Il Congo nelle carte del Cardinale Rinaldo d’Este
Sfogliando l’inventario del fondo Carteggio con Principi Esteri si resta sbalorditi dall’ampiezza delle relazioni diplomatiche che la corte estense seppe costruire con numerosi stati d’Europa: dall’Inghilterra alla Polonia, da Tunisi alla Svezia, dal Portogallo all’Impero Ottomano.
Ciò che colpisce di più è la presenza della lettera di un sovrano congolese, datata 12 dicembre 1649 inviata da San Salvador “cidad de Congo” (attuale Mbanza Kongo in Angola). Nessuna lettera era giunta da un regno così lontano. Gli Estensi tuttavia non ebbero mai rapporti diplomatici col remoto regno del Congo. Questa lettera - in lingua in portoghese - reca la firma autografa del re “Dom Garcia +” ( includendo nella firma la croce cristiana) ed è indirizzata non al duca di Modena Francesco I bensì a suo fratello, il potente cardinale Rinaldo.
Per quale motivo Rinaldo d’Este fu destinatario di questa lettera proveniente dall’altro emisfero?
Il cardinale Rinaldo sedeva nella congregazione De Propaganda Fide. Questo speciale dicastero, fondato da Papa Gregorio XV nel 1622, era responsabile delle missioni di evangelizzazione promosse in tutto il mondo e della cura spirituale delle comunità cristiane al di là dell'Europa: dal Giappone al Sudamerica, dai Balcani all'India.
Nel corso del Seicento missionari cappuccini, francescani, gesuiti o appartenenti ad altri ordini religiosi raggiunsero i quattro angoli del mondo, fondando un po' ovunque scuole, seminari, chiese, dando a questa giovane congregazione romana una vera e propria dimensione planetaria. Questi stessi missionari, oltre ad inviare interessanti resoconti etnografici e relazioni sui costumi dei popoli locali, furono determinanti nel redigere le prime grammatiche delle lingue non europee.
Il cardinale Rinaldo come membro di Propaganda Fide ricoprì tra l’altro il ruolo di protettore delle missioni d’Africa. Nel fondo archivistico denominato Documenti di stati e città, b. 105 è conservato un frammento dell'archivio privato del cardinale Rinaldo, relativo alle sue attività in seno a Propaganda Fide, nel quale sono conservate lettere e memoriali di missionari, rendiconti di spese, relazioni relative a missioni in Sudamerica, in Barberia, in Etiopia, nei Balcani ecc.
Tornando alla lettera reale da cui abbiamo preso le mosse, il nostro cardinale è salutato proprio come “protettore Generale d’Africa, che tanto ha operato in favore mio e dei miei vassalli”. Il sovrano africano, in quel 1649, inviò a Roma il padre cappuccino Bonaventura da Sorrento con l’incarico di incontrare il Papa. Nella lettera re Garcia si dichiara un buon cattolico, servitore del pontefice e grande amico dei missionari cappuccini che “con fervoroso zelo procuran cremar idolos, arrancar vicios, e plantar y stabelir a santa Fe”. Alla lettera è unita la minuta della risposta del cardinale Rinaldo, (un tempo conservata in: Cancelleria del card. Rinaldo b. 10). Questa risposta del dicembre 1650 sarebbe stata consegnata al Re sempre tramite il cappuccino frate Bonaventura.
Il latore della lettera di re Garcia in Europa, frate Bonaventura da Sorrento, era stato destinato al Congo sei anni prima, nel 1643, con la missione guidata dal prefetto Bonaventura d’Alessano insieme ad altri 12 religiosi, tra i quali Bonaventura di Taggia. Questo gruppo di religiosi aveva raggiunto il regno del Congo il 25 maggio 1645 navigando lungo il fiume Zaire (stando a quanto riportato in una lettera del 4 giugno successivo che il d’Alessano scrisse a mons. Ingoli, segretario di Propaganda Fide).
Re Garcia I (alias Nkanga), ventitreesimo manikongo (in lingua locale Mwenekongo “ signore del popolo dei Congo”) salito al potere nel gennaio 1641, applicò da subito una politica estera di equilibrio tra il Portogallo e gli Olandesi, nel tentativo di contenere l’ingerenza delle due potenze europee.
I portoghesi ebbero ben presto il sopravvento ed il re del Congo fu costretto ad accettare una sorta di protettorato del re del Portogallo. Così viene descritto re Garcia : “è quel Re di sua natura huomo finto, astuto e politico, e benchè per altro si sia sempre dimostrato obediente alla Sede Apostolica e fusse gia ben affetto verso la Santa Fede e verso i Capuccini missionarij, […]. E perché il Re del Congo teme della potenza de Portoghesi si rende gelosissimo de missionarij quando non vi vadano per via di Portogallo, per non dar pretesto a portoghesi di usurpargli il Regno, come pare che habbiano la mira; e da questa gelosia sono derivati varij sospetti e persecutioni contro i Frati.” (Questo passo è tratto da una dettagliata relazione sul Regno del Congo scritta a sei mani dai cardinali Barberini, Este e Azzolino intitolata Sito, grandezza e parti della Missione del Congo priva di indicazioni temporali, sulla quale torneremo).
Questo regno lontano e misterioso, agli occhi dei frati doveva apparire immenso. Così scrivono in una loro relazione a Roma:
“Il regno del Congo sarà grande quanto tutta l’Italia. È distinto in sei Provincie o Ducati [...]che si subdividono in altre Provincie minori ciascheduna delle quali rispetto al popolo, e grandezza può esser capace di dieci et anco venti cappellani o Parochi. […]. Vi sono in tutto il Regno 12 sacerdoti in tutto eccettuatene i Cappuccini missionarij” Questi dodici sacerdoti, parte nativi e parte portoghesi pare non fossero di specchiata virtù. Sei di essi inoltre risiedevano a San Salvador, la capitale del Congo.
A causa dell’estensione del regno africano e la penuria di religiosi il prefetto della missione fra’ Bonaventura richiese alla Sacra Congregazione la facoltà di servirsi di una cavalcatura, motivando questa sua esigenza per “la lontananza da un luogo all’altro, per la quantità dei boschi e fiere, che in questi habitano”.
La già menzionata relazione sul Sito, grandezza e parti della Missione del Congo inizia con queste parole:
“È il Congo con le sue Provincie adiacenti nell’Africa, sette, ò otto gradi oltre linea equinotiale. Quella missione comprende oltre il proprio Regno del Congo, che hà il suo Re particolare anco il Regno di Angola che é de Portughesi, chiamato communemente di Matamba, et il Regno di Casange che si stende assai dentro Terra.”
È forse nella parte dedicata ai costumi dei popoli locali che la relazione riserva una viva immagine degli indigeni africani: “Sono i Popoli di natura docili e capaci delle scienze, ma senza chi l’istruisca, ò per negligenza de nostri ò per politica de Portughesi. Ne minor necessità hanno d’instruttione, et assistenza nella fede e ne costumi perché non sapendo communemente altro di Christiano che il solo battesimo e di quello solo contenti, stanno immersi nelle lascivie, suggerendone l’occasione prossima il numero delle schiave che hanno, che conforme l’uso del Paese vanno quasi del tutto nude onde ne segue l’abuso di tener più mogli e concubine e di vendere li figli per schiavi anco à gli heretici, e di mangiar carne humana, fuorche nel Congo, et Angola”.
Tra gli ostacoli alla propagazione della fede cattolica i cardinali rilevano i mali del nascente colonialismo. “ […] 2° dalla maniera con che vengono trattati da Portughesi quei poveri Neri mercatantati, traficati e venduti per schiavi, come se fosero bestie, et in ogni cosa trattati vilissimamente. 3°Perché i Portoghesi costumano di tramandare in quei Paesi i più discoli e scandalosi così huomini come donne, […] 6° nell’istesso Regno del Congo ritarda la conversione de Popoli la Tirannide de Nobili, che essendo sommamente dediti alle rapine, stimano lecito et honorevole il chieder la robba a chi l’ha e torla a forza se si niega.[...]7° Non vi è luogo nel Congo e molto più negli altri Paesi meno christiani che non habbia il suo sacerdote idolatra, il quale è Negromante e fattucchiere, e con mille ribalderie si fa stimare da Popoli”.
I sovrani congolesi avevano aderito alla religione cattolica già dalla fine del Cinquecento.
La protezione concessa ai cappuccini e in seguito ad altri missionari fu dettata anche dal tentativo di svincolarsi dalla stretta tutela portoghese e di stabilire relazioni diplomatiche con la suprema autorità del mondo cattolico. Fu lo stesso frate Bonaventura a richiedere, in una lettera al Papa la designazione di un ambasciatore stabile in rappresentanza della monarchia congolese presso la corte pontificia!
Seguirono altre missioni verso il paese africano: una seconda spedizione guidata da padre Felice da Piacenza fu composta da tredici religiosi ed una terza guidata da Padre Giovan Francesco Romano con ben trenta frati. Una ulteriore missione fu guidata nel 1652 da padre Giacinto da Vetralla che in quello stesso anno conferì l’abito al primo cappuccino congolese.
Nella seduta del 24 maggio 1655 il cardinale Rinaldo, che nei dieci anni precedenti aveva avuto sempre a cuore le sorti delle missioni nel continente africano, pregò il Papa presente alla riunione di “ voler mandare un breve apostolico al detto Re [Garcia I] con lode per la sua divotione e costanza nella fede cattolica, e con ringratiamento per i favori, e gratie che giornalmente fa à detti Missionari” unanime fu l’assenso da parte di tutti gli altri cardinali presenti.
Chissà se in qualche archivio del Congo o dell’Angola è ancora conservato un breve di Papa Alessandro VII Chigi, vergato sulla tipica pergamena bianca e sottile e diretto al “Dilectissimo in Christo Filio Garciae” ?