x

x

Gli ultimi interventi della Cassazione in materia di trust

Trust
Trust

Intendiamo occuparci degli interventi della Cassazione sul trust nel secondo semestre del 2015. Più precisamente, si tratta delle tre sentenze dalla sezione tributaria della Cassazione Civile le n. 25480, 25478 e 25479, tutte del 18 dicembre con le quali la Suprema Corte, ha affermato che  non solo l’atto istitutivo di un trust, ma anche gli apporti che vengano effettuati contestualmente o nel corso del tempo, scontano le imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa atteso che “solo l’attribuzione al beneficiario può considerarsi, nel trust, il fatto suscettibile di manifestare il presupposto dell’imposta sul trasferimento di ricchezza”.

Tali sentenze tuttavia, al di là della prima impressione che se ne può trarre, non rappresentano l’atteso révirement rispetto alle precedenti ordinanze della stessa sezione tributaria, la 3735 e  la 3737 del 24 febbraio 2015, e la 3886 del giorno successivo, che avevano affermato il principio della imponibilità “sulla costituzione  di vincoli di destinazione” come autonoma fattispecie scollegata quindi dalle imposte di successione e donazione. La Corte precisa, infatti, che i casi esaminati rientrano nel sistema previgente rispetto a quello oggi rinvenibile nel sistema delle leggi 286/2006, 296/2006 e 244/2007 che prevede “l’applicabilità dell’imposta sulle successioni e donazioni  quanto ai trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito  e sulla costituzione di vincoli di destinazione”, il tutto secondo le disposizioni del TU sulle successioni e donazioni (dlgs 31 ottobre 2001). Infatti, la fattispecie all’esame della Corte è sottratta al regime vigente che riguarda le successioni apertesi dal 3 ottobre 2006 nonché  le imposte ipotecarie e catastali  concernenti gli atti e  le dichiarazioni  relativi alle successioni di cui al periodo precedente. A tal proposito, con salomonica decisione, ritiene il Collegio precisare che esso “non ritiene necessario prendere posizione sui profili problematici (ampiamente dibattuti) involti da tali previsioni, che non costituiscono specifico oggetto di questa causa”.

Oltre alla – condivisibile - posizione assunta in materia fiscale, le sentenze non sono avare di ulteriori spunti. In particolare degna di nota l’affermazione secondo cui nel trust all’esame (istituito dai genitori a favore dei figli)  “si è in presenza di una liberalità attuata mediante strumenti negoziali altri rispetto al negozio tipico di donazione, parimenti in grado di realizzare, benché indirettamente, oltre all’effetto proprio del trust  di costituire il vincolo di destinazione, anche e soprattutto l’effetto finale  di arricchimento senza corrispettivo del beneficiario” . Tale obiter è ricco di elementi di riflessione. Infatti si sottolinea come la liberalità venga attuata mediante strumenti negoziali altri rispetto alla donazione. Questa affermazione rappresenta una conferma della già affermata (in una precedente sentenza) non residualità del trust rispetto ai negozi, tipici e atipici offerti dall’ordinamento, e, al tempo stesso,  evidenzia come il trust consenta di raggiungere risultati più ampi e maggiori rispetto a quelli di una mera donazione, quindi con i soli strumenti apprestati dall’ordinamento. Interessante poi lo spunto relativo al fondo patrimoniale (art. 167 c.c.), laddove la sentenza (la n. 25478) riconosce “essersi progressivamente affermato il principio che l’atto di costituzione di un fondo non è un atto traslativo a titolo oneroso, né un atto avente a oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale, né infine un atto avente natura meramente ricognitiva” con la conseguente applicabilità dell’imposta nella misura fissa. L’affermazione è del tutto condivisibile, ma non si capisce se questa si riferisca al regime previgente l’attuale, o meno. Infatti, dopo le sopra ricordate ordinanze della sezione tributaria, è stato autorevolmente affermato che una conseguenza del riconoscimento come autonomo titolo impositivo dell’apposizione di un vincolo di destinazione avrebbe comportato l’assoggettamento a imposta proporzionale anche della costituzione del fondo patrimoniale.

Più ambiguo risulta un fugace cenno relativo al trust autodichiarato (sempre nella n. 25478):

“la particolarità del trust  è l’acquisto da parte del trustee (laddove  o nella misura in cui il trust non sia autodichiarato)”

perché la sentenza non sembra disconoscere, come in precedente occasione aveva fatto, richiedendo la terzietà fra disponente  e trustee, la legittimità della figura del trust autodichiarato  limitandosi a rilevare che in questo caso il trustee non può acquistare perché è già proprietario. Del resto, nella successiva sentenza, la  n. 25479, si legge che “il trust era stato istituito con l’affidamento di beni immobili dei coniugi disponenti a uno di essi (la moglie) e con beneficiari, alla scadenza, i figli dei medesimi”, senza che tale modalità di realizzazione del trust (anche in questo caso autodichiarato con riferimento a uno dei disponenti)abbia formato, neppure incidentalmente, oggetto di censura.

Scontata poi la precisazione relativa alla carenza di soggettività giuridica in capo al trust, mentre  sicuramente non convincente, invece, è apparso, nella ricostruzione della fattispecie, il riferimento alla teoria della dual ownership.

Nel periodo che si è preso in considerazione si registrano due ulteriori sentenze del supremo Collegio. Una è la n. 20358 del 9 ottobre, in cui il trust entra solo marginalmente. Si trattava, infatti, di un trust istituito al fine di spogliarsi del patrimonio prima della chiusura della liquidazione, e quindi di un atto manifestamente privo di meritevolezza e di tutela. Ma la Corte aveva annullato la decisione della commissione tributaria per aver questa dichiarato l’estinzione del processo sulla base della cancellazione della società dal registro delle imprese.  Al contrario, lo stesso giorno, la III sezione penale depositava una sentenza, la n. 40534, che riguarda più direttamente la materia del trust, formulando una serie di affermazioni sulle quali pare interessante soffermarsi. Non s’ intende in questa sede analizzare compiutamente la sentenza, ma solo  esaminare le parti relative al trust. In questo caso si trattava di un atto istituito a margine di una separazione intervenuta fra due coniugi. Il trustee aveva provveduto a costituire una srl nella quale erano confluite le quote societarie di alcune società immobiliari proprietarie di immobili. Di tali quote era, in precedenza, fiduciariamente intestataria la moglie del disponente che aveva accettato di cederle a fronte di una manleva da rilasciare da parte  del trustee per i debiti della stessa nei confronti del fisco.

Relativamente a questo trust, il Tribunale del riesame, all’interno di una controversia fra disponente, trustee e amministrazione finanziaria,  aveva confermato il decreto di  sequestro preventivo finalizzato alla confisca limitatamente ai beni in trust sulla base del presupposto che l’indagato (disponente) conservasse la sostanziale disponibilità di tali beni. E questo per i seguenti motivi:

- il trustee era persona vicina al disponente –indagato, essendo suo professionista di fiducia, e, in quanto tale,  inidoneo a curare gli interessi dell’ex coniuge al rispetto da parte dell’ex marito dell’obbligo di mantenimento dei figli ;

- lo scopo dichiarato del trust di garantire l’obbligo di mantenimento dei figli era poco verosimile;

- infine “perché il disponente aveva la possibilità di nominare uno o più guardiani, soggetti che fanno le veci del disponente rispetto all’esercizio dei poteri del trustee”,

- poteri “che trovano ulteriori, incisive limitazioni in altre clausole”.

Se, da un lato, non abbiamo difficoltà a condividere il negativo giudizio espresso in ordine a questo trust,  che sembra essere stato posto in essere con il solo (o quantomeno prevalente) intento di sottrarre beni alle pretese dell’amministrazione finanziaria, dobbiamo peraltro dire che gli argomenti che vengono impiegati al fine di dare questa dimostrazione non  appaiono oggettivamente  probanti.

Esaminiamoli partitamente:

il fatto che il trustee sia persona vicina al disponente è un dato dal quale non si può prescindere atteso che il rapporto fra disponente e trustee è un rapporto fiduciario cosa che presuppone l’esistenza di uno stretto rapporto fra i due soggetti. Detto questo, qui si contesta che tale situazione di fatto (essere legale del disponente) sia ostativa rispetto al corretto esercizio dei poteri che il trustee dovrà esercitare per garantire l’obbligo di mantenimento dei figli. Ora, se si considera che, come risulta in atti,  l’istituzione del trust è intervenuta col consenso del coniuge separato all’interno di un contenzioso definito transitivamente fra gli stessi, risulta difficile pensare che la ex moglie non abbia valutato i rischi cui si esponeva rimettendo nelle mani di un soggetto di fiducia dell’ex coniuge il rispetto dell’obbligo di mantenimento verso i figli. Questo ci porta così a concludere che, almeno sotto questo profilo l’argomento usato non serva a provare quanto asserito. E questo senza considerare che, com’è fin troppo noto, il trustee non è un mandatario del disponente, e che a esso fanno carico una serie di obbligazioni nei confronti dei beneficiari il cui mancato rispetto lo espone a responsabilità personali tali per cui egli non avrà interesse a porsi come ligio esecutore di un soggetto verso il quale, per quanto riguarda il trust, non ha più rapporti.

Anche il riferimento alla scarsa verosimiglianza dello scopo non convince. Infatti, sembra del tutto naturale che garantire il mantenimento dei minori, in caso di separazione fra coniugi  sia una preoccupazione più che legittima, anzi doverosa. Quindi lo scopo è di per sé convincente. Questo non esclude che possa non apparire verosimile in base a ulteriori elementi: per esempio per una manifesta sperequazione fra il valore dei beni apportati e le somme necessarie a garantire l’obbligo. Tuttavia, non disponendo dell’atto, è difficile poter  dare una risposta precisa. Infatti, difetta la conoscenza di troppi elementi (la durata del trust; chi sono i beneficiari del capitale; chi i beneficiari degli interessi, se vi sono; la natura e la reddittività dei beni in trust ecc.) per poter  dare indicazioni certe. Quello che possiamo fare è solo verificare la coerenza e la congruità fra un elemento e le considerazioni che se ne fanno scaturire.

Infine gli ultimi due argomenti attengono alla possibilità del disponente di nominare uno o più guardiani, definiti quali “soggetti che fanno le veci del disponente rispetto all’esercizio dei poteri del trustee” e al fatto che tali poteri   incontrano “ulteriori incisive limitazioni in altre clausole”.

Andiamo con ordine: il guardiano non fa le veci del disponente. Com’è noto, con la nomina e l’accettazione del trustee, il disponente cessa ogni relazione con i beni in trust anche se la legge gli consente di riservarsi alcuni poteri e con l’avvertenza che se questi sono troppo vasti o incisivi il trust è nullo (sham). A parte la distinzione fra poteri personali e poteri fiduciari, il guardiano - e il disponente quando si nomina esso stesso guardiano - esercita dei poteri fiduciari nell’interesse dei beneficiari attraverso il controllo dell’operato del trustee. A tal fine egli è investito di poteri più o meno penetranti,  che sono comunque di controllo e non di gestione,  per verificare che il trustee svolga adeguatamente il suo compito. 

Che poi anche il potere di nominare i guardiani venga riconosciuto al trustee è conseguenza della natura di questo istituto (ma non solo di questo) per cui chi  ha un potere di nomina lo eserciterà indicando persone che siano in grado di svolgere i compiti assegnati, e che rispondano al tempo stesso alla fiducia del nominante.

Quindi, a ben vedere, anche in questo caso, che l’atto istitutivo abbia previsto la presenza di guardiani deve essere visto in senso positivo, nel senso cioè che vi sono maggiori garanzie circa il fatto che il trustee eserciterà i suoi poteri nell’interesse dei beneficiari. Addirittura avrebbe potuto, il disponente, nominarsi esso stesso come guardiano senza che ciò dimostrasse una situazione di conflittualità. Ripeto, il fatto di non disporre del testo dell’atto istitutivo ci espone al rischio di possibili smentite laddove fossero presenti clausole che mettono in discussione uno schema operativo che di per sé, sotto il profilo formale,  non sembra prestare il fianco a critiche.

Infine, anche il fatto che i poteri del disponente siano oggettivamente limitati, non è di per sé indice di una qualche patologia, semmai del fatto che siamo in presenza di un trust in cui  la discrezionalità del trustee è limitata, circostanza, anche questa, che potrebbe addirittura risultare posta nell’interesse dei beneficiari laddove il trust preveda, per esempio che il trustee sia tenuto a versare l’intero ammontare dei redditi ( o una percentuale definita degli stessi) alla madre affidataria dei minori senza riconoscergli una discrezionalità che potrebbe anche essere esercitata a loro danno (per esempio accumulando somme al capitale o destinandole ad altri fini).

Un’ultima osservazione. Il disponente - indagato ha sostenuto, nella sua difesa, che nell’atto istitutivo si fatto cenno all’esistenza della pretesa creditoria dell’erario, pur con la precisazione che la stessa si riteneva infondata. Secondo il disponente tale clausola avrebbe svolto una funzione di protezione delle ragioni creditorie dell’amministrazione finanziaria che avrebbe potuto intraprendere in ogni tempo l’azione revocatoria ex articolo 2901 del codice civile.

In questo caso, al di là del ineccepibile, e assorbente,  rilievo per cui “proprio la necessità per l’erario di esperire tale azione anziché semplicemente soddisfarsi sui beni del contribuente rappresenta un chiaro aggravamento della sua posizione creditoria”, la clausola per come è redatta non è idonea a sortire il risultato voluto, dal punto di vista civilistico. Per svolgere una positiva funzione avrebbe dovuto essere redatta in modo da attribuire al trustee il potere di agire in modo da non frapporre ostacoli - una volta definitivamente accertata la sussistenza del credito dell’amministrazione-  alla richiesta di pagamento.