Sui diritti e doveri del figlio

Cofamiglia
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Sui diritti e doveri del figlio

Essere genitori non è solo generare vita, ma suscitare una personalità generativa. Alcune indicazioni affinché un figlio maturi una personalità generativa sono riportate nell’art. 315 bis cod. civ. “Diritti e doveri del figlio” (articolo inserito dalla L. 10 dicembre 2012 n. 219), la cui rubrica è già significativa rispetto a quella del previgente art. 315 cod. civ. “Doveri del figlio verso i genitori”. Essere genitori non è seguire manuali né essere da manuale ma rispettare i diritti dei figli e adempiere agli obblighi genitoriali. A questi ultimi è stato aggiunto quello dell’assistenza morale (artt. 147 e 315 bis cod. civ.): “assistere” è “stare presso”, quindi né sopra i figli in maniera oppressiva come una “chioccia che cova”, né dietro ai figli a vigilare o spiare continuamente, né davanti ai figli a spianare tutto o a scegliere per loro. Questo sin da quando i figli sono piccoli affinché facciano i loro piccoli passi che li aiutano a diventare grandi, anche cadendo o facendosi male nel giocare. I sociologi Mauro Magatti e Chiara Giaccardi spiegano: “Generativa è la personalità capace di dare risposte originali agli eventi (positivi o negativi) nei quali si imbatte, grazie a un orientamento di fondo volto al desiderio di investire le proprie energie in forme di vita e lavoro che sopravvivano al Sé. In questo modo, tale personalità riesce ad ampliare il proprio spettro d’azione sia sull’arco temporale – non c’è solo il qui e ora, ma anche un prima e un dopo – sia su quello spaziale – non c’è solo la cerchia dei familiari e il microcosmo di appartenenza, ma ci sono altre persone e altri mondi verso cui rivolgere l’attenzione” (in “Generativi di tutto il mondo unitevi! Manifesto per la società dei liberi”, 2014).

Il pedagogista Daniele Novara richiama: “Manca un’alfabetizzazione pedagogica a buona parte delle generazioni uscite dal Sessantotto. Una vera e propria rivoluzione antropologica, estremamente positiva, da un lato, ma che dall’altro ha azzerato il senso dell’autorità senza dare alle nuove famiglie un manuale per gestire i propri bambini e ragazzi” (in “Organizzati e felici. Come organizzare in famiglia le principali sfide educative dei figli, dai primi anni all’adolescenza”, 2019). I genitori hanno “autorità” (dal verbo latino “augeo”, accrescere) sulla vita dei figli e non “potere”, per cui è necessario che recuperino l’autorità tipica della genitorialità, come si ricava anche da vari riferimenti normativi. Per esempio nell’art. 315 bis comma 2 del cod. civ., che è il fulcro dell’intero articolo, si legge che “Il figlio ha diritto di crescere in famiglia”, ma se ha il diritto di crescere significa pure che ha il dovere di crescere e che i genitori devono farlo crescere, compito che comporta una spinta, una fatica, una posizione (che non è imposizione).

Daniele Novara aggiunge: “Poche parole in forma di comunicazioni di servizio aiutano i figli a capire regole e paletti piuttosto che tante affannate e accorate spiegazioni. «È l’ora di andare a letto». «A fare lo zaino ci pensi tu». «Dai che ti faccio vedere come puoi allacciarti le scarpe!”. “Ecco come si prepara la tavola». Una buona organizzazione salva i genitori dalla frustrazione di un ascolto che neanche è alla portata dei loro figli. Essere concreti vale più di tante parole”. Il 1° comma dell’art. 315 bis cod. civ. recita: “Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti”. “Crescere” significa anche imparare a fare e, poi, fare, e “rapporti significativi” significa che abbiano un significato, che lascino un segno: il figlio, perciò, ha bisogno di una vita familiare, domestica, reale, essenziale, concreta, esemplificativa ed esemplare e non fatta solo di un rientro nella stessa casa, di prediche, di sfuriate di incomprensioni e disillusioni o di altro che è solo apparente, incoerente, inutile o sterile. I bambini e i ragazzi hanno bisogno (e sempre di più) di concretezza, dal verbo latino “concrescere”, composto di “con”, insieme, e “crescere”, aumentare, e che significa “formarsi, condensarsi, indurirsi”, hanno bisogno di qualcosa di tangibile con cui incontrarsi e anche scontrarsi. Per non sentirsi dire, poi, i genitori, quando i figli saranno cresciuti: “E cosa mi hai dato? E cosa hai fatto per me? E dove eri?” o, peggio, ancora.

Anche lo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro sostiene: “Ci sono diversi gradi di maturazione che convivono in noi e che ci rendono pronti o ancora acerbi per nuovi traguardi. Lo stesso vale per il bambino, che deve essere sì aiutato, ma senza voler accelerare i tempi della sua crescita”. Crescere, come creare, significa “andare formandosi” e il figlio deve poter crescere senza rimanere bambino e senza diventare adulto prima del tempo: “I genitori sono come giocatori di fascia che crossano al figlio-centravanti la palla giusta perché realizzi il goal della propria vita. Con tenacia, passione e precisione. E una buona base di empatia” (cit.).

La responsabilità è la prima dote di un adulto. Egli è responsabile del mondo nei confronti dei figli e dei figli nei confronti del mondo. E intendo qui la parola «responsabilità» come «dare risposta». L’adulto risponde del mondo ai figli: li inserisce dentro questa straordinaria avventura che è la vita umana che ha leggi e forme da accogliere e vivere coraggiosamente. Ma egli risponde pure dei figli al mondo: questi ultimi non sono per l’adulto, per il papà o per la mamma; essi sono per il mondo, perché continuino l’avventura umana, ed è per questo che l’acme dell’amore genitoriale è quello di donare al pianeta persone compiute che sanno stare in piedi da sole e sanno tracciare nuovi orizzonti di futuro e di speranza” (don Armano Matteo, esperto di problematiche giovanili). Il figlio, per crescere, ha bisogno di soggetti adulti (etimologicamente significa “cresciuti”, perché derivante dal participio passato del verbo latino “adolescere”, “crescere”) che lo facciano crescere.

“Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti” (art. 315 bis comma 2 cod. civ.): questa disposizione non riguarda solo le situazioni familiari critiche, ma anche il percorso di crescita che un adolescente deve e ha il diritto di vivere. Percorso su cui lo psicologo e psicoterapeuta Fabrizio Fantoni scrive: “Quando si parla di separazione in adolescenza, non si intende tanto l’allontanamento fisico, quanto la capacità di prendere le distanze dai modelli, dalle aspettative, dagli stili di vita che la famiglia ha trasmesso, in modo da passarli al vaglio e poter costruire un proprio orientamento dell’esistenza. Non si prende più per buono ciò che viene dai genitori, ma lo si vuole rivedere alla luce del proprio giudizio, cercando una personale impostazione di vita. Rinunciando così alle sicurezze dell’infanzia, fondate sull’affidamento alla protezione di mamma e papà, per trovare una propria sicurezza personale”.

Ada Fonzi, esperta di psicologia dello sviluppo, si esprime così sull’adolescenza: “Il periodo di transizione verso l’età adulta, ricco di opportunità ma irto di ostacoli, deve diventare un’occasione di crescita e di confronto per noi e per i nostri figli. È in gioco il loro progetto di vita e il futuro della nostra società”. “Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti” (art. 315 bis comma 2 cod. civ.): si riferisce non solo alle crisi familiari, ma si può riferire anche a quelle adolescenziali.

Ada Fonzi soggiunge: “Genitori non si nasce, ma quando lo si diventa lo si è per sempre. I bambini queste cose le capiscono più di quello che noi pensiamo. E così, quando ci si separa o ci si stacca, anche se l’amore non c’è più, continuare a volersi bene è importante ed educativo”. “Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti” (art. 315 bis cod. civ.): la coppia può “scoppiare” ma la famiglia, seppure ferita o lacerata, rimane. Il vincolo (che è concetto differente dal legame), almeno giuridicamente, rimane, nel senso che permangono diritti ed obblighi, soprattutto tra genitori e figli (fino ai diritti ereditari). Anche tra gli ex-coniugi continua la cosiddetta solidarietà post-coniugale.

“L’idoneità genitoriale va valutata anche con riferimento alla capacità di preservare al figlio la continuità delle relazioni parentali attraverso il mantenimento della trama familiare, al di là di egoistiche considerazioni di rivalsa genitoriale” (sent. Tribunale di Como, 13 Marzo 2019. Pres., est. Donatella Montanari, pubblicata il 25/06/2019). Genitorialità non è solo fare e crescere figli, ma tessere una trama familiare che rimane tale anche quando lacerata o logorata. Farlo comprendere è tanto difficile, perché gli adulti non sono ben predisposti a mettersi tra i banchi di scuola della vita.