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La domanda non riproposta in sede di precisazione delle conclusioni si intende rinunciata

1. Le massime

L'omessa riproposizione nell’udienza di precisazione delle conclusioni di una domanda formulata nel corso del giudizio implica una presunzione di abbandono della istanza non riproposta che, fondandosi sulla interpretazione della volontà delle parti, può essere vinta solo da specifici elementi sintomatici di una contraria volontà della parte; ne consegue che il giudice di merito che espressamente considera abbandonata una domanda non riproposta in sede di precisazione delle conclusioni può solo limitarsi, nella motivazione, ad evidenziare che la domanda non è stata riprodotta quando non vi siano elementi dai quali possa desumersi una contraria volontà della parte.

L'accertamento compiuto al riguardo dal giudice del merito è incensurabile in sede di legittimità se sorretto da congrua e logica motivazione (nella specie, la società attrice non riproduceva né in sede di riassunzione – in seguito alla cancellazione della causa dal ruolo – del giudizio dinanzi al Tribunale ordinario, né in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado, la domanda già formulata nel ricorso ex art. 414 c.p.c. depositato avanti alla sezione lavoro).

La rinunzia all'azione, che non richiede formule sacramentali e può essere anche tacita, presuppone incompatibilità assoluta tra il comportamento dell'attore e la volontà di proseguire nella domanda proposta.

2. Il caso

La società Alfa conveniva in giudizio, con atto di citazione in riassunzione dinanzi al Tribunale ordinario territorialmente competente – in seguito alla cancellazione della causa dal ruolo – il fallimento della Beta s.r.l., sostenendo di aver legittimamente esercitato il diritto di recesso per giusta causa dal contratto di agenzia in essere con la società Beta poiché era venuto a mancare l’elemento fiduciario del rapporto.

La società Alfa, pertanto, chiedeva al Tribunale che venisse accertata la legittimità della propria disdetta dal contratto, che nulla fosse dovuto dall’attrice per il mancato preavviso e che fosse accertata l’entità delle provvigioni maturate dall’agente. Il Tribunale adito, respinte le richieste istruttorie di ambedue le parti costituite, respingeva altresì le domande formulate dalla società attrice.

La società Alfa spiegava appello, lamentando:

1) la mancata ammissione delle prove testimoniali articolate su fatti che avevano trovato la loro conferma nell'avvenuto fallimento dell'appellata, dichiarato dallo stesso Tribunale adito;

2) la omessa pronuncia circa la domanda di legittimità e tempestività della disdetta dal contratto e quella di accertamento degli eventuali crediti maturati dall'agente per le provvigioni. La Corte di Appello rigettava il gravame.

Il giudice di seconde cure, in particolare, rilevava che dalla stessa lettera dell’attrice si evinceva come il recesso fosse stato motivato genericamente, senza che fosse mai stato lamentato alcun inadempimento contrattuale a carico della società Beta. Per il giudice di seconde cure, non costituiva ostacolo all’adempimento neppure lo stato di eventuale insolvenza della Beta s.r.l. all’epoca del recesso; la Beta s.r.l., inoltre, aveva continuato a svolgere la propria attività per conto dell’attrice.

Quanto alla seconda doglianza di omessa pronuncia relativamente al richiesto accertamento della legittimità del recesso, la Corte di Appello evidenziava che la domanda era stata correttamente rigettata in quanto la lettera recante il recesso con effetto immediato non integrava neppure una disdetta volta ad impedire la rinnovazione del contratto.

Ragione, quest’ultima, per cui doveva ritenersi del pari superata anche la questione ulteriore della indennità di mancato preavviso, il cui accertamento formava già oggetto di controversia pendente avanti all'autorità giudiziaria tedesca, adita dalla stessa Beta s.r.l. in epoca antecedente al presente giudizio.

Quanto alla domanda per l'accertamento dei crediti per provvigioni, la Corte di Appello evidenziava come la stessa, formulata per la prima volta con ricorso alla sezione lavoro, non risultava riproposta con l'atto di citazione in riassunzione dinanzi al Tribunale ordinario, per cui correttamente nessuna pronuncia vi era stata sul punto.

Avverso la sentenza indicata propone ricorso per cassazione la società Alfa – articolando quattro motivi di doglianza – al quale resiste il Fallimento con controricorso. Dei motivi di ricorso se ne segnala, in particolare, il quarto, con cui il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 189 e 345 c.p.c., nonché la omessa e/o contraddittoria motivazione, non essendosi la corte di merito avveduta che la omessa trascrizione della domanda proposta ex art. 414 c.p.c. era dovuta a mero errore materiale e non già a rinuncia, essendosi peraltro il fallimento difeso sul punto, per cui non poteva essere considerata domanda nuova in appello.

3. La decisione

La Corte di Cassazione, premesso che al ricorso si applica l'art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, essendo impugnata una sentenza depositata il 29 agosto 2006, rileva che le richieste formulate a conclusione dei motivi da uno a tre – sopra, ivi, non riprodotti – presentano una formulazione dei quesiti di diritto meramente “apparente” e che non risponde all'esigenza di cooperazione della ricorrente all'espletamento della funzione nomofilattica della Suprema Corte. Alla stregua di tali considerazioni i primi tre motivi vengono dichiarati inammissibili.

Il quarto ed ultimo motivo è, invece, dichiarato privo di fondamento, in quanto l'omessa riproposizione, nella udienza di precisazione delle conclusioni, di una domanda formulata nel corso del giudizio implica una presunzione di abbandono della istanza non riproposta che, fondandosi sulla interpretazione della volontà delle parti, può essere vinta solo da specifici elementi sintomatici di una contraria volontà della parte; ne consegue che il giudice di merito che espressamente considera abbandonata una domanda non riproposta in sede di precisazione delle conclusioni può solo limitarsi, nella motivazione, ad evidenziare che la domanda non è stata riprodotta quando non vi siano elementi dai quali possa desumersi una contraria volontà della parte.

Essa, pertanto, ricorrendone i detti presupposti, può ritenersi rinunciata, atteso che la rinunzia all'azione non richiede formule sacramentali e ben può essere tacita, fermo restando che la rinuncia può essere pronunciata a patto che sussista l’incompatibilità assoluta tra il comportamento dell'attore e la volontà di proseguire nella domanda proposta. L'accertamento compiuto al riguardo dal giudice del merito è incensurabile in sede di legittimità se - come nella specie ritenuto dal Supremo Collegio – sorretto da congrua e logica motivazione: l'interpretazione della complessiva condotta della parte è infatti riservata al giudice del merito.

La Suprema Corte ritiene applicabile al caso scrutinato il principio sopra enunciato, alla luce delle risultanze del giudizio di merito, così sintetizzate: - la domanda formulata nel ricorso ex art. 414 c.p.c. depositato avanti alla sezione lavoro dei Tribunale di Milano non veniva più riproposta in sede di riassunzione del giudizio innanzi ai Tribunale ordinario, né mediante la citazione in riassunzione successiva alla cancellazione della causa dal ruolo, né in sede di precisazione delle conclusioni dinanzi al giudice di primo grado; - la questione, introdotta dall’appellante con specifico motivo, in ragione di quanto precede, è stata rigettata con motivazione adeguata dalla corte di merito sulla base delle considerazioni già utilizzate dal giudice di prime cure per escluderne la proposizione, non essendo stata svolta alcuna istruttoria sul punto.

Conclusivamente il ricorso viene rigettato e le spese del giudizio di cassazione, regolate secondo il principio della soccombenza sono poste a carico della ricorrente.

4. I precedenti: occorre distinguere tra omessa precisazione e omessa riproposizione

La Suprema Corte, con riferimento all’omessa riproposizione della domanda in sede di precisazione delle conclusioni, richiama i seguenti precedenti conformi: Cass. 28 giugno 2006 n. 14964; Cass. 9 novembre 2005 n. 21685; Cass. 19 maggio 2004 n. 9465; Cass. 26 agosto 2002 n. 12482; Cass. 27 aprile 1998 n. 4301; Cass. 3 maggio 1996 n. 4111. Circa la forma libera della rinunzia all’azione, è richiamato il precedente Cass. 19 marzo 1990, n. 2267.

Sebbene non emersa in sentenza, si segnala – per la non trascurabile diversità di conseguenze che ne derivano – la distinzione tra l’omessa precisazione e l’omessa riproposizione: si ha la prima quando la parte non si presenti all’udienza di precisazione delle conclusioni o, presentandosi, ometta di precisarle o le precisi in modo generico; la seconda situazione si ha, invece, allorché la parte non riproponga, sempre in sede di precisazione delle conclusioni, una o più delle specifiche conclusioni già dedotte. Nella prima ipotesi, vale la presunzione che la parte abbia voluto tenere ferme le conclusioni precedentemente formulate (si veda, tra le molte, Cass. n. 409/2006), nel caso di omessa riproposizione, invece, come visto, vale il principio opposto, già sopra enunciato, per cui la domanda si presume normalmente rinunciata.

1. Le massime

L'omessa riproposizione nell’udienza di precisazione delle conclusioni di una domanda formulata nel corso del giudizio implica una presunzione di abbandono della istanza non riproposta che, fondandosi sulla interpretazione della volontà delle parti, può essere vinta solo da specifici elementi sintomatici di una contraria volontà della parte; ne consegue che il giudice di merito che espressamente considera abbandonata una domanda non riproposta in sede di precisazione delle conclusioni può solo limitarsi, nella motivazione, ad evidenziare che la domanda non è stata riprodotta quando non vi siano elementi dai quali possa desumersi una contraria volontà della parte.

L'accertamento compiuto al riguardo dal giudice del merito è incensurabile in sede di legittimità se sorretto da congrua e logica motivazione (nella specie, la società attrice non riproduceva né in sede di riassunzione – in seguito alla cancellazione della causa dal ruolo – del giudizio dinanzi al Tribunale ordinario, né in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado, la domanda già formulata nel ricorso ex art. 414 c.p.c. depositato avanti alla sezione lavoro).

La rinunzia all'azione, che non richiede formule sacramentali e può essere anche tacita, presuppone incompatibilità assoluta tra il comportamento dell'attore e la volontà di proseguire nella domanda proposta.

2. Il caso

La società Alfa conveniva in giudizio, con atto di citazione in riassunzione dinanzi al Tribunale ordinario territorialmente competente – in seguito alla cancellazione della causa dal ruolo – il fallimento della Beta s.r.l., sostenendo di aver legittimamente esercitato il diritto di recesso per giusta causa dal contratto di agenzia in essere con la società Beta poiché era venuto a mancare l’elemento fiduciario del rapporto.

La società Alfa, pertanto, chiedeva al Tribunale che venisse accertata la legittimità della propria disdetta dal contratto, che nulla fosse dovuto dall’attrice per il mancato preavviso e che fosse accertata l’entità delle provvigioni maturate dall’agente. Il Tribunale adito, respinte le richieste istruttorie di ambedue le parti costituite, respingeva altresì le domande formulate dalla società attrice.

La società Alfa spiegava appello, lamentando:

1) la mancata ammissione delle prove testimoniali articolate su fatti che avevano trovato la loro conferma nell'avvenuto fallimento dell'appellata, dichiarato dallo stesso Tribunale adito;

2) la omessa pronuncia circa la domanda di legittimità e tempestività della disdetta dal contratto e quella di accertamento degli eventuali crediti maturati dall'agente per le provvigioni. La Corte di Appello rigettava il gravame.

Il giudice di seconde cure, in particolare, rilevava che dalla stessa lettera dell’attrice si evinceva come il recesso fosse stato motivato genericamente, senza che fosse mai stato lamentato alcun inadempimento contrattuale a carico della società Beta. Per il giudice di seconde cure, non costituiva ostacolo all’adempimento neppure lo stato di eventuale insolvenza della Beta s.r.l. all’epoca del recesso; la Beta s.r.l., inoltre, aveva continuato a svolgere la propria attività per conto dell’attrice.

Quanto alla seconda doglianza di omessa pronuncia relativamente al richiesto accertamento della legittimità del recesso, la Corte di Appello evidenziava che la domanda era stata correttamente rigettata in quanto la lettera recante il recesso con effetto immediato non integrava neppure una disdetta volta ad impedire la rinnovazione del contratto.

Ragione, quest’ultima, per cui doveva ritenersi del pari superata anche la questione ulteriore della indennità di mancato preavviso, il cui accertamento formava già oggetto di controversia pendente avanti all'autorità giudiziaria tedesca, adita dalla stessa Beta s.r.l. in epoca antecedente al presente giudizio.

Quanto alla domanda per l'accertamento dei crediti per provvigioni, la Corte di Appello evidenziava come la stessa, formulata per la prima volta con ricorso alla sezione lavoro, non risultava riproposta con l'atto di citazione in riassunzione dinanzi al Tribunale ordinario, per cui correttamente nessuna pronuncia vi era stata sul punto.

Avverso la sentenza indicata propone ricorso per cassazione la società Alfa – articolando quattro motivi di doglianza – al quale resiste il Fallimento con controricorso. Dei motivi di ricorso se ne segnala, in particolare, il quarto, con cui il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 189 e 345 c.p.c., nonché la omessa e/o contraddittoria motivazione, non essendosi la corte di merito avveduta che la omessa trascrizione della domanda proposta ex art. 414 c.p.c. era dovuta a mero errore materiale e non già a rinuncia, essendosi peraltro il fallimento difeso sul punto, per cui non poteva essere considerata domanda nuova in appello.

3. La decisione

La Corte di Cassazione, premesso che al ricorso si applica l'art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, essendo impugnata una sentenza depositata il 29 agosto 2006, rileva che le richieste formulate a conclusione dei motivi da uno a tre – sopra, ivi, non riprodotti – presentano una formulazione dei quesiti di diritto meramente “apparente” e che non risponde all'esigenza di cooperazione della ricorrente all'espletamento della funzione nomofilattica della Suprema Corte. Alla stregua di tali considerazioni i primi tre motivi vengono dichiarati inammissibili.

Il quarto ed ultimo motivo è, invece, dichiarato privo di fondamento, in quanto l'omessa riproposizione, nella udienza di precisazione delle conclusioni, di una domanda formulata nel corso del giudizio implica una presunzione di abbandono della istanza non riproposta che, fondandosi sulla interpretazione della volontà delle parti, può essere vinta solo da specifici elementi sintomatici di una contraria volontà della parte; ne consegue che il giudice di merito che espressamente considera abbandonata una domanda non riproposta in sede di precisazione delle conclusioni può solo limitarsi, nella motivazione, ad evidenziare che la domanda non è stata riprodotta quando non vi siano elementi dai quali possa desumersi una contraria volontà della parte.

Essa, pertanto, ricorrendone i detti presupposti, può ritenersi rinunciata, atteso che la rinunzia all'azione non richiede formule sacramentali e ben può essere tacita, fermo restando che la rinuncia può essere pronunciata a patto che sussista l’incompatibilità assoluta tra il comportamento dell'attore e la volontà di proseguire nella domanda proposta. L'accertamento compiuto al riguardo dal giudice del merito è incensurabile in sede di legittimità se - come nella specie ritenuto dal Supremo Collegio – sorretto da congrua e logica motivazione: l'interpretazione della complessiva condotta della parte è infatti riservata al giudice del merito.

La Suprema Corte ritiene applicabile al caso scrutinato il principio sopra enunciato, alla luce delle risultanze del giudizio di merito, così sintetizzate: - la domanda formulata nel ricorso ex art. 414 c.p.c. depositato avanti alla sezione lavoro dei Tribunale di Milano non veniva più riproposta in sede di riassunzione del giudizio innanzi ai Tribunale ordinario, né mediante la citazione in riassunzione successiva alla cancellazione della causa dal ruolo, né in sede di precisazione delle conclusioni dinanzi al giudice di primo grado; - la questione, introdotta dall’appellante con specifico motivo, in ragione di quanto precede, è stata rigettata con motivazione adeguata dalla corte di merito sulla base delle considerazioni già utilizzate dal giudice di prime cure per escluderne la proposizione, non essendo stata svolta alcuna istruttoria sul punto.

Conclusivamente il ricorso viene rigettato e le spese del giudizio di cassazione, regolate secondo il principio della soccombenza sono poste a carico della ricorrente.

4. I precedenti: occorre distinguere tra omessa precisazione e omessa riproposizione

La Suprema Corte, con riferimento all’omessa riproposizione della domanda in sede di precisazione delle conclusioni, richiama i seguenti precedenti conformi: Cass. 28 giugno 2006 n. 14964; Cass. 9 novembre 2005 n. 21685; Cass. 19 maggio 2004 n. 9465; Cass. 26 agosto 2002 n. 12482; Cass. 27 aprile 1998 n. 4301; Cass. 3 maggio 1996 n. 4111. Circa la forma libera della rinunzia all’azione, è richiamato il precedente Cass. 19 marzo 1990, n. 2267.

Sebbene non emersa in sentenza, si segnala – per la non trascurabile diversità di conseguenze che ne derivano – la distinzione tra l’omessa precisazione e l’omessa riproposizione: si ha la prima quando la parte non si presenti all’udienza di precisazione delle conclusioni o, presentandosi, ometta di precisarle o le precisi in modo generico; la seconda situazione si ha, invece, allorché la parte non riproponga, sempre in sede di precisazione delle conclusioni, una o più delle specifiche conclusioni già dedotte. Nella prima ipotesi, vale la presunzione che la parte abbia voluto tenere ferme le conclusioni precedentemente formulate (si veda, tra le molte, Cass. n. 409/2006), nel caso di omessa riproposizione, invece, come visto, vale il principio opposto, già sopra enunciato, per cui la domanda si presume normalmente rinunciata.