Il mondo di ieri

Stefan Zweig, 1942
Stefan Zweig, Il mondo di ieri
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Stefan Zweig Il mondo di ieri

Il mondo di ieri - Stefan Zweig

 Perché leggere questo libro

Stefan Zweig è stato, a cavallo fra gli anni Venti e Trenta, il maggior esponente della letteratura mitteleuropea e uno degli autori più letti e tradotti al mondo. Nessuno scrittore è riuscito meglio di lui a raccontare il catastrofico sconvolgimento del mondo provocato dallo scoppio della prima guerra mondiale, che segnò la fine dell’epoca del liberalismo classico e l’inizio dell’era dello Stato onnipotente.

Nato nella Grande Vienna di fine secolo in una benestante famiglia della borghesia ebraica, Zweig visse la fine del rassicurante mondo della sua giovinezza come un trauma personale. L’avvento al potere del nazismo, che bruciò e mise al bando le sue opere, sconvolse per la seconda volta la sua esistenza tutta dedicata all’arte e ai valori della cultura. Dopo essere fuggito verso l’America, si suicidò in Brasile nel 1942.

l mondo di ieri. Ricordi di un europeo, uscito postumo, non è solo un’autobiografia ma anche una riflessione sugli avvenimenti della storia europea della prima metà del Novecento. Leggere la sua testimonianza significa fare un viaggio nel tempo nell’Europa di un secolo fa, immergendosi nel suo spirito, nelle sue passioni, nella sua vita. 

 

Punti chiave

  • Prima del 1914 gli europei hanno vissuto in un’epoca di grande libertà, sicurezza e ottimismo
  • La millenaria monarchia austro-ungarica appariva la suprema garante di quest’ordine
  • La Grande Vienna d’inizio Novecento era al culmine del suo rigoglio culturale
  • Lo scoppio della prima guerra mondiale mandò improvvisamente in frantumi questo mondo
  • Dopo il 1914 è cominciata la terribile era dello Stato onnipotente
  • In mezzo alle dilaganti passioni nazionaliste pochi intellettuali riuscirono a tenersi fuori dalla mischia
  • Il caos morale e sociale generato dall’iperinflazione del dopoguerra fu la causa principale dell’avvento del nazismo in Germania
  • Con le devastazioni e gli orrori della seconda guerra mondiale la grande cultura europea si è definitivamente suicidata
  • Lo Stato onnipotente ha ucciso la civiltà e la felicità

 

Titolo originale: Die Welt von gestern. Erinnerungen eines Europäers

 

Riassunto

Nostalgia della libertà perduta

Il mondo precedente la prima guerra mondiale, racconta Zweig, fu l’età d’oro della sicurezza, in una maniera che i più giovani considerano inimmaginabile. Nell’impero austro-ungarico tutto pareva duraturo, e la monarchia millenaria appariva il garante supremo di tale continuità. La moneta, la corona austriaca, circolava in pezzi d’oro e garantiva così la sua stabilità. Ognuno sapeva quanto possedeva o quanto gli era dovuto, quel che era permesso e quel che era proibito. Chi possedeva un capitale era in grado di calcolare con esattezza il reddito annuo corrispondente. Chi possedeva una casa la considerava asilo sicuro dei figli e dei nipoti; fattorie e aziende passavano per eredità di generazione in generazione; appena un neonato era in culla, si metteva nel salvadanaio o si deponeva alla cassa di risparmio il primo obolo per il suo avvenire. Nessuno credeva a guerre, a rivoluzioni e sconvolgimenti. Ogni atto radicale, ogni violenza apparivano impossibili nell’età della ragione.

Dietro questa apparente austerità e modestia quel mondo coltivava una fiducia in sé che, col senno di poi, si è rivelata una pericolosa illusione. Oggi sappiamo che quel mondo della sicurezza è stato un castello dei sogni, ma i suoi genitori vi hanno creduto con incrollabile certezza. Il padre, tipico esponente della borghesia imprenditoriale ebraica, rappresentava in pieno quello spirito. Se egli si arricchì, ricorda Zweig, questo non ebbe nulla a che fare con speculazioni temerarie e con operazioni particolarmente lungimiranti, ma derivò dal suo adattarsi al metodo dell’epoca prudente: consumare cioè sempre soltanto una parte modesta del reddito e aggiungere così di anno in anno al capitale una somma sempre maggiore.

In quel periodo di crescente prosperità in cui i risparmi fruttavano alti interessi e lo Stato chiedeva solo una minima percentuale di tasse anche ai redditi più elevati, una rigorosa condotta di vita era sempre garanzia di miglioramento economico: non come ai tempi d’inflazione in cui il risparmiatore è derubato e il prudente rovinato. A quei tempi, osserva Zweig, il guadagno migliore spettava ai più pazienti, ai non speculatori. Con questa adesione al sistema generale del suo tempo, suo padre già a cinquant’anni poteva essere considerato, anche secondo i concetti internazionali, uomo molto ricco. Tuttavia il tenore di vita della sua famiglia seguì con molta esitazione il rapido aumento del patrimonio: non fece mai debiti, non si concesse mai un lusso (neanche un sigaro di marca), non accettò mai onori e cariche, che spesso per la sua posizione di grande industriale gli venivano offerte.

 

La cultura della Grande Vienna

La vera aspirazione delle famiglie borghesi ebraiche, tuttavia, non era quella di arricchirsi, ma di salire nella scala intellettuale, e non vi era città europea in cui questa ambizione poteva essere appagata come a Vienna. In questa città cosmopolita la passione per l’arte arrivava a toccare, in tutti gli strati della popolazione, vere e proprie vette di fanatismo. Il sogno supremo di ogni scrittore era di venir rappresentato al Burgtheater, e gli attori che qui si esibivano erano gli eroi che tutta la città ammirava. Il primo sguardo del medio viennese al giornale non era rivolto agli eventi politici, bensì al teatro. La comunità ebraica era quella che, per gran parte, sosteneva, nutriva e creava questa cultura rigogliosa. Erano gli ebrei che costituivano il vero pubblico, riempivano i teatri, le sale da concerto, compravano i libri, i quadri, frequentavano le mostre e divenivano i fautori e i precursori di ogni novità.

La passione bruciante per l’arte contagiava anche i ragazzi in età scolare. Zweig e i suoi compagni di classe erano colti come da una febbre di sapere tutto, di conoscere tutto quanto accadeva nel campo dell’arte e della scienza, e non cessavano mai di analizzare e discutere libri, quadri, musica, filosofia. Nel gruppo dei giovani viennesi infervorati per la lettere vi erano anche Hugo von Hofmannsthal, un genio assoluto della poesia, e Rainer Maria Rilke, che Zweig prende come modelli artistici.

Di questa spontanea ed esuberante curiosità intellettuale dei giovani, però, i pedanti professori nemmeno si accorgevano. La scuola statale non favoriva questo grande rigoglio culturale, ma ostacolava e soffocava la creatività giovanile. Zweig ha parole durissime per la scuola pubblica, che trattava i giovani non come creature libere, indipendenti e spontanee, ma come carcerati. Per lui e i suoi compagni la scuola fu costrizione, noia, scoramento, fu un posto in cui dovevano inghiottire a forza materie che sentivano remote da ogni interesse personale. Quello scolastico era un apprendimento ottuso e vuoto, mai tagliato su misura individuale, fatto per la scuola ma non per la vita. Mai un maestro gli domandò cosa desiderassero apprendere. In quella caserma mancava totalmente la spinta e l’incitamento di cui ogni giovane sente il segreto desiderio.

Un altro difetto di quel mondo era l’ipocrita e bacchettona morale sessuale, che reprimeva gli istinti naturali dei giovani imponendo una rigida separazione tra i sessi, pur tollerando un estesissimo mercato della prostituzione. La generazione di Zweig ha goduto, rispetto alle generazioni successive, di una grandissima libertà individuale, ma anche di una minore libertà nei costumi. A quanto pare, commenta l’autore de Il mondo di ieri, raramente le due cose sono concesse alla stessa generazione: se il costume dà libertà all’uomo, è lo Stato che viene a coartare; se lo Stato gli dà la sua libertà, è la morale che vuole asservirlo.

 

Viaggiare in un mondo senza frontiere

Finita la scuola Zweig si iscrive alla facoltà di filosofia dell’università di Berlino e si trasferisce nella capitale tedesca in cerca di indipendenza personale. Lo scopo vero della sua fuga era sottrarsi all’atmosfera sicura e borghese di casa per vivere affidato a se stesso, e per conoscere persone interessanti verso le quali lo spingevano le sue occupazioni di letterato. Questo desiderio lo spinse a compiere viaggi in tutto il mondo, dove conobbe grandi personalità della cultura, scrivendone dei vividi ritratti: il poeta belga Émile Verhaeren, che con i suoi inni grandiosi esprimeva le fede dell’Europa nel futuro; il magnetico Rudolf Steiner; il generoso profeta del sionismo Theodor Herzl; il genio della scultura Auguste Rodin; lo scrittore Romaine Rolland, vera coscienza morale dell’Europa durante la prima guerra mondiale; il grande letterato russo Maksim Gorkij; Sigmund Freud con il suo incrollabile contegno morale, e numerosi altri.

In quel mondo molto più globalizzato di oggi si poteva viaggiare liberamente da un paese all’altro senza bisogno di documenti o formalità burocratiche. Nulla forse rende più evidente l’abisso in cui è caduto il mondo dalla prima guerra mondiale in poi, scrive Zweig, come la limitazione della libertà di movimento. Prima del 1914 ognuno andava dove voleva e vi rimaneva finché voleva. Non c’erano permessi né concessioni né lasciapassare.

Zweig è particolarmente colpito dalla “meravigliosa libertà” degli Stati Uniti d’America d’inizio secolo, che offriva opportunità di lavoro praticamente illimitate. Nei suoi due primi giorni di permanenza aveva trovato senza difficoltà ben cinque impieghi. Anche per la Svizzera, questo “paese grandioso” che riusciva a far convivere nazioni diverse nello stesso spazio senza alcuna ostilità, Zweig ha parole di grande amore e ammirazione.

Fece anche un viaggio in Unione Sovietica, al termine del quale evitò di dare giudizi avventati come avevano fatto numerosi altri intellettuali. Sapeva bene di aver visto molto poco, e solo quello che le autorità gli permettevano di vedere. Non gli sfuggirono però le lunghe file della gente davanti ai negozi, le interminabili attese per ogni cosa, la burocratizzazione pervasiva che ritardava ogni cosa, facendo sì che nulla funzionasse bene.

 

Gli spari di Sarajevo e l’inizio della catastrofe

Agli inizi del ‘900 l’Europa scoppiava dunque di salute. Tutto progrediva a una velocità mai vista prima, e da mille indizi si sentiva che l’agiatezza cresceva e si diffondeva. Si era diffusa una beata spensieratezza: che cosa infatti avrebbe potuto interrompere quel progresso, fermare quello slancio che da se stesso attingeva sempre nuove energie? Mai l’Europa fu più forte, più ricca, più bella, mai più fervidamente credette in un ancor miglior avvenire.

Tutta questa esaltazione nascondeva però anche dei pericoli culturali e psicologici. Il progresso, osserva Zweig, era stato forse troppo rapido, gli Stati si erano troppo rapidamente rafforzati, e la coscienza della forza seduce sempre uomini e Stati a farne uso o abuso. Se oggi ci si chiede con pacata riflessione perché l’Europa nel 1914 è entrata in guerra, non si trova nessun motivo ragionevole e determinante. Non c’erano contrasti ideali né questioni di confini. Zweig non trova altra ragione che questo eccesso di forza, tragica conseguenza di quel dinamismo interno accumulatosi negli ultimi quarant’anni e destinato a uno sfogo violento. Ogni Stato ebbe d’un tratto coscienza di essere forte, dimenticando che anche lo Stato vicino aveva uguale orgoglio.

Quando nel continente scoppiò la guerra, quasi sfuggendo di mano a politici e diplomatici, la reazione popolare fu sconcertante. L’entusiasmo collettivo e i festeggiamenti riempirono le strade e le piazze di tutte le città europee. Le pagine in cui Zweig descrive l’atmosfera eccitata dei viennesi alla notizia dell’inizio delle ostilità sono diventate celebri. La gente correva ad abbracciarsi e in quel momento di euforia tutte le differenze di classe, di lingue, di religione erano come sommerse da una corrente di fraternità. Fu un momento di selvaggia ubriacatura, in cui ogni persona aveva perso la sua individualità per diventare parte di una sorta di grande essere collettivo.

La guerra sembrava a tutti un’avventura breve, romantica, virile, nella quale anche l’esistenza più insignificante avrebbe potuto assumere un aspetto eroico. I lunghi anni di pace avevano fatto dimenticare agli uomini la realtà terribile della guerra. Le masse del 1914 non la conoscevano e non ci avevano quasi mai pensato. Solo i vecchi avevano un vago ricordo della breve guerra del 1866 contro la Prussia. La gente, inoltre, aveva ancora una fiducia totale e incondizionata nell’autorità. Lo smisurato orgoglio e le ingenue illusioni degli europei vennero però smentite nella maniera più brutale dalla terribile realtà della guerra più spaventosa che l’umanità avesse mai conosciuto.

 

L’iperinflazione e l’avvento di Hitler

Nel corso della guerra pochi riuscirono a sottrarsi all’odio isterico e generalizzato contro il nemico diffuso dalla propaganda. In quelle prime settimane di guerra del 1914, osserva lo scrittore austriaco, diventò impossibile scambiare una parola ragionevole con qualcuno. Anche i più pacifici e bonari erano presi dall’ebbrezza del sangue. Amici sempre conosciuti come decisi individualisti e anzi come anarchici intellettuali, si erano di colpo trasformati in patrioti fanatici e poi anche in annessionisti insaziabili. A Zweig non rimase che trarsi in disparte e tacere fino a che gli altri erano in preda alla febbre e alla furia. In quegli anni di isolamento e di volontario esilio in patria, Zweig mantenne l’impegno di non prendere mai posizione su questioni politiche. Mai tradì la sua concezione dell’arte come mezzo di elevazione dello spirito umano sopra gli istinti belluini e lo spirito di parte.

La sua tragedia purtroppo si ripeté, in forma ancor peggiore, vent’anni dopo con lo scoppio della seconda guerra mondiale. Di tutte le ragioni che provocarono l’avvento di Adolf Hitler al potere, Zweig mette al primo posto il caos morale causato dall’iperinflazione che colpì prima l’Austria e poi, più gravemente, la Repubblica tedesca di Weimar. La distruzione del valore della moneta causata dalla dissennata politica monetaria di quei governi sconvolse da cima a fondo la convivenza sociale e le norme morali. Chi per quarant’anni aveva risparmiato diventò un mendicante, chi era carico di debiti se ne trovò liberato, chi si atteneva alle regole moriva di fame, chi corrompeva era sazio. Il denaro, ricorda Zweig, si disperdeva come fumo e vapore, annullando ogni criterio di misura e valore, non v’era più altra virtù fuorché essere abile, duttile, spregiudicato, capace di balzare in groppa a un cavallo in corsa per non lasciarsi travolgere e calpestare. Dopo che l’umanità con le trincee aveva regredito sino all’età delle caverne, essa rinunciò anche alla civiltà millenaria del denaro, per ritornare al metodo primitivo del baratto.

 

Lo Stato onnipotente ha ucciso la civiltà e la felicità

Il collettivismo burocratico trascinava con sé milioni di individui, che non potevano fare nulla per modificare la propria sorte: «Di continuo bisognava subordinarsi alle esigenze dello Stato, farsi preda della più stolta politica, adattarsi ai mutamenti più inauditi; eravamo sempre incatenati alla sorte comune; per quanto ci si difendesse, questa ci portava sempre con sé» (p. 7). Il destino di centinaia di milioni di individui era nelle mani di dieci o venti persone che fino ad allora non avevano dato prova di particolare intelligenza o abilità, ma che nei palazzi del potere prendevano accordi su questioni completamente ignorate dalla gente comune.

L’Europa, conclude Zweig, non sarà mai più quella che è stata prima della grandi guerre mondiali. Ci sarà qualche progresso nel campo sociale o in quello tecnico, ma non vi è nazione che non abbia perduto la sua passata serenità e gioia di vivere: «I popoli europei non sanno più quanta libertà e quanta gioia abbia succhiato loro dalle midolla e dal profondo dell’anima il fantoccio spietato e cupido dello Stato» (p. 113).

Era troppo doloroso assistere nuovamente a questa orribile devastazione. L’Europa, «nostra sacra terra natale, culla e tempio della civiltà occidentale mi apparve destinata a morire per la sua stessa follia» (p. 339). Poco dopo aver scritto queste righe il grande scrittore austriaco prenderà l’estrema decisione, togliendosi la vita insieme alla sua seconda moglie.

 

CITAZIONI RILEVANTI

Il suicidio di una civiltà

«Nel periodo prebellico ho conosciuto il grado e la forma più alta della libertà individuale, per vederla poi al più basso livello cui sia scesa da secoli … Tutti i cavalli dell’Apocalisse hanno fatto irruzione nella mia vita, carestie e rivolte, inflazione e terrore, epidemie e emigrazione; ho visto crescere e diffondersi sotto i miei occhi le grandi ideologie delle masse, il bolscevismo in Russia, il fascismo in Italia, il nazionalsocialismo in Germania, e anzitutto la peste peggiore, il nazionalismo che ha avvelenato la fioritura della nostra cultura europea. Inerme e impotente, dovetti essere testimone dell’inconcepibile ricaduta dell’umanità in una barbarie che si riteneva da tempo obliata» (p. 6).

 

La galera scolastica

«Tutta la mia vita scolastica, se debbo essere sincero, non è stata che una perenne irritazione annoiata, fatta più viva di anno in anno dall’impazienza di sfuggire al supplizio. Non mi posso rammentare di essere mai stato né lieto né beato durante la monotona attività scolastica vuota di sentimento e di intelligenza, che ci amareggiò profondamente l’epoca più bella e più libera della vita … Questo tedio della scuola non era un mio atteggiamento personale; non ricordo alcuno dei miei compagni che non sentisse una pari ripugnanza come la macina scolastica fermasse e comprimesse i nostri migliori interessi e le nostre migliori intenzioni» (p. 33-36).

 

Lo spirito della Belle Epoque

«io compiango tutti quelli che non hanno veduto l’Europa in quegli anni della fede europea … In quegli anni ognuno di noi ha attinto energie da questo slancio vitale dell’epoca, ognuno ha veduto la propria fiducia personale intensificata da quella collettiva» (p. 170-171)

 

La creatività dell’autodidatta

«Per me è rimasto sempre valido l’assioma di Emerson, che i buoni libri sostituiscono la migliore università, e che si può diventare un ottimo storico, filosofo o giurista senza aver mai frequentato l’università e nemmeno il liceo. Infinite volte nella vita pratica constatai che sovente gli antiquari se ne intendono di libri più che i professori, che i mercanti d’arte ne sanno più dei docenti, che una buona parte degli impulsi decisivi e delle scoperte, in tutti i campi, è venuta da studiosi isolati, non accademici. Il meccanismo universitario è certamente pratico, comodo, benefico per chi è mediocremente dotato, ma esso mi appare non indispensabile per le nature individualmente produttive, sulle quali anzi può agire come freno o inceppo» (p. 87).

 

America, paese della libertà

«Nessuno m’interrogò sulla mia nazionalità, la mia religione, la mia provenienza e dire che io – circostanza inconcepibile in questi tempi di impronte digitali, di visti e di permessi di polizia – ero partito senza passaporto. Là c’era il lavoro ad aspettare gli uomini e questo solo era essenziale. In un minuto, senza l’intrusione dello Stato, senza le formalità e le Trade Unions, in quei tempi ormai leggendari di libertà, il contratto era concluso» (p. 164).

 

La Svizzera, un modello per il mondo

«Quale esempio era mai questo per la nostra Europa sconvolta! Rifugio di tutti i perseguitati, da secoli dimora della pace e della libertà, sede ospitale di ogni opinione, pur conservando la propria caratteristica: come si rivelò importante per il nostro mondo l’esistenza di quell’unico Stato supernazionale! Mi pareva che questo paese avesse meritato la benedizione della sua bellezza, il dono della sua ricchezza» (p. 226).

 

La libertà di circolazione prima del 1914

«Mi diverte sempre lo stupore dei giovani quando racconto loro di essere stato prima del 1914 a girare l’India o l’America senza possedere un passaporto o neppure averlo mai visto. Si ignoravano i visti, i permits e tutte le seccature; gli stessi confini che oggi, per la patologica diffidenza di tutti contro tutti, si sono trasformati in reticolati da doganieri, poliziotti e gendarmi, non significavano altro che linee simboliche, che si potevano superare con la stessa spensieratezza come il meridiano di Greenwich» (p. 349).

 

L'autore

Stefan Zweig

Stefan Zweig (1881-1942) nasce il 28 novembre 1881 a Vienna, secondo figlio di un ricco industriale ebreo. Muore suicida insieme alla seconda moglie a Petrópolis, in Brasile, il 22 febbraio 1942. Fu uno dei protagonisti della cultura europea negli anni Venti e primi anni Trenta impersonando lo spirito cosmopolita ed “erasmiano”, fino all’avvento del Nazismo in Germania, che bruciò i suoi libri e mise al bando le sue opere. Viaggiò in tutto il mondo e visse in quasi tutti i paesi europei, e nel 1940 si rifugiò in esilio negli Stati Uniti e poi in Brasile. La sua vastissima produzione letteraria comprende poesie, drammi teatrali, romanzi, racconti, saggi di critica letteraria e alla storia, biografie di personaggi storici. Tra le opere ricordiamo alcuni drammi (Geremia, Jeremias, 1917) e le raccolte di novelle Adolescenza (Erstes Erlebnis, 1911), Amok (1922) e Sovvertimento dei sensi (Verwirrung der Gefühle, 1927); fra i racconti successivi spicca, per la tensione drammatica, La novella degli scacchi (Schacknovelle, 1941). Ma le sue opere più note sono alcune biografie, che offrono una personale interpretazione psicologica dell’esistenza artistica. Fra esse: Tre maestri: Balzac, Dickens, Dostoevskij (Drei Meister, 1920), La lotta col demone: Hölderlin, Kleist, Nietzsche (Der Kampf mit dem Dämon, 1925) e Tre poeti della propria vita: Casanova, Stendhal, Tolstoj (Drei Dichter ihres Lebens, 1928). Comune a questi scritti è la fede nella perenne attualità dei valori dello spirito. Importante anche il suo contributo al romanzo storico con Erasmo da Rotterdam (Triumph und Tragik des Erasmus von R., 1935).

 

INDICE DEL LIBRO

V-XIII   Stefan Zweig. La vita. Le opere. La fortuna. Bibliografia

3          Prefazione

9          Il mondo della sicurezza

32        La scuola nel secolo scorso

64        Eros matutinus

84        Universitas vitae

112      Parigi, città dell’eterna giovinezza

140      Pellegrinaggi in cerca di me stesso

155      Oltre l’Europa

167      Luce e ombra sull’Europa

185      Le prime ore della guerra del 1914

205      La lotta per la fraternità spirituale

219      Nel cuore dell’Europa

241      Ritorno in Austria

260      Di nuovo nel mondo

278      Tramonto

305      Incipit Hitler

332      L’agonia della pace

 

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NOTA BIBLIOGRAFICA

Stefan Zweig, Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo, Mondadori, Milano, 1994 (1946), traduzione di Lavinia Mazzucchetti, p. 373.