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Il diritto di accesso alle notizie e alle informazioni dei consiglieri comunali e provinciali

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Abstract:

Il diritto di accesso alle notizie e alle informazioni riconosciuto ai consiglieri comunali e provinciali dal Testo Unico degli Enti Locali, con l’introduzione dei sistemi informatici di protocollazione e contabilità, ha comportato una querelle nella giurisprudenza amministrativa ricca di colpi di scena. Ad un orientamento, oramai pressoché costante, che riconosceva il diritto dei consiglieri all’accesso al protocollo informatico dell’Ente e ai dati contabili, si riscontra un orientamento, minoritario, ma non privo di logica, che esclude tale diritto in quanto consentirebbe un monitoraggio esplorativo permanente alla generalità dei documenti della pubblica amministrazione, eccedendo la norma della legge. L’articolo, partendo dal diritto di accesso come disciplinato dal testo primigenio, sofferma l’attenzione su quanto previsto dal Codice dell’Amministrazione Digitale e sugli orientamenti giurisprudenziali contrapposti in materia.

 

Indice:

1. Esame dell’articolo 43 comma 2 del Testo Unico degli Enti Locali

2. Il diritto di accesso al protocollo informatico dell’Ente e alla contabilità

3. Sentenza TAR Sicilia n. 926 del 23.04.2020

4. Conclusioni

 

1. Esame dell’articolo 43 comma 2 del Testo Unico degli Enti Locali

Il diritto di accesso alle notizie e alle informazioni dei consiglieri comunali e provinciali è riconosciuto dal Testo Unico degli Enti Locali, il D. Lgs. n. 267/2000 (TUEL), dall'articolo 43 comma 2 primo capoverso, secondo il quale "i consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del proprio mandato".

Tale forma di diritto di accesso, per sua natura, possiede una ratio diversa da quella che contraddistingue il tradizionale diritto di accesso ai documenti amministrativi, riconosciuto alla generalità dei cittadini dall'articolo 10 del TUEL e dagli articoli 22 e seguenti della legge n. 241/1990, in quanto è riconosciuta per il particolare munus del consigliere comunale/provinciale, strettamente funzionale all'esercizio del mandato e, secondo la più recente e consolidata giurisprudenza, trattasi di un diritto non condizionato di accesso a tutti gli atti che possono essere di utilità all'espletamento del mandato dei consiglieri, sia in chiave di controllo dell'operato della pubblica amministrazione, sia con riferimento alla piena conoscenza dell'operato dell'Amministrazione, al fine di consentire l'espressione di un voto consapevole sulle questioni del Consiglio, configurandosi quale peculiare espressione del principio democratico dell’autonomia degli enti locali e della rappresentanza esponenziale della collettività.

Si ritiene, inoltre, che tale esercizio del diritto sia sottratto a qualsiasi onere motivazionale, in quanto diversamente si attuerebbe un controllo da parte dell’Ente sull'esercizio del mandato del consigliere che, invece, è libero da vincoli e limiti. Il Consigliere, pertanto, nell’esercizio del suo munus ha un diritto amplissimo, quasi illimitato, all’accesso dei dati e delle informazioni in possesso dell’Ente, rinvenendosi l’unico limite nell’articolo 97 della Costituzione, qualora eccedendo in tale diritto violi il principio di buon andamento dell’amministrazione, laddove il diritto si estrinsechi in richieste assolutamente generiche, meramente emulative o non ragionevoli. Le richieste, pertanto e per quanto possibile, debbono essere formulate con precisione, recando l’indicazione degli estremi identificativi degli atti e/o documenti, ovvero qualora tali estremi siano sconosciuti, almeno degli elementi identificativi che consentano l’individuazione degli atti medesimi, al fine di comportare il minor aggravio amministrativo per gli uffici preposti al rilascio degli atti, che devono dar seguito all’istanza senza interrompere o rallentare altre attività già in essere, con pregiudizio della corretta funzionalità amministrativa. Secondo giurisprudenza ormai consolidata ai fini dell’esercizio del diritto è sufficiente, pertanto, indicare, nell’atto di richiesta, l’oggetto e lo scopo cui l’atto è indirizzato al fine di consentire all'amministrazione di poter esaudire la richiesta senza eccessivi adempimenti.

Numerose e ripetute, nel tempo, richieste di documentazione attinenti tutti i settori dell’Amministrazione, finalizzate ad un controllo generalizzato dell’attività dell’ente, piuttosto che all’acquisizione di elementi conoscitivi su singole problematiche, in quanto indicative  di strategie ostruzionistiche, volte a determinare la paralisi dell’attività dell’Ente, non rientrano nell’esercizio del diritto di accesso, così come configurato dal legislatore, e la giurisprudenza e la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi sono pressoché concordi nel negare tali richieste, ovvero nell’ammetterle solo previa specificazione delle stesse e, nel caso di richieste massive, di graduarle nel tempo (vedasi Commissione di accesso, plenum 21 gennaio 2016, Richiesta di parere in merito all’accesso dei Consiglieri Comunali agli atti della Giunta, 4).

Per quanto attiene, invece, il tema della riservatezza dei dati, la giurisprudenza ha chiarito che il diritto di accesso del consigliere non può essere sacrificato per esigenze di tutela di riservatezza dei terzi, anche con riferimento ai dati sensibili, eventualmente contenuti nei documenti oggetto di accesso, atteso che, per espressa disposizione dell’articolo 43 comma 2, secondo capoverso del TUEL “Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge”. In caso di violazione è chiamato a risponderne personalmente in sede civile e penale.

 

2. Il diritto di accesso al protocollo informatico dell’Ente e alla contabilità

Coevo al Testo Unico degli Enti Locali è il D.P.R. n. 445/2000 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa” e il D. Lgs. n. 165/2001” Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, c.d. Testo Unico del Pubblico Impiego (TUPI). Con Il D.P.R. n. 445/2000 all’articolo 1 lett. r) viene data una prima definizione di protocollo informatico come “l’insieme delle risorse di calcolo, degli apparati, delle reti di comunicazione e delle procedure informatiche utilizzati dalle amministrazioni per la gestione dei documenti”, ossia tutte le risorse tecnologiche necessarie alla realizzazione di un sistema automatico per la gestione elettronica dei flussi documentali. Il successivo Testo Unico sul Pubblico impiego, all’articolo 1 comma 2 estende l’obbligo di realizzare la gestione del protocollo con sistemi informativi automatizzati a tutte le amministrazioni pubbliche, per tali intendendosi “tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane, e loro consorzi ed associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale”. Il fine del protocollo informatico è duplice ed è da ravvisarsi:

  1. nell’eliminare i registri cartacei, diminuire gli uffici di protocollo, razionalizzare il flusso documentale;
  2. nell’ implementare gli strumenti che favoriscono un effettivo esercizio del diritto di accesso allo stato dei procedimenti ed ai relativi documenti da parte dei soggetti interessati (cittadini ed imprese) al fine di migliorare la trasparenza dell’azione amministrativa.

Appare evidente che il punto 2 se è applicabile per cittadini ed imprese, lo è a maggior ragione per i consiglieri comunali e provinciali che, per effetto di questa innovazione tecnologica, vedono ampliato il loro diritto di accedere alle informazioni e notizie dell’ente, con la possibilità di accedere al protocollo informatico dello stesso.

L’articolo 2 comma 1 del D. Lgs. n. 82/2005 c.d. Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) dispone che “Lo Stato, le Regioni e le autonomie locali assicurano la disponibilità, la gestione, l'accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell'informazione in modalità' digitale e si organizzano ed agiscono a tale fine utilizzando con le modalità' più appropriate e nel modo più adeguato al soddisfacimento degli interessi degli utenti le tecnologie dell'informazione e della comunicazione”.

Partendo dalla lettura combinata di tali precisi riferimenti normativi, la prevalente giurisprudenza amministrativa è giunta alla conclusione che le amministrazioni pubbliche (nel caso che ci interessa gli enti locali), hanno il dovere di dotarsi di una piattaforma integrata di gestione documentale, nell’ambito della quale è inserito anche il protocollo informatico, al quale dovere corrisponde il diritto del Consigliere di soddisfare le esigenze conoscitive connesse all’espletamento del suo mandato anche attraverso la modalità informatica, con accesso da remoto (cfr. T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 4 aprile 2019, n. 545; T.A.R. Sardegna,4 aprile 2019, n. 317). In tale direzione, anche il Consiglio di Stato, con sentenza n. 3486 dell’08.06.2018, sezione V, laddove con riferimento al riconoscimento del diritto di accesso ex articolo 43 del TUEL, fa seguire la direttiva di cui all’articolo 2 comma 1 del CAD, declinandola nel senso che «la fruibilità dei dati e delle informazioni in modalità digitale deve essere garantita con modalità adeguate alla precipua finalità informativa» nonché «appropriate alla tecnologia disponibile», come previsto anche dall’articolo 2 comma 1 del CAD. Di talché, spetta alle amministrazioni pubbliche l’approntamento e la valorizzazione delle risorse tecnologiche che consentano l’esercizio di tale diritto anche in modalità da remoto, non considerando sufficiente la predisposizione di una postazione all’interno dell’ente. Pertanto sulla base delle citate sentenze si ritiene che vada riconosciuto al consigliere “il diritto ad accedere da remoto al protocollo informatico e al sistema informatico contabile dell'ente, con corrispondente obbligo per il comune di approntare le necessarie modalità organizzative, sia pure con alcune necessarie limitazioni. In particolare, al fine di evitare ogni accesso indiscriminato alla totalità dei documenti protocollati, il Tar Basilicata con sentenza n. 599/2019 ha manifestato «l'avviso che l'accesso da remoto vada consentito in relazione ai soli dati di sintesi ricavabili dalla consultazione telematica del protocollo, non potendo essere esteso al contenuto della documentazione, la cui acquisizione rimane soggetta alle ordinarie regole in materia di accesso (tra le quali la necessità di richiesta specifica)».

 

3. Sentenza TAR Sicilia n. 926 del 23.04.2020

A questo, che appare un orientamento ormai consolidato della giurisprudenza, interviene, per ultimo, la sentenza del TAR Sicilia n. 926 del 23.04.2020 pubblicata il 04.05.2020 che capovolge, ancora una volta, i termini della questione.

Il Collegio, riprendendo tout court nelle premesse della decisione, quanto già ampiamente riportato, dando atto di conoscere l’ormai prevalente orientamento giurisprudenziale in materia di accesso da remoto al protocollo informatico dell’ente e alla contabilità, mediante il rilascio di user id e password ai consiglieri si discosta, dal predetto orientamento, per le seguenti ragioni:

  • Quanto al rilascio delle credenziali per l’accesso al protocollo dell’Ente e al programma di gestione contabile, si consentirebbe ai consiglieri ricorrenti di accedere alla generalità indiscriminata dei dati e documenti relativi alla contabilità dell’Ente in mancanza di apposita istanza. Tale forma di accesso “diretto” si risolverebbe, pertanto, in un  monitoraggio  assoluto e permanente sull’attività degli uffici, tale da violare la ratio dell’istituto, che, così declinato, eccederebbe strutturalmente la sua funzione conoscitiva e di controllo in riferimento ad una determinata informazione e/o ad uno specifico atto dell’ente, ritenuti strumentali al mandato politico, per appuntarsi, a monte, sull’esercizio della funzione propria della relativa area e sulla complessiva attività degli uffici, con finalità essenzialmente esplorative, che eccedono dal perimetro delle prerogative attribuite ai consiglieri;
  • Il Collegio ritiene, inoltre, di dover aggiungere che il diritto di accesso dei consiglieri non può estendersi fino a configurare un sindacato generalizzato dell'attività degli organi decidenti, deliberanti e amministrativi dell'Ente, in luogo di esercizio del mandato politico finalizzato ad un organico progetto conoscitivo in relazione a singole problematiche”;
  •  In riferimento al programma di protocollo informatico, il Collegio ritiene che tale rilascio si tradurrebbe in un accesso generalizzato e indiscriminato a tutti i dati della corrispondenza in entrata e uscita (cfr. T.A.R. Toscana, sez. I, 22 dicembre 2016, n. 1844). Il rilascio delle credenziali per l’accesso a tale ultimo programma, peraltro, si rivela sproporzionato rispetto alle esigenze conoscitive sottese: si vuole evidenziare, in altri termini, che la modalità informatica di accesso appare eccessiva rispetto allo scopo perseguito, essendo l’Ente comunale tenuto, a fronte di istanza formulata dai consiglieri nel rispetto dei sopra delineati principi, a consentire la visione nonché a procedere al rilascio di copia cartacea (stampa) dei dati di sintesi del protocollo informatico (numero di registrazione al protocollo, data, mittente, destinatario, modalità di acquisizione, oggetto).

 

4. Conclusioni

La questione, come è evidente, è ben lungi dal risolversi definitivamente. È prevedibile che seguiranno nel tempo ulteriori sentenze di contenuto opposto e altre (presumibilmente minoritarie) simili. Si rileva, tuttavia, che consentire un accesso illimitato ed indiscriminato grazie alle tecnologie moderne ai consiglieri, sconfina in una ”visione dell’agire pubblico che non trova riscontro nel diritto ma si trasforma in una esigenza pervasiva/invasiva di ingresso sull’intero sistema informatico tout court, indipendentemente da ogni relazione effettiva con i poteri di sindacato propri, per assurgere a strumento di vigilanza totale, senza distinzioni tra ragioni di pubblico potere e di privato potere, correlato alle esigenze del ruolo rivestito, una sorta di potere inquisitore che va oltre al senso le ragioni di giustizia sostanziale”. La ragione di fondo non è da ravvisarsi nella facoltà o meno di accesso del consigliere agli atti della amministrazione, «ma l’ingresso senza più forma, riscontro e vaglio in una strumentazione digitale che continuativamente permetta l’accesso a tutti gli atti dell’amministrazione, senza alcun filtro e attivazione di procedimento (da intendere quale luogo di tutela di interessi contrapposti) in una sorta di grande fratello o di grande Inquisitore di dostoevskiana memoria».

Letture consigliate:

1. Limiti al diritto di accesso totale dei consiglieri (regionali) al sistema informatico, M. Lucca, 28.05.2020, www.segretaricomunalivighenzi.it;

2. TAR Basilicata (sezione Prima), sentenza n. 599/2019;

3. Consiglio di Stato, sezione V, sentenza n. 3486 dell’08.06.2018;

4. TAR Sicilia n. 926 del 23.04.2020