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La calunnia di Botticelli: elementi di diritto in un’opera d’arte

La calunnia, Botticelli
La calunnia, Botticelli

Alla Galleria degli Uffizi di Firenze c’è un quadro del Botticelli che, oltre ad essere un’accurata rappresentazione allegorica della calunnia, racchiude puntualmente in sé tutti gli elementi costitutivi del reato.

Si tratta di un dipinto a tempera, databile presumibilmente 1494, dal titolo - appunto - “Calunnia”.

L’aneddoto narrato risale al IV secolo a. C. e riguarda la rivalità tra due pittori che all’epoca andavano per la maggiore: Antifilo e Apelle.

Tra costoro non correva buon sangue; in particolare, il primo era molto invidioso del successo del più noto Apelle e, nel tentativo di sbarazzarsi dell’ingombrante avversario, mise in giro la falsa “voce” che il fomentatore della rivolta di Tiro si celasse proprio nella persona di quest’ultimo.

Non pago di aver innescato la diceria, andò direttamente a “riferire” al re Tolomeo, il quale, in barba ai (più moderni) capisaldi dell’istruttoria, fece subito giustizia sommaria del presunto cospiratore, accusandolo di tradimento e condannandolo a morte.

Fortuna volle che un compagno di prigionia del povero innocente, colpito dalla cattiveria gratuita di Antifilo, si spese per testimoniare la verità; il sovrano, resosi conto del grave pressappochismo cui era incorso, in un “j’accuse” ante litteram, pose in essere un ravvedimento operoso esemplare: scagionò Apelle in quanto estraneo ai fatti di causa e gli donò un cospicuo gruzzoletto di denaro a titolo risarcitorio nonché ... gli consegnò il maldicente come schiavo.

Un epilogo da applausi a scena aperta, che riconcilia con il concetto di Giustizia (nella sua duplice accezione di Nemesi e Diche).

Purtroppo però, statisticamente parlando, il lieto fine non è così sempre dietro l’angolo, ma, anzi, l’equità terrena è talmente disattesa e bistrattata che non resta che confidare nel ristoro di quella divina.

Osservando con attenzione l’opera pittorica, alla “lettura” squisitamente artistica si affianca quella giuridica: l’articolo 368 del codice penale ... in pennellate.

Al centro, per terra, la vittima, accerchiata da Calunnia, Invidia e Falsità e trascinata per i capelli al cospetto dell’Autorità; costei, contornata da Ignoranza e Sospetto (che “sussurrano” alle sue orecchie d’asino), riceve una fiaccola spenta, a simboleggiare il dolo nella denuncia consapevole di “taluno che si sa innocente”.

A latere, quasi a volersi defilare, il Rimorso (di nero incappucciato) sembra guardare di sbieco la statuaria Verità che, anche qualora riemerga prepotentemente in corso di giudizio, per quanto possa essere dura la pena inflitta, mai potrà riabilitare in toto la situazione ormai compromessa in termini di danno alla reputazione e sofferenza morale per il dileggio subito.

Un delitto insomma in piena regola, dalle premesse blande ma dall’effetto detonante.

Perché, come canta Don Basilio nel “Barbiere di Siviglia”: “La calunnia è venticello, un’auretta assai gentile...sottovoce sibilando va scorrendo va ronzando nelle orecchie della gente s’introduce destramente” fino a che nel tipico crescendo rossiniano: “lo schiamazzo prende forza...si propaga e si raddoppia...e produce un’esplosione come un colpo di cannone...che fa l’aria rimbombar”.