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Focus sulla Riforma Cartabia

Spiaggia del Sardinero Santader
Ph. Consuelo Corsini / Spiaggia del Sardinero Santader

Abstract: “Con la Riforma Cartabia lo Stato italiano apporta importanti cambiamenti ai codici penale e di procedura penale, fra le altre cose modificando il regime della prescrizione e cercando, finalmente, di mettersi in regola con le richieste dell’Unione Europea e della Corte di Strasburgo di porre un argine alla nota problematica delle eccessive lungaggini processuali con l’introduzione di una nuova causa di improcedibilità. L’autore illustra brevemente le modifiche apportate e analizza l’impatto della novella.”

“Italy, with the recent bill passed by the parliament and called Riforma Cartabia, makes important changes to the Criminal Code and to the Criminal Proceedings Code, modifying the legal regime of prescription and aiming to implement the requests from the EU and the ECHR to finally put an end to the tragically well-known problem of the length of Italian proceedings, through the prevision of new grounds for discontinuing criminal proceedings. The author briefly explains the new discipline and makes some considerations about the new law.”

 

Contestualizzazione della Riforma Cartabia e iter legislativo

Il 23 settembre 2021 la Riforma Cartabia, fortemente voluta dalla Ministra della Giustizia del Governo Draghi (da cui prende il nome), è stata approvata anche al Senato con una doppia votazione su cui era stata posta la fiducia, relativa ognuna ad uno dei due articoli di cui si compone il testo e che saranno di seguito illustrati.

L’iniziativa che ha portato all’adozione della Riforma Cartabia, tuttavia, risale al Governo Conte bis, quando il giorno 13 marzo 2020 venne presentato alla Camera il d.d.l. A.C. 2435, il quale fu successivamente sottoposto ad una indagine conoscitiva deliberata dalla Commissione Giustizia ed emendata sulla base dei lavori svolti dalla Commissione c.d. Lattanzi (insediata durante il Governo Draghi).

 

Il testo definitivamente approvato

La conclusione dell’esame da parte della Commissione Giustizia sulla Riforma Cartabia ebbe, dunque, luogo il 30 luglio 2021 e ha prodotto un testo composto di due articoli.

Con il primo articolo, la Riforma Cartabia conferisce una delega legislativa al Governo, della durata di un anno, ai fini della modifica dei codici penale e di procedura penale mirata principalmente allo snellimento dei procedimenti, alla transizione al digitale del processo penale ed alla ristrutturazione della disciplina dei riti speciali e delle misure alternative alla pena.

Con il secondo articolo, invece, la novella apporta immediate modifiche ai medesimi codici che concernono, fra le altre, l’introduzione di una causa di interruzione del decorso del termine di prescrizione dei reati con la pronuncia della sentenza di primo grado (articolo 161-bis, c.p.), la previsione di una nuova causa di improcedibilità conseguente al mancato rispetto dei termini di ragionevole durata del giudizio d’appello e di cassazione (344-bis, c.p.p.) e l’adozione di una serie di cautele per le persone offese dai reati di omicidio tentato e di violenza domestica o di genere nelle forme tentata e consumata tra cui l’obbligo di notificazione alle stesse della scarcerazione dell’imputato e l’obbligo di arresto in flagranza di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa di cui all’articolo 387-bis c.p.

 

Riforma Cartabia e prescrizione: un rifiuto definitivo?

Le modifiche apportate dalla Riforma Cartabia hanno subito dato luogo a molte discussioni, soprattutto riguardo la disciplina della prescrizione e l’introduzione della nuova causa di improcedibilità.

La prima risponde evidentemente al crescente sdegno, nell’opinione pubblica, nel vedere dichiarati estinti reati comunemente ritenuti meritevoli di repressione a causa dell’inerzia e del sovraccarico degli uffici giudiziari.

La Riforma Cartabia, quindi, ha introdotto nel codice di rito un nuovo articolo 161-bis, a norma del quale viene introdotta una causa di interruzione del decorso della prescrizione al momento della pronuncia della sentenza di primo grado, sia di condanna che di assoluzione. Anche in tali casi, tuttavia, il diritto alla prescrizione del reato non sarebbe definitivamente perso da parte dell’imputato, in quanto il termine ricomincerebbe a decorrere nel caso in cui, a seguito di annullamento, si avesse regressione del giudizio al primo grado.

Sotto tale prospettiva, bisognerebbe comunque riconoscere l’estensibilità dei principi di stabilità del giudicato, per cui, in caso di annullamento parziale, dovrebbe ricominciare a decorrere il termine di prescrizione solamente per quanto riguarda l’oggetto o gli oggetti del nuovo giudizio, formandosi sugli altri giudicato.

 

Sull’improcedibilità per decorso dei termini d’appello e di cassazione

Conseguentemente, si rendeva però necessario recuperare almeno parzialmente quella funzione di alleggerimento del carico di lavoro che, indirettamente, la prescrizione svolgeva. Così, un po’ a far rientrare dalla finestra ciò che si era cacciato dalla porta, la Riforma Cartabia ha introdotto (con il nuovo articolo 344-bis) la nuova causa di improcedibilità dell’azione penale per eccessiva durata dei procedimenti d’appello e di cassazione.

Inoltre, la stessa modifica si rendeva necessaria anche per adempiere agli obblighi imposti al nostro stato per accedere al recovery fund, dato che l’Unione Europea richiedeva che finalmente l’Italia operasse un abbattimento dei tempi, notoriamente eccessivi, dei procedimenti (non solo penali) riportandoli entro la media europea.

Ma l’escamotage ideato dalla Riforma Cartabia mira anche ad un altro fine: non è casuale, infatti, che i termini prescritti siano di due anni per l’appello e di uno per il giudizio, pari ai termini contemplati all’articolo 2, comma 2-bis, L. 89/01, c.d. L. Pinto, in tema di ragionevole durata dei procedimenti.

Con tale previsione, infatti, il legislatore cerca di adeguare il nostro sistema agli standards di giustizia processuale sanciti dalla Corte di Strasburgo e ad evitare ulteriori condanne (e risarcimenti) conseguenti all’irragionevole durata dei procedimenti.

Accanto a tale previsione, il legislatore prevede alcune eccezioni. Innanzitutto, il giudice potrà, con ordinanza motivata e ricorribile entro cinque giorni in Cassazione (la quale, a norma del comma 5 del nuovo articolo 544-bis, decide entro 30 giorni nelle forme dell’articolo 611 c.p.p.), disporre la proroga di un anno per l’appello e di sei mesi per la cassazione nel caso di procedimenti di particolare complessità e tali proroghe potranno raggiungere la durata complessiva di tre anni per il primo e di un anno e sei mesi per il secondo, nel caso di delitti aggravati dal metodo mafioso.

Infine, per una serie di reati reputati particolarmente gravi, complessi o stigmatizzati dall’opinione pubblica, come l’associazione mafiosa, l’associazione ai fini di spaccio o la violenza sessuale aggravata, la Riforma Cartabia prevede che le proroghe possano essere richieste senza limite di tempo alcuno.

Prima di proseguire, vale la pena di notare che si renderà necessario comprendere quale dei due termini decorra nel caso di giudizio di rinvio a seguito di annullamento da parte della Cassazione, che per chi scrive si tratterebbe del termine di un anno previsto per il giudizio di cassazione, dato che la giurisprudenza fino ad ora era pacifica nel ritenerlo una estensione di questo.

 

Le criticità emergenti dalla Riforma Cartabia

Il problema principale che crea questa modifica è risultato da subito evidente: è davvero possibile riuscire a contenere il giudizio di appello entro il termine di due anni in maniera costante, cioè sperare che i procedimenti di regola si contengano entro tale limite e solo eccezionalmente vengano chiusi con una sentenza di non doversi procedere ex articolo 529 c.p.p.?

Secondo i dati più recenti, il problema è tutt’altro che vicino alla soluzione.

All’entrata in vigore della Riforma Cartabia, infatti, la durata media italiana del grado d’appello è di 759 giorni (2 anni e 1 mese circa), con picchi nei distretti delle Corti d’appello a Napoli (1495 giorni) e a Roma (1128). Il limite dei due anni sarebbe rispettato, in media, in 17 delle 26 Corti d’Appello esistenti in Italia. Inoltre, considerando una distribuzione standard a campana, attorno alla media, non si potrebbe dire rispettato con sufficiente costanza il limite di due anni neppure da quei distretti ove la media è troppo vicina ai due anni, come nei casi di Torino (665 giorni) o Lecce (605 giorni), seppure per questi dovrebbe essere sufficiente il meccanismo delle proroghe supra illustrato.

Due problemi, tuttavia, ad avviso di chi scrive, derivano proprio dalla disciplina delle proroghe: innanzitutto, consci del fatto che una delle principali cause dell’eccessiva durata di un procedimento è la presenza di plurimi imputati ci si chiede se non fosse stato opportuno prevedere, al fianco delle associazioni qualificate quali l’associazione mafiosa e l’associazione ai fini di spaccio, anche l’associazione a delinquere semplice di cui all’articolo 416 c.p.; in secondo luogo, bisognerà valutare quale carico di lavoro ulteriore porterà, svilendo la ratio della riforma, l’impugnazione delle proroghe che inevitabilmente dovranno essere di frequente richieste.

Infine, sembrerebbe potersi dire che il problema principale che reca la Riforma Cartabia sul punto sia quello di aver previsto un limite di durata delle fasi procedimentali senza una contemporanea ristrutturazione e snellimento delle stesse, che invece risulta essere stata, con l’articolo 1, delegata al Governo e, quindi, per poter giudicare definitivamente dell’impatto della Riforma Cartabia bisognerà attendere e scoprire se e come tali deleghe sarà attuata dall’esecutivo.