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Incompatibilità: una nuova ipotesi relativa al GIP

Illegittimità costituzionale per il GIP che ha rigettato la richiesta di decreto penale di condanna per mancata contestazione di una circostanza aggravante
L’illegittimità
L’illegittimità

Incompatibilità: una nuova ipotesi relativa al GIP

Abstract

Il contributo esamina una pronuncia della Corte costituzionale sul tema dell’incompatibilità ex articolo 34 Codice Procedura Penale, con la quale si dichiara l’illegittimità costituzionale della suddetta norma nella parte in cui non prevede che il Gip che abbia rigettato la richiesta di decreto penale di condanna per mancata contestazione di una circostanza aggravante sia incompatibile a pronunciarsi sulla nuova richiesta di decreto penale, formulata dal PM in conformità ai rilievi del giudice.


Indice

  1. Premessa
  2. Vicenda
  3. L’incompatibilità e il principio di imparzialità e terzietà del giudice
  4. Illegittimità dell’articolo 34 comma 2 Codice Procedura Penale


1. Premessa

Con sentenza n. 16/2022 la Consulta torna a pronunciarsi sul tema dell’incompatibilità ex articolo 34 Codice Procedura Penale, a pochi giorni di distanza dalla declaratoria di incostituzionalità, avvenuta con ordinanza n.7/2022, con cui aveva censurato il comma 1 della stessa norma nella parte in cui non prevedeva che il giudice dell’esecuzione dovesse essere diverso rispetto a quello che ha pronunciato l’ordinanza sulla richiesta di rideterminazione della pena.

La sentenza in commento, invece, dichiara l’illegittimità costituzionale del secondo comma nella parte in cui non prevede che il Gip che ha rigettato la richiesta di decreto penale di condanna per mancata contestazione di una circostanza aggravante sia incompatibile a pronunciarsi sulla nuova richiesta di decreto penale, formulata dal PM in conformità ai rilievi del giudice.


2. Vicenda

La vicenda in oggetto nasce dai rilievi del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata che, con ordinanza del 15 gennaio 2020, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 34 comma 2 Codice Procedura Penale in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui non prevedeva “l’incompatibilità del Gip che abbia rigettato la richiesta di emissione di decreto penale per ritenuta diversità del fatto a pronunciarsi su nuova richiesta di emissione di decreto penale, avanzata dal PM in conformità ai rilievi precedentemente formulati dal giudice”.

Più precisamente, nel caso di specie il rimettente rilevava che nel corso del procedimento principale il pubblico ministero aveva formulato richiesta per l’emissione di un decreto penale di condanna nei confronti di un soggetto imputato del reato di guida in stato di ebrezza, di cui all’articolo 186 del Decreto Legislativo 30 aprile 1992, n. 285.

Lo stesso giudice a quo rigettava la richiesta del PM evidenziando la sussistenza di un’aggravante non contestata, ossia l’aver provocato un incidente stradale (di cui al comma 2-sexies – recte 2-bis – del citato articolo 186 Decreto Legislativo 30 aprile 1992, n. 285), come desunto da una relazione dei Carabinieri. Conseguentemente il PM, in conformità ai rilievi precedentemente esplicitati dal giudice, avanzava una nuova richiesta di decreto penale, contestando dunque l’aggravante in questione.

Il Gip investito del compito di decidere in ordine alla seconda richiesta deduceva come l’articolo 34 Codice Procedura Penale nel suo secondo comma non contempli l’ipotesi considerata tra i casi di incompatibilità del giudice, così configurando – a detta del rimettente – il contrasto dell’articolo 34 comma 2 Codice Procedura Penale con il principio di parità di trattamento e del diritto di difesa.

Pertanto, alla luce delle predette considerazioni, il rimettente chiedeva alla Corte di delineare una nuova ipotesi di incompatibilità, anche in considerazione dell’espansione che ha caratterizzato tale istituto a seguito delle numerose pronunce della Corte costituzionale. E tuttavia, stante il fatto che l’incompatibilità dovrebbe essere prevista in tutti i casi in cui l’azione del giudice si configuri “come oggettivamente sostitutiva del potere-dovere di iniziativa del pubblico ministero”, nella fattispecie in discorso il Gip, ponendo la sussistenza di un’aggravante non contestata, avrebbe svolto un’attività sostitutiva spettante all’organo dell’accusa, effettuando in tal modo un’analisi di responsabilità e dunque di merito.


3. L’incompatibilità e il principio di imparzialità e terzietà del giudice

Il perno attorno al quale ruota la vicenda in commento è il principio di imparzialità e di terzietà del giudice, che rappresenta il fine ultimo dell’istituto dell’incompatibilità e costituisce il “proprium” dell’attività del giudicante.

In ottemperanza al dettato normativo in tema di giusto processo, la neutralità del giudice si esplica tanto nella sua accezione oggettiva afferente all’impermeabilità interna ed esterna di qualunque provenienza o per qualunque ragione, quanto in quella soggettiva da intendersi quale necessità che lo stesso non abbia pregiudizi personali o comportamenti discriminatori in relazione al caso cui deve occuparsi.

In quest’ottica, già prima della cristallizzazione dei canoni del giusto processo ex articolo 111 Costituzione (già enucleati, quanto all’importanza dell’effettiva terzietà e imparzialità del giudice, dagli artt. 18 e 19 dell’ordinamento giudiziario, R.D. 30 gennaio 1941 n. 12) l’articolo 34 Codice Procedura Penale è stato sottoposto a partire dagli anni ’90 ad una serie di pronunce di illegittimità costituzionale, che col tempo hanno colmato le lacune del nostro ordinamento in ordine all’istituto dell’incompatibilità.

Difatti, l’ambito di applicazione delle cause tassative di incompatibilità è stato gradualmente esteso, comprendendo casi che expressis verbis non erano annoverati dalla norma, ma risultavano potenzialmente assimilabili alle ipotesi tipizzate dalla stessa.

Fatta questa necessaria premessa è possibile ora addentrarci nella disamina delle questioni affrontate dalla Corte.

Il supremo consesso nell’esplicare il proprio ragionamento ricorda come l’articolo 34 Codice Procedura Penale dopo aver disciplinato, al comma uno, la cosiddetta “incompatibilità verticale”, determinata dall’articolazione e dalla consecutio dei diversi gradi di giudizio, affronta nel secondo comma, oggi censurato, “l’incompatibilità orizzontale”, afferente alla relazione tra la fase del giudizio e quella che immediatamente la precede.

La Corte rammenta come, in linea generale, l’istituto dell’incompatibilità presupponga un collegamento tra due termini: “una fonte di pregiudizio” da intendersi quale attività giurisdizionale atta a generare la forza della prevenzione e una “sede pregiudicata”, ossia un compito decisorio, al quale il giudice che abbia realizzato l’attività pregiudicante non risulta più idoneo.

Per quanto concerne la “sede pregiudicata”, che l’articolo 34 Codice Procedura Penale al suo secondo comma identifica nella “partecipazione al giudizio”, la Corte ha posto in rilievo, a più riprese, come per “giudizio” debba intendersi ogni processo che in base a un esame delle prove pervenga ad una decisione di merito (sentenze n.155 e n. 131 del 1996, n. 453 del 1994, n. 439 del 1993, n. 261, n. 186 e n. 124 del 1992).

La nozione incorpora, pertanto, non solo il giudizio dibattimentale, ma anche il giudizio abbreviato (sentenza n. 401 del 1991), l’applicazione della pena su richiesta delle parti (ordinanza n. 151 del 2004), l’udienza preliminare (almeno nell’attuale configurazione, sentenza n. 224 del 2001) e da ultimo l’incidente di esecuzione (sentenza n. 7 del 2022), nonché il decreto penale di condanna (sentenza n. 346 del 1997), come nell’ipotesi in commento.

In tale ultimo caso, al giudice spetta di accogliere o rigettare la richiesta del pubblico ministero, senza possibilità di apportarvi modifiche. Trattasi di una funzione di giudizio, stante il fatto che il controllo demandato al giudice per le indagini preliminari verte non solo sui presupposti del rito, ma anche sul merito dell’ipotesi accusatoria, postulando una verifica del fatto storico e della responsabilità dell’imputato.

Per di più il giudice può sindacare la congruità della pena richiesta dal pubblico ministero (per tutte, Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 22 maggio-26 giugno 2018, n. 29349), l’esattezza della qualificazione giuridica del fatto (per tutte, Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 15 dicembre 2011-24 gennaio 2012, n. 2982) e la sufficienza degli elementi probatori (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenza 16 giugno-21 luglio 2021, n. 28288): ipotesi tutte che, nel caso di esito negativo della verifica, conducono al rigetto della richiesta. Egli può anche prosciogliere l’imputato ai sensi dell’articolo 129 Codice Procedura Penale (articolo 459, comma 3, Codice Procedura Penale).

Affinché si rinvenga l’incompatibilità è necessario che sussistano alcuni elementi:

anzitutto la preesistenza di valutazioni che si effettuano sulla stessa res iudicanda, presupposto di ogni incompatibilità processuale; in secondo luogo, si richiede che l’organo giudicante sia stato chiamato a compiere una valutazione sugli atti di causa e che questa sia stata strumentale all’assunzione della decisione e, a chiosa dell’istituto, la necessità che la precedente valutazione si possa collocare in una diversa fase del processo.

Sulla scorta dei suddetti criteri, la Corte ha inglobato tra le plausibili “fonti di pregiudizio” anche l’ordinanza con la quale il giudice del dibattimento, accertato che il fatto sia diverso da come descritto dall’imputazione, disponga ai sensi dell’articolo 521, comma 2 Codice Procedura Penale, la trasmissione degli atti al PM.

Invero, il giudice nel momento in cui attesta che il fatto sia diverso da come rappresentato nell’imputazione compie una “penetrante delibazione nel merito della res iudicanda”.

Dunque, si evidenzia l’esigenza costituzionale che il nuovo dibattimento (sentenza n. 455 del 1994) o la nuova udienza preliminare (sentenza n. 400 del 2008), tenuti all’esito della predetta trasmissione per lo stesso fatto storico e nei confronti del medesimo imputato, siano attribuiti alla cognizione di altro giudice.

Rispetto al caso oggi in commento, la Corte ritiene che da un lato il rigetto della richiesta di decreto penale per mancata contestazione di una circostanza aggravante comporta anch’esso una valutazione di merito sulla res iudicanda. Dall’altro lato, il rigetto della richiesta di decreto penale determina, per espressa previsione del codice di rito (articolo 459, comma 3 Codice Procedura Penale), la restituzione degli atti al PM e, con essa, la regressione del procedimento nella fase delle indagini preliminari, in ossequio ad un costante orientamento giurisprudenziale di legittimità.

Così anche nella specie in esame la successiva riproposizione della richiesta di decreto penale apre una nuova fase di giudizio che, sebbene omologata alla precedente, resta da essa distinta e nella quale, pertanto, la valutazione “contenutistica” insita nel provvedimento di rigetto della prima richiesta esplica la propria efficacia pregiudicata.

 

4. Illegittimità dell’articolo 34 comma 2 Codice Procedura Penale

Alla luce del raffinato ragionamento logico-giuridico, la Corte dichiara costituzionalmente illegittimo l’articolo 34 Codice Procedura Penale nel suo secondo comma, nella parte in cui non prevede che il giudicante per le indagini preliminari che ha rigettato la richiesta di decreto penale di condanna per mancata contestazione di una circostanza aggravante sia incompatibile a pronunciare sulla nuova richiesta di decreto penale formulata dal pubblico ministero in conformità ai rilievi del giudice stesso.

La scelta ermeneutica della Corte porta a riflettere sul trend evolutivo che caratterizza l’istituto dell’incompatibilità.

La prassi giurisprudenziale richiede continuamente un intervento della Corte in materia e l’esigenza di raggiungere soluzioni totalizzanti in assenza di presupposti chiari ha fatto sì che si introducesse nel nostro ordinamento giuridico una nuova ipotesi di incompatibilità, ossia il caso in cui il giudice per le indagini preliminari abbia rigettato la richiesta di decreto penale di condanna per mancata contestazione di una circostanza aggravante atteso che, in casi analoghi a quelli oggi in commento, sulla scorta della sentenza n. 16/2022, l’organo giudicante non può più pronunciarsi sulla nuova richiesta di decreto penale formulata dal pubblico ministero in conformità ai rilievi del giudice stesso.