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La crisi della magistratura e le cronache del nulla

separazione delle carriere
Ph. Riccardo Radi / separazione delle carriere

Come qualsiasi altra organizzazione, anche la magistratura ha una sua governance.

C’è quella formale che si manifesta in più ambiti: le funzioni e il loro esercizio (gerarchie interne nei singoli uffici giudiziari, poteri di sorveglianza degli uffici sovraordinati); le valutazioni di professionalità, le progressioni in carriera e l’attribuzione di incarichi dirigenziali (pareri dei dirigenti degli uffici, pareri dei consigli giudiziari, deliberazioni del CSM); il potere disciplinare (ministero della Giustizia, Procura generale presso la Corte di Cassazione e CSM).

C’è quella semi-formale che deriva dalla salda presa dell’associazionismo giudiziario su ogni aspetto che conti della vita dei magistrati. In ogni distretto giudiziario sono costituite sezioni dell’associazione nazionale magistrati e operano le rappresentanze locali delle correnti che compongono l’ANM la quale – è bene non dimenticarlo – rappresenta nove magistrati su dieci. È consuetudine largamente diffusa e condivisa che tutte queste rappresentanze funzionino come centri non solo di elaborazione culturale ma anche, talvolta soprattutto, di presa in carico, tutela e promozione del destino professionale dei loro iscritti: l’assegnazione tabellare, la valorizzazione del loro percorso di carriera, l’attenzione ai pareri da cui dipende la progressione, la speciale cura destinata alle loro domande di trasferimento e di accesso a funzioni direttive e semi-direttive, finanche la divisione in puro stile Cencelli delle postazioni fuori ruolo apicali (ma senza disdegnare quelle intermedie) presso il ministero della Giustizia e altre articolazioni pubbliche.

A questa governance, nota nei suoi moduli organizzativi e nelle sue catene piramidali, le cronache degli ultimi anni hanno suggerito l’aggiunta di altre stratificazioni.

Abbiamo appreso, sia pure nella forma sincopata propria della comunicazione mediatica e con tutti gli interrogativi irrisolti posti da procedure penali o disciplinari ben lontane dalla conclusione o talvolta appena avviate o addirittura solo annunciate, notizie che, se vere, imporrebbero una riconfigurazione del modello di governo della magistratura come possiamo desumerlo dall’ordinamento e dall’influenza dell’ANM.

Le cronache ci hanno detto e continuano a dirci molte cose, una più impressionante dell’altra: che l’organo di autogoverno sarebbe stato ridotto a mera agenzia di bollinatura di decisioni prese all’esterno; che dell’altrove che deciderebbe esternamente farebbero parte persone prive di competenze funzionali che riguardino la magistratura; che gli scopi perseguiti da questa misteriosa entità negherebbero in modo plateale l’autonomia e l’indipendenza della magistratura e le sue funzioni di giustizia; che il fine più desiderato e perseguito sarebbe il controllo dell’azione penale e che si intenderebbe ottenerlo principalmente attraverso il controllo della filiera da cui dipendono le nomine dei capi delle Procure più importanti d’Italia; che questo obiettivo non sarebbe affatto tendenziale e di medio-lungo periodo ma già raggiunto.

Ci sono stati descritti gli effetti di questo stato di cose: norme e intercettazioni sarebbero interpretabili e quando occorra omissabili per gli amici, applicate con ferocia per i nemici; a parziale deroga della scritta posta in tutte le aule giudiziarie, la legge sarebbe sì uguale per tutti quelli che ci entrano ma per alcuni un po’ di più e per altri un po’ di meno e sarebbero possibili speciali esenzioni in virtù delle quali altri ancora, pur avendone i titoli, non ci entrerebbero affatto; sarebbe diventata stantia la divisione tra colpevoli e innocenti e al suo posto si dovrebbe piuttosto parlare di eletti e sacrificabili; i primi starebbero sopra la legge ma sotto la loggia, tutti gli altri sotto e basta.

Infine ci è stata fatta balenare la verità ultima: che della giustizia, intesa come miglior modo finora pensato per attribuire ad ognuno il suo, non sarebbe rimasto nulla perché tutto sarebbe negoziabile secondo gli interessi dell’altrove adombrato dalle cronache; sicché qualcuno potrebbe pretendere ciò che non gli spetta e qualcun altro, al contrario, subirebbe ciò che non merita.

Non sappiamo se questa narrazione sia falsa oppure vera in tutto o in parte, possiamo solo attendere che coloro i quali hanno il dovere istituzionale di fare chiarezza e, in ipotesi, di promuovere e adottare i necessari correttivi normativi, agiscano prima e meglio possibile.

Di certo, vorremmo non essere afflitti dal continuo e vuoto stillicidio di esternazioni che ci spiegano che qualcuno sta coordinando, che qualcun altro si sta facendo coordinare e che altri ancora hanno chiarito ma solo a chi di competenza o sono pronti a chiarire se solo trovano qualcuno che li ascolti.

Né vorremmo essere rassicurati con pacche sulle spalle perché tanto ci sono pochi malvagi ma il corpo è sano, né essere turbati dal millenarismo di chi ci parla di fine del mondo.

Siamo preoccupati, questo sì.

Perché l’immagine e la credibilità della magistratura degradano ogni giorno di più in un movimento che pare non avere fine e questo non dovrebbe piacere a nessuno che voglia vivere in un Paese in cui tutti siano uguali davanti alla legge.

E mentre attendiamo ameremmo silenzio e compostezza cui seguano risposte chiare, se possibile non gattopardesche.

Se non è chiedere troppo.