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Il “contratto di disponibilità” … una novità potenzialmente rilevante per le infrastrutture pubbliche

L’art. 44 del D.L. n. 1 del 24.01.2012 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), se stessimo parlando di un gadget elettronico, potrebbe definirsi “l’ultimo ritrovato della tecnica”……in realtà, trattandosi invece di una norma che prevede una nuova forma di partenariato pubblico-privato per cercare di stimolare i privati a realizzare opere di interesse pubblico, potrebbe definirsi “l’ultimo disperato tentativo” – comunque opportuno - dello Stato di rimettere in moto un settore che è di fatto alla paralisi.

Stiamo parlando del cd. “contratto di disponibilità” che è disciplinato dai nuovi artt. 15-bis e 160-ter del D.Lgs. n. 163/2006, introdotti con il citato art. 44 del “Decreto liberalizzazioni”. Un istituto che ha, in effetti, elementi di novità e che potrebbe risultare interessante per gli operatori privati e per gli enti pubblici, anche locali.

L’art. 15-bis definisce il “contratto di disponibilità”, aggiungendolo all’elenco delle definizioni contenuto nell’art. 3 del D.Lgs. n. 163/06. La norma specifica che con tale “contratto” sono affidate all’affidatario, a suo rischio e spese, “la costruzione e la messa a disposizione a favore dell’amministrazione aggiudicatrice di un’opera di proprietà privata destinata all’esercizio di un pubblico servizio, a fronte di un corrispettivo”. E’ interessante rilevare che si è voluto usare una espressione quale “opera….destinata all’esercizio di un pubblico servizio”, piuttosto che la generica espressione di “opera pubblica o di interesse pubblico”, quasi a voler sottolineare l’esigenza che tale nuovo contratto venga utilizzato per la realizzazione di opere funzionali, in sé e rispetto all’esercizio di un pubblico servizio. La norma afferma, al di là di ogni dubbio, che l’opera debba essere realizzata a “rischio e spese” dell’affidatario; tale previsione è coerente con l’ulteriore specificazione di cosa si debba intendere per “messa a disposizione” e cioè “l’onere assunto a proprio rischio dall’affidatario di assicurare all’amministrazione aggiudicatrice la costante fruibilità dell’opera, nel rispetto dei parametri di funzionalità previsti dal contratto, garantendo allo scopo la perfetta manutenzione e la risoluzione di tutti gli eventuali vizi, anche sopravvenuti”.

Ma a fronte di tali e rilevanti oneri in capo all’affidatario – che necessariamente imporranno alle amministrazioni aggiudicatrici una avveduta gestione delle garanzie fideiussorie da pretendere dall’affidatario stesso – come viene retribuito quest’ultimo?

Il nuovo art. 160-ter del D.Lgs. n. 163/06 detta la disciplina sostanziale del “contratto di disponibilità” e ne fissa gli aspetti sinallagmatici. Infatti, vi si prevede che il corrispettivo della costruzione/gestione “a rischio e spese” dell’affidatario derivi da tre possibili componenti, il primo dei quali ineludibile, gli altri due eventuali.

Il primo componente è rappresentato dal canone di disponibilità: in buona sostanza, l’amministrazione aggiudicatrice, per tutto il periodo di “effettiva” disponibilità dell’opera come fissato nel bando, verserà all’affidatario un canone che, tuttavia, è soggetto a riduzione (o anche ad annullamento) nei periodi di ridotta o azzerata disponibilità dell’opera. E’ chiaro che tale pesante condizione dovrà essere esattamente delineata nel bando di selezione, ma ancor più dovrà essere attentamente valutata dal privato allorché avanzerà la sua proposta in sede di gara, altrimenti traducendosi la stessa in un aggravio di oneri che potrebbe risultare insostenibile nel corso del contratto.

Vista l’esperienza non propriamente felice maturata nel corso degli anni con riguardo all’analogo onere gravante in capo ai promotori dei project financing (ed agli istituti di credito chiamati a validare le proposte) per la formulazione del quadro economico sostenibile, è da auspicare una seria presa di coscienza rispetto a tale problematica, onde evitare che un pur valido ed innovativo strumento finisca per non essere adeguatamente utilizzato.

Il secondo componente è riferito alla possibilità, evidentemente rimessa alla scelte dell’amministrazione aggiudicatrice, che la proprietà dell’opera venga trasferita in capo alla stessa. In tal caso è ipotizzabile un contributo in corso d’opera che, comunque, non può superare il “cinquanta per cento del costo di costruzione”. La previsione lascia aperti alcuni dubbi che sarebbe opportuno venissero chiariti: a) la norma tace sul momento del trasferimento di proprietà, ma è da ritenere sia da riferirsi al collaudo/consegna; tuttavia, sarebbe utile specificarlo e specificare quali siano poi gli obblighi che restano in capo all’affidatario dopo il trasferimento di proprietà; b) per il “cinquanta per cento del costo di costruzione dell’opera” cosa si intende ? Il costo ipotizzato nel progetto preliminare (cioè quello oggetto di confronto tra le varie proposte), oppure il costo reale dell’opera come risulterà dalla contabilità dell’affidatario al momento del collaudo/consegna ? Le differenze possono essere rilevanti.

Il terzo componente, anch’esso eventuale, è riferito, infine, ad una diversa ipotesi di possibile trasferimento della proprietà dell’opera, in tal caso (sembra di capire) traguardata però al “termine del contratto”……un po’ quello che, nei contratti di leasing, è la rata finale per il riscatto del bene locato. Quello che sembra contraddittorio è la previsione che tale prezzo di trasferimento finale debba essere parametrato (oltre ai canoni già versati) anche “all’eventuale contributo in corso d’opera”: ma se è stato versato tale contributo, la proprietà non dovrebbe essere stata già trasferita ? Anche tale aspetto meriterebbe forse un chiarimento.

Ma vediamo quale è la procedura per definire il “contratto di disponibilità. Il bando pone a base di gara un capitolato prestazionale che deve contenere le caratteristiche tecnico-funzionali dell’opera e le modalità per la riduzione/sospensione del canone, come si accennava sopra. In capo agli offerenti è posto l’onere di predisporre un progetto preliminare che sia coerente rispetto ai requisiti prestazionali. La gara viene aggiudicata con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa; restano ferme le norme di cui agli artt. 75 e 113 del D.Lgs. n.163/2006 relativamente alle garanzie e cauzioni. Da segnalare che la norma prevede che il piano economico alla base della proposta dovrà necessariamente considerare gli oneri connessi agli eventuali espropri necessari per la realizzazione dell’opera. Va da sé che tale previsione è particolarmente gravosa sotto due profili: a) pone in capo al privato l’alea dell’incertezza circa il definitivo costo degli espropri che, in sede di offerta, può solo essere stimato, ma non risultare certo; b) si riferisce ad un risultato – cioè l’acquisizione coattiva di immobili – i cui tempi possono variare in relazione, peraltro, ad attività che dipendono da terzi (l’ente pubblico espropriante ed il terzo espropriato).

Altro aspetto problematico è quello riguardante la redazione dei progetti definitivi ed esecutivi, nonché di eventuali varianti, che è posta in carico all’affidatario. Questo, infatti, deve predisporli nel rispetto del capitolato prestazionale e (non è specificato, ma ça va sans dire) e del progetto preliminare, approvarli e comunicarli all’amministrazione aggiudicatrice ed alle altre eventuali autorità competenti, ma è comunque a carico dell’affidatario ogni conseguenza connessa alla mancata o ritardata approvazione da parte di terze autorità. Tale previsione, essendo riferita ad attività di terzi rispetto ai quali l’affidatario è del tutto estraneo, potrebbe causare notevoli contenziosi ove la mancata o ritardata approvazione fosse conseguenza di comportamenti non diligenti della Pubblica Amministrazione….

Infine, ove i vincoli in capo all’affidatario non fossero già rilevanti, si prevede che il sede di collaudo l’amministrazione aggiudicatrice debba ovviamente verificare la rispondenza dell’opera ai requisiti prestazionali, ma che a tali fini possa anche imporre modificazioni, varianti e rifacimento di lavori eseguiti ovvero, sempreché siano assicurate le caratteristiche funzionali essenziali, la riduzione del canone di disponibilità.

A tal ultimo proposito si ritiene di dover segnalare una apparente incongruenza della norma. Infatti, nel comma 6 della norma si prevede che “il contratto” debba individuare la soglia massima di riduzione del canone superata la quale “il contratto” è risolto. Ebbene, mentre l’uso del termine “contratto” appare congruo nel secondo caso, non altrettanto può dirsi nel primo. Infatti, appare logico ritenere che “il limite di riduzione del canone di disponibilità superato il quale il contratto è risolto” debba essere previsto già nel Bando e poi, semmai, ribadito nel contratto, ma non potrebbe mai essere oggetto di prima previsione nel contratto, essendo evidentemente un elemento particolarmente rilevante ai fini della definizione della proposta di piano economico in sede di offerta. Anche in questo caso, quindi, sembrerebbe opportuno un chiarimento.

In definitiva, quindi, sembra di poter valutare con molto interesse l’introduzione di questa nuova figura di partnership pubblico-privata, ma senza tralasciare l’opportunità di alcune correzioni se si vuole realmente dotare il settore di uno strumento effettivamente alla portata degli operatori privati.

L’art. 44 del D.L. n. 1 del 24.01.2012 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), se stessimo parlando di un gadget elettronico, potrebbe definirsi “l’ultimo ritrovato della tecnica”……in realtà, trattandosi invece di una norma che prevede una nuova forma di partenariato pubblico-privato per cercare di stimolare i privati a realizzare opere di interesse pubblico, potrebbe definirsi “l’ultimo disperato tentativo” – comunque opportuno - dello Stato di rimettere in moto un settore che è di fatto alla paralisi.

Stiamo parlando del cd. “contratto di disponibilità” che è disciplinato dai nuovi artt. 15-bis e 160-ter del D.Lgs. n. 163/2006, introdotti con il citato art. 44 del “Decreto liberalizzazioni”. Un istituto che ha, in effetti, elementi di novità e che potrebbe risultare interessante per gli operatori privati e per gli enti pubblici, anche locali.

L’art. 15-bis definisce il “contratto di disponibilità”, aggiungendolo all’elenco delle definizioni contenuto nell’art. 3 del D.Lgs. n. 163/06. La norma specifica che con tale “contratto” sono affidate all’affidatario, a suo rischio e spese, “la costruzione e la messa a disposizione a favore dell’amministrazione aggiudicatrice di un’opera di proprietà privata destinata all’esercizio di un pubblico servizio, a fronte di un corrispettivo”. E’ interessante rilevare che si è voluto usare una espressione quale “opera….destinata all’esercizio di un pubblico servizio”, piuttosto che la generica espressione di “opera pubblica o di interesse pubblico”, quasi a voler sottolineare l’esigenza che tale nuovo contratto venga utilizzato per la realizzazione di opere funzionali, in sé e rispetto all’esercizio di un pubblico servizio. La norma afferma, al di là di ogni dubbio, che l’opera debba essere realizzata a “rischio e spese” dell’affidatario; tale previsione è coerente con l’ulteriore specificazione di cosa si debba intendere per “messa a disposizione” e cioè “l’onere assunto a proprio rischio dall’affidatario di assicurare all’amministrazione aggiudicatrice la costante fruibilità dell’opera, nel rispetto dei parametri di funzionalità previsti dal contratto, garantendo allo scopo la perfetta manutenzione e la risoluzione di tutti gli eventuali vizi, anche sopravvenuti”.

Ma a fronte di tali e rilevanti oneri in capo all’affidatario – che necessariamente imporranno alle amministrazioni aggiudicatrici una avveduta gestione delle garanzie fideiussorie da pretendere dall’affidatario stesso – come viene retribuito quest’ultimo?

Il nuovo art. 160-ter del D.Lgs. n. 163/06 detta la disciplina sostanziale del “contratto di disponibilità” e ne fissa gli aspetti sinallagmatici. Infatti, vi si prevede che il corrispettivo della costruzione/gestione “a rischio e spese” dell’affidatario derivi da tre possibili componenti, il primo dei quali ineludibile, gli altri due eventuali.

Il primo componente è rappresentato dal canone di disponibilità: in buona sostanza, l’amministrazione aggiudicatrice, per tutto il periodo di “effettiva” disponibilità dell’opera come fissato nel bando, verserà all’affidatario un canone che, tuttavia, è soggetto a riduzione (o anche ad annullamento) nei periodi di ridotta o azzerata disponibilità dell’opera. E’ chiaro che tale pesante condizione dovrà essere esattamente delineata nel bando di selezione, ma ancor più dovrà essere attentamente valutata dal privato allorché avanzerà la sua proposta in sede di gara, altrimenti traducendosi la stessa in un aggravio di oneri che potrebbe risultare insostenibile nel corso del contratto.

Vista l’esperienza non propriamente felice maturata nel corso degli anni con riguardo all’analogo onere gravante in capo ai promotori dei project financing (ed agli istituti di credito chiamati a validare le proposte) per la formulazione del quadro economico sostenibile, è da auspicare una seria presa di coscienza rispetto a tale problematica, onde evitare che un pur valido ed innovativo strumento finisca per non essere adeguatamente utilizzato.

Il secondo componente è riferito alla possibilità, evidentemente rimessa alla scelte dell’amministrazione aggiudicatrice, che la proprietà dell’opera venga trasferita in capo alla stessa. In tal caso è ipotizzabile un contributo in corso d’opera che, comunque, non può superare il “cinquanta per cento del costo di costruzione”. La previsione lascia aperti alcuni dubbi che sarebbe opportuno venissero chiariti: a) la norma tace sul momento del trasferimento di proprietà, ma è da ritenere sia da riferirsi al collaudo/consegna; tuttavia, sarebbe utile specificarlo e specificare quali siano poi gli obblighi che restano in capo all’affidatario dopo il trasferimento di proprietà; b) per il “cinquanta per cento del costo di costruzione dell’opera” cosa si intende ? Il costo ipotizzato nel progetto preliminare (cioè quello oggetto di confronto tra le varie proposte), oppure il costo reale dell’opera come risulterà dalla contabilità dell’affidatario al momento del collaudo/consegna ? Le differenze possono essere rilevanti.

Il terzo componente, anch’esso eventuale, è riferito, infine, ad una diversa ipotesi di possibile trasferimento della proprietà dell’opera, in tal caso (sembra di capire) traguardata però al “termine del contratto”……un po’ quello che, nei contratti di leasing, è la rata finale per il riscatto del bene locato. Quello che sembra contraddittorio è la previsione che tale prezzo di trasferimento finale debba essere parametrato (oltre ai canoni già versati) anche “all’eventuale contributo in corso d’opera”: ma se è stato versato tale contributo, la proprietà non dovrebbe essere stata già trasferita ? Anche tale aspetto meriterebbe forse un chiarimento.

Ma vediamo quale è la procedura per definire il “contratto di disponibilità. Il bando pone a base di gara un capitolato prestazionale che deve contenere le caratteristiche tecnico-funzionali dell’opera e le modalità per la riduzione/sospensione del canone, come si accennava sopra. In capo agli offerenti è posto l’onere di predisporre un progetto preliminare che sia coerente rispetto ai requisiti prestazionali. La gara viene aggiudicata con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa; restano ferme le norme di cui agli artt. 75 e 113 del D.Lgs. n.163/2006 relativamente alle garanzie e cauzioni. Da segnalare che la norma prevede che il piano economico alla base della proposta dovrà necessariamente considerare gli oneri connessi agli eventuali espropri necessari per la realizzazione dell’opera. Va da sé che tale previsione è particolarmente gravosa sotto due profili: a) pone in capo al privato l’alea dell’incertezza circa il definitivo costo degli espropri che, in sede di offerta, può solo essere stimato, ma non risultare certo; b) si riferisce ad un risultato – cioè l’acquisizione coattiva di immobili – i cui tempi possono variare in relazione, peraltro, ad attività che dipendono da terzi (l’ente pubblico espropriante ed il terzo espropriato).

Altro aspetto problematico è quello riguardante la redazione dei progetti definitivi ed esecutivi, nonché di eventuali varianti, che è posta in carico all’affidatario. Questo, infatti, deve predisporli nel rispetto del capitolato prestazionale e (non è specificato, ma ça va sans dire) e del progetto preliminare, approvarli e comunicarli all’amministrazione aggiudicatrice ed alle altre eventuali autorità competenti, ma è comunque a carico dell’affidatario ogni conseguenza connessa alla mancata o ritardata approvazione da parte di terze autorità. Tale previsione, essendo riferita ad attività di terzi rispetto ai quali l’affidatario è del tutto estraneo, potrebbe causare notevoli contenziosi ove la mancata o ritardata approvazione fosse conseguenza di comportamenti non diligenti della Pubblica Amministrazione….

Infine, ove i vincoli in capo all’affidatario non fossero già rilevanti, si prevede che il sede di collaudo l’amministrazione aggiudicatrice debba ovviamente verificare la rispondenza dell’opera ai requisiti prestazionali, ma che a tali fini possa anche imporre modificazioni, varianti e rifacimento di lavori eseguiti ovvero, sempreché siano assicurate le caratteristiche funzionali essenziali, la riduzione del canone di disponibilità.

A tal ultimo proposito si ritiene di dover segnalare una apparente incongruenza della norma. Infatti, nel comma 6 della norma si prevede che “il contratto” debba individuare la soglia massima di riduzione del canone superata la quale “il contratto” è risolto. Ebbene, mentre l’uso del termine “contratto” appare congruo nel secondo caso, non altrettanto può dirsi nel primo. Infatti, appare logico ritenere che “il limite di riduzione del canone di disponibilità superato il quale il contratto è risolto” debba essere previsto già nel Bando e poi, semmai, ribadito nel contratto, ma non potrebbe mai essere oggetto di prima previsione nel contratto, essendo evidentemente un elemento particolarmente rilevante ai fini della definizione della proposta di piano economico in sede di offerta. Anche in questo caso, quindi, sembrerebbe opportuno un chiarimento.

In definitiva, quindi, sembra di poter valutare con molto interesse l’introduzione di questa nuova figura di partnership pubblico-privata, ma senza tralasciare l’opportunità di alcune correzioni se si vuole realmente dotare il settore di uno strumento effettivamente alla portata degli operatori privati.