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I due grandi poteri del collegio sindacale: delibera dell’azione di responsabilità (articolo 2393, comma 3 Codice Civile) vs denuncia al tribunale (articolo 2409 Codice Civile), quali differenze?

Il potere del collegio sindacale di denunzia al tribunale ai sensi dell’articolo 2409 Codice Civile ha avuto, e tutt’ora ha, una grande rilevanza sistematica, tuttavia non presentando, a nostro parere, la medesima portata di quello previsto dal nuovo[1] articolo 2393, comma 3 Codice Civile[2]. Infatti dobbiamo osservare che se da una parte è ben vero che le due norme attribuiscono al collegio sindacale forti poteri, tali da far “ripensare” la sua natura, dall’altra parte, notevoli sono le loro diversità.

a) L’oggetto dello “scontro” con i soci.

In primo luogo, osserviamo come anche la denunzia al tribunale, al pari del potere ex articolo 2393, comma 3, Codice Civile, consente e, dunque, impone (il tema della qualificazione come potere-dovere sarà affrontato successivamente) al collegio sindacale di “rompere” la c.d. dialettica endosocietaria. Tuttavia, in merito alla denuncia di determinati fatti al tribunale, “l’oggetto dello scontro dialettico” tra sindaci e soci, ad esempio, nelle assemblee ex artt. 2406 o 2408 Codice Civile, non verte tanto sul contenuto dell’interesse sociale, quanto, piuttosto, sull’esistenza di gravi irregolarità e, dal 2003, sulla loro potenziale lesività per la società. Diversamente, invece, in materia di esercizio dell’azione di responsabilità, si discute direttamente sul fatto se vi sia o non vi sia un determinato danno (chiamando direttamente in causa l’interesse sociale).

Mettersi, pertanto, nella prima ipotesi, in conflitto con i soci, potrebbe essere fisiologico e connaturale ai poteri dei sindaci, i quali, essendo in possesso di maggiori informazioni e poteri rispetto a questi ultimi, ben potrebbero valutare, soprattutto in caso di urgenza, che l’interesse sociale – ancorché inteso come esclusivo interesse dei soci medesimi (nel senso: come essi esclusivamente lo intendono) – si trovi in pericolo a causa delle irregolarità da loro riscontrate. Lo scontro, qui, non è tanto ed esclusivamente sul danno all’interesse sociale – il cui contenuto potrebbe anche essere condiviso dai sindaci - quanto sulla potenzialità delle irregolarità a causare danno alla società o sull’esistenza delle irregolarità stesse.

Pertanto i sindaci ben potrebbero ritenere e rispettare l’interesse sociale così come inteso dai soci, ma potrebbero non condividerne le valutazioni circa la potenziale pericolosità delle irregolarità - sulla cui esistenza vi è fondato sospetto - per lo stesso (così anche nel caso in cui agissero d’urgenza senza preventivamente interpellare l’assemblea).

Invece, nel caso di contrasto tra sindaci e soci sull’esperire o meno l’azione di responsabilità, lo stesso contrasto ha ad oggetto direttamente il danno alla società e, dunque, l’interesse sociale (che, a differenza del rilevamento di irregolarità, è tradizionalmente prerogativa propria ed esclusiva dei soci).

Se consentiamo, pertanto, ai sindaci di agire ugualmente, senza ascoltare preventivamente i soci o nonostante il loro disaccordo, allora sottraiamo a questi ultimi, almeno potenzialmente, il c.d. “monopolio definitorio” in ordine alla definizione dell’interesse sociale.[3] Tant’è che un’autorevole dottrina, analizzando l’istituto de quo, è giunta a domandarsi quale sia il rapporto tra la legittimazione del collegio sindacale e la legittimazione dei soci ed in particolar modo «se la valutazione dell’interesse della società si conclude con la presa di posizione dei soci o i sindaci siano titolari di un potere-dovere di ponderazione di un interesse in qualche misura “superiore” della società che trascende la volontà dei soci».[4]

b) La mediazione del tribunale.

Ulteriore elemento distintivo è rinvenibile nella mediazione del tribunale per l’esercizio dell’azione di responsabilità. Infatti, prima dell’inserimento dell’articolo 2393, comma 3 Codice Civile, l’unica possibilità per il collegio sindacale (e addirittura per la minoranza, prima della previsione dell’articolo 2393-bis Codice Civile per le società non quotate) di intervenire sull’operato degli amministratori, era percorrere la via dell’articolo 2409 Codice Civile, con la possibilità di veder esercitata l’azione di responsabilità da parte dell’amministratore giudiziario e, dunque, senza poter, da parte dei sindaci, ponderare autonomamente alcunché in materia di interesse sociale leso. Correlato a ciò, possiamo osservare come l’amministratore giudiziario potesse (e può tutt’ora) agire senza ascoltare i soci che, anzi, per non isolata dottrina, non potrebbero, a mezzo dell’assemblea, assumere deliberazioni incompatibili con il procedimento di amministrazione giudiziaria[5], almeno finché la procedura non sia terminata. In questo senso anche la giurisprudenza ha affermato che «i provvedimenti che l’assemblea adotta nelle materie riservate all’amministratore giudiziario non sarebbero validi, provenendo da organo temporalmente privo di potere decisionale e tale invalidità determinerebbe la nullità dei deliberati per violazione della norma imperativa dell’articolo 2409»[6]. Non era, così, immaginabile uno scontro di vedute sull’interesse sociale tra amministratore giudiziario e soci in pendenza di procedimento (salvo poi i poteri di rinuncia da parte dei soci – rinuncia che ritengo essere non tanto un “capriccio” dei soci quanto una volontà sociale espressa con opportuni strumenti di checks and balance ex articolo 2393, comma 6 Codice Civile).

Ad adiuvandum, si può osservare come la fase di amministrazione giudiziaria sia una situazione particolarmente delicata della società, ove, come indicato, l’assemblea non può deliberare nulla che non sia compatibile con la procedura - fino alla conclusione della procedura stessa - e, pertanto, l’interesse dei soci non pare essere l’unico a dover essere considerato da un pubblico ufficiale - quale è l’amministratore giudiziario - e dai poteri dello stesso, conferiti dal decreto del tribunale, di compiere tutta una serie di atti tipici dell’assemblea (articolo 92, comma 4 disp. att. cod. civ.)[7].

Nell’ipotesi dell’articolo 2393, comma 3 Codice Civile, invece, ancorché non ci si trovi in «gravi» situazioni, i sindaci, soggetti privati e non pubblici ufficiali, prendono decisioni in ordine all’effettivo e attuale danno alla società portando direttamente gli amministratori davanti al giudice (attraverso il legale rappresentante della società) e senza passare dalla mediazione del tribunale come, invece, accade ex articolo 2409 Codice Civile.

c) Sottrazione dello “scettro” ai soci e interessi tutelati.

Un altro elemento di novità di questo istituto in relazione alla denuncia al tribunale è cristallizzato nelle parole con cui la dottrina[8] spiegava, dal suo punto di vista, in quale modo, in realtà, il legislatore avesse, con la modifica dell’articolo 2409 Codice Civile, creato una «privatizzazione dei controlli, che trova la sua massima espressione nella società a responsabilità limitata, ove la denuncia di gravi irregolarità non è neppure più configurabile»[9]. A dire dell’Autore, «il pendolo normativo» oscillante tra tutela di interessi “terzi” e tutele di interessi esclusivi dei soci, dopo un lungo “moto” diretto verso una tutela di interessi “altri” da quelli dei soci[10], si era arrestato sul versante degli interessi di questi ultimi. A ben vedere, in effetti, in un primo periodo, fu ampliato notevolmente il novero dei soggetti abilitati al ricorso ex articolo 2409 Codice Civile (grazie ad una serie di previsioni contenute in materia di insolvenza delle società fiduciarie, nella Legge Prodi, nella legge sulle società sportive e sull’editoria). A questo periodo, però, seguì la riforma delle società di capitali con i d.lgs. 5-6/2003 e 310/2004 che resero decisamente più ristretto il potere in questione (si legga il confronto tra le diverse versioni dell’articolo 2409 Codice Civile). Quindi se, da un lato, si è esteso il potere del collegio sindacale, già previsto per le quotate, anche alle società chiuse, dall’altro lato, si è ridotto tale potere confermando le parole della citata dottrina. Seguendo il ragionamento svolto poche righe sopra, vediamo come il suddetto nuovo potere di cui all’articolo 2393, comma 3 Codice Civile, permettendo un contrasto aperto con i soci, pare sottrarre lo “scettro” ai soci, spingendo nuovamente il “pendolo” in direzione opposta, o meglio verso un compromesso tra i diversi interessi.

d) La responsabilità “amministrativa” dei sindaci.

In ultimo, è da ritenersi che il nuovo istituto rafforzi e ampli la responsabilità dei sindaci. Infatti, mentre l’articolo 2407 Codice Civile, recitando che i sindaci «sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica», sembra limitare la loro responsabilità in chiave preventiva alla verificazione di un pregiudizio per la società, l’articolo 2393, comma 3 Codice Civile attribuisce loro espressamente il potere di rimuovere un danno eventualmente già verificatosi. Viene messo, perciò, nelle mani dei sindaci un potere da esercitarsi non più soltanto al fine di evitare un danno e, dunque, prima del suo verificarsi, ma successivamente e per la sua rimozione. Potere che, per orientamento consolidato,[11] dovrebbe considerarsi un dovere. Infatti, muovendo da una celebre pronuncia giurisprudenziale,[12] se è vero che la denuncia da parte dei sindaci al P.M. (sui cui poteri si veda l’articolo 2409 Codice Civile vecchio disposto) «può divenire doverosa, quando sia rimasta, davvero, l’unica praticabile in concreto, per poter legittimamente porre fine alle illegalità di gestione riscontrate, o interrompere la successione di comportamenti contra legem che arrecano pregiudizio al patrimonio sociale», a fortiori sarà doveroso esercitare un potere di cui si dispone (non già se non lo si avesse, come era all’epoca della pronuncia) idoneo a rimuovere un pregiudizio.

In altri termini, se è doveroso evitare un danno poiché si dispone dei mezzi per evitarlo, a maggior ragione mi pare che sia doveroso rimuovere un pregiudizio nel caso in cui si abbiano gli strumenti per farlo. Si noti altresì come in ambito comparatistico la sentenza del Bundesgerichtshof nel caso ARACK/Garmenbeck[13] abbia statuito espressamente che il potere riconosciuto all’organo di controllo (Aufsichtsrat) di promuovere l’azione di responsabilità nei confronti dell’organo gestorio (Vorstand) è un potere-dovere e che il suo mancato esercizio può essere fonte di responsabilità per l’organo di controllo stesso.

Alla luce di tali osservazioni, si potrebbe affermare, dunque, che i sindaci siano responsabili non più semplicemente in chiave preventiva, per non aver impedito il verificarsi di un pregiudizio, ma anche nelle ipotesi in cui, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non abbiano fatto quanto potevano per «eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose»[14].

Intendiamo domandarci, in altre parole, se la responsabilità dei sindaci sia equiparabile e “si stia progressivamente avvicinando” a quella degli amministratori non esecutivi delineata dall’articolo 2392, comma 2 Codice Civile[15]. In questo senso, allora, riecheggiano le parole di quella dottrina che riteneva il potere di esercitare l’azione di responsabilità (all’epoca in capo solo all’assemblea) un atto gestorio o, quantomeno, amministrativo: «[v]i è comunque una precisazione che in tali occasioni si è avuto cura di fare e che è opportuno qui ricordare: l’assemblea è investita per legge della competenza a deliberare il compimento di una serie di atti (…) che comportano una diretta ingerenza nell’amministrazione della società, cosicché non è lecito affermare che la gestione dell’impresa appartenga alla competenza decisionale esclusiva degli amministratori. Uno di questi casi è rappresentato proprio dalla delibera concernente l’azione sociale di responsabilità»[16]. Posto che, naturalmente, all’epoca non esisteva l’articolo 2380-bis Codice Civile, che affida agli amministratori l’esclusiva competenza in materia gestoria, certamente l’intuizione si rivelò essere molto acuta e, certamente, lungimirante[17].



[1] Inserito con la legge 262/2005.

[2] Si esprimono in questo senso alcuni Autori: MONTALENTI, Interesse sociale e amministratori, in AA.VV., L’interesse sociale tra valorizzazione del capitale e protezione degli stakeholders, Milano, 2010, p. 98; CERVIO, Azione di responsabilità al collegio sindacale, Guida Dir., 4, 2006, p. 115. Svilisce, invece, la portata rivoluzionaria della nuova introduzione Blandini, il quale afferma che il nuovo terzo comma dell’art. 2393 cod. civ. rimuove uno «scompenso» in quanto, a suo dire, era incongruo prevedere in capo al collegio sindacale il potere “più forte” di denuncia e non quello “più debole” di promuovere l’azione di responsabilità (BLANDINI, Riforma del risparmio e società quotata, Soc. 2006, vol I, p.269).

[3] Certamente un punto di contatto tra i due istituti si ha col fatto che è riconosciuta la possibilità di rompere la “dialettica” endosocietaria rischiando il diffondersi di rumors, sul presupposto che ciò sia necessario per evitare un eventuale danno maggiore di quello probabilmente da questi creato.

[4] MONTALENTI, Interesse sociale e amministratori, in AA.VV., L’interesse sociale tra valorizzazione del capitale e protezione degli stakeholders, op.cit., p. 98.

[5]MAINETTI, sub art. 2409, in Il nuovo diritto societario, diretto da COTTINO, BONFANTE, CAGNASSO, MONTALENTI, Bologna, 2004, p. 925 ss. Si noti, inoltre, che la relazione al d.lgs. 6/2003 specifica che «nel comma 5 dell’art. 2409 si è altresì precisato che in caso di proposizione dell’azione di responsabilità da parte dell’amministratore giudiziario, l’assemblea, cessate le funzioni dell’amministratore medesimo, può valutare l’opportunità che l’azione di responsabilità stessa sia proseguita, e ciò sulla base della disciplina generale dell’ultimo comma dell’art. 2393» (corsivo mio). Contro tale impostazione: TERRANOVA, Controllo giudiziario e tutela delle minoranze nella società per azioni, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum di Gian Franco Campobasso, diretto da Abbadessa e Portale, vol. 3, Torino, 2007, p. 113.

[6] Trib. Lecce, 6 maggio 1993, in Soc., 1993, p. 1088. Così anche Trib. Roma 13 luglio 2000, Trib. Milano 11 giugno 1998, in Giur. It., 1998, 2344 e ss., con nota di WEIGMANN.

[7] Cass 2 ottobre 1997 n. 9636, in Foro. It, 1998, I, p. 3634; Trib. Napoli, 10 giugno 1994, in Foro it. 1995, I, p. 332; App. Roma, 15 gennaio 2003, in Foro it., 2003, I, p.1567; Cass., 12 novembre 1965, n. 2359, in Giur. It., 1966, I, 1, c. 401; nonché la Relazione ministeriale, n. 985.

[8] AMBROSINI, I poteri dei sindaci, in Il collegio sindacale – le nuove regole, a cura di ALESSI, AMBROSINI, MORERA, Milano 2007, p. 247.

[9] Si leggano anche la recentissima Cass., 13 gennaio 2010, n. 403 reperibile sul sito: http://www.cortedicassazione.it/Notizie/GiurisprudenzaCivile/SezioniUnite/SchedaNews.asp?ID=2648; Nonché Trib., Mantova 19 aprile 2008 reperibile sul sito: http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/1288.php.

[10] Tale per cui, era «evidentemente opera disperata continuare a sostenere che tutto rimanesse immutato sul piano degli interessi tutelati», PATRONI – GRIFFI, La denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c. Gli interessi tutelati, in Giur. Comm., 1999, I, 145.

[11] Si veda PARRELLA, sub art. 3, La tutela del risparmio, a cura di NIGRO – SANTORO, Torino, 2007, p. 63 ss.; CERVIO, op. cit., p.115; Cass. 17 settembre 1997 n. 9252, in Società, 1998, p. 1025.

[12] Cass., 17 settembre 1997, n. 9252, cit.

[13] Rivista tedesca Zip, 1997, p. 833

[14] Art. 2392, comma 2 cod. civ.

[15] Spunti interessanti possono rinvenirsi in FURGIUELE, La responsabilità da controllo, in Il collegio sindacale – le nuove regole, a cura di ALESSI, AMBROSINI, MORERA, op. cit., p. 423 ss.

[16] BENAZZO, Rinuncia e transazione in ordine all’azione sociale di responsabilità, Padova, 1992, p. 119.

[17] Così coglie l’osservazione anche Ant. Rossi (ANT. ROSSI, Responsabilità verso la società per azioni, in AA.VV., La responsabilità di amministratori, sindaci e revisori contabili, a cura di AMBROSINI, Milano, 2007, p. 44).

Il potere del collegio sindacale di denunzia al tribunale ai sensi dell’articolo 2409 Codice Civile ha avuto, e tutt’ora ha, una grande rilevanza sistematica, tuttavia non presentando, a nostro parere, la medesima portata di quello previsto dal nuovo[1] articolo 2393, comma 3 Codice Civile[2]. Infatti dobbiamo osservare che se da una parte è ben vero che le due norme attribuiscono al collegio sindacale forti poteri, tali da far “ripensare” la sua natura, dall’altra parte, notevoli sono le loro diversità.

a) L’oggetto dello “scontro” con i soci.

In primo luogo, osserviamo come anche la denunzia al tribunale, al pari del potere ex articolo 2393, comma 3, Codice Civile, consente e, dunque, impone (il tema della qualificazione come potere-dovere sarà affrontato successivamente) al collegio sindacale di “rompere” la c.d. dialettica endosocietaria. Tuttavia, in merito alla denuncia di determinati fatti al tribunale, “l’oggetto dello scontro dialettico” tra sindaci e soci, ad esempio, nelle assemblee ex artt. 2406 o 2408 Codice Civile, non verte tanto sul contenuto dell’interesse sociale, quanto, piuttosto, sull’esistenza di gravi irregolarità e, dal 2003, sulla loro potenziale lesività per la società. Diversamente, invece, in materia di esercizio dell’azione di responsabilità, si discute direttamente sul fatto se vi sia o non vi sia un determinato danno (chiamando direttamente in causa l’interesse sociale).

Mettersi, pertanto, nella prima ipotesi, in conflitto con i soci, potrebbe essere fisiologico e connaturale ai poteri dei sindaci, i quali, essendo in possesso di maggiori informazioni e poteri rispetto a questi ultimi, ben potrebbero valutare, soprattutto in caso di urgenza, che l’interesse sociale – ancorché inteso come esclusivo interesse dei soci medesimi (nel senso: come essi esclusivamente lo intendono) – si trovi in pericolo a causa delle irregolarità da loro riscontrate. Lo scontro, qui, non è tanto ed esclusivamente sul danno all’interesse sociale – il cui contenuto potrebbe anche essere condiviso dai sindaci - quanto sulla potenzialità delle irregolarità a causare danno alla società o sull’esistenza delle irregolarità stesse.

Pertanto i sindaci ben potrebbero ritenere e rispettare l’interesse sociale così come inteso dai soci, ma potrebbero non condividerne le valutazioni circa la potenziale pericolosità delle irregolarità - sulla cui esistenza vi è fondato sospetto - per lo stesso (così anche nel caso in cui agissero d’urgenza senza preventivamente interpellare l’assemblea).

Invece, nel caso di contrasto tra sindaci e soci sull’esperire o meno l’azione di responsabilità, lo stesso contrasto ha ad oggetto direttamente il danno alla società e, dunque, l’interesse sociale (che, a differenza del rilevamento di irregolarità, è tradizionalmente prerogativa propria ed esclusiva dei soci).

Se consentiamo, pertanto, ai sindaci di agire ugualmente, senza ascoltare preventivamente i soci o nonostante il loro disaccordo, allora sottraiamo a questi ultimi, almeno potenzialmente, il c.d. “monopolio definitorio” in ordine alla definizione dell’interesse sociale.[3] Tant’è che un’autorevole dottrina, analizzando l’istituto de quo, è giunta a domandarsi quale sia il rapporto tra la legittimazione del collegio sindacale e la legittimazione dei soci ed in particolar modo «se la valutazione dell’interesse della società si conclude con la presa di posizione dei soci o i sindaci siano titolari di un potere-dovere di ponderazione di un interesse in qualche misura “superiore” della società che trascende la volontà dei soci».[4]

b) La mediazione del tribunale.

Ulteriore elemento distintivo è rinvenibile nella mediazione del tribunale per l’esercizio dell’azione di responsabilità. Infatti, prima dell’inserimento dell’articolo 2393, comma 3 Codice Civile, l’unica possibilità per il collegio sindacale (e addirittura per la minoranza, prima della previsione dell’articolo 2393-bis Codice Civile per le società non quotate) di intervenire sull’operato degli amministratori, era percorrere la via dell’articolo 2409 Codice Civile, con la possibilità di veder esercitata l’azione di responsabilità da parte dell’amministratore giudiziario e, dunque, senza poter, da parte dei sindaci, ponderare autonomamente alcunché in materia di interesse sociale leso. Correlato a ciò, possiamo osservare come l’amministratore giudiziario potesse (e può tutt’ora) agire senza ascoltare i soci che, anzi, per non isolata dottrina, non potrebbero, a mezzo dell’assemblea, assumere deliberazioni incompatibili con il procedimento di amministrazione giudiziaria[5], almeno finché la procedura non sia terminata. In questo senso anche la giurisprudenza ha affermato che «i provvedimenti che l’assemblea adotta nelle materie riservate all’amministratore giudiziario non sarebbero validi, provenendo da organo temporalmente privo di potere decisionale e tale invalidità determinerebbe la nullità dei deliberati per violazione della norma imperativa dell’articolo 2409»[6]. Non era, così, immaginabile uno scontro di vedute sull’interesse sociale tra amministratore giudiziario e soci in pendenza di procedimento (salvo poi i poteri di rinuncia da parte dei soci – rinuncia che ritengo essere non tanto un “capriccio” dei soci quanto una volontà sociale espressa con opportuni strumenti di checks and balance ex articolo 2393, comma 6 Codice Civile).

Ad adiuvandum, si può osservare come la fase di amministrazione giudiziaria sia una situazione particolarmente delicata della società, ove, come indicato, l’assemblea non può deliberare nulla che non sia compatibile con la procedura - fino alla conclusione della procedura stessa - e, pertanto, l’interesse dei soci non pare essere l’unico a dover essere considerato da un pubblico ufficiale - quale è l’amministratore giudiziario - e dai poteri dello stesso, conferiti dal decreto del tribunale, di compiere tutta una serie di atti tipici dell’assemblea (articolo 92, comma 4 disp. att. cod. civ.)[7].

Nell’ipotesi dell’articolo 2393, comma 3 Codice Civile, invece, ancorché non ci si trovi in «gravi» situazioni, i sindaci, soggetti privati e non pubblici ufficiali, prendono decisioni in ordine all’effettivo e attuale danno alla società portando direttamente gli amministratori davanti al giudice (attraverso il legale rappresentante della società) e senza passare dalla mediazione del tribunale come, invece, accade ex articolo 2409 Codice Civile.

c) Sottrazione dello “scettro” ai soci e interessi tutelati.

Un altro elemento di novità di questo istituto in relazione alla denuncia al tribunale è cristallizzato nelle parole con cui la dottrina[8] spiegava, dal suo punto di vista, in quale modo, in realtà, il legislatore avesse, con la modifica dell’articolo 2409 Codice Civile, creato una «privatizzazione dei controlli, che trova la sua massima espressione nella società a responsabilità limitata, ove la denuncia di gravi irregolarità non è neppure più configurabile»[9]. A dire dell’Autore, «il pendolo normativo» oscillante tra tutela di interessi “terzi” e tutele di interessi esclusivi dei soci, dopo un lungo “moto” diretto verso una tutela di interessi “altri” da quelli dei soci[10], si era arrestato sul versante degli interessi di questi ultimi. A ben vedere, in effetti, in un primo periodo, fu ampliato notevolmente il novero dei soggetti abilitati al ricorso ex articolo 2409 Codice Civile (grazie ad una serie di previsioni contenute in materia di insolvenza delle società fiduciarie, nella Legge Prodi, nella legge sulle società sportive e sull’editoria). A questo periodo, però, seguì la riforma delle società di capitali con i d.lgs. 5-6/2003 e 310/2004 che resero decisamente più ristretto il potere in questione (si legga il confronto tra le diverse versioni dell’articolo 2409 Codice Civile). Quindi se, da un lato, si è esteso il potere del collegio sindacale, già previsto per le quotate, anche alle società chiuse, dall’altro lato, si è ridotto tale potere confermando le parole della citata dottrina. Seguendo il ragionamento svolto poche righe sopra, vediamo come il suddetto nuovo potere di cui all’articolo 2393, comma 3 Codice Civile, permettendo un contrasto aperto con i soci, pare sottrarre lo “scettro” ai soci, spingendo nuovamente il “pendolo” in direzione opposta, o meglio verso un compromesso tra i diversi interessi.

d) La responsabilità “amministrativa” dei sindaci.

In ultimo, è da ritenersi che il nuovo istituto rafforzi e ampli la responsabilità dei sindaci. Infatti, mentre l’articolo 2407 Codice Civile, recitando che i sindaci «sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica», sembra limitare la loro responsabilità in chiave preventiva alla verificazione di un pregiudizio per la società, l’articolo 2393, comma 3 Codice Civile attribuisce loro espressamente il potere di rimuovere un danno eventualmente già verificatosi. Viene messo, perciò, nelle mani dei sindaci un potere da esercitarsi non più soltanto al fine di evitare un danno e, dunque, prima del suo verificarsi, ma successivamente e per la sua rimozione. Potere che, per orientamento consolidato,[11] dovrebbe considerarsi un dovere. Infatti, muovendo da una celebre pronuncia giurisprudenziale,[12] se è vero che la denuncia da parte dei sindaci al P.M. (sui cui poteri si veda l’articolo 2409 Codice Civile vecchio disposto) «può divenire doverosa, quando sia rimasta, davvero, l’unica praticabile in concreto, per poter legittimamente porre fine alle illegalità di gestione riscontrate, o interrompere la successione di comportamenti contra legem che arrecano pregiudizio al patrimonio sociale», a fortiori sarà doveroso esercitare un potere di cui si dispone (non già se non lo si avesse, come era all’epoca della pronuncia) idoneo a rimuovere un pregiudizio.

In altri termini, se è doveroso evitare un danno poiché si dispone dei mezzi per evitarlo, a maggior ragione mi pare che sia doveroso rimuovere un pregiudizio nel caso in cui si abbiano gli strumenti per farlo. Si noti altresì come in ambito comparatistico la sentenza del Bundesgerichtshof nel caso ARACK/Garmenbeck[13] abbia statuito espressamente che il potere riconosciuto all’organo di controllo (Aufsichtsrat) di promuovere l’azione di responsabilità nei confronti dell’organo gestorio (Vorstand) è un potere-dovere e che il suo mancato esercizio può essere fonte di responsabilità per l’organo di controllo stesso.

Alla luce di tali osservazioni, si potrebbe affermare, dunque, che i sindaci siano responsabili non più semplicemente in chiave preventiva, per non aver impedito il verificarsi di un pregiudizio, ma anche nelle ipotesi in cui, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non abbiano fatto quanto potevano per «eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose»[14].

Intendiamo domandarci, in altre parole, se la responsabilità dei sindaci sia equiparabile e “si stia progressivamente avvicinando” a quella degli amministratori non esecutivi delineata dall’articolo 2392, comma 2 Codice Civile[15]. In questo senso, allora, riecheggiano le parole di quella dottrina che riteneva il potere di esercitare l’azione di responsabilità (all’epoca in capo solo all’assemblea) un atto gestorio o, quantomeno, amministrativo: «[v]i è comunque una precisazione che in tali occasioni si è avuto cura di fare e che è opportuno qui ricordare: l’assemblea è investita per legge della competenza a deliberare il compimento di una serie di atti (…) che comportano una diretta ingerenza nell’amministrazione della società, cosicché non è lecito affermare che la gestione dell’impresa appartenga alla competenza decisionale esclusiva degli amministratori. Uno di questi casi è rappresentato proprio dalla delibera concernente l’azione sociale di responsabilità»[16]. Posto che, naturalmente, all’epoca non esisteva l’articolo 2380-bis Codice Civile, che affida agli amministratori l’esclusiva competenza in materia gestoria, certamente l’intuizione si rivelò essere molto acuta e, certamente, lungimirante[17].



[1] Inserito con la legge 262/2005.

[2] Si esprimono in questo senso alcuni Autori: MONTALENTI, Interesse sociale e amministratori, in AA.VV., L’interesse sociale tra valorizzazione del capitale e protezione degli stakeholders, Milano, 2010, p. 98; CERVIO, Azione di responsabilità al collegio sindacale, Guida Dir., 4, 2006, p. 115. Svilisce, invece, la portata rivoluzionaria della nuova introduzione Blandini, il quale afferma che il nuovo terzo comma dell’art. 2393 cod. civ. rimuove uno «scompenso» in quanto, a suo dire, era incongruo prevedere in capo al collegio sindacale il potere “più forte” di denuncia e non quello “più debole” di promuovere l’azione di responsabilità (BLANDINI, Riforma del risparmio e società quotata, Soc. 2006, vol I, p.269).

[3] Certamente un punto di contatto tra i due istituti si ha col fatto che è riconosciuta la possibilità di rompere la “dialettica” endosocietaria rischiando il diffondersi di rumors, sul presupposto che ciò sia necessario per evitare un eventuale danno maggiore di quello probabilmente da questi creato.

[4] MONTALENTI, Interesse sociale e amministratori, in AA.VV., L’interesse sociale tra valorizzazione del capitale e protezione degli stakeholders, op.cit., p. 98.

[5]MAINETTI, sub art. 2409, in Il nuovo diritto societario, diretto da COTTINO, BONFANTE, CAGNASSO, MONTALENTI, Bologna, 2004, p. 925 ss. Si noti, inoltre, che la relazione al d.lgs. 6/2003 specifica che «nel comma 5 dell’art. 2409 si è altresì precisato che in caso di proposizione dell’azione di responsabilità da parte dell’amministratore giudiziario, l’assemblea, cessate le funzioni dell’amministratore medesimo, può valutare l’opportunità che l’azione di responsabilità stessa sia proseguita, e ciò sulla base della disciplina generale dell’ultimo comma dell’art. 2393» (corsivo mio). Contro tale impostazione: TERRANOVA, Controllo giudiziario e tutela delle minoranze nella società per azioni, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum di Gian Franco Campobasso, diretto da Abbadessa e Portale, vol. 3, Torino, 2007, p. 113.

[6] Trib. Lecce, 6 maggio 1993, in Soc., 1993, p. 1088. Così anche Trib. Roma 13 luglio 2000, Trib. Milano 11 giugno 1998, in Giur. It., 1998, 2344 e ss., con nota di WEIGMANN.

[7] Cass 2 ottobre 1997 n. 9636, in Foro. It, 1998, I, p. 3634; Trib. Napoli, 10 giugno 1994, in Foro it. 1995, I, p. 332; App. Roma, 15 gennaio 2003, in Foro it., 2003, I, p.1567; Cass., 12 novembre 1965, n. 2359, in Giur. It., 1966, I, 1, c. 401; nonché la Relazione ministeriale, n. 985.

[8] AMBROSINI, I poteri dei sindaci, in Il collegio sindacale – le nuove regole, a cura di ALESSI, AMBROSINI, MORERA, Milano 2007, p. 247.

[9] Si leggano anche la recentissima Cass., 13 gennaio 2010, n. 403 reperibile sul sito: http://www.cortedicassazione.it/Notizie/GiurisprudenzaCivile/SezioniUnite/SchedaNews.asp?ID=2648; Nonché Trib., Mantova 19 aprile 2008 reperibile sul sito: http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/1288.php.

[10] Tale per cui, era «evidentemente opera disperata continuare a sostenere che tutto rimanesse immutato sul piano degli interessi tutelati», PATRONI – GRIFFI, La denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c. Gli interessi tutelati, in Giur. Comm., 1999, I, 145.

[11] Si veda PARRELLA, sub art. 3, La tutela del risparmio, a cura di NIGRO – SANTORO, Torino, 2007, p. 63 ss.; CERVIO, op. cit., p.115; Cass. 17 settembre 1997 n. 9252, in Società, 1998, p. 1025.

[12] Cass., 17 settembre 1997, n. 9252, cit.

[13] Rivista tedesca Zip, 1997, p. 833

[14] Art. 2392, comma 2 cod. civ.

[15] Spunti interessanti possono rinvenirsi in FURGIUELE, La responsabilità da controllo, in Il collegio sindacale – le nuove regole, a cura di ALESSI, AMBROSINI, MORERA, op. cit., p. 423 ss.

[16] BENAZZO, Rinuncia e transazione in ordine all’azione sociale di responsabilità, Padova, 1992, p. 119.

[17] Così coglie l’osservazione anche Ant. Rossi (ANT. ROSSI, Responsabilità verso la società per azioni, in AA.VV., La responsabilità di amministratori, sindaci e revisori contabili, a cura di AMBROSINI, Milano, 2007, p. 44).