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Giustizia amministrativa: è riproponibile l’actio judicati dichiarata inammissibile se è mutata la legge?

Nuvole in viaggio
Ph. Luca Martini / Nuvole in viaggio

Giustizia amministrativa: è riproponibile l’actio judicati dichiarata inammissibile se è mutata la legge?

Abstract

La IV Sezione del Consiglio di Stato ha proposto alcuni quesiti all’attenzione dell’Adunanza Plenaria, relativi alla vincolatività di una pronuncia della Corte Costituzionale che sia scesa nel merito della caso concreto e alla riproponibilità di un giudizio di ottemperanza già dichiarato inammissibile avverso un decreto pronunciato in sede di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica a seguito della modifiche apportate a tale istituto della legge 69/2009.
 

Indice:

1. L’ordinanza di rimessione

2. Il caso concreto alla base della pronuncia

3. Il primo quesito

4. Il secondo e il terzo quesito

 

1. L’ordinanza di rimessione

Con l’ordinanza del Consiglio di Stato, sez. IV, 10342/2022 sono state rimesse all’Adunanza Plenaria tre differenti questioni, la prima relativa alla vincolatività di una pronuncia della Corte Costituzionale che abbia reso una pronuncia toccando profili di merito del caso concreto dal quale scaturiva la questione, mentre la seconda e la terza questione relative alla riproponibilità di un nuovo ricorso in ottemperanza già definito successivamente all’intervento di modifiche legislative.
 

2. Il caso concreto alla base della pronuncia

Il caso concreto posto alla base di detta pronuncia riguardava nove vincitori del concorso per Consigliere di Stato, i quali, nella seconda metà degli anni Novanta, avevano presentato un’istanza di percezione di un maggior trattamento economico, come previsto dalla legge 425/1984.

Essendo stata respinta la loro richiesta, questi avevano presentato ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, al termine del quale le loro istanze erano state accolte.

Stante la perdurante inerzia della pubblica amministrazione, i ricorrenti agivano in ottemperanza di fronte al Consiglio di Stato. Questo accoglieva il loro ricorso in ottemperanza, ma avverso tale pronuncia di accoglimento la Presidenza del Consiglio dei Ministri proponeva impugnazione presso la Corte di Cassazione.

La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi in tema di giurisdizione, aveva escluso la proponibilità del giudizio di ottemperanza avverso un decreto decisorio del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, in ragione della natura meramente amministrativa di tale rimedio.

Ne seguì una vicenda processuale particolarmente articolata, da ultimo proposta all’attenzione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato dalla citata ordinanza, con la quale è stato richiesto un intervento chiarificatore al fine di poter dare una risposta uniforme ai quesiti di diritto, che coinvolgono l’essenziale diritto di difesa, toccando principi fondamentali, tra i quali il principio di effettività della tutela giurisdizionale e il divieto di bis in idem.
 

3. Il primo quesito

Il primo quesito rivolto dalla IV Sezione all’Adunanza Plenaria è il seguente: «se sia vincolante per il giudice amministrativo che abbia sollevato una questione di legittimità costituzionale la pronuncia della Corte costituzionale che assuma un difetto di rilevanza della questione, conseguente all’assunta inammissibilità del giudizio a quo sulla scorta di profili tuttavia non enucleati nell’ordinanza di rimessione».

La Sezione ricorda, in primo luogo, che la facoltà della parte del processo di indicare al giudice procedente questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni di legge rilevanti per il caso concreto costituisce un elemento imprescindibile e qualificante del diritto di difesa di cui all’articolo 24 Costituzione Il nostro ordinamento si caratterizza per un accesso indiretto al Giudice delle Leggi: il privato non può rivolgersi direttamente alla Corte Costituzionale per far valere l’incostituzionalità di una legge, ma ha l’onere di proporre le questioni al giudice procedente. Questo effettua una duplice valutazione, di rilevanza e di non manifesta infondatezza, per decidere se sollevare la questione di fronte alla Consulta.

Il giudice amministrativo, così come il giudice ordinario, di fronte al quale siano proposte tali questioni ha il dovere di valutarle e, eventualmente, di proporle alla Corte Costituzionale, giudice accentrato delle Leggi. Se così non fosse, il diritto di difesa del privato risulterebbe irrimediabilmente leso, essendogli preclusa la possibilità di tutelarsi in un giudizio nel quale dovrebbero essere applicate norme che presentano profili di contrasto con la Carta Costituzionale.

Nel caso concreto, la Corte Costituzionale, alla quale era stata proposta una questione relativa alla costituzionalità dell’articolo 50, c. 4, l. 388/2000, ha scelto di non esaminare la questione, ritenendo inammissibile il ricorso presentato nel giudizio di merito, in quanto mera riedizione di un’azione già proposta in passato dai medesimi ricorrenti e già risolta in senso loro sfavorevole. Così facendo la Consulta ha ritenuto irrilevante la questione di costituzionalità avendo riguardo ad un profilo meramente di rito del giudizio a quo, profilo che - nota la Sezione rimettente - non era ancora stato affrontato nel giudizio a quo stesso. La pronuncia della Corte Costituzionale su profili di rito del giudizio di merito è apparsa, agli occhi della Sezione rimettente, come una vera e propria “intromissione” nel proprio spazio valutativo, tanto che ha proposto all’Adunanza Plenaria una questione circa la vincolatività di una simile pronuncia.

Nell’argomentare la propria tesi, la IV Sezione mette in rilievo tre profili:

  • se la Corte Costituzionale potesse pronunciarsi su profili, anche meramente processuali, propri del giudizio di merito finirebbe per invadere lo spazio valutativo riservato al giudice di merito, con grave lesione del principio del giudice naturale precostituito per legge;
  • se la Corte Costituzionale potesse pronunciarsi su profili del giudizio di merito sarebbe irrimediabilmente violata la preservazione della sfera di giurisdizione di ogni plesso giurisdizionale;
  • se la Corte Costituzionale potesse pronunciarsi su profili del giudizio di merito risulterebbe sacrificato il diritto di difesa del singolo, poiché nel giudizio di fronte alla Consulta non sono previste le normali garanzie difensive presenti nei giudizi di fronte agli altri giudici, essendo il giudizio di costituzionalità volto alla risoluzione di questioni astratte di diritto.

Spetterà, quindi, all’Adunanza Plenaria valutare la vincolatività della pronuncia della Corte Costituzionale, sia con riferimento allo specifico caso concreto, sia pronunciando un principio di diritto astrattamente applicabile anche a casi simili che potranno presentarsi in futuro.
 

4. Il secondo e il terzo quesito

Con il secondo e il terzo quesito la Sezione rimettente si concentra su una questione differente, sempre strettamente connessa al principio del diritto di difesa.

Con il secondo quesito proposto all’Adunanza Plenaria, la IV Sezione chiede «se, dopo che la Corte di Cassazione abbia dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione un ricorso per ottemperanza di un decreto decisorio di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, la parte interessata possa radicare un nuovo giudizio di ottemperanza, adducendo a fondamento dell’ammissibilità dell’ulteriore azione tanto la sopravvenuta e incisiva modificazione legislativa – sempre da intendersi in termini compatibili con i principi rinvenienti dal secondo comma dell’articolo 102 della Costituzione e dalla relativa VI disposizione transitoria – dei caratteri del ricorso straordinario, quanto il consolidato orientamento pretorio che ammette l’ottemperanza di decreti decisori di ricorsi straordinari anche ove emessi prima della novella del 2009».

Come sopra ricordato, l’azione di ottemperanza presentata dai ricorrenti avverso un decreto pronunciato al termine del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica era stata rigettata in ragione della natura amministrativa del ricorso. Con la riforma attuata con legge 69/2009, però, l’istituto del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica è profondamente mutato, tanto che ne è stata riconosciuta, da più parti, una natura sostanzialmente giurisdizionale. Nel 2013 i ricorrenti hanno presentato, di conseguenza, un nuovo ricorso per l’ottemperanza della pronuncia, sostenendo la natura sostanziale delle modifiche apportate dalla riforma del 2009, modifiche che, stante la loro portata, potrebbero essere considerate retroattive.

In senso contrario alla ricostruzione proposta dai ricorrenti, la IV Sezione osserva che:

  • alle modifiche apportate dalla legge 69/2009 all’istituto del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica non è stata espressamente conferita efficacia retroattiva;
  • ripresentare la medesima azione già proposta in passato e in relazione alla quale si era già formato il giudicato appare in contrasto con il principio del ne bis in idem;
  • le pronunce della Corte di Cassazione che dichiarano inammissibile un ricorso per carenza di giurisdizione del giudice amministrativo sono idonee a definire il giudizio e ostano alla riproposizione della medesima domanda in un altro giudizio;
  • le sentenze della Corte di Cassazione relative alla giurisdizione hanno efficacia extra-processuale, pertanto, tanto più devono avere effetto nel giudizio relativo al caso concreto.

La Sezione rimettente lascia, quindi, alcune questioni aperte, nell’attesa che sia l’Adunanza Plenaria a risolverle, in maniera tale che dalla pronuncia del massimo consesso del Consiglio di Stato si possa formare un indirizzo uniforme e unitario sul punto.

In particolare, la Sezione chiede se un giudicato in rito ostativo alla proposizione di un’azione sia o meno insensibile alle successive modifiche normative, soprattutto laddove tale giudicato frustri il diritto di difesa del privato, mentre le successive modifiche aprano la strada ad una tutela effettiva e nel merito del diritto in contestazione. Le modifiche sostanziali apportate ad un istituto che determinino un ampliamento delle garanzie difensive potrebbero trovare applicazione retroattiva, con evidente vantaggio per il privato e per una miglior attuazione del diritto di cui all’articolo 24 Costituzione

Così ragionando, bisognerebbe ammettere che il principio del ne bis in idem si attenui in ipotesi specifiche di modifiche legislative radicali e ampliative dei diritti del privato, con il rischio, però, di un appesantimento del carico giudiziario e financo della riproposizione all’infinito di pregresse istanze.

La IV Sezione propone un ultimo quesito, strettamente connesso al secondo: «se, all’indomani della cennata riforma del ricorso straordinario, possa essere riproposta l’actio judicati dopo che, a suo tempo, la parte interessata aveva sua sponte dichiarato di rinunciare – sia pure con l’espressa clausola di salvezza di “ogni eventuale sopravvenienza normativa o giurisdizionale di favore” – agli effetti favorevoli di una precedente sentenza di ottemperanza del Consiglio di Stato che, nell’ambito di un giudizio articolato su un unico grado radicato in epoca anteriore alla riforma legislativa dell’istituto del ricorso straordinario, ne aveva integralmente accolto le richieste».

Nello specifico, uno dei ricorrenti aveva visto accolta la propria domanda di ottemperanza, ma aveva successivamente rinunciato agli effetti di tale pronuncia. La Sezione rimettente si chiede se sia ammissibile la riproposizione del ricorso in ottemperanza, a seguito delle già considerate modifiche normative della legge 69/2009, anche nell’ipotesi di rinuncia agli effetti del giudicato. Sottolineando che, normalmente, l’estinzione del giudizio non estingue il diritto ad esso sottostante, il giudicante mette in luce il rischio che ove fosse possibile proporre nuovamente la medesima azione dopo aver rinunciato agli effetti di una pronuncia favorevole finirebbe per aprire la strada, almeno in astratto, alla possibilità di presentare infiniti ricorsi, con un evidente sovraccarico di lavoro per gli organi giudicanti.

L’Adunanza Plenaria è chiamata a pronunciarsi sui citati quesiti, nei quali si intrecciano saldamente tra loro profili sostanziali e processuali, allo scopo di dichiarare principi di diritto che possano trovare applicazione anche nei giudizi successivi, affinché si formi un indirizzo uniforme nel futuro, nel quale, si auspica, il diritto alla difesa e il principio di effettività della tutela giurisdizionale possano trovare piena applicazione.