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Gli effetti dell’intervento della Cassazione sul sistema dei decreti ingiuntivi: dalla prova del diritto oggetto di ricorso all’indagine sui fatti costitutivi.

Uno spartiacque che ha allungato i tempi del procedimento monitorio: a questo punto conviene puntare sul rito ordinario semplificato?
aurora (quasi) boreale
Ph. Giorgia Pavani / aurora (quasi) boreale

Gli effetti dell’intervento della Cassazione sul sistema dei decreti ingiuntivi: dalla prova del diritto oggetto di ricorso all’indagine sui fatti costitutivi.

Uno spartiacque che ha allungato i tempi del procedimento monitorio: a questo punto conviene puntare sul rito ordinario semplificato?

 

Dopo sei mesi, la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 9479/2023 inizia a far sentire tutta la sua portata applicativa non solo in sede esecutiva ma anche nella fase monitoria che la precede.  Per adeguarsi ai principi della Corte di Giustizia UE sulla necessaria sopravvivenza delle nullità di protezione a favore dei consumatori, la Corte ha sottratto la nullità di una clausola abusiva dal giudicato formatosi su un decreto ingiuntivo non opposto e l’ha assoggettata al controllo del giudice dell’esecuzione. E fin qui, non si intravedono grandi stravolgimenti. Ma con questa sostanziale mini-riforma processuale la Corte di legittimità è andata ben oltre, assegnando i compiti anche al giudice del procedimento di ingiunzione che oggi deve verificare d’ufficio l’assenza di clausole vessatorie che impediscano il riconoscimento del credito oggetto della domanda.

Certo prevenire (in fase monitoria) è meglio che curare (in sede esecutiva). Ne esce però una disciplina del procedimento monitorio totalmente stravolta rispetto alle regole del codice civile. Questa pronuncia rappresenta uno spartiacque. Prima, la giurisprudenza era focalizzata sulla prova ingiuntiva idonea a dimostrare il diritto di credito fatto valere, con i noti problemi di mancata sincronizzazione tra l’art. 634 c.p.c. (che ancora parla di scritture contabili bollate e vidimate nelle forme di legge e regolarmente tenute) e l’eliminazione di questo obbligo da parte del legislatore dopo l’avvento delle fatture elettroniche. Che il giudice dovesse ritenere certo, liquido ed esigibile un credito semplicemente se documentato nelle forme previste dagli artt. 633 e seguenti era tuttavia un principio pacifico. Dopo, invece, i poteri cognitivi del giudice della fase monitoria si sono spostati dalla sola verifica dell’idoneità della prova del diritto oggetto del ricorso per decreto ingiuntivo ad una più penetrante indagine sui fatti costitutivi del diritto. E questo accade - è l’esperienza di questi primi mesi - a prescindere dalla natura di consumatore o meno del debitore.

Nei principali fori italiani fioccano sconcertanti richieste giudiziali di produzione dei documenti contrattuali anche se l’ingiunzione è destinata a una società di capitali (a prescindere quindi dal controllo del rispetto del foro del consumatore), di chiarimenti sulle modalità di determinazione dei singoli corrispettivi nelle fatture indicate nell’estratto notarile prodotto, con tanto di indicazione degli articoli del contratto di riferimento, per non parlare della dimostrazione della corretta esecuzione della controprestazione. Il tutto con le intuibili conseguenze in termini di allungamento dei tempi di emissione delle ingiunzioni di pagamento. Poiché la riforma Cartabia ha reso ancora più tortuoso il percorso normalmente necessario per ottenere il titolo esecutivo in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, forse è venuto il momento di riflettere se la strada monitoria rappresenti ancora una corsia privilegiata o se non valga a questo punto la pena di puntare sul rito ordinario semplificato.