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Give remote work a chance!

smart working
Ph. Massimo Golfieri / smart working

Prendo in prestito il titolo di Jason Fried e David Heinemeier Hansson - autori della bibbia sul tema: Remote, Office not required, per affrontare una volta per tutte il tema dello smart working.

Durante il lockdown diverse aziende si sono rivolte a noi di R-Everse per ricevere consulenza sulle problematiche relative alla scomparsa dell’ufficio.

In realtà in R-Everse facciamo altro. Ci occupiamo di Head Hunting. Ma ho iniziato lo stesso con piacere ad offrire ore di consulenza gratuita per raccontare come funziona da noi. Come abbiamo disegnato la nostra azienda in modo che ogni persona abbia la libertà di lavorare da dove ritenga meglio, in base alle attività che deve svolgere ogni giorno. Può decidere se lavorare nei nostri uffici, che sono “fluidi” e non hanno postazioni fisse. Oppure può scegliere di lavorare da remoto, che sia la casa, il parco, la caffetteria o la spiaggia. Siamo davvero digitali in tutti i nostri processi, anche quelli più piccoli: un fun fact che stupisce sempre tutti è che in ufficio non ci sono stampanti né armadi, la carta è stata realmente abolita.

Da questo scambio è emerso che, una volta risolti i problemi base: dipendenti senza dispositivo mobile, senza pc portatile, accesso vpn complicato… il vero ostacolo è la forma mentis per andare oltre. È passare dall’intelligenza novecentesca a quella digitale.

 

1. Cultura aziendale VS Team building

Una delle maggiori preoccupazioni delle aziende che si sono rivolte a me per un consiglio riguarda la cultura aziendale: mi chiedono come sia possibile costruire una solida cultura aziendale condivisa se non si coltivano i rapporti umani di persona.

Da questo dubbio, mi rendo conto che in molti confondono la cultura aziendale con il team building. La cultura aziendale è il modo in cui ogni lavoratore si fa portavoce dei valori aziendali, e non servono incontri fisici quotidiani per diffondere e assicurarsi che vengano veicolati. Già durante il processo di selezione puoi renderti conto se il candidato è il giusto match per la tua azienda, ovvero se oltre alle sue capacità abbraccia e incarna i valori che vuoi trasmettere ai tuoi clienti. Partendo da questa base sarà relativamente semplice che lui li faccia suoi, anche se non ti incontra di persona ogni giorno.

Per quanto riguarda il team building, io sono convinto che sia possibile costruire una squadra affiatata anche lavorando da remoto e non vedendosi tutti i giorni: il segreto è la comunicazione. In smart working è consigliabile organizzare meeting più frequenti e più brevi per fare il punto della situazione.

Ottimo è il meeting di stand-up giornaliero da 15 minuti: una semplice condivisione dove ognuno riporta quello che farà durante la giornata.

Non bisogna poi dimenticare di costruire occasioni di svago, anche virtuali. Per esempio, durante il primo lockdown, noi di R-Everse ci ritrovavamo virtualmente la mattina per bere un caffè in compagnia prima di iniziare con le nostre attività, frequentavamo insieme dei corsi online di lingua e di formazione e organizzavamo altre attività di socializzazione virtuale per mantenere il nostro team unito, anche a distanza.

 

2. Il dilemma della produttività

L’intelligenza novecentesca è convinta che vedere il proprio dipendente seduto alla sua scrivania sia sinonimo di produttività. Si ha l’impressione di avere la situazione sotto controllo perché si vede il lavoratore fisicamente davanti al computer o lo si ascolta mentre fa telefonate. Ho notato che accade di più in realtà o in uffici dove non sia dichiarato l’obiettivo settimanale di ogni collaboratore.

Ciò si trasforma nell’idea che se non si lavora dall’ufficio, non si è produttivi. Probabilmente questa supposizione deriva dall’assunzione che a casa la vita privata possa “invadere” spazio e tempo del lavoratore che, in un ambiente più familiare, si senta meno osservato dai propri capi e quindi lavora di meno.

Contrariamente a quanto si pensa, uno dei rischi maggiori dello smart working non è lavorare poco, ma l’overworking: è così semplice cadere nella tentazione di controllare le e-mail di lavoro alle nove di sera o di sistemare una presentazione dopo cena, dopo aver messo a letto i tuoi figli.

Ma pensiamo a noi stessi per un attimo. Quando sono i momenti in cui, seppur in ufficio, siamo più produttivi?? Sono quelli in cui non c’è nessuno in giro! “Domani vado un’ora prima in ufficio, così riuscirò a lavorare in santa pace a quell’Excel o a quella presentazione”.
 

3. Come attuarlo? Dipende da te

Sento diverse aziende sostenere che lo smart working può anche funzionare in generale, ma non per il loro business. Io credo che qualsiasi business, di qualsiasi dimensione e natura, possa implementare lo smart working nei propri processi e trarne giovamento.

Ai più scettici chiedo sempre se si appoggiano a dei collaboratori esterni, come uno studio legale o tributario o un ufficio stampa: anche quello è lavorare da remoto, solo che non ce ne rendiamo conto. E perché non porre la stessa fiducia anche nei propri collaboratori, con cui abbiamo sempre lavorato a più stretto contatto?

Bisogna tenere a mente che lo smart working non è “bianco o nero”. Il lavoro da remoto non deve per forza sostituirsi internamente a quello d’ufficio, ogni azienda può trovare la sua giusta dimensione: l’importante è fare dei test.

Ognuno può trovare il proprio metodo per introdurre lo smart working nei propri processi, personalmente questi sono gli step iniziali che trovo più di successo:

  • tasta il terreno e offri la possibilità a un numero ristretto di collaboratori di fare smart working qualche giorno alla settimana;
  • prendi in considerazione i primi feedback per vedere cosa migliorare e implementare prima di estendere l’esperimento a più persone;
  • coinvolgi più team nel progetto e fissa un periodo di tempo limitato, per esempio due mesi, per studiare gli sviluppi dell’esperimento per te e i tuoi collaboratori.

Concludendo:
Lo smart working porta benefici. Tanti.
Lo smart working porta cambiamenti. Tanti.

Lo smart working va introdotto con prove (iterazioni) che consentano di adattarlo alla nostra realtà.