x

x

Giustizia tributaria: osservazioni per una riforma del sistema

Nell’ottica costituzionale ed eurounitaria
Yellow
Ph. Erika Pucci / Yellow

Si è discusso della questione, ampiamente, nell’ambito delle interazioni del dipartimento di fisco e tributi dell’associazione Meritocrazia Italia.

Il sistema di giustizia tributaria va riformato. Questo è ormai assodato.

L’emergenza dettata dal Covid non ha fatto altro che mostrare in maniera più evidente le crepe dell’intero sistema tributario.

In primis ci si riferisce al presidio di legalità rappresentato dalle dinamiche di giustizia.

Gradi processuali a velocità nettamente diverse, dinamiche di contradditorio influenzate da una norma alquanto discutibile come quella del D.L. 137/2020 legata alla materia, contributi unificati sproporzionati rispetto all’accesso giudiziale, composizioni collegiali ancorate alle logiche normativo-politiche degli anni novanta (quando le competenze scarseggiavano e non c’era ancora una educazione sistemica ed a livelli crescenti rispetto al tema della trasparenza, imparzialità amministrativa, ecc.); queste solo alcune delle questioni più calde, ma c’è tanto altro su soffermarsi per migliorare il sistema.

Emblematico è, ad esempio, l’articolo 27, comma 2, del D.L. 137/2020 il quale introduce l’istituto delle memorie conclusionali unitamente alle consequenziali repliche nel processo tributario; strumento, quest’ultimo, tipico del sistema processuale civilistico meglio conosciuto come articolo 190 codice procedura civile.

Tuttavia la norma suddetta, varata d’urgenza dall’esecutivo in carica ad ottobre scorso, pone all’evidenza giuridica una sottile questione da tenere in considerazione: la differenza strutturale (genetico-giuridica) tra il processo tributario ed il processo civile laddove il primo dei due è a cornice tipicamente impugnatoria.

Dagli anni novanta sino ad oggi il processo tributario ha subito diverse modifiche, ma il più delle volte non legate ad una vera e propria vision di sistema che tendesse quanto più possibilmente a:

  • conformalo ai principi di Giusto processo costituzionali e di equità voluti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo;
  • garantire un rapporto di imparzialità effettivo tra privato e pubblica amministrazione;
  • a rientrare nell’ambito vero e proprio di giustizia amministrativa (si pensi per un attimo alla legge n. 241/1990 ed allo Statuto del Contribuente legge 212/2000) o, quantomeno, civilistica (riferimento esemplificativo l’art. 9 del cpc).

Da qui il caos che sino ad oggi regna.

D’altronde, al netto delle disquisizioni dottrinarie, giurisprudenziali, ecc. c’è di fatto un dualismo esasperato circa l’afferenza del giudizio tributario a una sfera piuttosto che ad un’altra: si ricordi per un attimo che la giustizia tributaria, in quanto tale, non è prevista nella categorizzazione costituzionale.

Infatti la Carta fondamentale italiana, dall’articolo 101 all’articolo 113, non menziona affatto le c.d. commissioni tributarie tra gli organi di giustizia amministrativa.

Non dimenticando poi che la giurisprudenza dell’ultimo ventennio (pur di armonizzare e interpretare al meglio per quanto di propria competenza), proprio a partire dalle prime famose riforme ex Decreto legislativo 46/1999 e 112/1999, ha cercato di fare graniticamente chiarezza sulla questione della competenza giudiziale tra il giudice ordinario ed il giudicante tributario in ordine ai pignoramenti esattoriali speciali di cui agli articoli 72 bis e segg. DPR 602/1973.

Specificamente parlando non può non tenersi conto, posta la questione legata a quanto appena illustrato, della decisione della Corte Costituzione n. 114 del 2018 con cui si è posto finalmente riparo alla violazione sistematica oltreché sistematica dei più basilari elementi di diritto di difesa del cittadino (ad esempio artt. 3, 24, 111 Cost.): ciò a causa di quel che fu, ormai, l’articolo 57 del summenzionato DPR 602/1973 che vietava le opposizioni all’esecuzione tributaria (salvo rare eccezioni). Innumerevoli, infatti, le dichiarazioni di inammissibilità delle opposizioni alle esecuzioni in materia tributaria riguardo ai malcapitati contribuenti italiani.

Oltre a quanto sopra, a maggior ragione durante l’epoca Covid, ci si dovrebbe soffermare un attimo a considerare una grave inerzia legislativa: la non revisione (e/o quantomeno sospensione) del gettito da c.d. contributi unificati di causa in base al fatturato attuale (dato che siamo nell’era della fatturazione elettronica a controllo reale ed immediato) in vista di quel che saranno a posteriori le dichiarazioni dei redditi.

A prescindere da chi non rientra nel regime di beneficio del patrocino a spese dello stato, il cittadino italiano necessitante di difesa legale per effetto di qualsivoglia evenienza giudiziale, appunto, segnatamente tenuto conto del sistema tributario attualmente vigente (ma a dir vero anche per altri ambiti giurisdizionali visto il T.U. spese di giustizia) è, assolutamente, da considerarsi “vessato”; cosa concretizzabile con il “tatto che ha il cieco” (come dice Papa Francesco in una delle sue ultime opere) laddove si considerasse il caso per cui il contribuente stesso sia stato impossibilitato a lavorare ed a guadagnare (es. lockdown); è in re ipsa il fatto per cui, quest’ultimo, non potrebbe sviluppare alcuna capacità contributiva nell’imminenza delle azioni contenziose.

Se la motivazione logico normativa della spesa di giustizia tributaria anticipa è la modalità a “contributo”, allora, non c’è ragione che tenga a mantenere in vita quanto ancora d’obbligo e perciò, di fatto, contrario rispetto al dettato costituzionale di cui all’articolo 53 laddove “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.

Senza trascurare, poi, il vuoto normativo (sul piano almeno dell’interpretazione autentica) riguardante quel che attiene ai c.d. casi ricorso al buio dei contribuenti od anche a seguito, appunto, di azione esattoriale cumulativa (cioè a più cartelle, ruoli, ingiunzioni fiscali e/o accertamenti esecutivi ex art. 29 D.L. 78/2010): gli uffici dell’amministrazione finanziaria e della direzione della giustizia amministrativa chiedono il pagamento del contributo unificato per valore di singola cartella (così in piena sperequazione) e non già per valore complessivo dell’ammontare impugnato-opposto.

Su questo fronte del rapporto tra pubblico e privato i cittadini vivono duramente, ormai, un’assoluta disparità di trattamento.

A quanto sinora illustrato (e solo accennato in termini di problematica) v’è l’atavica situazione della composizione delle commissioni tributarie in cui, al netto della qualità umana e magistratuale del singolo membro di Collegio, c’è indifferibilmente da intervenire almeno su due fronti:

  • evitare che chi ricopra contestualmente l’Ufficio di magistrato assegnato al P.M. possa, al contempo, essere giudicante in sede tributaria (attesa la inconciliabile mentalità dualistica e formativa tra accusatore, da una parte, ed equilibratore del processo in virtù del principio CEDU ex art. 6, dall’altra);
  • evitare che chi eserciti professioni tecniche non formate alle regole processuali e sostanziali del diritto (anche per assenza di studio in sede accademica o di altro genere) si ritrovi ad essere parte integrante del sistema collegiale tributario giudicante (es. agronomi, geometri, commercialisti non specializzati a tecnica processuale, ecc., anche se pure per gli avvocati non specializzati si potrebbe fare doveroso approfondimento in tal direzione).

Questioni, quelle sin qui riportate, di chiaro segno delicato che andrebbero valutate con urgenza riformatrice al netto della pandemia; ne va dell’efficienza del sistema-paese, delle competenze dei singoli, dei sacrifici di coloro che investono nella vita professionale, della dignità dei giudici stessi, ma soprattutto dell’imparzialità della Pubblica Amministrazione nei confronti dei cittadini.

Quest’ultimi, non si scordi, al centro dell’impianto democratico-costituzionale italiano.