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Elogio della trasparenza

Lago Trasimeno, 2015
Ph. Alessandro Saggio / Lago Trasimeno, 2015

Con il tacito consenso del Ministro della Giustizia, ogni anno il P.G. presso la Suprema Corte emette mediamente oltre 1200 provvedimenti d'archiviazione disciplinare nei confronti dei magistrati ordinari, ma nessuno li può leggere.

Illustrissimo direttore del quotidiano «FILODIRITTO»

Lo scandalo delle Toghe Sporche è oggetto di procedimento penale presso la Procura della Repubblica di Perugia. Inoltre, tutte le condotte dei magistrati inquisiti o coinvolti a diverso titolo dalle intercettazioni pubblicate dalla stampa sono – o saranno – oggetto di indagine disciplinare da parte del Procuratore Generale presso la Suprema Corte di Cassazione. Infatti, dovendo garantire il rispetto della legge da parte dei cittadini, il magistrato è tenuto innanzi tutto ad osservare i doveri sommi impostigli dal proprio statuto professionale: «Il magistrato esercita le funzioni attribuitegli con imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo e equilibrio e rispetta la dignità della persona nell'esercizio delle funzioni» (articolo 1 del Decreto legislativo n. 109 del 2006).

La legge impone al Procuratore Generale l’obbligo di esercitare l’azione disciplinare, per prevenire che egli possa agire pro amico vel contra inimicum, mentre il Ministro della Giustizia ne ha soltanto la facoltà, che esercita in base a valutazioni sostanzialmente politiche.

In realtà, a fronte di una denuncia disciplinare (del cittadino, di un avvocato, di un magistrato), con motivato provvedimento il P.G. può invece discrezionalmente archiviare se il Ministro non si opponga espressamente, giacché, per effetto della riforma Mastella risalente al 2006, è stata abrogata la disposizione che riservava al C.S.M. la declaratoria di non luogo a procedere richiesta dal P.G. Al C.S.M., titolare del potere sanzionatorio nei confronti dei magistrati ordinari, pervengono quindi soltanto le notizie disciplinari discrezionalmente non archiviate dal P.G. Per altro, in sede disciplinare il P.G. può archiviare anche in fattispecie alquanto elastiche perché, per legge, «L'illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza».

Non è l’unica grave anomalia del sevizio disciplinare: malis mala succedunt. Con sentenza 6 aprile 2020 n. 2309 - in netto contrasto con lo spirito della sentenza dell’Adunanza Plenaria 2 aprile 2020, n. 10 - il Consiglio di Stato ha statuito che l’archiviazione del P.G. è accessibile soltanto al Ministro della Giustizia, restando perciò interamente opaca per l’autore della segnalazione disciplinare e perfino per il magistrato indagato e il C.S.M. Tuttavia neppure il P.G. si adegua alla ricordata decisione del C.D.S., perché di regola egli, allorché l’autore dell’esposto disciplinare chieda di conoscerne l’esito, risponde che l’indagine è stata archiviata, rifiutando l’ostensione della sola motivazione. Talvolta, inoltre, sfuggendo al proclamato segreto e alla decennale prassi, è dato leggere in articoli di dottrina giuridica interi stralci della motivazione dell’archiviazione disciplinare.

Perché sono importanti i predetti rilievi? Perché nel periodo 2012-2018 (sette anni) risultano iscritte mediamente ogni anno n. 1380 notizie d’illecito disciplinare (segnalazioni con cui avvocati o cittadini denunciano abusi dei magistrati). Ogni anno il 91,6% di tali notizie (cioè n. 1264) è stato archiviato dal P.G. e quindi soltanto per n. 116 di esse è stata esercitata l’azione disciplinare.

Consegue che mediamente ogni anno oltre 1260 archiviazioni sono destinate al definitivo oblio, sebbene conoscerne la motivazione è tanto importante quanto apprendere le ragioni (a tutti accessibili) per cui le sanzioni vengono disposte dal C.S.M. La ‘casa’ della funzione disciplinare, pilastro e primo avamposto della legalità, è dunque velata senza alcuna concreta ragione.

Non è così infatti per altre archiviazioni. In ambito penale, se sia stata emessa l’archiviazione, qualunque interessato (indagato, terzo, denunciante o querelante) normalmente ha diritto di averne copia (articolo 116 c.p.p.), essendo venute meno le ragioni della segretezza. Le archiviazioni disciplinari nei confronti degli avvocati sono d’ufficio notificate al denunciante; anche quelle nei confronti dei magistrati amministrativi sono ostese a chiunque ne abbia interesse. La segretezza delle archiviazioni disciplinari del P.G. è quindi un inquietante unicum, specialmente a volere considerare che la Corte Costituzionale ha sancito da tempo «l'abbandono di schemi obsoleti, ereditati dalla legislazione anteriore e ancora attivi dopo l'entrata in vigore della Costituzione, imperniati sull'idea, che rimandava ad antichi pregiudizi corporativi, secondo cui la miglior tutela del prestigio dell'ordine giudiziario era racchiusa nel carattere di riservatezza del procedimento disciplinare» (sent. n. 497/ 2000). Anche il Consiglio Superiore della Magistratura ha sposato il principio generale della trasparenza (delibera del 5.3.2014).

Le indagini penali nei confronti di taluni magistrati membri del C.S.M., coinvolti nello scandalo delle Toghe sporche, inevitabilmente hanno avuto - o avranno – anche un risvolto disciplinare. Se in qualche caso il P.G. archiviasse – com’è in suo potere - non ne sapremo mai la ragione; eventuali archiviazioni in sede penale sarebbero invece accessibili. Absurdissimum, se si considera che, in sede disciplinare (come in sede penale), per il magistrato indagato l’archiviazione rappresenta l’esito più fausto e ambito (una ... medaglia al valore giudiziario), anche rispetto alla sentenza di assoluzione emessa dal C.S.M. o dalle Sezioni Unite (a tutti accessibile).

Mai come in questo momento si rivela fondamentale il principio generale della trasparenza: «Dove un superiore, pubblico interesse non imponga un momentaneo segreto, la casa dell’amministrazione dovrebbe essere di vetro.» (Filippo Turati, in Atti del Parlamento italiano, Camera dei deputati, sess. 1904-1908, 17 giugno 1908, p. 22962).

Dopo oltre un secolo, introdotta finalmente la legge sulla trasparenza (Decreto legislativo n. 33/2013 e succ. mod.), è tempo che, specialmente in questa grave contingenza storica, anche la casa dell’archiviazione disciplinare cessi di essere opaca senza alcuna plausibile ragione. Se la decisione amministrativa o giurisdizionale si distingue da «un pugno sul tavolo» soltanto in virtù della motivazione, non è ormai accettabile che, al cittadino o all’avvocato che abbia segnalato qualche abuso dei magistrati, il Procuratore Generale risponda perentoriamente: archivio perché ...archivio!

La rinascita della magistratura, ‘disfatta’ dai recenti scandali, ne presuppone la più ampia, spontanea e convinta trasparenza.

È opportuno che la questione sia oggetto di ampio dibattito pubblico anche sulle testate giornalistiche non giuridiche, in conformità agli stessi valori del controllo democratico, dettati negli Stati Uniti dal Freedom of Information Act (F.O.I.A.) il 4 luglio 1966; valori finalmente recepiti - oltre che dalle istituzioni sovranazionali - anche dal nostro ordinamento con Decreto legislativo n. 33/2013 e succ. mod., che ha segnato non a caso «il passaggio dal bisogno di conoscere al diritto di conoscere» (from need to right to know). Non è un caso che sotto la testata del Washington Post, diffusissimo giornale statunitense, si legge «democracy dies in darkness» («la democrazia muore nelle tenebre»).

Mentre la questione è al vaglio del Consiglio Superiore della Magistratura, come attestato dal ricorso allegato, la Stampa può contribuire all’attivazione del controllo democratico sul potere giacché, nel momento in cui la Giustizia è attaccata dal virus dell’ambizione personale dei magistrati coinvolti nell’ultimo scandalo, «La luce del sole è il miglior disinfettante».

 Vivissime cordialità.

 

Allegato: ricorso al Consiglio Superiore della Magistratura.