Il diritto all’istruzione

diritto all'istruzione
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Il ruolo dell’istruzione nelle società contemporanee

Secondo la Giurisprudenza della Corte EDU, il diritto all’istruzione costituisce la forma più alta di concretizzazione della ratio democratico-sociale, dunque interventistica, posta alla base di quasi tutte le Carte Costituzionali emanate negli Anni Quaranta del Novecento.

In particolar modo, un ruolo fondamentale è recato, senza dubbio, dall’Articolo 2 Prot. n. 1 alla CEDU, il quale recita che “il diritto all’istruzione non può essere rifiutato a nessuno. Lo Stato, nell’esercizio delle sue funzioni che assume nel campo dell’educazione e dell’insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di provvedere a tale educazione e a tale insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche”.

D’altronde, anche Corte EDU, Grande Camera, Folgero et al vs. Norvegia, 29/06/2007 afferma che “l’Articolo 2 Prot. 1 alla CEDU costituisce il centro ed il cardine di molte ed importanti Sentenze. Lo Stato, per contratto sociale, non può negare il diritto all’educazione [scolastica del bambino]. Attraverso l’AG nazionale, bisogna tutelare il diritto all’accesso alle Istituzioni educative, per tutto il tempo necessario all’apprendimento, fino a che il ciclo di studi non sia terminato e finché [il bambino] non abbia ricevuto un’educazione veramente completa”.

Anzi, Corte EDU Appel-Irrgang et al vs. Germania, 06/10/2009 impone pure la ricerca della massima qualità dell’offerta formativa, in tanto in quanto “compete ai singoli Stati contraenti [la CEDU] la definizione e l’articolazione del contenuto [qualitativo] dei curricula scolastici, […] tuttavia, nel curriculum, va inserito un piano di insegnamento oggettivo, critico e pluralistico, in grado di sviluppare una mente critica”. Parimenti, Corte EDU Lautsy et al. vs. Italia, 18/03/2011 precisa che “il programma scolastico non deve perseguire un mero indottrinamento”.

Molto simile è pure Corte EDU Kjeldsen & Busk Madsen & Peterson vs. Danimarca, 07/12/1976, a parere della quale “lo Stato, nell’adempiere alle funzioni concernenti l’educazione e l’apprendistato, deve includere, nel curriculum, la formazione di una coscienza oggettiva, critica e pluralistica. Lo Stato, in tema di istruzione, non deve limitarsi all’indottrinamento”.

Il rigetto di una formazione scolastica aridamente indottrinante è stato ribadito, al paragrafo 50 delle Motivazioni, pure da Corte EDU Kjeldsen & Busk Madsen & Peterson vs. Danimarca, 07/12/1976, ovverosia “una formazione oggettiva, critica e pluralistica è la base essenziale per la conservazione di una società democratica, così come concepita dalla stessa CEDU. Uno Stato moderno deve rimuovere gli ostacoli per la realizzazione di una società senza discriminazioni”.

Il valore supremo di una cultura e di una scuola libera da ideologie ed impedimenti è rimarcato pure da Corte EDU Leyla Sahin vs. Turchia, 10/11/2005, in tanto in quanto “esiste un circolo virtuoso sotteso al fondamentale diritto all’educazione [ex Articolo 2 Prot. 1 CEDU], in forza del quale un’istruzione impartita nel rispetto del pluralismo sollecita il pieno sviluppo della persona umana, che avrà – potenzialmente – modo di contribuire, a sua volta, all’implementazione di una società democratica dove pluralismo, tolleranza ed inclusione sono garantiti”.

Tale ratio democratico-sociale ed egalitaria costituisce il fondamento anche di molti altri Precedenti in tema di istruzione scolastica, come, ad esempio, Corte EDU Folgero et al vs. Norvegia, 29/06/2007 nonché Corte EDU Hasan & Eylem Zengin vs. Turchia, 09/10/2007. La connessione tra Democrazia costituzionale ed agenzie scolastiche è presente anche nel comma 2 Articolo 26 della Dichiarazione Universale dei Dirittti dell’Uomo, ai sensi della quale “l’educazione dev’essere diretta al pieno sviluppo della personalità umana e del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. [Gli Stati] debbono sempre promuovere la tolleranza e l’amicizia tra tutte le nazioni, le razze ed i gruppi religiosi, al fine di realizzare il mantenimento della pace, che è la principale attività delle Nazioni Unite”.

A parere di chi redige, anche la Corte EDU, purtroppo, ha assorbito la sterile ridondanza retorica di Convenzioni internazionali prive di riscontri concreti.

In effetti, retoricamente inconcludente è pure Corte EDU Velyo Velev vs. Bulgaria, 27/08/2014, la quale si limita a ribadire che “in una società democratica, il diritto all’istruzione è indispensabile per la crescita dei diritti umani, come richiesto dall’Articolo 2 Prot. 1 CEDU […]. L’istruzione deve essere configurata quale tipo di pubblico servizio diretto a tutti, per il servizio delle basilari funzioni della società”.

 

Il Diritto all’istruzione tra astrattezza valoriale e concretezza amministrativa

Sempre con eccessiva ed astratta retorica, pure Corte EDU, C-152/82, Forchieri vs. Belgio ha asserito l’enorme portata valoriale dell’istruzione scolastica, poiché “l’educazione costituisce una vera e propria vocazione dello Stato democratico-sociale e di tutte le Istituzioni della comunità. Lo studio è una grande opportunità per i bambini ed i giovani. Infatti, per suo tramite, si pongono le basi volte ad implementare le capacità intellettuali e le potenzialità lavorative di un individuo, così contribuendo al miglioramento del benessere proprio e collettivo, dell’integrazione comunitaria e del buon funzionamento del mercato interno”.

In effetti, Corte EDU, Lautsy vs. Italia, 18/03/2011 precisa che “bisogna estendere al massimo, dal punto di vista sia soggettivo sia oggettivo, il diritto all’istruzione, delineando ciò che, ai sensi del Diritto europeo [e della Giurisprudenza della Corte EDU] rientra nel concetto di sviluppo educazionale e pedagogico […]. Bisogna identificare tutti i soggetti che, sempre ai sensi del Diritto europeo, sono ammessi ad usufruire [dell’offerta formativa culturale statale]”.

Anche molte Sentenze della Corte EDU utilizzano i lemmi “educational and vocational training for an effective market integration”, in tanto in quanto, perolomeno sotto il profilo della ratio, la formazione culturale è e deve rimanere sinallagmaticamente congiunta a quella lavorativa. Tuttavia, di nuovo, che scrive avverte il bisogno di notare la profonda astrattezza di tali profili di Diritto Costituzionale, i quali, nella prassi quotidiana, vengono malaugurevolmente smentiti dai numerosi insuccessi oggettivi del sistema scolastico.

Assai notevole è pure Corte EDU, C-293/83 Gravier vs. Città di Liegi, in cui è stata estesa la precettività della Direttiva 2004/38/CE anche ai figli dei lavoratori stranieri, senza discriminazioni rispetto ai familiari di cittadini autoctoni, giacché, come specificato nelle Motivazioni, “bisogna allargare la tutela relativa all’accesso [alle scuole] senza discriminazione [e quindi] anche agli studenti provenienti da famiglie non comunitarie e non economicamente attive”.

Come si vede, Corte EDU, C-293/83 Gravier vs. Città di Liegi equipara, ai fini dell’accesso allo studio, i domiciliati ed i cittadini, nel nome della tutela del supremo interesse dello scolaro minorenne, cui non deve mancare l’istruzione scolastica per causa di dettagli ininfluenti rispetto alla granitica ratio democratica di cui all’Articolo 2 Prot. 1 CEDU.

Del pari, Corte EDU, C-389 e 390/87 Echternach et al. vs. Ministero dell’Educazione e delle Scienze ha dichiarato, ex Articolo 2 Prot. 1 CEDU, che “va allargato, dal punto di vista soggettivo, il diritto all’istruzione, […], partendo dall’accesso senza discriminazioni all’insegnamento in sé e per sé considerato. […]. Solo così, infatti, l’integrazione europea, in termini di istruzione, può esplicare appieno la propria efficacia verso la finalità di un miglioramento complessivo delle condizioni economico-sociali del mercato interno”.

Dunque, anche Corte EDU, C-389 e 390/87 Echternach et al. vs. Ministero dell’Educazione e delle Scienze mira all’”educational and vocational training” della popolazione giovanile, ma, di nuovo, va sottolineato l’idealismo eccessivo con cui la Corte EDU interpreta l’Articolo 2 Prot. 1 CEDU.

Anche in epoca attuale, i princìpi costituzionali citati dalla Corte EDU e dalla Normativa dell’UE rimangono, sovente, lettera morta sotto il profilo della realtà concreta e quotidiana.

Pertanto, rimane, comunque, indispensabile e salvifico l’intervento correttivo e reale (rectius: realistico) delle singole Autorità Giudiziarie nazionali. Ognimmodo, questa volta con maggior senso della realtà, l’Articolo 7 comma 2 e l’Articolo 12 del Regolamento CEE n. 1612/68 precisano che i contributi sociali gratuiti per l’inserimento scolastico degli infra-18enni vanno corrisposti sia ai figli di cittadini UE, sia alla prole di extra-comunitari muniti della sola residenza e del solo permesso di soggiorno. Diversamente, nel caso di una famiglia europea non economicamente attiva in uno degli Stati dell’UE, il diritto ai sussidi per l’istruzione è subordinato “alla dimostrazione di una certa autosufficienza economica” (Paragrafi 41 e sgg. delle Motivazioni di Corte EDU, C-542/09 Commissione Europea vs. Regno d’Olanda).

Chi commenta valuta negativamente lo stare decisis della Corte EDU con afferenza all’Articolo 2 Prot. 1 CEDU. I Magistrati di Strasburgo si sono dimostrati eccessivamente sensibili nei confronti di valori costituzionali privi di un concreto ancoraggio alla realtà quotidiana.

Il diritto all’istruzione ex Articolo 2 Prot. 1 CEDU non dev’essere lasciato in balia delle nebulose affermazioni di un Diritto Costituzionale successivamente privo di ripercussioni materiali sulla Pratica amministrativo-sostanziale realizzata dalle singole Istituzioni scolastiche. Ai fini della loro realizzazione, i valori delle Carte Costituzionali debbono essere poi ben calati nel Diritto Amministrativo e in quello Processuale Amministrativo.

 

La ratio giuridica del diritto all’istruzione

Nell’Ordinamento giuridico italiano, l’Articolo 34 Costituzione afferma che “la scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”.

Come rimarca Benvenuti (2018), l’Articolo 34 Costituzione non si limita al troppo generico asserto “la scuola è aperta a tutti”, bensì, nei commi 2, 3 e 4, esso “riporta tre autonomi diritti sociali, ovvero il diritto ad una scuola aperta [e non discriminante ex Articolo 3 Costituzione], il diritto alla gratuità dell’istruzione inferiore ed il diritto a raggiungere i gradi più elevati degli studi. Infine, specifica i mezzi attraverso i quali concretizzare l’ultimo dei diritto [ex comma 3 Articolo 34 Costituzione]”.

Anzi, Rossi & Assis & Biondi Dal Monte (2016) hanno qualificato l’Articolo 34 Costituzione alla stregua di un catalogo dei diritti del fanciullo, trasformati, successivamente, in doveri genitoriali, in tanto in quanto “l’istruzione [nell’Articolo 34 Costituzione] è sancita quale diritto costituzionalmente garantito, ma, al contempo, essa è fondamento di un obbligo, quello di istruirsi strettamente connesso al dovere dei genitori di [far] istruire”.

D’altra parte, sotto il profilo civilistico, l’obbligo di istruzione è perfettamente sussumibile entro il campo precettivo dell’Articolo 147 CC, ai sensi del quale “il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole, tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli”. Specularmente, anche l’Articolo 148 CC, in tema di “consorso negli oneri” risulta anch’esso legato ad diritto-dovere dell’istruzione scolastica di cui all’Articolo 34 Costituzione.

A sua volta, Calamandrei (1966) coniugava l’Articolo 34 Costituzione all’Articolo 1 Costituzione, giacché “affiora un legame tra l’Articolo 34 Costituzione e l’Articolo 1 Costituzione, perché l’istruzione inferiore non è solo obbligatoria e gratuita, ma anche unica per tutti. Si perviene, dunque, ad una relazione indissolubile tra la scuola e la cittadinanza repubblicana: la ratio della prima è quella di arricchire le conoscenze, tuttavia, in virtù di codesto legame, essa permette all’individuo di riconoscersi all’interno di una vasta comunità: l’Italia”.

Pertanto, come si può notare, in Dottrina si è evidenziato che l’Articolo 34 Costituzione non costituisce affatto una declamazione retorica priva di riscontri concreti. L’Articolo 34 Costituzione va considerato come manifestazione della potestà di un Ordinamento democratico-sociale, che, a differenza di quanto accade nello Stato liberale, non lascia la famiglia e l’infanzia in balia di eventuali carenze economiche ostative alla formazione culturale. L’Articolo 34 Costituzione pone le basi per uno welfare che si concretizza e, anzi, agevola il mantenimento e la garanzia degli studi ex Articoli 147 e 148 Codice Civile.

Complessa, nell’Articolo 33 Costituzione, è la distinzione tra il “diritto all’istruzione” e la “libertà d’insegnamento”. Dal punto di vista costituzionale, il diritto all’istruzione ingloba la libertà di istituire ed amministrare le scuole, il diritto di ricevere un insegnamento e la libertà genitoriale di selezionare una specifica scuola. Invece, la libertà di insegnamento è connessa al comma 1 Articolo 9 Costituzione, nel senso che l’insegnamento è libero, ma la Repubblica controlla che i Docenti non si oppongano ai valori costituzionalmente, dunque comunitariamente, tutelati e tutelabili.

A tal proposito, Fontana (2019) ha cura di affrancare la libertà di insegnamento dall’anarchia anti-costituzionale ed anti-ordinamentale, in tanto in quanto “la promozione della cultura [ex Artt. 9, 33 e 34 Costituzione] non va intesa solo alla stregua di un’insopprimibile aspirazione alla conoscenza e di un irrinunciabile fattore di emancipazione degli individui e della società nel suo complesso. Essa rappresenta una preziosa risorsa ed un alimento dei regimi democratici, i quali di una consapevole, meditata e critica lettura del reale non possono e non devono fare a meno”.

Il lodevole fine di Fontana (ibidem) consta nel preservare gli Artt. 9, 33 e 34 Costituzione da un approccio anarchico o qualunquista, che giunga eventualmente a giustificare insegnamenti ed indottrinamenti anti-costituzionali ed anti-normativi. Le libertà democratiche ed egalitarie pongono dei limiti necessari e ragionevoli alla libertà di insegnamento. Viceversa, un’istruzione non conforme alla Carta Costituzionale recherebbe all’implosione dell’intero sistema, il che condurrebbe ad un’auto-distruzione paradossalmente fondata su modelli scolastici auto-neganti gli Artt. 9, 33 e 34 Costituzione

Sempre nel contesto del diritto costituzionale all’istruzione, il comma 1 Articolo 30 Cost statuisce che “è dovere e diritto dei genitori mantenere, educare ed istruire i figli, anche se nati fuori dal matrimonio”.

Il pensiero corre, inevitabilmente, agli Articoli 147 Codice Civile (doveri verso i figli), 148 Codice Civile (concorso negli oneri) e 261 CC (diritti e doveri derivanti al genitore dal riconoscimento). A parere di Giacobbe (2016), il comma 1 Articolo 30 Costituzione nonché gli Artt. 147, 148 e 261 Codice Civile configurano un modello di famiglia necessariamente ed ontologicamente autonoma nella scelta del percorso scolastico della figliolanza, in tanto in quanto “il riferimento al diritto, oltre che al dovere, può essere interpretato come [legittima] pretesa dei genitori di istruire, educare e mantenere i figli senza l’intromissione di terzi in tale rapporto”.

Il parere dottrinario di Giacobbe (ibidem) sull’auto-gestione autarchica dell’istruzione della prole risulta prezioso sotto il profilo della tutela democratica dell’autonomia decisionale della famiglia. Viceversa, in epoca attuale, le decisioni genitoriali tendono ad essere eccessivamente e prepotentemente influenzate da un apparato di assistenza sociale onnipresente ed onnipotente.

Oggi, le priorità genitoriali ex comma 1 Articolo 30 Costituzione rischiano di essere soffocate da una PA che pretende di sostituirsi al legittimo e naturale ruolo del padre e della madre. L’assistenza sociale svolge un ruolo ipertrofico, che soffoca quell’indipendenza familiare sancita nell’Articolo 30 Costituzione e concretizzata negli Articoli. 147, 148 e 261 Codice Civile.

Esistono, ognimmodo e certamente, alcuni limiti oltre i quali la Pubblica Autorità ha il legittimo dovere di spezzare tale autonomia, come, ad esempio, allorquando i genitori, anche se separati o non conviventi, non garantiscono la frequenza della scuola dell’obbligo. In tal caso, come p. e p. ex Articolo 731 Codice Penale, “chiunque, rivestito di autorità o incaricato della vigilanza sopra un minore, omette, senza motivo, d’impartirgli o di fargli impartire l’istruzione elementare, è punito con l’ammenda fino a trenta euro”. Salvo il concorso delle aggravanti di cui al Decreto Legislativo 274/2000, l’applicazione dell’Articolo 731 Codice Penale compete al giudice di pace.

A prescindere dai dettagli procedurali, comunque, l’Articolo 731 Codice Penale dimostra la preminenza assoluta della ratio della tutela dell’infra-18enne e siffatta esigenza ordinamentale conduce, necessariamente, a frantumare o, quantomeno, a moderare l’autonomia gestionale dei genitori tutelata ex comma 1 Articolo 30 Costituzione.

D’altronde, Longo (2012) nota che la privatezza del ruolo genitoriale viene attenuata, ad esempio, anche nella fattispecie dell’erogazione di aiuti economici alle famiglie il cui stato di povertà impedisce di garantire l’assolvimento ordinario dell’obbligo scolastico da parte di figli in età infantile. Di nuovo, quindi, in tema di diritto all’istruzione, l’Ordinamento costituzionale italiano si conferma nella propria vocazione interventista, dunque democratico-sociale e non liberale. In effetti, sussiste (rectius: dovrebbe sussistere) un costante legame sinergico tra genitori e PA scolastica, giacché, come asserito da Scoca (1984) “i ruoli delle parti e dello Stato si incrociano, [perché] il dovere di istruire i figli si concretizza con l’obbligo ed il diritto dei genitori di prendere parte alla vita scolastica.

In tale contesto, la partecipazione non implica un coinvolgimento dei genitori [nella docenza], bensì una collaborazione attiva con il personale docente, e, in generale, con l’istituto. […]. I genitori devono poter conoscere il progetto della scuola presso la quale inviano i loro figli [e devono sapere] di quale scuola e di quale istruzione si tratta”. Il nodo problematico consiste nel contemperare e nel bilanciare, da un lato, le potestà genitoriali e, dall’altro lato, le rigide esigenze ordinamentali. La famiglia dello scolaro infra-18enne è soggetto/oggetto di Diritto, ma non fonte autonoma con potere di nomogenesi.

In effetti, la coppia di genitori non è una monade chiusa in se stessa e priva di qualsivoglia condizionamento giuridico etero-diretto. P.e., in tale contesto di welfare e di assistenza sociale temperata, Michelotti (2014) afferma che “tali disposizioni [come l’Articolo 731 CP nonché gli Artt. 147, 148 e 261 CC] intendono l’istruzione [ex comma 1 Articolo 30 Costituzione] non come un diritto statico, ma come un diritto dotato di una notevolissima ed intrinseca valenza relazionale, in quanto strumento promotore di uguaglianza tra i sessi, di comprensione dei valori culturali ed ambientali e, più in generale, di tolleranza e di pace tra tutte le nazioni, i gruppi razziali, etnici e religiosi”.

La novità della Carta Costituzionale italiana del 1948 e di quasi tutte le Costituzioni post-belliche degli Anni Quaranta del Novecento consta nell’abbandono di un insulso modello liberale basato sull’ipostatizzazione egocentrica dell’autonomia personale e/o strettamente familiare. Con il nuovo Ordinamento democratico-interventista, la PA si sforza di creare, di concerto con i gruppi familiari, una collaborazione equilibrata e moderatamete invasiva, al fine di sopperire alle carenze socio-economiche che eventualmente ostacolino la realizzazione piena del diritto all’istruzione del bambino.

 

Il diritto all’istruzione nell’Ordinamento costituzionale italiano

Il comma 1 Articolo 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo asserisce che “ogni individuo ha diritto all’istruzione. L’istruzione dev’essere gratuita almeno per quanto riguarda le classi elementari e fondamentali. L’istruzione elementare dev’essere obbligatoria. L’istruzione tecnica e professionale dev’essere messa alla portata di tutti e l’istruzione superiore dev’essere ugualmente accessibile a tutti sulla base del merito”. E’pleonastico rimarcare che il testé menzionato dettato normativo sovrannazionale è assai simile al testo dell’Articolo 34 Costituzione, ove, ognimmodo, le scuole medie superiori e l’università non sono precostituite come obbligatorie né come gratuite. Infatti, dopo la frequentazione della scuola dell’obbligo, diviene protagonista la ratio del merito, unita, sotto il profilo economico, alle “borse di studio ed altre provvidenze” di cui al comma 4 Articolo 34 Costituzione. Dunque, nell’Articolo 34 Costituzione, la scuola, nel Diritto Costituzionale italiano, è concepita come un servizio che formi cittadini/e in grado di meglio partecipare allo sviluppo del progresso socio-economico della Repubblica, ma il tutto all’interno di un sistema meritocratico conforme al principio di eguaglianza statuito nell’Articolo 3 Costituzione.

Ciononostante, come precisato da Corte Costituzionale n. 7/1967, la “gratuità” della scuola “non ricomprende [salvo successive sovvenzioni speciali ad personam] prestazioni collaterali d’ordine meramente materiale e strumentale, come mezzi di trasporto, cancelleria e libri di testo […] [La gratuità ex comma 2 Articolo 34 Costituzione] afferisce solo alla messa a disposizione degli ambienti scolastici, del corpo insegnante e di tutto ciò che direttamente riguarda tali elementi organizzativi”. In ogni caso, Corte Costituzionale n. 7/1967, unitamente a svariati Precedenti successivi della Consulta, non intende impedire o sminuire sovvenzioni straordinarie inerenti mezzi di trasporto, cancelleria e libri di testo, nella fattispecie, degna di tutela, delle famiglie in stato di bisogno, con figli in età infantile.

Anzi, il diritto all’istruzione, nel Diritto Costituzionale italiano, va inteso nella più ampia portata precettiva immaginabile, in tanto in quanto, come specificato da Corte Costituzionale n. 370/2003, “il diritto di accedere e di usufruire delle prestazioni che l’organizzazione scolastica è chiamata a fornire parte dagli asili nido (che, pur non essendo delle vere e proprie istituzioni scolastiche, vengono ad esse assimilati dalla Legislazione ordinaria) […] e si estende alle università, per quanto attiene all’attività di insegnamento “. Pochi Ordinamenti giuridici occidentali sono in grado di garantire l’enorme apparato cultural-assistenziale definito da Corte Costituzionale n. 370/2003.

Tuttavia, nel caso del sistema italiano, la scuola pubblica non si fonda su un’esclusività soffocante o dittatoriale, giacché, come rileva Sandulli (2009) “resta il fatto che l’Articolo 33 commi 3 e 4 Costituzione, prevedendo la libertà dei privati di istituire scuole e la possibilità di vedere riconosciuta la parità scolastica, rifiuta anche l’estremo opposto, e, cioè, la visione monopolistica della scuola di Stato. Sicché il sistema pubblico di istruzione predilige un modello pluralistico, definibile come un sistema integrato, nel senso che è fondato sull’equilibrata alchimia tra pubblico e privato, sulla coesistenza di due diverse realtà”.

Molti, in epoca contemporanea, hanno difeso la presunta superiorità assiologica della scuola pubblica (Calamandrei, 2008), ma, in fondo, come onestamente e lealmente osservato da Ostellino (2009) “l’unico limite non valicabile [da parte della scuola privata] dovrebbe essere costituito, come per chiunque, dall’osservanza della Costituzione e delle leggi nell’espletamento delle attività di insegnamento e di formazione e circa i contenuti dell’insegnamento impartito, secondo quanto stabilito dal comma 1 Articolo 54 Costituzione [tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi] […].

Lo stesso Articolo 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, al terzo comma, stabilisce che i genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere di istruzione da impartire ai loro figli”. Come prevedibile, comunque, la situazione fattuale della scuola italiana mortifica le libere aspettative egalitarie dell’istruzione privata. Persiste, nel contesto socio-giuridico italico, una surrettizia pretesa di superiorità da parte della scuola pubblica, poiché, come affermato da Mattioni (1962/2005), “è evidente che non è automatico il riconoscimento della parità scolastica tra scuole pubbliche e scuole private. [Di fatto, non è rispettato il tanto richiamato diritto di libertà degli enti e dei privati [e, del pari, non è rispettato] il diritto-dovere dei genitori [formalmente] sancito nel comma 1 Articolo 30 Costituzione “

A parere di Sandulli (ibidem) non s’ha da confondere l’Istituzione scolastica con una società di capitali nella quale massimizzare il profitto ed economicizzare l’istruzione, poiché la scuola reca, anzitutto e soprattutto, il compito di formare nuovi/e cittadini/e fedeli ai sommi valori repubblicani ex comma 1 Articolo 54 Costituzione.

Anche Onida (2008) ribadisce che, nella scuola, deve predominare una visione etica, in tanto in quanto “l’adesione […] del nostro Ordinamento ai principi del costituzionalismo universale comporta, inevitabilmente, che i principi sui quali fare perno siano rappresentati dall’eguaglianza degli individui [ex Articolo 3 Costituzione] nel godimento dei diritti fondamentali e della concreta possibilità di vedere tali diritti adeguatamente tutelati, qualora fossero negati, con un atto proveniente dai pubblici poteri”. La mercificazione del diritto all’educazione scolastica è profondamente incostituzionale, alla luce della suprema ratio democratico-interventistica espressa negli Artt. 30 comma 1, 33 e 34 Costituzione.

Parimenti, va condannata la visione di una scuola gestita in maniera meramente aziendale e priva di un vero incremento della cultura dei propri allievi. Anzi, a parere di chi redige, la formazione culturale reca una valenza di gran lunga superiore pure alla ratio della socializzazione, ampiamente (rectius: troppo ampiamente) curata durante il ciclo scolastico dell’obbligo. Anche Pace (2009) pone l’accento sulla “crescita culturale e professionale”.

Dunque, le altre ulteriori funzioni socializzative dell’ambiente scolastico, pur rimanendo preziose e spontanee, non rivestono un ruolo primario come quello che caratterizza la trasmissione e l’assimilazione di tecniche culturali e/o professionali. A prescindere da dettagli eccessivi, che scrive auspica una ri-lettura in chiave morale degli Articoli 30 comma 1, 33 e 34 Costituzione.

Non si debbono negare gli interessi economici da sempre ruotanti attorno al diritto all’istruzione, ma l’attenzione del Legislatore deve costantemente e pressoché ossessivamente essere rivolta al controllo dei contenuti puramente e quasi nobilmente culturali veicolati dalle Istituzioni scolastiche. In epoca attuale, la scuola tende a fornire una formazione psico-fisica completa del bambino e dell’adolescente, ma il potere legislativo e quello esecutivo tendono a sottovalutare o, financo, a motteggiare la regola suprema della formazione civica ex comma 1 Articolo 54 Costituzione . La cultura e, meglio, le tecniche culturali sono e rimangono basilari per preparare gli studenti e gli apprendisti al mondo del lavoro, manuale o intellettivo che esso sia. Nella scuola, sono molti i punti formativi da tutelare, ma, in epoca odierna, si dimentica, magari pure con sarcasmo, che la preparazione scolastica ha o non ha successo nella misura in cui lega o meno lo studente ad un apparato statale che sia degno di essere seriamente, lealmente e volentieri servito e difeso alla stregua di una casa comune aperta a tutti

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