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I diritti delle minoranze tra Stato e Regioni: veritas in medias res est

Dal law of minority al law of diversity
Sommario:

1. Introduzione

2. La sentenza n. 312/1983: il superamento della riserva di legge statale

3. Regionalismo “morbido” ed “incisivo”

4. Una soluzione intermedia per la tutela delle minoranze. Premesse per un “law of diversity”

1. Introduzione

- Il presente lavoro desidera analizzare, sommariamente e per grandi linee, i rapporti tra Stato e Regioni sul piano della tutela e del riconoscimento dei diritti delle minoranze con particolare riferimento all’evoluzione della giurisprudenza costituzionale. Si dimostrerà come la materia sia gradualmente transitata da una dimensione esclusivamente statale ad una in cui alle Regioni (in particolare quelle ordinarie), sebbene sia ancora precluso un vero e proprio potere di riconoscimento dello status minoritario, spetta il compito, nelle materie di competenza concorrente e residuale (art. 117, 3° e 4° comma, Cost.), di intervenire non solo nella valorizzazione dell’idioma minoritario ma anche nella previsione di alcune situazioni giuridiche che si informano alla logica del ridimensionamento della distanza intercorrente tra il gruppo minoritario, da un lato, e la maggioranza della popolazione insediata all’interno del territorio regionale, dall’altro. Ne conseguirà la necessità, per le ragioni che saranno esposte, dell’abbandono del concetto stesso di minoranza per pervenire a quello innovativo di “diversità”. Una diversità che si addice alla tutela multilivello del fenomeno minoritario e che, in ragione dell’affermazione dei caratteri propri del gruppo (il c.d. animus comunitario), diviene la prospettiva per una ridefinizione delle strutture giuridiche la quale, in questo peculiare contesto, assume la “cifra del pluralismo” ossia “della capacità del diritto (legislativo e giurisprudenziale) di rigenerarsi come fattore di maturazione di valori comuni e di ricerca di regole legislative condivise, piuttosto che come momento espressivo di un ben determinato e fisso quadro assiologico da apporre alle richieste allogene” ([1]).

2. La sentenza n. 312/1983: il superamento della riserva di legge statale

- E’stato merito della Corte Costituzionale, con la sentenza n. 312/1983 ([2]), rovesciare l’ottica con la quale il tema “minoranze” veniva affrontato nel diritto interno. Mutando il suo iniziale orientamento ([3]), il giudice costituzionale ha riconosciuto che le Regioni possono legiferare negli stessi ambiti costituzionalmente riservati alla legge, laddove lo impongano le altre norme costituzionali che attribuiscono loro una qualche potestà legislativa ([4]); su questa scia ed alla luce delle riforme apportate allo Statuto speciale del Trentino Alto Adige/Sudtirol ([5]) con le ll. cost. n. 1/1971 e n. 2/1972, venne respinta la tesi, sostenuta nel periodo antecedente la riforma statutaria ([6]), circa la spettanza, allo Stato centrale, della disciplina dell’uso della lingua e la tutela delle comunità minoritarie, considerate alla stregua di materie ad esso “riservate” con la susseguente produzione di effetti aberranti come nel caso del Friuli-Venezia Giulia, allorquando, la Corte aveva negato ([7]) che il Consiglio Regionale potesse inserire nel proprio regolamento interno disposizioni destinate a realizzare una qualche forma di protezione minoritaria. Caduto l’ostacolo della riserva di legge statale, il tema de quo inizia a configurarsi nella veste di “limite ed al tempo stesso come indirizzo per l’esercizio della potestà legislativa ed amministrativa regionale e provinciale nel Trentino Alto Adige” ([8]) e, analogicamente, per le rispettive attività delle altre Regioni ad ordinamento comune. Pertanto, osserva il Pizzorusso ([9]), il fatto che la competenza legislativa spetti allo Stato, alle Regioni ed alle Province Autonome di Trento e Bolzano/Bozen, si evince non solo dall’oggetto principale delle singole discipline da adottare ma anche dal principio di cui all’art. 6 Cost. impegnante la “Repubblica” o meglio, secondo la prospettiva crisafulliana-paladiniana ([10]), tutte le persone giuridiche pubbliche in cui si articola lo Stato-Apparato.

3. Regionalismo “morbido” ed “incisivo”

- Data per consolidata, nella giurisprudenza della Corte, l’esclusione di una riserva di legge statale, resta da chiarire fino a che punto può spingersi la potestà regionale. E’ cosa utile, ai fini di una migliore comprensione dell’argomento, distinguere due diversi orientamenti: quello del regionalismo “morbido” operante fino alla metà degli anni ’90 e quello del tentativo di avvio di un regionalismo “incisivo” che appare essersi implicitamente affermato, secondo una parte della dottrina, con la sentenza n. 15/1996. Nel periodo successivo la pronuncia n. 312/1983 ed in sede di lavori preparatori di un disegno di legge-quadro per la tutela delle minoranze linguistiche storiche ([11]) alla fine degli anni’80, ma mai venuto alla luce, si riteneva inammissibile che tanto le Regioni quanto gli enti locali si spingessero “apertamente e surrettiziamente” ([12]) a riconoscere le lingue minoritarie ed a disciplinarne i relativi usi pubblici, in quanto ambiti di spettanza statale. All’ente regionale era precluso il riconoscimento di un “un vero e proprio diritto soggettivo in capo al singolo di esprimersi in una lingua diversa dall’italiano” ([13]), dovendosi limitare a qualche “facoltà” ([14]) destinata a valorizzare sul piano storico-linguistico-culturale gli idiomi minoritari con particolare riferimento alle minoranze ristrette, localizzate nelle Regioni delle comunità minoritarie superprotette ([15]). La stessa giurisprudenza della Corte non ha fatto altro se non rimarcare questa iniziale impostazione. Con la sentenza n. 290/1994 ([16]), il giudice costituzionale sanzionava una legge della Regione Sardegna la quale, in virtù della competenza attuativo-integrativa in materia di istruzione ed ordinamento degli studi prevista all’art.5 lett.a) dello Statuto sardo, si spingeva oltre la dimensione “facoltativa” dettando una disciplina volta a “tutelare e valorizzare la cultura e la lingua diffuse in Sardegna mediante progetti di ambito regionale e locale, stabiliti d’intesa con il Ministro dell’Istruzione, diretti ad individuare percorsi formativi scolastici, con l’introduzione di aree disciplinari relative alla lingua e letteratura sarde, alla storia della Sardegna, alla storia dell’arte, alla musica ed alla danza sarde, alla geografia ed ecologia della Sardegna” ([17]).

La pronuncia n. 15/1996 sembrerebbe segnare una svolta quasi epocale circa i rapporti tra Stato centrale e Regioni nella tutela delle minoranze; la Corte Costituzionale accenna, infatti, ad una “presunta competenza regionale generale” ([18]) sul piano della protezione dei gruppi minoritari poiché ritiene che per le esigenze di servizio connesse alla funzione di traduttore ed interprete nei Distretti di Corte d’Appello, pur essendo settori relativi ad una materia collegata a quella giurisdizionale, di esclusiva pertinenza statale, non ostano ragioni per escludere una competenza del legislatore regionale relativamente all’apprestamento di mezzi e nell’organizzazione di strutture volte a rendere effettivi i diritti linguistici delle minoranze situate all’interno del territorio regionale. Una sorta di regionalismo che non si limita alla mera valorizzazione storico-culturale dell’idioma minoritario ma che, in ambiti direttamente connessi con quelli dello Stato, rivendica una sua competenza, incidendo sulle modalità di esercizio di alcuni dei diritti degli appartenenti ad un gruppo minoritario. Questa prospettiva, a seguito della riforma ([19]) della Parte II Titolo V della Carta Costituzionale, è stata ulteriormente rimarcata dalla Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen, in ragione di un parere tecnico fondato su una interpretazione troppo letterale e restrittiva del dettato costituzionale ([20]): la tutela delle minoranze non rientra né nelle materie di potestà legislativa esclusiva dello Stato né in quelle di potestà concorrente Stato-Regioni, pertanto, alla luce dell’art. 117, 4° comma, Cost. non può che ricadere nella potestà residuale o esclusiva degli enti regionali. L’osservazione riguardante il fatto che il disposto si rivolge solamente alle Regioni a Statuto ordinario e non a quelle ad ordinamento differenziato, viene meno in quanto, in virtù del disposto dell’art. 11 ([21]) della l. costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, le disposizioni della citata legge si applicano anche alle Regioni a Statuto speciale ed alle Province Autonome di Trento e Bolzano/Bozen per le parti che contemplano forme di autonomia più ampie di quelle già attribuite.

4. Una soluzione intermedia per la tutela delle minoranze. Premesse per un “law of diversity”

- Non è possibile condividere una siffatta impostazione che sposta in toto, senza un valido fondamento costituzionale, il problema dal piano statale a quello regionale. Il punto di partenza per una corretta identificazione dei rapporti Stato-Regioni in merito al tema in oggetto ([22]) consiste nella presa di coscienza che la materia “tutela delle minoranze”, in quanto tale, non esiste. Essa può dirsi di competenza regionale/provinciale nella misura in cui venga declinata nell’esercizio di proprie competenze da parte degli enti regionali; proprio nella Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen, i settori dell’urbanistica e dell’edilizia sono stati ampiamente utilizzati ai fini della tutela minoritaria, evitando l’emigrazione della popolazione di lingua tedesca e ladina ([23]). Tre i dati a sostegno di questa tesi.

Il primo consiste nel c.d. interesse nazionale. Ora, è vero che il medesimo, con la riforma del Titolo V, è venuto meno come limite di merito “eccezionalmente valutabile in termini politici dal solo Parlamento, attraverso un apposito controllo preventivo delle leggi regionali impugnate dal Governo ex art.127, 4° comma, Cost.” ([24]) del testo previgente, ma ciò non toglie che sia scomparso definitivamente dall’ordinamento costituzionale, risultando formalizzato proprio in materia di minoranze ([25]) sia nell’art. 4 ([26]) dello Statuto di Autonomia del Trentino Alto Adige/Sudtirol sia nel combinato disposto tra l’art. 5 e 6 della Costituzione, stante l’ampiezza del termine “Repubblica”, e configurandosi nella veste di “limite implicito”, un autonomo titolo che, “anche al di fuori delle porte ufficiali lasciate aperte dall’art.117, 2° e 3° comma Cost., legittimerebbe interventi ulteriori dello Stato a tutela delle esigenze unitarie” ([27]) e minoritarie.

Il secondo dato: l’intoccabilità della disciplina dei diritti fondamentali. E’ fuori dubbio che la riforma del Titolo V, nel 2001, non ha inciso sulle modalità di tutela dei diritti fondamentali cui il problema “minoranze” è strettamente collegato. Le stesse, per ovvie ragioni, sono sottratte alla competenza degli enti territoriali, idonei ad intervenire solo indirettamente per il tramite dell’esercizio delle proprie attribuzioni.

E veniamo, infine, al terzo ed ultimo dato: il concetto di “identità funzionale” ([28]). Un minoranza è tale mai in astratto ed ex ante ma principalmente in relazione all’ordinamento statale anche se, il ruolo “correttivo” sempre più consistente dell’Unione Europea, sta ridimensionando la posizione dello Stato, non più “the main protagonist” nella tutela delle minoranze. Resta, comunque, da domandarsi se si potrebbe ancora parlare di una minoranza di lingua tedesca in Alto Adige/Sudtirol qualora la sua salvaguardia rimanesse allocata esclusivamente ed unicamente a livello di Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen ? Molto probabilmente no perché lo status minoritario, almeno fino ad ora, è stato riconosciuto sempre in funzione della maggioranza della popolazione dello Stato e non sulla base della mera identificazione dei gruppi a livello regionale anche se questo non toglie, come si dirà e spiegherà nel proseguio, l’inadeguatezza dell’idea stessa di minoranza allorquando si agisce nell’ambito giuridico-territoriale delle Regioni, specialmente quelle ad ordinamento speciale.

Solo, dunque, all’interno di questa nuova prospettiva delineata, relativa ad i rapporti tra Stato e Regioni, si intravede come la protezione delle minoranze non rappresenta una mera specificazione del principio di eguaglianza sostanziale ([29]) in quanto acquisisce un significato tutto particolare e “proprio”, già individuato, per altro, dalla Corte Costituzionale. Con sentenza n. 86/1975 ([30]), il giudice di legittimità riconosce espressamente che il principio di tutela delle minoranze “rappresenta senza dubbio qualcosa di diverso, e di più, rispetto al principio di parità dei cittadini” affermando, latu sensu, la portata derogatoria della salvaguardia minoritaria sia rispetto al principio maggioritario sia rispetto al principio di eguaglianza ([31]). La Corte, ha quindi avuto il grande merito di introdurre una dimensione innovativa all’interno della quale studiare ed analizzare il fenomeno delle minoranze: quella della diversità. Un concetto, questo, ontologicamente insito nella dimensione multilivello del problema minoritario: infatti, se le nozioni di maggioranza e minoranza valgono solo se si assume come punto di riferimento lo Stato centrale, le stesse perdono di valenza se ci si posta all’interno della prospettiva regionalistica ove, ed il caso del gruppo linguistico tedesco in Alto Adige/Sudtirol ne è un valido esempio, una minoranza può essere tale de iure ma non de facto ed anzi diviene essa stessa maggioranza.

Da qui, la proposta di abbandonare e lasciare alle spalle l’idea di un “law of minority protection” per porre le fondamenta di quello che è stato definito un “law of diversity” ([32]), molto più adatto alla complessità ed alla prassi imposte dalla società contemporanea. Una diversità, quella sotto il profilo etnico e linguistico, che non si pone in attegiamento dicotomico e di privilegio con il resto della popolazione dell’ordinamento ma, pur riconoscendo l’importanza dell’animus comunitario (il desiderio di valorizzazione e conservazione dei propri tratti), in ragione dell’idea di una “cittadinanza multiculturale” (c.d. multicultural citizienship) elaborata dalla nuova dottrina comparatistica (Bartole, Palermo e Woelk), si erge a punto di partenza per un auspicabile “minimalismo costituzionale” in tema di diritti (anche e soprattutto delle minoranze) il quale, ravvisando “nel pluralismo avanzato il futuro della Costituzione”, “sappia limitarsi” a quei “contenuti etici” (da individuarsi a cura del legislatore statale o regionale a seconda della materia di competenza) in grado di proporsi ed affermarsi come “il comune denominatore delle svariate componenti di un assetto sociale complesso” ([33]). Pertanto, solo prendendo le mosse da questa ricostruzione che potremmo definire “altera” rispetto ai canoni comunemente adottati dalla dottrina costituzionalistica in materia, i diritti dei gruppi minoritari non si limitano più alla sola pretesa soggettiva ma si impongono in veste di “autorità” o meglio di norme giuridiche che effettivamente prevedono come obbligatoria la tutela del bene loro intrinseco (la c.d. tutela positiva rinforzata), prescindendo da qualunque vincolo limitativo ([34]).



([1]) In questo senso, A. D’ALOIA, Introduzione. I diritti come immagini in movimento: tra norma e cultura costituzionale, in A. D’Aloia (a cura di) Diritti e Costituzione. Profili evolutivi e dimensioni inedite, Milano, Giuffrè, 2003, p. XC.

([2]) Cfr., Corte cost. 18 ottobre 1983 n. 312, in Le Regioni, Giuffrè, n. 1-2/1984, p.238 e ss. Il caso prende le mosse da un giudizio amministrativo avente ad oggetto l’impugnativa di un bando di concorso per il conferimento di 24 sedi farmaceutiche indette dal Medico provinciale di Bolzano/Bozen, nel quale era richiesto il possesso di un attestato comprovante la conoscenza delle lingue italiana e tedesca in base a quanto previsto dalla l. provinciale 3 settembre 1979 n. 12. La IV sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato, sollevava questione di legittimità innanzi alla Corte Costituzionale, ritenendo la disposizione normativa di cui sopra in contrasto con gli artt. 3, 6, 41 della Costituzione. Il citato art. 1, disponendo che “al personale sanitario ed alle categorie non mediche….., si applica il titolo I del D. Lgs. 26 luglio 1972 n. 752 (contenente le norme di attuazione dello Statuto speciale del Trentino Alto Adige/Sudtirol in materia di proporzionale negli uffici statali siti nella Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen e di conoscenza delle due lingue nel pubblico impiego)” violerebbe, secondo il remittente, il principio di eguaglianza sostanziale di tutti i cittadini, in quanto lo stesso postula l’insussistenza di distinzioni basate sulla lingua, nonché l’art. 6 della Cost. che demanda alle leggi dello Stato (sent. 1/1961) la competenza in ordine alla tutela delle minoranze linguistiche, senza, quindi, ravvisare una potestà legislativa della Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen. Infine, in merito al rilievo che, nonostante il carattere pubblicistico della loro disciplina, le farmacie restano imprese private sia pure sottoposte a numerosi controlli, il Consiglio di Stato assumeva il contrasto della norma impugnata con l’art.41 Cost. poiché, con essa, l’attività professionale di farmacista sarebbe ingiustificatamente sottoposta a particolari condizioni restrittive esulanti dalle attribuzioni legislative dell’amministrazione provinciale di Bolzano/Bozen.

([3]) Vedi sent. n. 4/1956 nella quale si stabiliva che “la Costituzione, quando riserva puramente e semplicemente alla legge la disciplina di una determinata materia, si riferisce soltanto alla legge dello Stato” (punto 3 del cons. in dir.) Vedi, L. PALADIN, Diritto Costituzionale, Padova, Cedam, 1998, pp. 170-174.

([4]) Cfr., sent. n. 64/1965.

([5]) Il secondo Statuto speciale del Trentino Alto Adige/Sudtirol, è contenuto nel D. lgs. 31 agosto 1972 n. 670. In G.U. 20 novembre 1972 n. 301.

([6]) Cfr., sentt. n. 32/1960 e n. 1/1961.

([7]) Cfr., sent. n. 14/1965.

([8]) Punto 3 del cons.in dir. della sentenza in commento.

([9]) A. PIZZORUSSO, Ancora su competenza legislativa regionale (e provinciale) e tutela delle minoranze linguistiche, in Le Regioni, Giuffrè, n. 1-2/1984, pp. 244-245.

([10]) Così, V. CRISAFULLI, Lezioni di Diritto Costituzionale, Tomo I, Padova, Cedam, 1970.

([11]) Nella IX legislatura (1985), vennero unificate tre proposte di legge presentate alla Camera dei Deputati: la n. 2068 del 24 ottobre 1980 del partito socialista, la n. 107 del 20 giugno 1979 del partito comunista e la n. 2318 del 4 febbraio 1981 del partito radicale. Il progetto venne approvato dall’Assemblea nel 1991 (p.d.l. A.C. n. 612 – X legislatura) e riprendeva, in gran parte, il contenuto della proposta già votata nella IX legislatura dalla Commissione Affari Costituzionali in sede referente (18 dicembre 1987). Vedi, a riguardo, V. PIERGIGLI, Lingue minoritarie ed identità culturali, Milano, Giuffrè, 2001, pp. 176-178 (note 101 e 103).

([12]) Cfr., Tar Friuli-Venezia Giulia 15 luglio 1996 n. 783, in TAR, Giuffrè, 1996, p. 3181 e ss.

([13]) In tal senso, R. BIN, Regioni e minoranze etnico-linguistiche, in Le Regioni, Giuffrè, n. 4/1989, pp. 1014-1015.

([14]) Punto 19 dir. della sentenza Tar del Friuli-Venezia Giulia n. 783/1996.

([15]) Cfr., E. PALICI DI SUNI PRAT, La tutela giuridica delle minoranze tra Stato e Regioni in Italia, in S. Bartole, N. Olivetti Rason, L. Pegoraro (a cura di) La tutela giuridica delle minoranze, Padova, Cedam, 1998, p. 160.

([16]) In Giur. Cost, Giuffrè, 1994, p. 2535 e ss.

([17]) Così E. PALICI DI SUNI PRAT, La tutela giuridica delle minoranze tra Stato e Regioni in Italia, op. cit., p. 164.

([18]) Ancora, E. PALICI DI SUNI PRAT, La tutela giuridica delle minoranze tra Stato e Regioni in Italia, op. cit., p. 165.

([19]) Riforma attuata dalla l. costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3. In G.U. 24 ottobre 2001 n. 248.

([20]) La notizia è riportata da V. ELENA BOCCI, La salvaguardia delle minoranze linguistiche dopo la riforma del Titolo V della Costituzione: ancora sulla permanenza dell’interesse nazionale, in Forum dei Quad. Cost., 7 novembre 2001.

([21]) Recita l’art. 11: “Sino all’adeguamento dei rispettivi Statuti , le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a Statuto speciale ed alle Province Autonome di Trento e Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite”.

([22]) Una sintesi della teoria in esame si trova in F. PALERMO, Titolo V e norme d’attuazione degli Statuti speciali, in Forum dei Quad. Cost., 10 novembre 2001.

([23]) Un esempio ci è fornito dalla legge sull’urbanistica 11 agosto 1997 n. 13 della Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen, in particolare all’art. 5, 3° comma, in tema di contenuto del piano provinciale di sviluppo e coordinamento territoriale: “Il piano si estende a tutto il territorio della provincia di Bolzano e, sulla base dei fattori geografici e naturali, etnici, demografici, sociali, economici e culturali, definisce i principi per assicurare un indirizzo coordinato della pianificazione a livello comunale e comprensoriale”.

([24]) L. PALADIN, Diritto Regionale, Padova, Cedam, 2000, p. 90. La giurisprudenza costituzionale, ha, viceversa, concepito il limite dell’interesse nazionale quale criterio normale ed indispensabile per definire esattamente, mediante un sindacato di legittimità, sia lo spessore che l’estensione della competenza regionale.

([25]) La stessa sentenza della Corte cost. n. 289/1987 qualifica la tutela delle minoranze linguistiche come “interesse nazionale”. Vedi, a riguardo, G. MARIA FLICK, Minoranze ed eguaglianza: il diritto alla diversità e al territorio come espressione dell’identità nel tempo della globalizzazione, in Pol. dir., Milano, Giuffrè, 2004, p. 14.

([26]) Recita l’art. 4: “In armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e con il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, tra i quali è compreso quello della tutela delle minoranze linguistiche locali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, la Regione ha la potestà legislativa nelle seguenti materie……”.

([27]) Così, S. BARTOLE, R. BIN, G. FALCON, R. TOSI, Diritto Regionale, Bologna, Il Mulino, 2005, p. 208.

([28]) Così F. PALERMO, Lezione del 12-02-2007 del corso di Diritto Costituzionale Comparato dei gruppi e delle minoranze linguistiche, Trento, 2007; su questa linea anche C. PICIOCCHI, La libertà terapeutica come diritto culturale, Padova, Cedam, 2006.

([29]) Cfr., A. PIZZORUSSO, Il pluralismo linguistico tra stato nazionale e autonomie regionali, in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, Vol. VI, 1976, pp. 1500-1501.

([30]) In Giur. Cost, Giuffè, 1975, p. 799 e ss.

([31]) In questa direzione, E. PALICI DI SUNI PRAT, Intorno alle minoranze, Torino, Giappichelli, 2002, pp. 15-16. Un esempio di quanto riportato, si può ravvisare nell’istituto giuridico della proporzionale etnica nella Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen: se è vero che la norma costituzionale dell’art. 51, 1° comma, Cost., prescrive l’eguale accesso di tutti i cittadini ai pubblici uffici di qualunque genere, è anche vero che essa subisce una deroga manifesta in virtù della proporzionale etnica. Quest’ultima, infatti, ricava la sua giustificazione dal fondamentale principio di cui all’art. 6 della Costituzione proprio alla luce della sua evidente forza derogatoria.

([32]) Cfr., F. PALERMO - J. WOELK, From Minority Protection to a Law of Diversity ? Reflections on the Evolution of Minority Rights, in European Yearbook of Minority Iussues, Vol. III, 2003/2004, pp. 5-13.

([33]) In questa direzione, O. CHESSA, Libertà fondamentali e teoria costituzionale, Milano, Giuffrè, 2002, pp. 279-280.

([34]) Vedi, G. PALOMBELLA, L’autorità dei diritti, Roma-Bari, Laterza, 2002, p. 194.

Sommario:

1. Introduzione

2. La sentenza n. 312/1983: il superamento della riserva di legge statale

3. Regionalismo “morbido” ed “incisivo”

4. Una soluzione intermedia per la tutela delle minoranze. Premesse per un “law of diversity”

1. Introduzione

- Il presente lavoro desidera analizzare, sommariamente e per grandi linee, i rapporti tra Stato e Regioni sul piano della tutela e del riconoscimento dei diritti delle minoranze con particolare riferimento all’evoluzione della giurisprudenza costituzionale. Si dimostrerà come la materia sia gradualmente transitata da una dimensione esclusivamente statale ad una in cui alle Regioni (in particolare quelle ordinarie), sebbene sia ancora precluso un vero e proprio potere di riconoscimento dello status minoritario, spetta il compito, nelle materie di competenza concorrente e residuale (art. 117, 3° e 4° comma, Cost.), di intervenire non solo nella valorizzazione dell’idioma minoritario ma anche nella previsione di alcune situazioni giuridiche che si informano alla logica del ridimensionamento della distanza intercorrente tra il gruppo minoritario, da un lato, e la maggioranza della popolazione insediata all’interno del territorio regionale, dall’altro. Ne conseguirà la necessità, per le ragioni che saranno esposte, dell’abbandono del concetto stesso di minoranza per pervenire a quello innovativo di “diversità”. Una diversità che si addice alla tutela multilivello del fenomeno minoritario e che, in ragione dell’affermazione dei caratteri propri del gruppo (il c.d. animus comunitario), diviene la prospettiva per una ridefinizione delle strutture giuridiche la quale, in questo peculiare contesto, assume la “cifra del pluralismo” ossia “della capacità del diritto (legislativo e giurisprudenziale) di rigenerarsi come fattore di maturazione di valori comuni e di ricerca di regole legislative condivise, piuttosto che come momento espressivo di un ben determinato e fisso quadro assiologico da apporre alle richieste allogene” ([1]).

2. La sentenza n. 312/1983: il superamento della riserva di legge statale

- E’stato merito della Corte Costituzionale, con la sentenza n. 312/1983 ([2]), rovesciare l’ottica con la quale il tema “minoranze” veniva affrontato nel diritto interno. Mutando il suo iniziale orientamento ([3]), il giudice costituzionale ha riconosciuto che le Regioni possono legiferare negli stessi ambiti costituzionalmente riservati alla legge, laddove lo impongano le altre norme costituzionali che attribuiscono loro una qualche potestà legislativa ([4]); su questa scia ed alla luce delle riforme apportate allo Statuto speciale del Trentino Alto Adige/Sudtirol ([5]) con le ll. cost. n. 1/1971 e n. 2/1972, venne respinta la tesi, sostenuta nel periodo antecedente la riforma statutaria ([6]), circa la spettanza, allo Stato centrale, della disciplina dell’uso della lingua e la tutela delle comunità minoritarie, considerate alla stregua di materie ad esso “riservate” con la susseguente produzione di effetti aberranti come nel caso del Friuli-Venezia Giulia, allorquando, la Corte aveva negato ([7]) che il Consiglio Regionale potesse inserire nel proprio regolamento interno disposizioni destinate a realizzare una qualche forma di protezione minoritaria. Caduto l’ostacolo della riserva di legge statale, il tema de quo inizia a configurarsi nella veste di “limite ed al tempo stesso come indirizzo per l’esercizio della potestà legislativa ed amministrativa regionale e provinciale nel Trentino Alto Adige” ([8]) e, analogicamente, per le rispettive attività delle altre Regioni ad ordinamento comune. Pertanto, osserva il Pizzorusso ([9]), il fatto che la competenza legislativa spetti allo Stato, alle Regioni ed alle Province Autonome di Trento e Bolzano/Bozen, si evince non solo dall’oggetto principale delle singole discipline da adottare ma anche dal principio di cui all’art. 6 Cost. impegnante la “Repubblica” o meglio, secondo la prospettiva crisafulliana-paladiniana ([10]), tutte le persone giuridiche pubbliche in cui si articola lo Stato-Apparato.

3. Regionalismo “morbido” ed “incisivo”

- Data per consolidata, nella giurisprudenza della Corte, l’esclusione di una riserva di legge statale, resta da chiarire fino a che punto può spingersi la potestà regionale. E’ cosa utile, ai fini di una migliore comprensione dell’argomento, distinguere due diversi orientamenti: quello del regionalismo “morbido” operante fino alla metà degli anni ’90 e quello del tentativo di avvio di un regionalismo “incisivo” che appare essersi implicitamente affermato, secondo una parte della dottrina, con la sentenza n. 15/1996. Nel periodo successivo la pronuncia n. 312/1983 ed in sede di lavori preparatori di un disegno di legge-quadro per la tutela delle minoranze linguistiche storiche ([11]) alla fine degli anni’80, ma mai venuto alla luce, si riteneva inammissibile che tanto le Regioni quanto gli enti locali si spingessero “apertamente e surrettiziamente” ([12]) a riconoscere le lingue minoritarie ed a disciplinarne i relativi usi pubblici, in quanto ambiti di spettanza statale. All’ente regionale era precluso il riconoscimento di un “un vero e proprio diritto soggettivo in capo al singolo di esprimersi in una lingua diversa dall’italiano” ([13]), dovendosi limitare a qualche “facoltà” ([14]) destinata a valorizzare sul piano storico-linguistico-culturale gli idiomi minoritari con particolare riferimento alle minoranze ristrette, localizzate nelle Regioni delle comunità minoritarie superprotette ([15]). La stessa giurisprudenza della Corte non ha fatto altro se non rimarcare questa iniziale impostazione. Con la sentenza n. 290/1994 ([16]), il giudice costituzionale sanzionava una legge della Regione Sardegna la quale, in virtù della competenza attuativo-integrativa in materia di istruzione ed ordinamento degli studi prevista all’art.5 lett.a) dello Statuto sardo, si spingeva oltre la dimensione “facoltativa” dettando una disciplina volta a “tutelare e valorizzare la cultura e la lingua diffuse in Sardegna mediante progetti di ambito regionale e locale, stabiliti d’intesa con il Ministro dell’Istruzione, diretti ad individuare percorsi formativi scolastici, con l’introduzione di aree disciplinari relative alla lingua e letteratura sarde, alla storia della Sardegna, alla storia dell’arte, alla musica ed alla danza sarde, alla geografia ed ecologia della Sardegna” ([17]).

La pronuncia n. 15/1996 sembrerebbe segnare una svolta quasi epocale circa i rapporti tra Stato centrale e Regioni nella tutela delle minoranze; la Corte Costituzionale accenna, infatti, ad una “presunta competenza regionale generale” ([18]) sul piano della protezione dei gruppi minoritari poiché ritiene che per le esigenze di servizio connesse alla funzione di traduttore ed interprete nei Distretti di Corte d’Appello, pur essendo settori relativi ad una materia collegata a quella giurisdizionale, di esclusiva pertinenza statale, non ostano ragioni per escludere una competenza del legislatore regionale relativamente all’apprestamento di mezzi e nell’organizzazione di strutture volte a rendere effettivi i diritti linguistici delle minoranze situate all’interno del territorio regionale. Una sorta di regionalismo che non si limita alla mera valorizzazione storico-culturale dell’idioma minoritario ma che, in ambiti direttamente connessi con quelli dello Stato, rivendica una sua competenza, incidendo sulle modalità di esercizio di alcuni dei diritti degli appartenenti ad un gruppo minoritario. Questa prospettiva, a seguito della riforma ([19]) della Parte II Titolo V della Carta Costituzionale, è stata ulteriormente rimarcata dalla Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen, in ragione di un parere tecnico fondato su una interpretazione troppo letterale e restrittiva del dettato costituzionale ([20]): la tutela delle minoranze non rientra né nelle materie di potestà legislativa esclusiva dello Stato né in quelle di potestà concorrente Stato-Regioni, pertanto, alla luce dell’art. 117, 4° comma, Cost. non può che ricadere nella potestà residuale o esclusiva degli enti regionali. L’osservazione riguardante il fatto che il disposto si rivolge solamente alle Regioni a Statuto ordinario e non a quelle ad ordinamento differenziato, viene meno in quanto, in virtù del disposto dell’art. 11 ([21]) della l. costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, le disposizioni della citata legge si applicano anche alle Regioni a Statuto speciale ed alle Province Autonome di Trento e Bolzano/Bozen per le parti che contemplano forme di autonomia più ampie di quelle già attribuite.

4. Una soluzione intermedia per la tutela delle minoranze. Premesse per un “law of diversity”

- Non è possibile condividere una siffatta impostazione che sposta in toto, senza un valido fondamento costituzionale, il problema dal piano statale a quello regionale. Il punto di partenza per una corretta identificazione dei rapporti Stato-Regioni in merito al tema in oggetto ([22]) consiste nella presa di coscienza che la materia “tutela delle minoranze”, in quanto tale, non esiste. Essa può dirsi di competenza regionale/provinciale nella misura in cui venga declinata nell’esercizio di proprie competenze da parte degli enti regionali; proprio nella Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen, i settori dell’urbanistica e dell’edilizia sono stati ampiamente utilizzati ai fini della tutela minoritaria, evitando l’emigrazione della popolazione di lingua tedesca e ladina ([23]). Tre i dati a sostegno di questa tesi.

Il primo consiste nel c.d. interesse nazionale. Ora, è vero che il medesimo, con la riforma del Titolo V, è venuto meno come limite di merito “eccezionalmente valutabile in termini politici dal solo Parlamento, attraverso un apposito controllo preventivo delle leggi regionali impugnate dal Governo ex art.127, 4° comma, Cost.” ([24]) del testo previgente, ma ciò non toglie che sia scomparso definitivamente dall’ordinamento costituzionale, risultando formalizzato proprio in materia di minoranze ([25]) sia nell’art. 4 ([26]) dello Statuto di Autonomia del Trentino Alto Adige/Sudtirol sia nel combinato disposto tra l’art. 5 e 6 della Costituzione, stante l’ampiezza del termine “Repubblica”, e configurandosi nella veste di “limite implicito”, un autonomo titolo che, “anche al di fuori delle porte ufficiali lasciate aperte dall’art.117, 2° e 3° comma Cost., legittimerebbe interventi ulteriori dello Stato a tutela delle esigenze unitarie” ([27]) e minoritarie.

Il secondo dato: l’intoccabilità della disciplina dei diritti fondamentali. E’ fuori dubbio che la riforma del Titolo V, nel 2001, non ha inciso sulle modalità di tutela dei diritti fondamentali cui il problema “minoranze” è strettamente collegato. Le stesse, per ovvie ragioni, sono sottratte alla competenza degli enti territoriali, idonei ad intervenire solo indirettamente per il tramite dell’esercizio delle proprie attribuzioni.

E veniamo, infine, al terzo ed ultimo dato: il concetto di “identità funzionale” ([28]). Un minoranza è tale mai in astratto ed ex ante ma principalmente in relazione all’ordinamento statale anche se, il ruolo “correttivo” sempre più consistente dell’Unione Europea, sta ridimensionando la posizione dello Stato, non più “the main protagonist” nella tutela delle minoranze. Resta, comunque, da domandarsi se si potrebbe ancora parlare di una minoranza di lingua tedesca in Alto Adige/Sudtirol qualora la sua salvaguardia rimanesse allocata esclusivamente ed unicamente a livello di Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen ? Molto probabilmente no perché lo status minoritario, almeno fino ad ora, è stato riconosciuto sempre in funzione della maggioranza della popolazione dello Stato e non sulla base della mera identificazione dei gruppi a livello regionale anche se questo non toglie, come si dirà e spiegherà nel proseguio, l’inadeguatezza dell’idea stessa di minoranza allorquando si agisce nell’ambito giuridico-territoriale delle Regioni, specialmente quelle ad ordinamento speciale.

Solo, dunque, all’interno di questa nuova prospettiva delineata, relativa ad i rapporti tra Stato e Regioni, si intravede come la protezione delle minoranze non rappresenta una mera specificazione del principio di eguaglianza sostanziale ([29]) in quanto acquisisce un significato tutto particolare e “proprio”, già individuato, per altro, dalla Corte Costituzionale. Con sentenza n. 86/1975 ([30]), il giudice di legittimità riconosce espressamente che il principio di tutela delle minoranze “rappresenta senza dubbio qualcosa di diverso, e di più, rispetto al principio di parità dei cittadini” affermando, latu sensu, la portata derogatoria della salvaguardia minoritaria sia rispetto al principio maggioritario sia rispetto al principio di eguaglianza ([31]). La Corte, ha quindi avuto il grande merito di introdurre una dimensione innovativa all’interno della quale studiare ed analizzare il fenomeno delle minoranze: quella della diversità. Un concetto, questo, ontologicamente insito nella dimensione multilivello del problema minoritario: infatti, se le nozioni di maggioranza e minoranza valgono solo se si assume come punto di riferimento lo Stato centrale, le stesse perdono di valenza se ci si posta all’interno della prospettiva regionalistica ove, ed il caso del gruppo linguistico tedesco in Alto Adige/Sudtirol ne è un valido esempio, una minoranza può essere tale de iure ma non de facto ed anzi diviene essa stessa maggioranza.

Da qui, la proposta di abbandonare e lasciare alle spalle l’idea di un “law of minority protection” per porre le fondamenta di quello che è stato definito un “law of diversity” ([32]), molto più adatto alla complessità ed alla prassi imposte dalla società contemporanea. Una diversità, quella sotto il profilo etnico e linguistico, che non si pone in attegiamento dicotomico e di privilegio con il resto della popolazione dell’ordinamento ma, pur riconoscendo l’importanza dell’animus comunitario (il desiderio di valorizzazione e conservazione dei propri tratti), in ragione dell’idea di una “cittadinanza multiculturale” (c.d. multicultural citizienship) elaborata dalla nuova dottrina comparatistica (Bartole, Palermo e Woelk), si erge a punto di partenza per un auspicabile “minimalismo costituzionale” in tema di diritti (anche e soprattutto delle minoranze) il quale, ravvisando “nel pluralismo avanzato il futuro della Costituzione”, “sappia limitarsi” a quei “contenuti etici” (da individuarsi a cura del legislatore statale o regionale a seconda della materia di competenza) in grado di proporsi ed affermarsi come “il comune denominatore delle svariate componenti di un assetto sociale complesso” ([33]). Pertanto, solo prendendo le mosse da questa ricostruzione che potremmo definire “altera” rispetto ai canoni comunemente adottati dalla dottrina costituzionalistica in materia, i diritti dei gruppi minoritari non si limitano più alla sola pretesa soggettiva ma si impongono in veste di “autorità” o meglio di norme giuridiche che effettivamente prevedono come obbligatoria la tutela del bene loro intrinseco (la c.d. tutela positiva rinforzata), prescindendo da qualunque vincolo limitativo ([34]).



([1]) In questo senso, A. D’ALOIA, Introduzione. I diritti come immagini in movimento: tra norma e cultura costituzionale, in A. D’Aloia (a cura di) Diritti e Costituzione. Profili evolutivi e dimensioni inedite, Milano, Giuffrè, 2003, p. XC.

([2]) Cfr., Corte cost. 18 ottobre 1983 n. 312, in Le Regioni, Giuffrè, n. 1-2/1984, p.238 e ss. Il caso prende le mosse da un giudizio amministrativo avente ad oggetto l’impugnativa di un bando di concorso per il conferimento di 24 sedi farmaceutiche indette dal Medico provinciale di Bolzano/Bozen, nel quale era richiesto il possesso di un attestato comprovante la conoscenza delle lingue italiana e tedesca in base a quanto previsto dalla l. provinciale 3 settembre 1979 n. 12. La IV sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato, sollevava questione di legittimità innanzi alla Corte Costituzionale, ritenendo la disposizione normativa di cui sopra in contrasto con gli artt. 3, 6, 41 della Costituzione. Il citato art. 1, disponendo che “al personale sanitario ed alle categorie non mediche….., si applica il titolo I del D. Lgs. 26 luglio 1972 n. 752 (contenente le norme di attuazione dello Statuto speciale del Trentino Alto Adige/Sudtirol in materia di proporzionale negli uffici statali siti nella Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen e di conoscenza delle due lingue nel pubblico impiego)” violerebbe, secondo il remittente, il principio di eguaglianza sostanziale di tutti i cittadini, in quanto lo stesso postula l’insussistenza di distinzioni basate sulla lingua, nonché l’art. 6 della Cost. che demanda alle leggi dello Stato (sent. 1/1961) la competenza in ordine alla tutela delle minoranze linguistiche, senza, quindi, ravvisare una potestà legislativa della Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen. Infine, in merito al rilievo che, nonostante il carattere pubblicistico della loro disciplina, le farmacie restano imprese private sia pure sottoposte a numerosi controlli, il Consiglio di Stato assumeva il contrasto della norma impugnata con l’art.41 Cost. poiché, con essa, l’attività professionale di farmacista sarebbe ingiustificatamente sottoposta a particolari condizioni restrittive esulanti dalle attribuzioni legislative dell’amministrazione provinciale di Bolzano/Bozen.

([3]) Vedi sent. n. 4/1956 nella quale si stabiliva che “la Costituzione, quando riserva puramente e semplicemente alla legge la disciplina di una determinata materia, si riferisce soltanto alla legge dello Stato” (punto 3 del cons. in dir.) Vedi, L. PALADIN, Diritto Costituzionale, Padova, Cedam, 1998, pp. 170-174.

([4]) Cfr., sent. n. 64/1965.

([5]) Il secondo Statuto speciale del Trentino Alto Adige/Sudtirol, è contenuto nel D. lgs. 31 agosto 1972 n. 670. In G.U. 20 novembre 1972 n. 301.

([6]) Cfr., sentt. n. 32/1960 e n. 1/1961.

([7]) Cfr., sent. n. 14/1965.

([8]) Punto 3 del cons.in dir. della sentenza in commento.

([9]) A. PIZZORUSSO, Ancora su competenza legislativa regionale (e provinciale) e tutela delle minoranze linguistiche, in Le Regioni, Giuffrè, n. 1-2/1984, pp. 244-245.

([10]) Così, V. CRISAFULLI, Lezioni di Diritto Costituzionale, Tomo I, Padova, Cedam, 1970.

([11]) Nella IX legislatura (1985), vennero unificate tre proposte di legge presentate alla Camera dei Deputati: la n. 2068 del 24 ottobre 1980 del partito socialista, la n. 107 del 20 giugno 1979 del partito comunista e la n. 2318 del 4 febbraio 1981 del partito radicale. Il progetto venne approvato dall’Assemblea nel 1991 (p.d.l. A.C. n. 612 – X legislatura) e riprendeva, in gran parte, il contenuto della proposta già votata nella IX legislatura dalla Commissione Affari Costituzionali in sede referente (18 dicembre 1987). Vedi, a riguardo, V. PIERGIGLI, Lingue minoritarie ed identità culturali, Milano, Giuffrè, 2001, pp. 176-178 (note 101 e 103).

([12]) Cfr., Tar Friuli-Venezia Giulia 15 luglio 1996 n. 783, in TAR, Giuffrè, 1996, p. 3181 e ss.

([13]) In tal senso, R. BIN, Regioni e minoranze etnico-linguistiche, in Le Regioni, Giuffrè, n. 4/1989, pp. 1014-1015.

([14]) Punto 19 dir. della sentenza Tar del Friuli-Venezia Giulia n. 783/1996.

([15]) Cfr., E. PALICI DI SUNI PRAT, La tutela giuridica delle minoranze tra Stato e Regioni in Italia, in S. Bartole, N. Olivetti Rason, L. Pegoraro (a cura di) La tutela giuridica delle minoranze, Padova, Cedam, 1998, p. 160.

([16]) In Giur. Cost, Giuffrè, 1994, p. 2535 e ss.

([17]) Così E. PALICI DI SUNI PRAT, La tutela giuridica delle minoranze tra Stato e Regioni in Italia, op. cit., p. 164.

([18]) Ancora, E. PALICI DI SUNI PRAT, La tutela giuridica delle minoranze tra Stato e Regioni in Italia, op. cit., p. 165.

([19]) Riforma attuata dalla l. costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3. In G.U. 24 ottobre 2001 n. 248.

([20]) La notizia è riportata da V. ELENA BOCCI, La salvaguardia delle minoranze linguistiche dopo la riforma del Titolo V della Costituzione: ancora sulla permanenza dell’interesse nazionale, in Forum dei Quad. Cost., 7 novembre 2001.

([21]) Recita l’art. 11: “Sino all’adeguamento dei rispettivi Statuti , le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a Statuto speciale ed alle Province Autonome di Trento e Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite”.

([22]) Una sintesi della teoria in esame si trova in F. PALERMO, Titolo V e norme d’attuazione degli Statuti speciali, in Forum dei Quad. Cost., 10 novembre 2001.

([23]) Un esempio ci è fornito dalla legge sull’urbanistica 11 agosto 1997 n. 13 della Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen, in particolare all’art. 5, 3° comma, in tema di contenuto del piano provinciale di sviluppo e coordinamento territoriale: “Il piano si estende a tutto il territorio della provincia di Bolzano e, sulla base dei fattori geografici e naturali, etnici, demografici, sociali, economici e culturali, definisce i principi per assicurare un indirizzo coordinato della pianificazione a livello comunale e comprensoriale”.

([24]) L. PALADIN, Diritto Regionale, Padova, Cedam, 2000, p. 90. La giurisprudenza costituzionale, ha, viceversa, concepito il limite dell’interesse nazionale quale criterio normale ed indispensabile per definire esattamente, mediante un sindacato di legittimità, sia lo spessore che l’estensione della competenza regionale.

([25]) La stessa sentenza della Corte cost. n. 289/1987 qualifica la tutela delle minoranze linguistiche come “interesse nazionale”. Vedi, a riguardo, G. MARIA FLICK, Minoranze ed eguaglianza: il diritto alla diversità e al territorio come espressione dell’identità nel tempo della globalizzazione, in Pol. dir., Milano, Giuffrè, 2004, p. 14.

([26]) Recita l’art. 4: “In armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e con il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, tra i quali è compreso quello della tutela delle minoranze linguistiche locali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, la Regione ha la potestà legislativa nelle seguenti materie……”.

([27]) Così, S. BARTOLE, R. BIN, G. FALCON, R. TOSI, Diritto Regionale, Bologna, Il Mulino, 2005, p. 208.

([28]) Così F. PALERMO, Lezione del 12-02-2007 del corso di Diritto Costituzionale Comparato dei gruppi e delle minoranze linguistiche, Trento, 2007; su questa linea anche C. PICIOCCHI, La libertà terapeutica come diritto culturale, Padova, Cedam, 2006.

([29]) Cfr., A. PIZZORUSSO, Il pluralismo linguistico tra stato nazionale e autonomie regionali, in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, Vol. VI, 1976, pp. 1500-1501.

([30]) In Giur. Cost, Giuffè, 1975, p. 799 e ss.

([31]) In questa direzione, E. PALICI DI SUNI PRAT, Intorno alle minoranze, Torino, Giappichelli, 2002, pp. 15-16. Un esempio di quanto riportato, si può ravvisare nell’istituto giuridico della proporzionale etnica nella Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen: se è vero che la norma costituzionale dell’art. 51, 1° comma, Cost., prescrive l’eguale accesso di tutti i cittadini ai pubblici uffici di qualunque genere, è anche vero che essa subisce una deroga manifesta in virtù della proporzionale etnica. Quest’ultima, infatti, ricava la sua giustificazione dal fondamentale principio di cui all’art. 6 della Costituzione proprio alla luce della sua evidente forza derogatoria.

([32]) Cfr., F. PALERMO - J. WOELK, From Minority Protection to a Law of Diversity ? Reflections on the Evolution of Minority Rights, in European Yearbook of Minority Iussues, Vol. III, 2003/2004, pp. 5-13.

([33]) In questa direzione, O. CHESSA, Libertà fondamentali e teoria costituzionale, Milano, Giuffrè, 2002, pp. 279-280.

([34]) Vedi, G. PALOMBELLA, L’autorità dei diritti, Roma-Bari, Laterza, 2002, p. 194.