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I diritti minimi dei figli durante l’evento separativo - divorzile

I diritti minimi dei figli durante l’evento separativo - divorzile
I diritti minimi dei figli durante l’evento separativo - divorzile

Abstract: L’Autrice si occupa di una realtà dolorosa e attuale mostrando come l’impianto normativo e la lettura giurisprudenziale delle norme siano diretti a tutelare l’interesse dei figli nelle situazioni di separazione e divorzio dei coniugi pur sempre genitori.

«Con tutto quello che stava succedendo, chi aveva tempo di preoccuparsi della mia persona? Io non esistevo per nessuno […]. Compresi allora i soprusi che la famiglia mi aveva fatto subire. Vidi con esattezza la struttura dell’inganno. Mi attribuivano la colpa di ogni ferita che mi avevano inferto. Il boia non smette mai di proclamarsi vittima. Grazie a un abile sistema di negazioni, privandomi di ogni genere di informazione - e non sto parlando di informazione orale ma di esperienze per la maggior parte extra-verbali - ero stato spogliato di ogni diritto, trattato come un mendicante senza terra al quale veniva offerto con bontà sdegnosa un frammento di vita. I miei genitori sapevano che cosa stavano commettendo? Assolutamente no. Senza volerlo, facevano a me quello che era stato fatto a loro. E così, reiterando di generazione in generazione i misfatti emozionali, l’albero di famiglia continuava ad accumulare una sofferenza che durava da parecchi secoli. Domandai al Rebe [il nonno]: “Tu che sai sempre tutto dimmi che cosa posso pretendere da questa vita, che cosa mi è dovuto, quali sono i miei diritti fondamentali”. Immaginai quello che il Rebe mi avrebbe risposto:

“Innanzitutto, dovresti avere il diritto di venire generato da un padre e da una madre che si amino, durante un atto sessuale coronato dal reciproco orgasmo, affinché la tua anima e la tua carne abbiano come radice il piacere. Dovresti avere il diritto di non essere considerato un incidente né un peso, bensì un individuo atteso e desiderato con tutta la forza dell’amore, come un frutto che deve dare un senso alla coppia trasformandola in famiglia. Dovresti avere il diritto di nascere con il sesso che la natura ti ha dato (è sbagliato dire: “aspettavamo un maschietto e invece è arrivata una femmina” o viceversa). Dovresti avere il diritto di essere preso in considerazione fin dal primo mese della tua gestazione. Sempre, in ogni momento la donna gravida dovrebbe accettare di essere due organismi in via di separazione e non uno solo che si espande. Nessuno può considerarti responsabile degli incidenti che potrebbero intervenire durante il parto. Quello che avviene all’interno dell’utero non è mai colpa tua […] dovresti avere diritto ad una profonda collaborazione: la madre deve voler partorire tanto quanto il bambino o la bambina vogliono nascere. Lo sforzo sarà reciproco e bene equilibrato. Dal momento in cui tale universo ti produce, è tuo diritto avere un padre protettivo che sia sempre presente durante la tua crescita. Così come ad una pianta assetata si dà l’acqua quando manifesti un interesse hai diritto che ti venga data la possibilità di realizzarlo, affinché tu ti possa sviluppare sulla strada che hai scelto. Non sei venuto qui per realizzare il progetto personale degli adulti che ti impongono mete che non sono le tue, la principale felicità che ti offre la vita è consentirti di arrivare a te stesso. Dovresti avere il diritto di possedere uno spazio dove isolarti per costruire il tuo mondo immaginario, per vedere quello che vuoi senza che i tuoi occhi vengano limitati da una moralità effimera per ascoltare le idee che desideri anche se sono contrarie a quelle della tua famiglia. Sei venuto qui soltanto per realizzare te stesso. Non sei venuto ad occupare il posto di un morto, meriti di avere un nome che non sia quello di un parente scomparso prima della tua nascita: quando porti il nome di un defunto, è perché hanno innestato su di te un destino che non è il tuo, rubandoti la tua essenza. Hai il pieno diritto di non venir paragonato a nessuno, nessun fratello nessuna sorella vale più o meno di te, l’amore esiste quando si riconoscono le differenze fondamentali. Dovresti avere il diritto di venire escluso da ogni litigio familiare, di non venire preso come testimone nelle discussioni, di non essere il ricettacolo dei problemi economici degli adulti, di crescere in un ambiente pervaso di fiducia e sicurezza. Dovresti avere il diritto di venire educato da un padre e da una madre che la pensano allo stesso modo, avendo appianato le loro divergenze nell’intimità. Se divorziassero, dovresti avere il diritto di non essere costretto a guardare gli uomini con gli occhi risentiti di una madre né le donne con gli occhi risentiti di un padre. Dovresti avere il diritto di non venire sradicato dal luogo in cui hai i tuoi amici, la tua scuola, i tuoi professori prediletti. Dovresti avere il diritto di non venire criticato se scegli una strada che non rientra nei piani di chi ti ha generato, il diritto di amare chi desideri senza avere bisogno di una approvazione; e quando ti sentirai capace di farlo dovresti avere il diritto di lasciare il nido e andare a vivere la tua vita; di superare i tuoi genitori, di andare più avanti di loro, di realizzare quello che loro non hanno potuto fare, di vivere più a lungo di loro. Infine, dovresti avere il diritto di scegliere il momento della tua morte senza che nessuno ti mantenga in vita contro la tua volontà”».[1]

In questo brano del romanzo autobiografico dell’‘artista cileno Alejandro Jodorowsky sono contenuti i diritti fondamentali dei figli (quei diritti di cui esistono vari elenchi, sempre più elaborati ma poco rispettati, come la “carta dei diritti dei bambini nel divorzio”), soprattutto se in tenera età, tanto in costanza di matrimonio quanto in caso di separazione/divorzio della coppia coniugale (e non genitoriale). Quei diritti minimi che sono stati espressi nell’articolo 315-bis del codice civile “Diritti e doveri del figlio” (inserito dalla Legge 10 dicembre 2012, n. 219): “Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti. Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa”. Articolo richiamato dall’articolo 147 del codice civile “Doveri verso i figli” (come sostituito dal Decreto Legislativo 28 dicembre 2013, n. 154): “Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’articolo 315-bis”. Il legislatore ha fissato quattro doveri principali dei genitori nei confronti dei figli come quattro sono i doveri reciproci dei coniugi enunciati nell’articolo 143 del codice civile Quattro come, di solito, sono ritenute le pareti o i pilastri di un’‘abitazione, quell’abitazione (“abitare” significa letteralmente “continuare ad avere”) da intendere soprattutto come insieme di consuetudini e riti da coltivare e preservare con e per i figli (quel concetto di “casa” che emerge nella fine del film del 1979 “Kramer contro Kramer” diretto da Robert Benton, il primo magistralmente girato sul triste fenomeno dei figli contesi). Tra le tante novelle al codice civile a tutela dei figli, compare il diritto all’‘assistenza morale, forse uno dei più violati sia nelle famiglie unite sia in quelle ferite; quell’‘assistenza (dal latino “ad sistere”, “fermarsi, stare presso” e, pertanto, significa “stare presso alcuno per aiutarlo, soccorrerlo o altrimenti giovargli”) che dovrebbe significare attenzione, presenza equilibrata, accompagnamento durante le vicende personali e familiari del figlio. Con l’articolo 315-bis del codice civile, richiamato dall’articolo 147, si è ribaltata l’ottica: la presenza dei figli fa scaturire degli ineludibili obblighi che esistono, pure e non solo, in caso di coniugio. I figli vengono prima di tutto e al di sopra di tutto. L’articolo 147 del codice civile, seppure migliorato, rimane con lo stesso incipit che lo distingue dagli altri due articoli letti durante la celebrazione del matrimonio. È l’unico dei tre articoli con questo tenore letterale ed è l’unico in cui si usi “ambedue” (etimologicamente da “tenere insieme, legare”) proprio per sottolineare il legame unico e particolare tra la coppia ed i figli, quel “giogo” (“coniuge”, dal latino “cum”, con, e “jugum”, giogo, quindi “unito dallo stesso giogo”) che li unirà per tutta la vita, malgrado tutto.

Durante la separazione/divorzio della coppia coniugale i diritti dei figli non si riducono all’assegno di mantenimento o mantenimento diretto e, in caso di figli minori di età, all’assegnazione della casa familiare con collocamento presso un genitore, ma si sviluppano in una rete di diritti personali e relazionali.

In caso di violazione degli obblighi genitoriali durante la separazione/divorzio vi sono strumenti civilistici, come l’articolo 316-bis del codice civile (che ha sostituito l’articolo 148 del codice civile) che prevede, fra l’altro: “Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli”.

Accanto agli strumenti civilistici vi sono quelli penalistici, come l’articolo 388 comma 2 del codice penale che punisce chi elude l’esecuzione di un provvedimento del giudice civile che concerna l’affidamento di minori o di altre persone incapaci.

A parte queste disposizioni vi sono, poi, gli interventi della cosiddetta giurisprudenza creativa (la stessa che ha elaborato la differenza opinabile tra “stile di vita” e “tenore di vita” a proposito del mantenimento durante separazione/divorzio) che sopperiscono (non senza contraddizioni) ai casi o agli aspetti non previsti legislativamente. In sede civilistica rilevante è l’illecito endofamiliare per danno nelle relazioni familiari, che può essere fatto valere per azione dei medesimi figli.

In ambito penalistico è invalsa l’applicazione estensiva o analogica degli articoli 570-574 del codice penale, sotto la rubrica “Dei delitti contro l’assistenza familiare”, alle varie sindromi emergenti nella conflittualità da separazione o forme di maltrattamento o infanzia abusata o infanzia negata o figli in ostaggio, che corrispondono prevalentemente alla mancata assistenza morale (introdotta dall’articolo 315-bis del codice civile) da parte dei genitori o di un genitore durante la separazione/divorzio: la PAS (sindrome d’‘alienazione genitoriale; tanto discussa perché non riportata nel DSM V, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, pubblicato negli USA nel 2013), mobbing genitoriale, sindrome del bambino maltrattato, sindrome del genitore malevolo o, più specificatamente, della madre malevola (o di Turkat), sindrome di Münchhausenper procura (una grave forma di ipercura). In ambito penale il legislatore è stato lungimirante nel parlare in maniera ampia di “assistenza familiare” ed anche incisivo nell’usare la locuzione “condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie” (articolo 570 comma 1 del codice penale) in cui ha messo dei parametri suscettibili di interpretazione evolutiva e che comunque ancorano l’interpretazione soprattutto nell’epoca attuale in cui vengono a mancare punti di riferimento; significativo anche l’uso del plurale “famiglie”.

Tra le tante sentenze, indicative quella contro un padre, in cui si è affermato che è reato non educare i figli ad amare il coniuge separato (Sentenza Cassazione VI Sezione Penale n. 2925/2000), e quella contro una madre ed un nonno materno (che, tra l’altro, avevano isolato il bambino e gli avevano rappresentato in maniera negativa e violenta la figura paterna tanto da imporre al bambino di farsi chiamare col cognome materno), in cui si è enunciato che anche l’atteggiamento iperprotettivo integra reato (Sentenza Cassazione VI Sezione Penale n. 36503/2011). Ciò a dimostrazione che le decisioni giudiziali non sono a favore dell’uno o dell’altro genitore ma cercano solo di tener conto dell’interesse superiore del fanciullo, come previsto nell’articolo 3 paragrafo 1 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia. “Interesse” significa letteralmente “che sta in mezzo” ed i genitori devono prendere consapevolezza che un figlio sta in mezzo alla coppia genitoriale e non va bistrattato da una parte all’altra. Come pure il figlio sta in mezzo tra la famiglia d’origine e la società verso cui si affaccia e, pertanto, non va leso nella sua integrità psicofisica.

È dolente, però, rilevare che i figli ricevano più tutela avverso i comportamenti dei loro genitori in sede penale quale forma di prevenzione secondaria o addirittura terziaria. Sarebbe meglio, invece, impiegare più risorse nella preparazione dei futuri genitori nei corsi prematrimoniali e successivamente in apposite scuole dei genitori, come da più parti auspicato e in alcuni posti già organizzate; così come è richiesta la qualificazione del personale delle istituzioni, dei servizi e delle strutture responsabili della cura e della protezione dei fanciulli (articolo 3 paragrafo 3 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). La preparazione è la migliore forma di prevenzione primaria di costi personali, economici e sociali. Laddove ciò non sia possibile bisogna avere il coraggio di ricorrere quando necessario alla professionalità (e non necessariamente alle professioni) delle relazioni di aiuto.

Bisogna acquisire la consapevolezza che venendo meno agli obblighi genitoriali durante l’evento separativo - divorzile non si fa un torto all’altro coniuge ma al figlio e che bisogna ottemperare ai propri obblighi indipendentemente dall’altro coniuge e anche se l’altro coniuge non vi ottemperi.

“Il bimbo di genitori separati va incontro a una grossa sofferenza: a chi lo incontra chiede rispetto, comprensione e sostegno” (Teresa Maria Getrevi, presidente provinciale UNICEF). Gli adulti coinvolti nell’evento separativo - divorzile, dai coniugi agli avvocati, dimenticano questa realtà semplice e imprescindibile. Soprattutto i coniugi o ex-coniugi (o ex-conviventi) non devono chiudersi nei loro egoismi e rancori rivendicando rispetto, comprensione e sostegno l’uno dall’altro e sottraendoli ai figli che dicono di amare, ma manifestandolo nel modo sbagliato. Devono sostituire alla spirale di reciproche accuse e rivendicazioni una spirale d’amore “riconosciuto che il fanciullo per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione” (dal Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).

[1]Alejandro Jodorowsky, “La danza della realtà”, edizioni Feltrinelli, Milano 2004, pp. 55-57

Abstract: L’Autrice si occupa di una realtà dolorosa e attuale mostrando come l’impianto normativo e la lettura giurisprudenziale delle norme siano diretti a tutelare l’interesse dei figli nelle situazioni di separazione e divorzio dei coniugi pur sempre genitori.

«Con tutto quello che stava succedendo, chi aveva tempo di preoccuparsi della mia persona? Io non esistevo per nessuno […]. Compresi allora i soprusi che la famiglia mi aveva fatto subire. Vidi con esattezza la struttura dell’inganno. Mi attribuivano la colpa di ogni ferita che mi avevano inferto. Il boia non smette mai di proclamarsi vittima. Grazie a un abile sistema di negazioni, privandomi di ogni genere di informazione - e non sto parlando di informazione orale ma di esperienze per la maggior parte extra-verbali - ero stato spogliato di ogni diritto, trattato come un mendicante senza terra al quale veniva offerto con bontà sdegnosa un frammento di vita. I miei genitori sapevano che cosa stavano commettendo? Assolutamente no. Senza volerlo, facevano a me quello che era stato fatto a loro. E così, reiterando di generazione in generazione i misfatti emozionali, l’albero di famiglia continuava ad accumulare una sofferenza che durava da parecchi secoli. Domandai al Rebe [il nonno]: “Tu che sai sempre tutto dimmi che cosa posso pretendere da questa vita, che cosa mi è dovuto, quali sono i miei diritti fondamentali”. Immaginai quello che il Rebe mi avrebbe risposto:

“Innanzitutto, dovresti avere il diritto di venire generato da un padre e da una madre che si amino, durante un atto sessuale coronato dal reciproco orgasmo, affinché la tua anima e la tua carne abbiano come radice il piacere. Dovresti avere il diritto di non essere considerato un incidente né un peso, bensì un individuo atteso e desiderato con tutta la forza dell’amore, come un frutto che deve dare un senso alla coppia trasformandola in famiglia. Dovresti avere il diritto di nascere con il sesso che la natura ti ha dato (è sbagliato dire: “aspettavamo un maschietto e invece è arrivata una femmina” o viceversa). Dovresti avere il diritto di essere preso in considerazione fin dal primo mese della tua gestazione. Sempre, in ogni momento la donna gravida dovrebbe accettare di essere due organismi in via di separazione e non uno solo che si espande. Nessuno può considerarti responsabile degli incidenti che potrebbero intervenire durante il parto. Quello che avviene all’interno dell’utero non è mai colpa tua […] dovresti avere diritto ad una profonda collaborazione: la madre deve voler partorire tanto quanto il bambino o la bambina vogliono nascere. Lo sforzo sarà reciproco e bene equilibrato. Dal momento in cui tale universo ti produce, è tuo diritto avere un padre protettivo che sia sempre presente durante la tua crescita. Così come ad una pianta assetata si dà l’acqua quando manifesti un interesse hai diritto che ti venga data la possibilità di realizzarlo, affinché tu ti possa sviluppare sulla strada che hai scelto. Non sei venuto qui per realizzare il progetto personale degli adulti che ti impongono mete che non sono le tue, la principale felicità che ti offre la vita è consentirti di arrivare a te stesso. Dovresti avere il diritto di possedere uno spazio dove isolarti per costruire il tuo mondo immaginario, per vedere quello che vuoi senza che i tuoi occhi vengano limitati da una moralità effimera per ascoltare le idee che desideri anche se sono contrarie a quelle della tua famiglia. Sei venuto qui soltanto per realizzare te stesso. Non sei venuto ad occupare il posto di un morto, meriti di avere un nome che non sia quello di un parente scomparso prima della tua nascita: quando porti il nome di un defunto, è perché hanno innestato su di te un destino che non è il tuo, rubandoti la tua essenza. Hai il pieno diritto di non venir paragonato a nessuno, nessun fratello nessuna sorella vale più o meno di te, l’amore esiste quando si riconoscono le differenze fondamentali. Dovresti avere il diritto di venire escluso da ogni litigio familiare, di non venire preso come testimone nelle discussioni, di non essere il ricettacolo dei problemi economici degli adulti, di crescere in un ambiente pervaso di fiducia e sicurezza. Dovresti avere il diritto di venire educato da un padre e da una madre che la pensano allo stesso modo, avendo appianato le loro divergenze nell’intimità. Se divorziassero, dovresti avere il diritto di non essere costretto a guardare gli uomini con gli occhi risentiti di una madre né le donne con gli occhi risentiti di un padre. Dovresti avere il diritto di non venire sradicato dal luogo in cui hai i tuoi amici, la tua scuola, i tuoi professori prediletti. Dovresti avere il diritto di non venire criticato se scegli una strada che non rientra nei piani di chi ti ha generato, il diritto di amare chi desideri senza avere bisogno di una approvazione; e quando ti sentirai capace di farlo dovresti avere il diritto di lasciare il nido e andare a vivere la tua vita; di superare i tuoi genitori, di andare più avanti di loro, di realizzare quello che loro non hanno potuto fare, di vivere più a lungo di loro. Infine, dovresti avere il diritto di scegliere il momento della tua morte senza che nessuno ti mantenga in vita contro la tua volontà”».[1]

In questo brano del romanzo autobiografico dell’‘artista cileno Alejandro Jodorowsky sono contenuti i diritti fondamentali dei figli (quei diritti di cui esistono vari elenchi, sempre più elaborati ma poco rispettati, come la “carta dei diritti dei bambini nel divorzio”), soprattutto se in tenera età, tanto in costanza di matrimonio quanto in caso di separazione/divorzio della coppia coniugale (e non genitoriale). Quei diritti minimi che sono stati espressi nell’articolo 315-bis del codice civile “Diritti e doveri del figlio” (inserito dalla Legge 10 dicembre 2012, n. 219): “Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti. Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa”. Articolo richiamato dall’articolo 147 del codice civile “Doveri verso i figli” (come sostituito dal Decreto Legislativo 28 dicembre 2013, n. 154): “Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’articolo 315-bis”. Il legislatore ha fissato quattro doveri principali dei genitori nei confronti dei figli come quattro sono i doveri reciproci dei coniugi enunciati nell’articolo 143 del codice civile Quattro come, di solito, sono ritenute le pareti o i pilastri di un’‘abitazione, quell’abitazione (“abitare” significa letteralmente “continuare ad avere”) da intendere soprattutto come insieme di consuetudini e riti da coltivare e preservare con e per i figli (quel concetto di “casa” che emerge nella fine del film del 1979 “Kramer contro Kramer” diretto da Robert Benton, il primo magistralmente girato sul triste fenomeno dei figli contesi). Tra le tante novelle al codice civile a tutela dei figli, compare il diritto all’‘assistenza morale, forse uno dei più violati sia nelle famiglie unite sia in quelle ferite; quell’‘assistenza (dal latino “ad sistere”, “fermarsi, stare presso” e, pertanto, significa “stare presso alcuno per aiutarlo, soccorrerlo o altrimenti giovargli”) che dovrebbe significare attenzione, presenza equilibrata, accompagnamento durante le vicende personali e familiari del figlio. Con l’articolo 315-bis del codice civile, richiamato dall’articolo 147, si è ribaltata l’ottica: la presenza dei figli fa scaturire degli ineludibili obblighi che esistono, pure e non solo, in caso di coniugio. I figli vengono prima di tutto e al di sopra di tutto. L’articolo 147 del codice civile, seppure migliorato, rimane con lo stesso incipit che lo distingue dagli altri due articoli letti durante la celebrazione del matrimonio. È l’unico dei tre articoli con questo tenore letterale ed è l’unico in cui si usi “ambedue” (etimologicamente da “tenere insieme, legare”) proprio per sottolineare il legame unico e particolare tra la coppia ed i figli, quel “giogo” (“coniuge”, dal latino “cum”, con, e “jugum”, giogo, quindi “unito dallo stesso giogo”) che li unirà per tutta la vita, malgrado tutto.

Durante la separazione/divorzio della coppia coniugale i diritti dei figli non si riducono all’assegno di mantenimento o mantenimento diretto e, in caso di figli minori di età, all’assegnazione della casa familiare con collocamento presso un genitore, ma si sviluppano in una rete di diritti personali e relazionali.

In caso di violazione degli obblighi genitoriali durante la separazione/divorzio vi sono strumenti civilistici, come l’articolo 316-bis del codice civile (che ha sostituito l’articolo 148 del codice civile) che prevede, fra l’altro: “Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli”.

Accanto agli strumenti civilistici vi sono quelli penalistici, come l’articolo 388 comma 2 del codice penale che punisce chi elude l’esecuzione di un provvedimento del giudice civile che concerna l’affidamento di minori o di altre persone incapaci.

A parte queste disposizioni vi sono, poi, gli interventi della cosiddetta giurisprudenza creativa (la stessa che ha elaborato la differenza opinabile tra “stile di vita” e “tenore di vita” a proposito del mantenimento durante separazione/divorzio) che sopperiscono (non senza contraddizioni) ai casi o agli aspetti non previsti legislativamente. In sede civilistica rilevante è l’illecito endofamiliare per danno nelle relazioni familiari, che può essere fatto valere per azione dei medesimi figli.

In ambito penalistico è invalsa l’applicazione estensiva o analogica degli articoli 570-574 del codice penale, sotto la rubrica “Dei delitti contro l’assistenza familiare”, alle varie sindromi emergenti nella conflittualità da separazione o forme di maltrattamento o infanzia abusata o infanzia negata o figli in ostaggio, che corrispondono prevalentemente alla mancata assistenza morale (introdotta dall’articolo 315-bis del codice civile) da parte dei genitori o di un genitore durante la separazione/divorzio: la PAS (sindrome d’‘alienazione genitoriale; tanto discussa perché non riportata nel DSM V, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, pubblicato negli USA nel 2013), mobbing genitoriale, sindrome del bambino maltrattato, sindrome del genitore malevolo o, più specificatamente, della madre malevola (o di Turkat), sindrome di Münchhausenper procura (una grave forma di ipercura). In ambito penale il legislatore è stato lungimirante nel parlare in maniera ampia di “assistenza familiare” ed anche incisivo nell’usare la locuzione “condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie” (articolo 570 comma 1 del codice penale) in cui ha messo dei parametri suscettibili di interpretazione evolutiva e che comunque ancorano l’interpretazione soprattutto nell’epoca attuale in cui vengono a mancare punti di riferimento; significativo anche l’uso del plurale “famiglie”.

Tra le tante sentenze, indicative quella contro un padre, in cui si è affermato che è reato non educare i figli ad amare il coniuge separato (Sentenza Cassazione VI Sezione Penale n. 2925/2000), e quella contro una madre ed un nonno materno (che, tra l’altro, avevano isolato il bambino e gli avevano rappresentato in maniera negativa e violenta la figura paterna tanto da imporre al bambino di farsi chiamare col cognome materno), in cui si è enunciato che anche l’atteggiamento iperprotettivo integra reato (Sentenza Cassazione VI Sezione Penale n. 36503/2011). Ciò a dimostrazione che le decisioni giudiziali non sono a favore dell’uno o dell’altro genitore ma cercano solo di tener conto dell’interesse superiore del fanciullo, come previsto nell’articolo 3 paragrafo 1 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia. “Interesse” significa letteralmente “che sta in mezzo” ed i genitori devono prendere consapevolezza che un figlio sta in mezzo alla coppia genitoriale e non va bistrattato da una parte all’altra. Come pure il figlio sta in mezzo tra la famiglia d’origine e la società verso cui si affaccia e, pertanto, non va leso nella sua integrità psicofisica.

È dolente, però, rilevare che i figli ricevano più tutela avverso i comportamenti dei loro genitori in sede penale quale forma di prevenzione secondaria o addirittura terziaria. Sarebbe meglio, invece, impiegare più risorse nella preparazione dei futuri genitori nei corsi prematrimoniali e successivamente in apposite scuole dei genitori, come da più parti auspicato e in alcuni posti già organizzate; così come è richiesta la qualificazione del personale delle istituzioni, dei servizi e delle strutture responsabili della cura e della protezione dei fanciulli (articolo 3 paragrafo 3 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). La preparazione è la migliore forma di prevenzione primaria di costi personali, economici e sociali. Laddove ciò non sia possibile bisogna avere il coraggio di ricorrere quando necessario alla professionalità (e non necessariamente alle professioni) delle relazioni di aiuto.

Bisogna acquisire la consapevolezza che venendo meno agli obblighi genitoriali durante l’evento separativo - divorzile non si fa un torto all’altro coniuge ma al figlio e che bisogna ottemperare ai propri obblighi indipendentemente dall’altro coniuge e anche se l’altro coniuge non vi ottemperi.

“Il bimbo di genitori separati va incontro a una grossa sofferenza: a chi lo incontra chiede rispetto, comprensione e sostegno” (Teresa Maria Getrevi, presidente provinciale UNICEF). Gli adulti coinvolti nell’evento separativo - divorzile, dai coniugi agli avvocati, dimenticano questa realtà semplice e imprescindibile. Soprattutto i coniugi o ex-coniugi (o ex-conviventi) non devono chiudersi nei loro egoismi e rancori rivendicando rispetto, comprensione e sostegno l’uno dall’altro e sottraendoli ai figli che dicono di amare, ma manifestandolo nel modo sbagliato. Devono sostituire alla spirale di reciproche accuse e rivendicazioni una spirale d’amore “riconosciuto che il fanciullo per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione” (dal Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).

[1]Alejandro Jodorowsky, “La danza della realtà”, edizioni Feltrinelli, Milano 2004, pp. 55-57