x

x

Riforma Cartabia: la necessità di non negare la realtà

Vasto, 2017
Ph. Alessandro Saggio / Vasto, 2017

Il Consiglio dei Ministri sta per licenziare la riforma Cartabia che dovrebbe migliorare l’efficienza della giustizia penale. Si sono già alzate critiche vivaci alla sua impostazione ma i dati della realtà testimoniano un disastro.

 

Riforma Cartabia: il punto cruciale, ovvero l’improcedibilità per superamento dei termini di durata dei giudizi di impugnazione

Si cominciano a intravedere, pur non essendo ancora disponibile un testo ufficiale, le direttrici essenziali della riforma Cartabia, cioè il disegno di legge che nelle intenzioni del Governo dovrebbe migliorare l’efficienza complessiva del processo penale e rendere più rapida la definizione dei procedimenti pendenti presso le corti di appello.

Nel testo originario del DDL, presentato nel marzo del 2020 alla Camera dal ministro della Giustizia del tempo, on. Alfonso Bonafede, sono stati innestati plurimi emendamenti su iniziativa dell’attuale ministra, professoressa Marta Cartabia, la quale si è giovata delle proposte contenute nella relazione conclusiva della Commissione da lei stessa nominata e presieduta da Giorgio Lattanzi, presidente emerito della Corte costituzionale.

Sono molti i temi degni di nota contenuti nel testo del DDL approvato all’unanimità dal Consiglio dei Ministri[1] ma il nodo cruciale è facilmente individuabile nel suo articolo 14-bis il quale prevede l’inserimento nel codice di procedura penale dell’articolo 344-bis, rubricato “Improcedibilità per superamento dei termini di durata dei giudizi di impugnazione”.

Nell’attuale testo la norma prevede che il giudizio d’appello non definito entro due anni e quello di cassazione non definito entro un anno impongono al giudice competente di dichiarare l’improcedibilità dell’azione penale.

Tali termini decorrono dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine stabilito per il deposito della sentenza impugnata e possono essere prorogati fino ad un anno per l’appello e fino a sei mesi per il giudizio in cassazione (purché si tratti di procedimenti per uno dei delitti elencati nella norma e il relativo giudizio sia particolarmente complesso per il numero delle parti o delle imputazioni o della numerosità e complessità delle questioni di fatto o diritto devolute al giudice).

 

Le critiche allo strumento dell’improcedibilità

Come c’era da attendersi, la previsione del citato articolo 14-bis ha scatenato polemiche di ogni ordine e grado.

Da più parti sono arrivate critiche di straordinaria intensità che, ridotte all’osso, si fondano su un semplice sillogismo: molte corti superiori italiane non saranno in grado di rispettare i termini di durata fissati nel DDL; le loro difficoltà saranno accentuate dagli espedienti che gli avvocati difensori sono abituati ad usare per tirare per le lunghe i processi; ci sarà quindi un diluvio di dichiarazioni di improcedibilità che colpiranno alla cieca e condanneranno all’ineffettività non solo i giudizi bagatellari ma anche quelli in cui si discute di gravi violazioni di beni giuridici di importanza primaria; le vittime di tali violazioni rimarranno senza alcuna tutela e la giustizia penale perderà la sua funzione retributiva e preventiva.

Si aggiunge poi che la riforma Cartabia trasformerà i giudici in decisori seriali, abili a servirsi di modelli pre-stampati, ma al tempo stesso gli precluderà ogni tensione alla riflessione e al controllo effettivo dei vizi denunciati con l’impugnazione.

E non si manca di sottolineare che la riforma si muove in senso contrario rispetto agli auspici euro-unitari  che ci vorrebbero più capaci di reprimere le violazioni della legge penale che ledano interessi comuni europei.

 

L’osservazione dell’esistente

È buona regola, a fronte di critiche così serrate, farsi un’idea corretta dell’esistente, cioè di ciò che succede davvero nella realtà attuale della giustizia penale italiana.

Si ricorre ai dati statistici tratti dal sito web istituzionale del ministero della Giustizia che chiunque può verificare accedendo alla sezione “Itinerari a tema”, di lì alla sottosezione “Risorse e innovazione” e di lì ancora all’ulteriore sottosezione “Monitoraggio della giustizia”.

La tabella che segue evidenzia i procedimenti pendenti alla fine di ogni anno divisi per uffici giudiziari e le variazioni rispetto all’anno precedente.

Numero di procedimenti penali pendenti a fine anno

In sintesi: alla fine del 2020 nel nostro Paese pendono 1,63 milioni di processi penali e questo numero rappresenta un aumento del 3,1% rispetto all’anno precedente.

I numeri della nostra giustizia penale sono stati analizzati dal CEPEJ (Commissione europea per l’efficienza della giustizia), un organismo del Consiglio d’Europa.

L’ultimo rapporto disponibile ha preso in considerazione i dati del 2018.

La nostra capacità di gestire i procedimenti penali è stata considerata modesta il che ci costa l’inserimento nella zona d’allarme, dato tanto più significativo se si considera che ben quattro quinti dei nostri partner europei riescono ad assicurare un’efficienza standard.

Il nostro disposition time[2] in primo grado è pari a 361 giorni a fronte di una media europea di 144.

Le cose vanno assai peggio in secondo grado poiché in questo caso il disposition time italiano è pari a 1.266 giorni a fronte di una media europea di soli 114 giorni.

Si consideri infine che, come si è detto, il rapporto CEPEJ ha preso in considerazione dati del 2018 e da allora la nostra situazione, complice l’emergenza COVID-19, è visibilmente peggiorata.

 

La riforma Cartabia e la necessità di una scelta

Questi sono i dati dell’oggi e sono i segni di una situazione intollerabile da qualunque visuale si voglia guardarla.

Lo è per gli accusati che sono tenuti in ostaggio dallo Stato-giustizia nelle paludi del processo penale per un tempo che oltrepassa qualsiasi ragionevolezza.

Lo è per le parti offese che vedono sfumare in quelle stesse paludi il loro diritto all’accertamento della verità che spesso è l’unica forma di giustizia riparativa cui possono ambire.

Lo è per la qualità e l’autorevolezza della giurisdizione che sono sempre più minate da tendenze “difensive” che portano a privilegiare la mera evasione dei procedimenti e sacrificare il dovuto approfondimento delle questioni poste dalle parti e il rispetto dei diritti umani essenziali con i quali si incrocia il giudizio penale.

Non c’è quindi alcuna età dell’oro da difendere, nessuno status quo meritevole di essere mantenuto.

Qualcosa bisognava fare per mettere fine a questa situazione di denegata giustizia e qualcosa è stato fatto.

La riforma Cartabia ha scelto una via e tracciato una linea temporale oltre la quale ogni giorno in più deve essere considerato in violazione di chiari precetti costituzionali.

Si possono avere legittime perplessità sulla scelta ma nessuno può negare che una scelta andava fatta o fingere che la riforma Cartabia sia la causa di disfunzioni strutturali radicate da anni.

 

Gli altri contenuti della riforma Cartabia

La riforma Cartabia non è soltanto improcedibilità.

È giustizia riparativa, è ammodernamento digitale del processo, definizione di più stringenti regole per l’archiviazione, previsione di controlli sulla correttezza dell’iscrizione nel registro delle notizie di reato e di criteri di priorità per l’esercizio dell’azione penale, maggiore incentivazione per i riti speciali, semplificazione delle procedure per i giudizi di impugnazione e altro ancora.

Altri spunti potrebbero arrivare dal dibattito in sede parlamentare, a cominciare dall’istituto dell’archiviazione meritata proposta dalla commissione Lattanzi.

Il materiale è ampio e merita una discussione seria e qualificata.

Ma, per favore, che sia all’insegna della realtà.

 

[1] Si rinvia, per una dettagliata riassunzione, a G. Gatta, Prescrizione del reato e riforma della giustizia penale: gli emendamenti approvati dal Governo su proposta della Ministra Cartabia, in Sistema Penale, 10 luglio 2021, a questo link.

[2] Con questo termine si intende il valore che indica il numero medio dei giorni necessari per la definizione di un procedimento giudiziario. Lo si ottiene dividendo il numero dei procedimenti pendenti alla fine di un anno per il numero dei procedimenti definiti nello stesso anno e moltiplicando per 365 il risultato della divisione.