità.

Con la sentenza del 5 maggio 2007, il tribunale Vaticano si confrontò con un caso di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. Tale condotta non era sanzionata da specifica disposizione penale.

La questione sottoposta al tribunale Vaticano era particolarmente delicata, stante la lacuna normativa che rischiava di trasformare lo Stato Città del Vaticano in una “zona franca per detentori e spacciatori di droghe”.

Ai giudici venne in soccorso la succitata disposizione, come ricostruisce dottamente proprio l’ex presidente del tribunale vaticano, il professor Giuseppe Dalla Torre, anche estensore della sentenza richiamata: “Più specificatamente nella sentenza, dopo essersi rilevato che il principio di legalità sussiste nel diritto vaticano innanzitutto grazie al diritto canonico, fonte principale del diritto oggettivo, che lo contempla nel can. 221 $ 3 del codex iuris canonici, ci si soffermava sul sottoprincipio di tassatività o sufficiente determinatezza della fattispecie penale, che nella disposizione in esame appariva come il vero punto cruciale. Al riguardo si osservava come <nella legiferazione, anche in materia penale, in taluni casi il legislatore è costretto ad una etero-integrazione degli elementi normativi, cioè a rinviare ad esempio a concetti che attengono a comportamenti sociali o di costume, ma prima ancora a principi etici fondamentali: si pensi, pel primo caso, al parametro del ‘comune sentimento del pudore’ in apporto al reato di atti osceni; si pensi, nel secondo caso, al riferimento alla ‘dignità della persona umana’ sempre più presente negli ordinamenti giuridici delle moderne democrazie>.

Precisamente in questo ambito, proseguiva la sentenza <proprio negli ordinamenti democratici, maggiore è il dibattito dottrinale e l’oscillazione della giurisprudenza, tra esigenze garantistiche della persona ed esigenze garantistiche dei beni che la legge penale vuole tutelare. E tuttavia da questa zona di confine si può cogliere il rispetto del principio di tassatività, e, quindi, di legalità, ogni qual volta il segno linguistico riesca a connotare il parametro valutativo, cioè quando la determinazione legislativa dei parametri valutativi sarà univoca e oggettivamente controllabile>.

Il tribunale vaticano a sostegno delle proprie convinzioni richiama la sentenza del 22 novembre 1995 della Corte EDU, Presidente Ryssdal, C.R. c. Regno Unito, che ha stabilito: “l’interpretazione da parte del giudice costituisce un elemento portante del sistema penale, sicché lo stesso principio di legalità non esclude l’interpretazione giudiziale soprattutto quando essa non sia incompatibile con l’essenza del reato e possa ragionevolmente essere prevista”.

L’articolo 9 delle Leggi sulle Fonti non va allora considerato come un generico criterio estensivo della punibilità in caso di lacuna legis, quanto piuttosto introduce esso stesso una nuova (tassativa e tipica) fattispecie incriminatrice, configurando come reato ogni “fatto che offenda i principi della religione o della morale, l’ordine pubblico o la sicurezza delle persone o delle cose”. In questo caso, per determinare in concreto la condotta penalmente rilevante già individuata in modo determinato dalla legge, si deve far riferimento ad elementi integrativi esterni, quali i concetti di morale, ordine e sicurezza pubblica, che risultano peraltro sempre previamente conoscibili, anche secondo la comune sensibilità.

Diceva Andreotti, il politico più vicino al Sacro Soglio: “A pensar male del prossimo si fa peccato ma spesso ci si indovina”, fare le indagini e i processi nel tribunale di Piazza Marta garantisce una giustizia silente. Soprattutto, permette di evitare schizzi di fango e processi sommari televisivi come siamo abituati nel laico e democratico Stato italiano.

Benny Lai, I segreti del Vaticano da Pio XII a Giovanni Paolo II, Laterza, 1984, pagine 122 ss

F. Cammeo, Ordinamento giuridico dello Stato della Città del vaticano, ristampa anastatica, Città del Vaticano, LEV, 2005, pagine 213ss.

Giuseppe Dalla Torre, L’ordinamento costituzionale vaticano nel suo sviluppo storico in F. Cammeo vedi sopra.

P. A. Bonnet, Le fonti normative e la funzione legislativa nello Stato della Città del Vaticano, in Archivio giuridico, vol. CCXXIX, fasc. 4, 2009, pagg. 457 ss.

Giuseppe Dalla Torre, Aspetti della giustizia vaticana in Stato, Chiese e pluralismo confessionale n. 18/2013 pagina 6.

Sentenza del 5 maggio 2007 in Cassazione Penale, 2009, n. 5 pagine 2198 ss., Eugenio Selvaggi, in Cassazione penale 2009, pagina 2202, Osservazioni 

Giulio Andreotti, Il potere logora … ma è meglio non perderlo, Rizzoli, 1990