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Elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio: indice di conoscenza effettiva o mera presunzione?

Elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio: indice di conoscenza effettiva o mera presunzione?
Elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio: indice di conoscenza effettiva o mera presunzione?

Sommario:

1. Premessa

2. Il diritto di partecipazione processuale e l’elezione di domicilio

3. Tra questione di legittimità costituzionale e lettura costituzionalmente orientata

4. Conclusioni

1. Premessa

Questo articolo, partendo da una recente ordinanza del Tribunale di Asti, si pone come obiettivo quello di indagare sinteticamente su uno dei punti più controversi del nuovo articolo 420 bis del c.p.p. (Codice di Procedura Penale), in accordo con cui l’elezione di domicilio è atto idoneo a provare l’effettiva conoscenza del procedimento penale da parte dell’imputato.

La questione non è di facile risoluzione, e se da un lato c’è chi paventa l’incostituzionalità di parte della disciplina inerente l’elezione di domicilio, dall’altra, invece, vi è chi offre una lettura costituzionalmente orientata del summenzionato articolo 420 bis c.p.p.

2. Il diritto di partecipazione processuale e lelezione di domicilio

Con l’ordinanza del 10 novembre 2015, il Tribunale di Asti, ritenuta la rilevanza ai fini del processo in corso e la non manifesta infondatezza, ha sollevato questione di legittimità costituzionale in relazione agli articoli 161 e 163 c.p.p. nella parte in cui non prevedono la notifica personale dell’atto introduttivo del giudizio penale, «quantomeno nellipotesi di elezione di domicilio presso il difensore nominato dufficio e alla stregua dei parametri di cui agli articoli 2, 3, 21, 24, 11, 117 della Costituzione, 14 Patto internazionale sui diritti civili e politici, 6 CEDU». Tale ordinanza ha di fatto messo in luce uno dei punti più critici dell’articolo 420 bis c.p.p, introdotto dalla Legge 28 aprile 2014 n. 67 e posto a cardine della novella disciplina del procedimento in absentia.

Per poter comprendere la portata di una tale problematica, occorre senza dubbio partire dal dato normativo e più precisamente dal secondo comma dell’art. 420 bis c.p.p., in accordo con cui «salvo quanto previsto dall’articolo 420 ter, il giudice procede altresì in assenza dell'imputato che nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio ovvero sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare ovvero abbia nominato un difensore di fiducia, nonché nel caso in cui l'imputato assente abbia ricevuto personalmente la notificazione dell'avviso dell'udienza ovvero risulti comunque con certezza che lo stesso è a conoscenza del procedimento o si è volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo».

La predetta disposizione di legge è stata introdotta dal legislatore italiano al fine di conformare la disciplina nazionale ai dettami della Corte di Strasburgo in materia di processo in assenza dell’imputato. Sebbene, infatti, la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) non riconosca espressamente il diritto dell’accusato a partecipare al giudizio penale a suo carico, in più occasioni, lo ha qualificato come strumentale all’esercizio del diritto di difesa e di auotdifesa e quindi quale garanzia di un equo processo[1]. Tuttavia, al pari dell’ordinamento italiano, anche la giurisprudenza della Corte EDU ritiene che un tale diritto sia rinunciabile da parte dell’interessato, a patto, però, che la rinuncia sia assolutamente chiara ed inequivoca, non confligga con interessi pubblici significativi e sia assistita da alcune salvaguardie minime[2]. È pertanto necessario che l’autorità procedente dimostri, al di là di ogni ragionevole dubbio, che l’imputato abbia volontariamente rinunciato a presenziare il procedimento.

Nella logica dell’adeguamento, quindi, il legislatore ha cercato di individuar una serie di indicatori sintomatici dell’effettiva conoscenza del giudizio da parte dell’imputato. Tra questi ve ne sono alcuni la cui “valenza probatoria” è assolutamente indubbia, si pensi, ad esempio, alla nomina fiduciaria o ancora alle ipotesi in cui l’indagato sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare.

Al contempo, però, ve ne sono altri, che più che provare in concreto la consapevolezza del procedimento, fondano una mera presunzione di conoscenza dello stesso, rendendo pertanto difficile dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che l’assenza dell’interessato sia stata frutto di una sua inequivoca scelta.

A quest’ultimo gruppo appartiene senza dubbio l’elezione di domicilio, o quantomeno l’elezione di domicilio presso il difensore nominato d’ufficio. Come evidenziato dallo stesso Tribunale di Asti, infatti, non tutte le elezioni sono uguali, un conto è eleggere domicilio presso il difensore di fiducia, un conto è farlo presso il legale d’ufficio. Se nel primo caso sussiste un rapporto fiduciario tra avvocato e cliente[3], nella seconda ipotesi accede spesso che il difensore, non essendo prontamente contattato dall’interessato, viene a conoscenza del procedimento solo diversi mesi dopo, tendenzialmente alla notifica del primo atto da parte dell’autorità procedente, riscontrando, il più delle volte, non poche difficoltà nel reperire l’effettivo destinatario dell’atto notificato.

3. Tra questione di legittimità costituzionale e interpretazione costituzionalmente orientata

Alla luce di tali osservazioni, occorre quindi interrogarsi fino a che punto, l’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio possa considerarsi atto idoneo a provare la conoscenza del procedimento da parte dell’imputato.

In accordo con l’articolo 6 co. 3 lett. a) CEDU «ogni accusato ha diritto di essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico». La Convenzione EDU tutela quindi espressamente il diritto del reo a conoscere l’imputazione a suo carico, in quanto assolutamente necessario ai fini dell’esercizio del diritto di difesa. Occorre pertanto domandarsi se l’elezione di domicilio, che avviene in una fase embrionale del procedimento, sia effettivamente idonea a ragguagliare l’imputato sull’atto formale dell’accusa.

Secondo quanto sostenuto nella propria ordinanza dal Giudice astigiano, un tale atto avrebbe, in realtà, un valore informativo praticamente nullo, poiché tendenzialmente si limita ad indicare gli articoli di legge penale che si ritengono violati. Al contrario, alcuni eminenti commentatori[4], hanno dimostrato come non sempre il quantum informativo offerto dall’elezione di domicilio sia da considerarsi insufficiente.

In tale ottica, però, è essenziale che il giudice non si limiti a constatare la mera esistenza dell’atto di elezione, ma vada a verificare se in concreto le modalità e le forme dello stesso siano state tali da garantire all’interessato una piena consapevolezza dell’esistenza del procedimento. A tal fine, quindi, è indispensabile che «il procedimento sia ben individuato, che siano indicate in modo completo le norme di legge che si assumono violate»[5], la data e il luogo del fatto, e che sia precisato il nome del difensore assegnato d’ufficio e scelto quale domiciliatario dall’indagato. Tuttavia, nel caso di imputato straniero, il giudice, prima di indagare sulla forma e le modalità dell’atto di elezione, dovrà preliminarmente verificare la capacità del prevenuto di comprendere la lingua italiana.

A tal proposito, però, appare opportuno precisare che, un conto è capire sommariamente l’italiano, un conto, invece, è riuscire ad intendere una serie di avvisi tecnici, formulati in quello che potrebbe ben essere definito un “italiano giuridico”. Bisogna infatti evidenziare che, l’invito a dichiarare o eleggere domicilio e i relativi avvisi non sono tra gli atti per cui debba essere disposta la traduzione obbligatoria ex articolo 143 c.p.p.[6]. Tuttavia, in accordo con il terzo comma del summenzionato articolo, il giudice[7] può disporre la traduzione di un atto, o di una sua parte, ogniqualvolta lo ritenga essenziale «per consentire all’imputato di conoscere le imputazioni a suo carico». Pertanto, laddove il soggetto straniero decida di eleggere domicilio, considerate le rilevanti conseguenze giuridiche dell’atto, sarebbe opportuno che l’autorità procedente disponesse la traduzione dell’atto ex articolo 143 co. 3 c.p.p.

4. Conclusioni

Sembra quindi che l’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio possa essere considerata atto idoneo a provare la conoscenza del procedimento da parte dell’imputato, laddove il giudice non si limiti a constatare la mera esistenza dell’atto di elezione in sé, ma verifichi caso per caso l’idoneità dello stesso a garantire all’accusato l’effettiva conoscenza del procedimento a suo carico. L’autorità giudiziaria deve, dunque, approcciarsi in modo critico al disposto dell’articolo 420 bis comma 2, non “accontentandosi” di una mera presunzione di conoscenza, ma procedendo ad accertamenti in concreto.

Al momento, pur in attesa di sapere quale sarà la decisione della Consulta in merito alla costituzionalità degli articolo 161 e 163 c.p.p., sembra comunque auspicabile un nuovo intervento legislativo[8]. Sebbene, infatti, una lettura costituzionalmente orientata dell’articolo 420 bis comma 2 si sia rivelata possibile, la disciplina del procedimento in absentia, quantomeno sotto questo profilo, non sembra ancora soddisfare in pieno i dettami della giurisprudenza di Strasburgo.

 

[1] Ex multis, Corte eur. dir. uomo, Gr. Cam., 1° marzo 2006, Sejdovic c. Italia, n. 56581/00; Id., 4 marzo 2014, Dilipk e Karakaya c. Turchia, n. 7942/05.

[2] Corte eur. dir. uomo, Gr. Cam., 18 ottobre 2006, Hermi c. Italia, n. 18114/02; Id, 1° marzo 2006, Sejdovic c. Italia cit.; Id., 13 aprile 2006, Vaturi c. Francia, n. 75699/01.

[3] La stessa Corte costituzionale ha infatti affermato che sebbene non possa escludersi la sussistenza di un onere di diligenza e cooperazione a carico del destinatario delle notifiche, occorre comunque distinguere tra difesa di fiducia e difesa d’ufficio. È il vincolo fiduciario, infatti, che fa sorgere un dovere di continua informazione del difensore nei confronti del proprio cliente (Corte cost., 5 maggio 2008, n. 136).

[4] l. vignale, Domicilio dichiarato o eletto e processo in absentia,, 26 giugno 2014, in www.questionegiustizia.it; a. ciavola, Assenza dellimputato e dubbia sintomaticità dellelezione di domicilio presso il difensore dufficio: una lettura costituzionalmente orientata, in Archivio Penale, n. 1, 2016.

[5] a. ciavola, op. ult. cit.

[6] A meno che, ovviamente, l’invito non si accompagni a quegli atti, quali ad esempio l’informazione di garanzia, per cui è prescritta la traduzione obbligatoria ex art. 143 co. 2 c.p.p.

[7] a. ciavola, op. ult. cit. precisa infatti che il termine “giudice” può e deve essere inteso nel senso di “autorità procedente”, dal momento che la conoscenza dell’accusa e la partecipazione processuale devono essere garantite da ogni magistrato.

[8] A parere di chi scrive si potrebbe, ad esempio, insistere sugli avvisi che accompagnano l’atto di elezione di domicilio, rendendoli più chiari e comprensibili ad un pubblico non esperto, e disponendone la traduzione obbligatoria in presenza di indagato/imputato alloglotta, dal momento che le conseguenze giuridiche che ne scaturiscono sono estremamente rilevanti.

Sommario:

1. Premessa

2. Il diritto di partecipazione processuale e l’elezione di domicilio

3. Tra questione di legittimità costituzionale e lettura costituzionalmente orientata

4. Conclusioni

1. Premessa

Questo articolo, partendo da una recente ordinanza del Tribunale di Asti, si pone come obiettivo quello di indagare sinteticamente su uno dei punti più controversi del nuovo articolo 420 bis del c.p.p. (Codice di Procedura Penale), in accordo con cui l’elezione di domicilio è atto idoneo a provare l’effettiva conoscenza del procedimento penale da parte dell’imputato.

La questione non è di facile risoluzione, e se da un lato c’è chi paventa l’incostituzionalità di parte della disciplina inerente l’elezione di domicilio, dall’altra, invece, vi è chi offre una lettura costituzionalmente orientata del summenzionato articolo 420 bis c.p.p.

2. Il diritto di partecipazione processuale e lelezione di domicilio

Con l’ordinanza del 10 novembre 2015, il Tribunale di Asti, ritenuta la rilevanza ai fini del processo in corso e la non manifesta infondatezza, ha sollevato questione di legittimità costituzionale in relazione agli articoli 161 e 163 c.p.p. nella parte in cui non prevedono la notifica personale dell’atto introduttivo del giudizio penale, «quantomeno nellipotesi di elezione di domicilio presso il difensore nominato dufficio e alla stregua dei parametri di cui agli articoli 2, 3, 21, 24, 11, 117 della Costituzione, 14 Patto internazionale sui diritti civili e politici, 6 CEDU». Tale ordinanza ha di fatto messo in luce uno dei punti più critici dell’articolo 420 bis c.p.p, introdotto dalla Legge 28 aprile 2014 n. 67 e posto a cardine della novella disciplina del procedimento in absentia.

Per poter comprendere la portata di una tale problematica, occorre senza dubbio partire dal dato normativo e più precisamente dal secondo comma dell’art. 420 bis c.p.p., in accordo con cui «salvo quanto previsto dall’articolo 420 ter, il giudice procede altresì in assenza dell'imputato che nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio ovvero sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare ovvero abbia nominato un difensore di fiducia, nonché nel caso in cui l'imputato assente abbia ricevuto personalmente la notificazione dell'avviso dell'udienza ovvero risulti comunque con certezza che lo stesso è a conoscenza del procedimento o si è volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo».

La predetta disposizione di legge è stata introdotta dal legislatore italiano al fine di conformare la disciplina nazionale ai dettami della Corte di Strasburgo in materia di processo in assenza dell’imputato. Sebbene, infatti, la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) non riconosca espressamente il diritto dell’accusato a partecipare al giudizio penale a suo carico, in più occasioni, lo ha qualificato come strumentale all’esercizio del diritto di difesa e di auotdifesa e quindi quale garanzia di un equo processo[1]. Tuttavia, al pari dell’ordinamento italiano, anche la giurisprudenza della Corte EDU ritiene che un tale diritto sia rinunciabile da parte dell’interessato, a patto, però, che la rinuncia sia assolutamente chiara ed inequivoca, non confligga con interessi pubblici significativi e sia assistita da alcune salvaguardie minime[2]. È pertanto necessario che l’autorità procedente dimostri, al di là di ogni ragionevole dubbio, che l’imputato abbia volontariamente rinunciato a presenziare il procedimento.

Nella logica dell’adeguamento, quindi, il legislatore ha cercato di individuar una serie di indicatori sintomatici dell’effettiva conoscenza del giudizio da parte dell’imputato. Tra questi ve ne sono alcuni la cui “valenza probatoria” è assolutamente indubbia, si pensi, ad esempio, alla nomina fiduciaria o ancora alle ipotesi in cui l’indagato sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare.

Al contempo, però, ve ne sono altri, che più che provare in concreto la consapevolezza del procedimento, fondano una mera presunzione di conoscenza dello stesso, rendendo pertanto difficile dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che l’assenza dell’interessato sia stata frutto di una sua inequivoca scelta.

A quest’ultimo gruppo appartiene senza dubbio l’elezione di domicilio, o quantomeno l’elezione di domicilio presso il difensore nominato d’ufficio. Come evidenziato dallo stesso Tribunale di Asti, infatti, non tutte le elezioni sono uguali, un conto è eleggere domicilio presso il difensore di fiducia, un conto è farlo presso il legale d’ufficio. Se nel primo caso sussiste un rapporto fiduciario tra avvocato e cliente[3], nella seconda ipotesi accede spesso che il difensore, non essendo prontamente contattato dall’interessato, viene a conoscenza del procedimento solo diversi mesi dopo, tendenzialmente alla notifica del primo atto da parte dell’autorità procedente, riscontrando, il più delle volte, non poche difficoltà nel reperire l’effettivo destinatario dell’atto notificato.

3. Tra questione di legittimità costituzionale e interpretazione costituzionalmente orientata

Alla luce di tali osservazioni, occorre quindi interrogarsi fino a che punto, l’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio possa considerarsi atto idoneo a provare la conoscenza del procedimento da parte dell’imputato.

In accordo con l’articolo 6 co. 3 lett. a) CEDU «ogni accusato ha diritto di essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico». La Convenzione EDU tutela quindi espressamente il diritto del reo a conoscere l’imputazione a suo carico, in quanto assolutamente necessario ai fini dell’esercizio del diritto di difesa. Occorre pertanto domandarsi se l’elezione di domicilio, che avviene in una fase embrionale del procedimento, sia effettivamente idonea a ragguagliare l’imputato sull’atto formale dell’accusa.

Secondo quanto sostenuto nella propria ordinanza dal Giudice astigiano, un tale atto avrebbe, in realtà, un valore informativo praticamente nullo, poiché tendenzialmente si limita ad indicare gli articoli di legge penale che si ritengono violati. Al contrario, alcuni eminenti commentatori[4], hanno dimostrato come non sempre il quantum informativo offerto dall’elezione di domicilio sia da considerarsi insufficiente.

In tale ottica, però, è essenziale che il giudice non si limiti a constatare la mera esistenza dell’atto di elezione, ma vada a verificare se in concreto le modalità e le forme dello stesso siano state tali da garantire all’interessato una piena consapevolezza dell’esistenza del procedimento. A tal fine, quindi, è indispensabile che «il procedimento sia ben individuato, che siano indicate in modo completo le norme di legge che si assumono violate»[5], la data e il luogo del fatto, e che sia precisato il nome del difensore assegnato d’ufficio e scelto quale domiciliatario dall’indagato. Tuttavia, nel caso di imputato straniero, il giudice, prima di indagare sulla forma e le modalità dell’atto di elezione, dovrà preliminarmente verificare la capacità del prevenuto di comprendere la lingua italiana.

A tal proposito, però, appare opportuno precisare che, un conto è capire sommariamente l’italiano, un conto, invece, è riuscire ad intendere una serie di avvisi tecnici, formulati in quello che potrebbe ben essere definito un “italiano giuridico”. Bisogna infatti evidenziare che, l’invito a dichiarare o eleggere domicilio e i relativi avvisi non sono tra gli atti per cui debba essere disposta la traduzione obbligatoria ex articolo 143 c.p.p.[6]. Tuttavia, in accordo con il terzo comma del summenzionato articolo, il giudice[7] può disporre la traduzione di un atto, o di una sua parte, ogniqualvolta lo ritenga essenziale «per consentire all’imputato di conoscere le imputazioni a suo carico». Pertanto, laddove il soggetto straniero decida di eleggere domicilio, considerate le rilevanti conseguenze giuridiche dell’atto, sarebbe opportuno che l’autorità procedente disponesse la traduzione dell’atto ex articolo 143 co. 3 c.p.p.

4. Conclusioni

Sembra quindi che l’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio possa essere considerata atto idoneo a provare la conoscenza del procedimento da parte dell’imputato, laddove il giudice non si limiti a constatare la mera esistenza dell’atto di elezione in sé, ma verifichi caso per caso l’idoneità dello stesso a garantire all’accusato l’effettiva conoscenza del procedimento a suo carico. L’autorità giudiziaria deve, dunque, approcciarsi in modo critico al disposto dell’articolo 420 bis comma 2, non “accontentandosi” di una mera presunzione di conoscenza, ma procedendo ad accertamenti in concreto.

Al momento, pur in attesa di sapere quale sarà la decisione della Consulta in merito alla costituzionalità degli articolo 161 e 163 c.p.p., sembra comunque auspicabile un nuovo intervento legislativo[8]. Sebbene, infatti, una lettura costituzionalmente orientata dell’articolo 420 bis comma 2 si sia rivelata possibile, la disciplina del procedimento in absentia, quantomeno sotto questo profilo, non sembra ancora soddisfare in pieno i dettami della giurisprudenza di Strasburgo.

 

[1] Ex multis, Corte eur. dir. uomo, Gr. Cam., 1° marzo 2006, Sejdovic c. Italia, n. 56581/00; Id., 4 marzo 2014, Dilipk e Karakaya c. Turchia, n. 7942/05.

[2] Corte eur. dir. uomo, Gr. Cam., 18 ottobre 2006, Hermi c. Italia, n. 18114/02; Id, 1° marzo 2006, Sejdovic c. Italia cit.; Id., 13 aprile 2006, Vaturi c. Francia, n. 75699/01.

[3] La stessa Corte costituzionale ha infatti affermato che sebbene non possa escludersi la sussistenza di un onere di diligenza e cooperazione a carico del destinatario delle notifiche, occorre comunque distinguere tra difesa di fiducia e difesa d’ufficio. È il vincolo fiduciario, infatti, che fa sorgere un dovere di continua informazione del difensore nei confronti del proprio cliente (Corte cost., 5 maggio 2008, n. 136).

[4] l. vignale, Domicilio dichiarato o eletto e processo in absentia,, 26 giugno 2014, in www.questionegiustizia.it; a. ciavola, Assenza dellimputato e dubbia sintomaticità dellelezione di domicilio presso il difensore dufficio: una lettura costituzionalmente orientata, in Archivio Penale, n. 1, 2016.

[5] a. ciavola, op. ult. cit.

[6] A meno che, ovviamente, l’invito non si accompagni a quegli atti, quali ad esempio l’informazione di garanzia, per cui è prescritta la traduzione obbligatoria ex art. 143 co. 2 c.p.p.

[7] a. ciavola, op. ult. cit. precisa infatti che il termine “giudice” può e deve essere inteso nel senso di “autorità procedente”, dal momento che la conoscenza dell’accusa e la partecipazione processuale devono essere garantite da ogni magistrato.

[8] A parere di chi scrive si potrebbe, ad esempio, insistere sugli avvisi che accompagnano l’atto di elezione di domicilio, rendendoli più chiari e comprensibili ad un pubblico non esperto, e disponendone la traduzione obbligatoria in presenza di indagato/imputato alloglotta, dal momento che le conseguenze giuridiche che ne scaturiscono sono estremamente rilevanti.