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La grande sfida della Regione Puglia. Note sull’Agenda di Genere

genere e regione Puglia
genere e regione Puglia

La grande sfida della Regione Puglia. Note sull’Agenda di Genere

 

1. Introduzione. 2. L’Agenda di Genere: ratio e aree di intervento. 3. Verso una cittadinanza di genere. 4. Le priorità del disegno strategico pugliese. 5. “GENEREinCOMUNE”. 6. Conclusioni.

 

1. Introduzione

Il Pnrr costituisce una preziosa opportunità per definire gli interventi di rilancio e sviluppo del territorio in un’ottica di genere. Nel 2022, la Regione Puglia promuove la c.d. Agenda di Genere, il primo documento regionale di programmazione strategica volto a contrastare le disuguaglianze che “attanagliano” lo scenario nazionale, perseguendo il fine di rivelare il potenziale ancora inespresso delle donne. Sebbene sia ormai assodato che la questione femminile nazionale coincida essenzialmente con quella meridionale, si tende a ignorare che il problema aperto della coesione economica e sociale italiana dipende dalla capacità di integrare nel sistema produttivo il potenziale di conoscenza e competenza delle donne[1]. Con specifico riguardo alle Istituzioni pugliesi, l’impegno nella lotta al contrasto alla disuguaglianza di genere è risalente: nel 2015, il Rapporto Nazionale redatto dai Comitati delle Pari Opportunità in Italia ammetteva che “la tipologia di enti più attivi sul versante dei progetti è la Regione Puglia con 5 iniziative”.

Muovendo dal proposito di invertire la situazione tracciata, la predetta Regione si propone di assolvere un ruolo di primo piano attraverso un ambizioso disegno strategico ispirato all’obiettivo 5 dell’Agenda 2030 dell’Onu, ossia quello volto a raggiungere l’uguaglianza di genere e l’autodeterminazione di tutte le donne e ragazze. Il predetto contributo intende soffermare l’attenzione sia sui punti peculiari dell’Agenda di Genere sia su taluni “nodi” che potrebbero ostacolarne seriamente l’attuazione.

 

2. L’Agenda di Genere: ratio e aree di intervento

Partendo dal concetto di disuguaglianza, intesa come “la condizione in cui si trovano gli individui i quali non usufruiscono delle analoghe opportunità di accesso alle ricompense sociali di cui godono gli altri”[2], la Regione Puglia, in linea con le strategie internazionali[3]  e nazionali[4] sulla parità di genere, ha adottato un valido documento di visione strategica che si integra con la Strategia regionale di sviluppo sostenibile, perseguendo le seguenti finalità: migliorare la qualità della vita delle donne e degli uomini, creare pari opportunità di accesso al lavoro e ai più alti livelli di istruzione e formazione, contrastare ogni forma di discriminazione legata al genere, prevenire e opporsi alla violenza maschile contro le donne. La costruzione dell’Agenda di Genere, che vede il pieno coinvolgimento di altre istituzioni pubbliche, del partenariato economico e sociale, di una rete di organizzazioni e network di associazioni e persone coinvolte nella battaglia per la parità di genere ed il contrasto di ogni forma di discriminazione di genere, ha richiesto un intervento di sistema, articolato e multidisciplinare capace di combattere sia l’emergenza sanitaria da Covid-19, sia di indirizzare le direttrici dello sviluppo dei prossimi anni[5]. In particolare, la pandemia ha contribuito a risvegliare la cruciale querelle della disparità di genere, specialmente in ragione dei provvedimenti emanati, aventi un incidenza negativa proprio sui diritti e sulla vita delle donne, vanificando così tutti i successi conseguiti con sacrifici. Oltre a generare nuove forme di discriminazione, la crisi sanitaria ha accentuato le “fratture” di un sistema dove le donne occupano un ruolo periferico, trovandosi in una condizione di debolezza, ben lontana dal disegno costituzionale sull’eguaglianza – formale e sostanziale – cui deve essere improntato l’ordinamento italiano[6].

L’Agenda di Genere mette a punto sei aree di intervento, declinati a loro volta in obiettivi strategici e obiettivi operativi, da perseguire con il contributo fondamentale di tutte le aree di policy regionali e le strutture amministrative afferenti. Il primo ambito di intervento è rappresentato dalla qualità della vita delle donne e degli uomini, al fine di promuovere la piena partecipazione delle prime mediante azioni mirate che incidano sul contrasto agli stereotipi culturali, sul rafforzamento delle infrastrutture sociali, su una rete di servizi tesi ad assicurare l’equilibrio tra sfera familiare e lavorativa in una dimensione sempre più di comunità. La seconda area concerne la crescita femminile nel settore dell’istruzione, della formazione e del lavoro, richiedente l’adeguamento ed il potenziamento tanto del sistema formativo regionale nei settori strategici quanto delle politiche per il lavoro, in una visione di genere. Altro campo di intervento risiede nell’aumento della competitività del sistema produttivo e dell’innovazione sempre in un’ottica di genere, che impone di intercettare ed intraprendere qualsiasi via idonea ad intensificare le opportunità da offrire alle donne nel mondo del lavoro e nei sistemi di impresa; ciò investe una molteplicità di profili e fattori nel contesto economico e sociale in cui ci si muove, nonché comportamenti e stili di vita di uomini e donne. Segue il miglioramento delle condizioni del lavoro delle donne tramite azioni volte a garantire sia dignità e sicurezza sul lavoro sia riduzione dei divari di genere negli iter professionali e di carriera. Particolare rilievo assume la quinta area di intervento concernente la lotta contro la violenza maschile su donne e minori che passa attraverso il coinvolgimento di differenti livelli istituzionali, dell’associazionismo e del terzo settore. In tale prospettiva, la strategia regionale si focalizza su due concetti-chiave: da un lato, la  prevenzione; dall’altro, la protezione ed il sostegno; gli interventi posti in atto sono diretti ad incidere sulle variabili dirette, per sconfiggere il dilagante fenomeno che trova origine in una concezione patriarcale e maschilista ancora viva. Infine, la sesta area di intervento attiene all’attuazione di azioni trasversali per la rimozione degli stereotipi di genere ed il miglioramento dell’azione amministrativa; le predette azioni dovranno riabilitare l’azione

amministrativa dell’apparato regionale rispetto alla capacità di valutare ex ante ed ex post l’impatto in ottica di genere delle politiche di settore, alla capacità di innovare i criteri di selezione dei soggetti beneficiari e delle operazioni da finanziare con contributi regionali e di innovare le procedure di acquisto di beni e servizi, alla capacità di favorire gruppi di lavoro trasversali per la creazione delle politiche regionali di intervento e per l’attuazione del complessivo ciclo di vita dei programmi regionali; si intende, altresì, incoraggiare la sensibilizzazione sui temi della parità di genere e sul contrasto degli stereotipi di genere nella informazione e nella comunicazione istituzionale, commerciale, politica.

Dalla breve disamina delle sei aree di intervento individuate per la stesura dell’Agenda di genere affiora chiaramente la volontà della Regione Puglia di compiere un passo decisivo, in osservanza dell’art. 37 Cost. che, all’indomani della Seconda guerra mondiale, delinea una strada chiara per l’avvenire, l’assenza di disparità tra uomo e donna nel duplice campo familiare e lavorativo. A distanza di ben settantacinque anni dalla sua entrata in vigore, si pone ancora il dilemma della questione di genere al Sud, nonché di un profondo divario in termini di opportunità tra donne che risiedono in territori diversi ma facenti parti della stessa Nazione. Nel corso degli anni, tale scenario ha determinato l’inversione di tendenze favorevoli alle Regioni meridionali anche su taluni “fondamentali sociali” strettamente legati con la condizione femminile: a livello demografico, il Sud, che tradizionalmente si caratterizzava per una consistente presenza delle donne, risulta attualmente un’area dove la componente femminile si riduce progressivamente, emigrando nelle zone più floride.

Oggi sembra essersi smarrito il valore positivo del conflitto, quale “motore di innovazione sociale, di dinamica e dialettica fra gruppi”, trascurando che “con questa perdita, vi è la perdita della capacità della società di affrontare le nuove questioni, i nuovi problemi e qualche volta anche quelli vecchi”[7].
 

3. Verso una cittadinanza di genere  

Tra i “punti clou” del documento di visione strategica merita particolare considerazione il ripensamento della cittadinanza in una prospettiva di genere. Se è scontato considerare la cittadinanza come “uno spazio al cui interno gli esseri umani diventano soggetti titolari di diritti politici”[8], la querelle della costruzione dei suoi confini, tradotta nella rilevazione delle persone rimaste ai margini della cittadinanza e dei relativi motivi, costituisce ancora oggetto di dibattito in dottrina[9]. La comparsa dell’espressione “cittadinanza di genere”, riconducibile alle considerazioni degli studiosi delle scienze sociali, conferma la presenza delle donne tra le categorie escluse. Il concetto di “cittadinanza di genere” – in un’ottica sociologica – si riferisce all’insieme delle pratiche (i comportamenti, le azioni e i discorsi) attuate da persone che appartengono allo stesso contesto sociale, entro il quale negoziano il significato di norme sociali e giuridiche che lottano per definire le identità individuali[10]. In chiave giuridica, invece, “la cittadinanza di genere” è concepita come “quell’insieme di strumenti che può consentire – o quanto meno agevolare – la partecipazione di tutte e tutti, indipendentemente (ma non a prescindere) dal genere di appartenenza, alla vita pubblica”; la predetta definizione non solo accentua il radicale legame con la promozione dell’empowerment femminile, ma tende ad escludere un rapporto di genus e species tra i due concetti di “cittadinanza” e “cittadinanza di genere”, lasciando trasparire che la genesi scientifica di quest’ultima deve essere imputata al fine di estendere alle donne in quanto tali – e non in quanto cittadine in senso giuridico – un ventaglio di garanzie storicamente loro precluse[11].

Così come la società si interroga su come il diritto di cittadinanza debba essere esteso e attuato tramite concreti comportamenti civici, parimenti all’interno delle organizzazioni è possibile chiedersi come il diritto ad esprimere l’appartenenza di genere e a garantire una cultura di genere pienamente conforme alle differenze debba essere perseguita nella sfera quotidiana[12]. Nel caso di specie, le Istituzioni pugliesi sono chiamate a riflettere su quali azioni e quali strategie possano promuovere una cittadinanza di genere intesa come discorso civico. Innanzitutto, occorre prendere le mosse – a giudizio di chi scrive – dalla stessa nozione di “genere”, che non risulta in grado di salvaguardare le differenze, avendo innescato e innescando sempre ulteriori discriminazioni. Come ben sostenuto in dottrina, la suddetta nozione è già “collassata”, essendo ormai lampante la sua illusione di fondo, quella di dare “nella realtà o in natura o di fatto una differenza essenziale fra gli ‘esseri umani’ che si concretizza in quel dimorfismo sessuale per il quale esistono solo maschi e femmine, e non semplicemente corpi individuali”[13]. Alla luce di ciò, si ritiene preferibile puntare su una cittadinanza democratica che sminuisca le differenze, evitando altresì che queste possano trasformarsi in disuguaglianze e discriminazioni.

Con lo strumento strategico in esame, la Regione Puglia si è impegnata a ricomprendere la cittadinanza di genere tra i suoi obiettivi prioritari; tuttavia, la sua realizzazione richiede – in ogni atto, a tutti i livelli e ad opera di tutti gli attori – di un intervento e di una proposta organizzativa specifica. In tale senso, si segnalano una serie di rilevanti interventi posti in essere da talune realtà regionali italiane: tra di essi merita menzione la legge regionale n. 16/2009[14], con cui la Regione Toscana persegue specifici obiettivi per giungere ad una effettiva parità di genere nella vita sociale, culturale ed economica, marcando il carattere trasversale delle politiche di genere rispetto all’insieme delle politiche pubbliche regionali con riferimento ai settori dell’istruzione, delle politiche economiche, della comunicazione e della formazione. Segue in tale ottica la legge regionale n. 6/2014[15] con cui la Regione Emilia-Romagna “sostiene progetti e iniziative in ogni scuola di ordine e grado volti a perseguire gli obiettivi di educazione e formazione alla cittadinanza di genere e alla cultura di non discriminazione, in particolare per superare gli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell’essere donne e uomini, ragazze e ragazzi, bambine e bambini nel rispetto dell’identità di genere, culturale, religiosa, dell’orientamento sessuale, delle opinioni e dello status economico e sociale” (art. 7, co. 1). Significativa è anche la legge regionale n. 14 del 2016[16], con cui la Regione Umbria delinea una nuova forma di cittadinanza e di convivenza: partendo dal riconoscimento del valore della libertà femminile si promuove una diversa civiltà delle relazioni tra donne e uomini. È interessante rilevare come la maggior parte degli interventi riportati sottolinei l’importanza di pianificare la cittadinanza di genere facendo leva sulle politiche educative e sociali, le uniche che potrebbero incidere nella trasformazione culturale, operando “nei difficili labirinti del sentire comune, della tradizione, della cieca abitudine, della falsa legittimazione e naturalizzazione di pregiudizi e stereotipi”[17]. A tale proposito, si ritiene opportuno segnalare due interessanti opere della filosofa francese Luce Irigaray[18], in cui il pensiero della differenza sessuale accompagna il tema della cittadinanza democratica e pone in luce le implicazioni politiche di un mutamento culturale che richiede un impegno educativo e formativo.

 

4. Le priorità del disegno strategico pugliese

Conciliazione famiglia-lavoro e contrasto alle discriminazioni (sessuali e di genere) e alla violenza maschile figurano tra le urgenze della realtà pugliese. In realtà, esse si collocano da tempo tra le politiche di sostegno a tutela dei soggetti deboli, ossia di quelle specifiche politiche tendenti a garantire forme di tutela flessibili e conciliabili alle esigenze di una determinata categoria in palese difficoltà nell’esercizio dei propri diritti[19]. Con riguardo alla conciliazione famiglia-lavoro, la legge n. 7/2007[20] ha ottenuto un positivo riscontro, offrendo una base normativa per servizi e iniziative in grado di assicurare effettive chance di pari opportunità e rideterminare il profilo delle città intorno alla vivibilità e alla qualità della vita delle donne e degli uomini. Al contempo, tale legge compie un importante passo in avanti verso un sistema organico sulle politiche di genere; la Puglia, infatti, si distingue per essere l’unica realtà regionale nella quale la conciliazione è presente come ambito di  promozione sia nella normativa sulle politiche sociali sia in quella relativa alle politiche di genere. Al fine di conciliare le due sfere, la legge sopraindicata ha messo in campo una gamma di ingenti interventi, tra cui il “Piano Straordinario per gli asili nido e servizi per la prima infanzia”; la prima dote per i nuovi nati, pensata per offrire un supporto concreto ai nuclei familiari caratterizzati da disagi economici, così da fornire un aiuto pratico per fronteggiare le spese collegate al lavoro di cura e di crescita dei figli di età inferiore ai tre anni; i voucher di conciliazione per l’acquisto di servizi di cura, volti a favorire l’accesso o il rientro delle donne nel mercato del lavoro, ovvero creare i presupposti per migliorare la loro condizione lavorativa. In particolare, la stessa è intervenuta sulla cooperazione dei diversi attori locali, attraverso il sostegno alla definizione dei c.d. Patti Sociali Territoriali di Genere, nonché uno degli esperimenti più rilevanti delle politiche territoriali compiuti in Italia[21]. Si tratta di accordi tra Istituzioni, sistema scolastico, organizzazioni sindacali e imprenditoriali per stimolare la sperimentazione di formule di organizzazione lavorativa che favoriscano la conciliazione e l’equa distribuzione del lavoro di cura tra i sessi. Sulla stessa scia, il Programma Operativo FESR - FSE 2014 -2020 si propone di attuare azioni specifiche e trasversali tesi anche a rendere più accessibili servizi educativi per l’infanzia, servizi di sostegno per la disabilità e per la vecchiaia ed altre prestazioni sociali, in modo tale da incoraggiare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, nonchè promuovere una cultura basata sulla condivisione delle responsabilità familiari. Partendo dal presupposto che modelli organizzativi family friendly e misure di welfare aziendale possano garantire l’equilibrio tra le due sfere, la Regione Puglia ha dato avvio a due interventi: “Attivazione di un Piano di Innovazione Family Friendly nelle PMI”, indirizzato alle micro piccole e medie imprese e ai liberi professionisti per introdurre al loro interno misure di welfare aziendale e flessibilità oraria e organizzativa a beneficio delle risorse umane  nelle stesse occupate; “Promozione del welfare aziendale e della flessibilità nelle PMI”, rivolto agli enti bilaterali per fare conoscere alle imprese lo spettro delle possibilità legate al welfare aziendale e alla conciliazione vita-lavoro ad esse destinate.

La molteplicità degli interventi rivela la consapevolezza da parte delle Istituzioni pugliesi che gli sforzi diretti a conseguire una migliore integrazione tra ambito lavorativo e ambito familiare risultino di fondamentale rilevanza per affrontare talune problematiche sociali: entrando nel dettaglio, i mutamenti avvenuti nella composizione del mercato del lavoro con le innovative modalità di organizzazione, la definizione di un nuovo welfare sociale ed i cambiamenti della struttura della famiglia, la ripartizione del lavoro di cura tra donne e uomini, gli sviluppi demografici[22]. In tale prospettiva, la crisi sanitaria avrebbe potuto rappresentare una preziosa occasione per ripensare gli approcci e gli interventi compiuti in tema di conciliazione non solo sul piano nazionale ma anche regionale, a fronte di un tasso di occupazione femminile in progressiva flessione nel Mezzogiorno; al contrario, le scarse misure emergenziali introdotte (il “congedo straordinario”, previsto per i genitori lavoratori con figli minori di dodici anni, coperto economicamente con un’indennità pari al 50%; il “bonus baby sitting”, del quale potevano beneficiare soltanto limitate categorie di lavoratori) sembrano riversare – ancora una volta – sulle donne gli oneri e la soluzione dei bisogni educativi e di socialità dei figli, costringendo esse a rinunciare al proprio posto di lavoro. Alla luce di ciò, la Regione Puglia è tenuta a frenare l’emorragia occupazionale al femminile[23], nonché a progettare una riconfigurazione del tessuto sociale, soffermando l’attenzione sulla vulnerabilità[24]. È importante marcare come la conciliazione tra la sfera familiare e quella professionale costituisca sia una condizione necessaria per rimuovere elementi di disuguaglianza a detrimento delle donne nel mondo del lavoro, sia un fattore di promozione culturale dell’uguaglianza di uomini e donne nelle varie dimensioni della vita[25]. Particolarmente interessante risulta – a parere di chi scrive – la costituzione dei c.d. “Distretti-famiglia”, adottati originariamente dalla Provincia Autonoma di Trento[26], ossia una rete economica e culturale su base territoriale entro la quale forze differenti operano per migliorare il benessere della famiglia, mediante l’introduzione ed il rafforzamento dei servizi alla medesima dedicati. Interventi del genere potrebbero rappresentare l’occasione per innescare una rivoluzione culturale in grado di favorire una concreta emancipazione delle donne, che conduca al superamento della questione femminile nel Mezzogiorno.

Con riferimento alla violenza maschile, la pandemia ha contribuito ad accentuare i deficit strutturali regionali, ricordando che la violenza contro le donne rappresenta un “problema di salute di proporzioni globali enormi”[27], oltre che una grave violazione dei diritti umani. Prendendo atto dell’insufficiente copertura offerta dalla legge del 2007, la Regione Puglia si muove nell’ottica di consolidare e potenziare la rete dei servizi territoriali, in mancanza di un effettivo sistema integrato ed efficiente tra istituzioni e servizi. In tale senso, la legge regionale n. 29/2014[28] persegue l’obiettivo di superare la logica “progettuale” per avviare la costruzione di un sistema di reti territoriali in grado non solo di concedere accoglienza, ma anche opportunità di ricostruzione di un progetto di vita. Nello spirito di prevenzione e contrasto della violenza di genere, un ruolo-chiave è assolto dai c.d. Centri Antiviolenza (CAV) e dalle case rifugio: i primi pianificano ed erogano attività di ascolto e accoglienza, assistenza, aiuto e sostegno destinati a donne vittime di violenza, sole o con minori, subita o minacciata, in qualunque forma; le case rifugio assicurano accoglienza e protezione alle donne vittime di violenza, sole o con minori, nell’ambito di un programma personalizzato di sostegno, di recupero e di integrazione sociale al fine di ripristinare la loro autonoma individualità, nell’assoluto rispetto della riservatezza e dell’anonimato. La centralità dei CAV e delle case di rifugio trova piena conferma nel monitoraggio annuale sugli accessi delle donne vittime di violenza eseguito dall’Ufficio statistico insieme al Servizio Minori, Famiglie e Pari Opportunità e Tenuta Registri[29]. Lo stesso focus, però, rivela che solo sul finire del 2021[30] si è registrato un aumento delle denunce da parte delle donne (+ 4,8 %): nel contesto dell’emergenza sanitaria, i CAV, pur potenziando le prestazioni da erogarsi con risposta telefonica, hanno interrotto le ordinarie prestazioni di sportello, i colloqui in presenza e le attività esterne implicanti assembramenti; nel medesimo periodo sono stati sospesi altresì nuovi ingressi nelle case rifugio e gli incontri in luogo neutro compresi gli “spazi neutri”. Dallo scenario delineato scaturisce l’urgenza di supportare maggiormente le reti antiviolenza nei lunghi e complicati percorsi di fuoriuscita dalla violenza; pertanto appare necessario investire sul programma antiviolenza, quale strumento integrativo delle misure specifiche di intervento attuate a livello locale, ideato per riconoscere ed esaltare il contributo imprescindibile dei Centri Antiviolenza e per sostenerne le attività, essendo quest’ultimo il soggetto attuatore del programma. A prescindere dagli obiettivi perseguiti, il tratto peculiare del suddetto strumento risiede nella possibilità di mettere a punto forme di partenariato con le aziende sanitarie locali, con ulteriori enti pubblici, con gli organismi di parità, con i servizi per l’impiego e con le associazioni femminili operanti nel settore specifico, con le imprese sociali che pongano il contrasto alla violenza su donne e minori tra gli scopi prevalenti.

Ben più faticoso è il lavoro che attende la Regione Puglia circa il contrasto della violenza e delle discriminazioni riconducibili all’orientamento sessuale e al genere. In particolare, oggi urge puntare sull’accoglienza e sull’inclusione delle persone LGBTI, in assenza non solo di un quadro normativo ad hoc, ma anche di specifici progetti di inclusione sociale, al fine di non isolare la predetta categoria. Esemplare è l’attivismo dell’Emilia-Romagna che, con legge n. 15/2019[31], riconosce “il diritto all’autodeterminazione di ogni persona in ordine al proprio orientamento sessuale […]” (art. 1, co. 2), assicurando “l’accesso ai servizi e agli interventi ricompresi nelle materie di competenza regionale senza alcuna discriminazione determinata dall'orientamento sessuale […]”; la medesima – con gli enti locali – “promuove parità di trattamento di ogni orientamento sessuale anche mediante il contrasto degli stereotipi discriminatori e di un linguaggio offensivo o di dileggio” (art. 2, co. 2), intendendo per “stereotipi discriminatori” “i pregiudizi che producono effetti lesivi della dignità, delle libertà e dei diritti inviolabili della persona, limitandone il pieno sviluppo” (art. 2, co. 3).

In via definitiva, le criticità segnalate suggeriscono che il rischio è quello di deludere le aspettative proprio in relazione a quelle che da tempo costituiscono priorità per la Regione Puglia. L’Agenda di Genere è chiamata a risolvere le predette criticità, nonché a ribaltare i tragici dati diffusi a livello regionale sul finire dell’emergenza sanitaria: in questa lunga fase di sospensione della normalità, il genere femminile nelle aree meridionali ha pagato un prezzo alto, finendo per essere isolato e ignorato. La pandemia, però, non ha mostrato qualcosa di realmente nuovo o imputabile all’emergenza in quanto tale, offrendo piuttosto “l’occasione di vedere in una luce diversa quanto la quotidianità mantiene in ombra”[32]; il primo insegnamento lasciato dalla stessa è quello di cambiare quanto dovuto, partendo proprio dai deficit regionali. 

 

5. “GENEREinCOMUNE”

L’impegno della Regione Puglia nella lotta al contrasto di divari di genere ormai radicati non si arresta nell’adozione del documento di programmazione strategica, agendo altresì nella direzione di promuovere presso il sistema dei Comuni la cultura di genere, nonché creare condizioni favorevoli per la strutturazione o il potenziamento di azioni di sistema efficaci al fine dell’integrazione trasversale dei principi di pari opportunità. In linea con le politiche e gli interventi già esaminati, la realtà pugliese intende individuare, mediante procedura selettiva valutativa con graduatoria, un numero ingente di progetti sperimentali (pari a sessanta), presentati dai Comuni pugliesi interessati. All’Avviso pubblico possono rispondere i Comuni in forma singola o associata (sino ad un massimo di cinque) che, alla data di presentazione dell’istanza di contributo, abbiano approvato il progetto elaborato e l’eventuale formalizzazione dell’intento di associarsi. Per ciascun progetto è ammesso un solo contributo (pari a 6.000,00 euro), la cui erogazione avviene in modalità frazionata[33]. L’azione “GENEREinCOMUNE”, che vede Regione Puglia e Anci Puglia cooperare in modo sinergico per fornire agli enti locali un supporto strategico e operativo con l’intento di promuovere la diffusione delle politiche di genere nelle azioni di governo territoriale, implica la trattazione dei seguenti aspetti: l’effettiva efficienza di organi ed uffici di parità interni al sistema amministrativo; la crescita di una coscienza comune in materia di parità di genere a livello territoriale. Relativamente al primo aspetto, l’Avviso pubblico ammette tra i beneficiari i Comuni pugliesi che abbiano già formalmente istituito ovvero previsto normativamente appositi organi ed uffici di parità, finalizzati a promuovere la formazione e/o aggiornamento professionale e a stimolare l’adozione di azioni di sistema. Tra di essi rientra la Commissione per le Pari Opportunità, individuata quale strumento operativo dai Comuni al fine di garantire parità a tutti i cittadini di ambedue i sessi e di compiere azioni positive per valorizzare la figura femminile nella gestione della vita della comunità e per favorire l’equilibrio delle rappresentanze ai sensi dei rispettivi Statuti[34]. La necessità di riservare particolare attenzione a tale organismo permanente interno all’amministrazione comunale prende le mosse dalle funzioni conferite allo stesso che, pur distinguendosi a seconda della diverse realtà, sfociano nella volontà di contribuire alla concreta attuazione dei principi di uguaglianza e di parità fra tutti i cittadini così come sancito dall’art. 3 della Costituzione. A livello regionale, si registra uno squilibrio in relazione all’operato assolto negli ultimi anni dalle Commissioni per le Pari Opportunità dei diversi Comuni pugliesi: mentre taluni organismi permanenti risultano particolarmente attivi nella realizzazione di iniziative volte a contrastare le disparità di genere, altri invece sembrano agire meramente in occasione di specifiche ricorrenze[35]. Se è vero che talune circostanze aiutano a risaltare la questione femminile, è altrettanto vero che non si può pensare di risolvere quest’ultima senza una presenza costante ed un ventaglio di interventi diretti a rimuovere gli ostacoli di ordine economico, sociale, culturale e istituzionale, intervenendo sui modelli culturali e sociali di genere. Oggi, preme affrontare i temi dell’uguaglianza e della lotta contro le discriminazioni nella consapevolezza di dover invertire la rotta, nonché di fare crescere uno spirito di solidarietà che induca ad cambiamento definitivo; le conseguenze scaturite dalla pandemia devono indurre a riflettere seriamente sulla reale condizione dei “diritti”, specialmente dei diritti delle donne.

Infine, con riferimento al secondo aspetto, quella denominata “GENEREinCOMUNE” si sostanzia anche in una azione di promozione e diffusione della cultura di genere, nonchè in una presa di coscienza sull’importanza di difendere i “diritti” a livello locale. La parità di genere, dunque, diviene un elemento imprescindibile per la crescita di un territorio, che non ammetta differenze e valorizzi le potenzialità di ogni individuo. La realizzazione del benessere di una comunità, infatti, dipende necessariamente dallo sviluppo delle capacità delle donne e degli uomini appartenenti ad un dato territorio. In tale senso, vi è chi ritiene che l’uguaglianza di genere sia collocata all’interno dello sviluppo umano, inteso come “uno spazio sociale, agito da uomini e donne, dotati di molteplici capacità che richiedono risorse, diritti, libertà per essere formate ed effettivamente utilizzate in funzionamenti sociali […]. L’attenzione viene posta in ciò che uomini e donne fanno e sono, piuttosto che in ciò che hanno”[36]. Le predette considerazioni riportano al reale problema rimasto ancora irrisolto, ossia quello dell’irragionevole atteggiamento di indifferenza assunto nei confronti delle donne a livello locale, che si concretizza nella perifericità della presenza femminile.

 

6. Conclusioni

Giunti a tale punto, appare doveroso compiere minime considerazioni circa l’oggetto di tale operato. Nel complesso, l’Agenda di Genere, proponendo un approccio trasversale a tutte le politiche, figura come un documento di visione strategica particolarmente ampio, partendo dalla ferma volontà dei principali attori regionali implicati di dare attuazione ad un progetto ambizioso orientato al superamento dei divari tra i generi e ad una completa partecipazione delle donne alla vita sociale, economica e culturale, nella consapevolezza di non poter assistere ad uno sviluppo del territorio in mancanza di parità. A destare forte perplessità – a giudizio di chi scrive – non sono gli interventi di sistema programmati in sé, bensì le modalità di attuazione dei medesimi, rispetto ai quali non sussiste puntuale e specifica traccia. Si avverte, infatti, la necessità di proporre interventi diretti a riprendere vecchi e nuovi problemi cruciali, individuando le modalità più pertinenti e semplici per risolverli. Tuttavia, oggi preme muoversi specialmente nella direzione di una “riscrittura” dello Statuto Regionale, affinchè questo contenga chiari principi di democrazia paritaria.  Nel 2015, tale proposta è stata avanzata dagli Stati Generali delle Donne della Basilicata, quale importante occasione per richiedere alle autorità regionali e territoriali garanzie di costruzione di “città e territori intelligenti”, di “città e territori sempre più smart”, tramite processi innovativi che, facendo leva sul possesso di valori, saperi e tradizioni locali di cui le donne da sempre risultano custodi, favoriscano la crescita di capacità e competenze per il trasferimento, la programmazione e l’attuazione di politiche originali in tema di pari opportunità di genere[37].

Al contempo, si ritiene opportuno ricordare che una parità effettiva potrà essere ottenuta solo ove il cambiamento “formale” sarà accostato da un processo “sostanziale”, essendo impraticabile l’idea di raggiungere l’obiettivo di una democrazia paritaria esclusivamente sul versante normativo[38]. In tale senso, il fine primario è quello di innescare una dinamica positiva che consenta di far crollare le strutture antiquate ancora radicate e, al contempo, permetta un rinnovo della visione della donna e non del suo ruolo; parlare di uno specifico ruolo presuppone l’esistenza di una netta divisione di compiti, un certo campo di azione definito[39]. A prescindere da stereotipi e pregiudizi, il primo passo da compiere nell’ottica di un profondo mutamento culturale e del raggiungimento di una parità effettiva è quello di prendere atto di una realtà ancora lontana da quella auspicata in Assemblea Costituente.  Alla politica si richiede di proseguire il cammino del cambiamento acquisendo maggiore coraggio, al fine di giungere all’implementazione di un modello di società in cui la figura femminile possa affermarsi ed esprimere al meglio le sue potenzialità, uscendo così dalla condizione di inferiorità ancora tristemente occupata all’interno della stessa. Come ben osservato in dottrina, l’approccio del “non è mai troppo presto” è più che mai necessario in tale delicato campo[40], soprattutto in termini di riduzione del profondo divario tra Nord e Sud (“la distanza (del Mezzogiorno) rispetto al resto dell’Italia è la più grande distanza tra un’area in via di sviluppo e un’area sviluppata nell’ambito dell’Unione Europea”)[41].

 

[1] L. Bianchi, G. Provenzano (a cura di), La condizione e il ruolo delle donne per lo sviluppo del Sud, Svimez. Associazione per lo Sviluppo Industriale del Mezzogiorno, 17 febbraio 2012.

[2] Così, A. Civita, L. Pietropaolo, D. Montaruli, Disuguaglianza di genere e politiche di intervento in Puglia, in Autonomie locali e servizi sociali, n. 2, 2013.

[3] Risoluzione del Parlamento europeo del 21 gennaio 2021 sulla prospettiva di genere nella crisi COVID-19 e nel periodo successivo alla crisi (2020/2121(INI)); Bruxelles, 5.3.2020 COM(2020) 152, Un'Unione dell'uguaglianza: la strategia per la parità di genere 2020-2025, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni; Risoluzione del Parlamento europeo del 30 gennaio 2020 sul divario retributivo di genere (2019/2870(RSP)); Direttiva (UE) 2019/1158 relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza; Direttiva 2010/41/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 luglio 2010, sull'applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un'attività autonoma e che abroga la direttiva 86/613/CEE del Consiglio; Direttiva 2010/18/UE del Consiglio, dell'8 marzo 2010, che attua l'accordo quadro riveduto in materia di congedo parentale concluso da BUSINESSEUROPE, UEAPME, CEEP e CES e abroga la direttiva 96/34/CE; Direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego; Direttiva 2004/113/CE del Consiglio, del 13 dicembre 2004, che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura.

[4] Dipartimento Pari Opportunità, Strategia Nazionale per la Parità di Genere, luglio 2021; Decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80, Misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, in attuazione dell'articolo 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183; Legge 28 giugno 2012, n. 92 – Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita; Legge 23 novembre 2012, n.215 – Disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali (…) nella composizione delle commissioni di concorso nelle P.A.; Legge 20 luglio 2011, n.120 – Modifiche al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, concernenti la parità di accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in mercati regolamentati; Legge 4 novembre 2010, n.183 – cd “Collegato Lavoro” Deleghe al Governo in materia di (….) occupazione femminile (…); Decreto Legislativo 25 gennaio 2010, n.5 “Attuazione della direttiva 2006/54/CE relativa al principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego; Legge 24 febbraio 2006, n. 104 – Modifica della disciplina normativa relativa alla tutela della maternità delle donne dirigenti; Decreto Legislativo 11 aprile 2006, n. 198 – Codice delle pari opportunità tra uomo e donna.

[5] Il lavoro di redazione dell’Agenda di Genere si è tradotto in un ampio e fruttuoso percorso partecipativo (14 maggio-27 luglio 2021), articolandosi in tredici incontri con il partenariato e con le organizzazioni e reti per la parità di genere, oltre che in molteplici eventi contemporanei.

[6] I. De Cesare, Il lavoro delle donne alla prova della pandemia. L’inattuazione del progetto costituzionale, in Nomos-Le attualità del diritto, n. 1, 2022, p. 2.

[7] Così, M. McBritton, Per un’identità delle appartenenze, in Etiche e politiche di genere. Atti dei seminari di studio in occasione del ventennale di istituzione del Comitato Pari opportunità, Bari, 2010, p. 44.

[8] Così, V. Fiorino, Il genere della cittadinanza. Diritti civili e politici delle donne in Francia (1789-1915), Roma, 2020, p. 9.

[9] Sul punto, Merico, Rappresentazione e spazi della cittadinanza femminile, in Segni e comprensione, n. 51, 2004, p. 1, sostiene che “l’elaborazione del concetto di cittadinanza, così come è giunto a noi, svela molto delle dinamiche sottese ai modi attraverso cui si sono andati costruendo i contenuti della mascolinità nei diversi contesti storico-sociali dell’occidente europeo”. A. Del Re, Cittadinanza politica e questioni di genere, in P. Fantozzi (a cura di) Potere politico e globalizzazione, Roma, 2004, p. 57, afferma che “sempre di più viene travalicata la soglia della cittadinanza come affermazione di diritti e quindi, espansiva di libertà, come poteva apparire nel xix e xx secolo, verso una concezione della cittadinanza come limite, frontiera per escludere altri”.

[10] S. Gherardi, Il genere e le organizzazioni, Milano, 1998, p. 10 ss.

[11] Così, A. Simonati, La ‘cittadinanza di genere’: le nuove frontiere dell’uguaglianza fra uomini e donne, in Nuove Autonomie, n. 2, 2022, p. 711.

[12] Come osservato da S. Gherardi, B. Poggio, Pratiche di conciliazione: tra fluidità del lavoro e trappole di genere. Intervento presentato al convegno Convegno nazionale ed europeo CIRSDe: che genere di conciliazione tenutosi a Torino nel 28-29 maggio 2003, Torino, 2003, p. 6.

[13] Così, F. Monceri, Le illusioni del genere e le sfide della cittadinanza, in F. Corsini, F. Monceri (a cura di), Schegge di genere. Dagli stereotipi alla cittadinanza, Pisa, 2013, p. 193.

[14] Legge regionale 2 aprile 2009, n. 16 (“Cittadinanza di genere”). In particolare, l’art. 7 stabilisce che la Regione “indice annualmente una giornata dedicata alle tematiche delle pari opportunità denominata Forum della cittadinanza di genere, come momento di confronto aperto a tutti i soggetti, istituzionali e non, che hanno tra i propri obiettivi il raggiungimento delle pari opportunità fra donne e uomini”.  

[15] Legge regionale 27 giugno 2014, n. 6 (“Legge quadro per la parità e contro le discriminazioni di genere”).

[16] Legge regionale n. 14 del 23 novembre 2016 (“Norme per le politiche di genere e per una civiltà delle relazioni tra donne e uomini”).

[17] R. Pace, Identità e diritti delle donne. Per una cittadinanza di genere nella formazione, Firenze, 2010, p. 124.

[18] L. Luce, Il tempo della differenza. Diritti e doveri civili per i sessi. Per una rivoluzione pacifica, Roma, 1998; Id., La democrazia comincia a due, Torino, 2004.

[19] A.S. Bruno, Soggetti deboli (e politiche di non discriminazione), in G. Campanelli, M. Carducci, I. Loiodice, V. Tondi Della Mura (a cura di), Lineamenti di diritto costituzionale della regione Puglia, Torino, 2016, p. 127.

[20] Legge regionale 21 marzo 2007, n. 7 (“Norme per le politiche di genere e i servizi di conciliazione vita-lavoro in Puglia”).

[21] Sul tema, si veda V. Bavaro, Tempi sociali e organizzazione del lavoro: i Patti Sociali di Genere, in V. Bavaro, U. Carabelli, G. Sforza, R. Voza (a cura di), Tempo Comune; conciliazione di vita e lavoro e armonizzazione dei tempi della città, FrancoAngeli, Milano, 2009.

[22] C. Clemente, La conciliazione tra lavoro e vita familiare nelle politiche di genere della Regione Puglia, in A. Civita, P. Massaro (a cura di), Devianza e disuguaglianza di genere, Milano, 2011, p. 74.

[23] Il predetto fenomeno ha generato forte timore a livello europeo e nazionale. Sulla spinta della campagna europea Half of it è stata promossa l’iniziativa “Donne per la Salvezza”. Nel manifesto dell’iniziativa affiora l’obiettivo di “salvare il Paese attraverso il talento e le capacità femminili”, anche tramite la formulazione di proposte volte al riequilibrio di genere nelle politiche legislative ed economico-sociali, in occasione della redazione della prima versione del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza.

[24] B. Poggio, Se il virus non è democratico. Squilibri di genere nella pandemia, in Sociologie, Vol. I, n. 1, 2020, p. 48.

[25] B. Caponetti, La conciliazione vita/lavoro nel sistema italiano: azioni positive nazionali e sistemi regionali, in M. Faioli, L. Rebuzzini (a cura di), Conciliare vita e lavoro: verso un welfare plurale, Roma, 2010, p. 83.

[26] Legge provinciale 2 marzo 2011, n. 1 (“Sistema integrato delle politiche strutturali per la promozione del benessere familiare e della natalità”).

[27] Violence Against Women Prevalence Estimates, 2018 – World Health Organization.

[28] Legge regionale 4 luglio 2014, n. 29 (“Norme per la prevenzione e il contrasto della violenza di genere, il sostegno alle vittime, la promozione della libertà e dell'autodeterminazione delle donne”).

[29] Nell’arco del 2022 sono state 2.258 le donne che si sono rivolte ai Centri antiviolenza pugliesi. Il numero di accessi è leggermente inferiore, di 18 unità, rispetto a quello dell’anno precedente che registrava 2.276 unità. Le donne allontanate per motivi di sicurezza e messe in protezione presso le case rifugio sono state 120, dato di poco superiore a quello registrato nel corso del 2021.

[30] Come riportato P. Demurtas, C.  Peroni, Nuove emergenze e vecchi problemi. Centri antiviolenza e Covis-19, in P. Demurtas, M. Misiti (a cura di), Violenza contro le donne in Italia. Ricerche, orientamenti e buone pratiche, Milano, 2021, p. 61 ss., le minore richieste di aiuto sono da addebitare ad un insieme di fattori, tra i quali il maggiore controllo delle donne dovuto alla convivenza h24 con partner violenti; la paura di essere scoperte e scatenare ulteriore violenze; il maggior isolamento vissuto durante il lockdown e la minore consapevolezza sull’attività dei servizi presenti sul territorio.

[31] Legge regionale 1 agosto 2019, n. 15 (“Legge regionale contro le discriminazioni e le violenze determinate dall'orientamento sessuale o dall’identità di genere”).

[32] Così, B. Pezzini, Esterno e interno nella pandemia: persistenza e risignificazione degli spazi pubblici e domestici dal punto di vista di genere in tempi di lockdown, in BioDiritto, n. 3, 2020, p. 11.

[33] Entrando nello specifico, l’erogazione del contributo è effettuato secondo le seguenti modalità: anticipo (pari al 70% del valore del contributo, ovvero euro 4.200,00 entro tre mesi dalla data della comunicazione di concessione del contributo, previa comunicazione di avvenuto avvio delle attività”; saldo (pari al 30% del valore del contributo, ovvero euro 1.800,00 entro tre mesi dalla trasmissione della relazione finale).

[34]  D.lgs. 31 luglio 2003, n. 226 (“Trasformazione della Commissione nazionale per la parita' in Commissione per le pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell'articolo 13 della legge 6 luglio”). D.lgs. 11 aprile 2006 n. 198 (“Codice delle pari opportunita' tra uomo e donna, a norma dell'articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246”), aggiornato con l. 5 novembre 2021, n. 162 (“Modifiche al codice di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, e altre disposizioni in materia di pari opportunita' tra uomo e donna in ambito lavorativo”).

[35] “Un rituale e stereotipato omaggio finirebbe solo per suonare come ulteriore indice di emarginazione e di inferiorità” (Direzione di Questione Giustizia, Non solo l'8 marzo. Alcune riflessioni oltre la ricorrenza, in Questione Giustizia, 8 marzo 2023).

[36] Così, A. Picchio, Il Gender Auditing: concetti ed esperienze, in SCS Azioninnova Consulting. Studio di fattibilità per la costituzione del bilancio delle amministrazioni pubbliche in un’ottica di genere, 2003, p. 28.

[37] M.A. Fanelli, Stati Generali delle donne. Basilicata, in V. Maione (a cura di), Insiemesipuò. Gli stati generali delle Donne nelle regioni italiane, Milano, 2016, p. 41.

[38]  Sul punto, si veda M. D’AMICO, Audizione sul Disegno di legge n. 1785, Norme per la promozione dell’equilibrio di genere negli organi costituzionali, nelle autorità indipendenti, negli organi delle società controllate da società a controllo pubblico e nei comitati di consulenza del Governo, in Osservatorio AIC, n. 3, 2021, p. 8; L. Leo, Il marcato divario di genere nel contesto educativo (Nota a Corte cost. 4 gennaio 2022, n. 1), in Amministrazione in Cammino, 22 aprile 2021, p. 17. Al contempo, si ritiene impossibile negare la rilevanza degli strumenti normativi; in tale senso, P. Torretta, I diritti alle pari opportunità: uno sguardo alla legislazione regionale, in Federalismi, n. 3, 2009, p. 8, tiene a sottolineare che a tutte le nome sulla parità di genere è stato affidato il compito (di indubbia difficoltà) di sollecitare nella realtà politica (regionale e locale) un cambiamento di ordine culturale i cui frutti potranno vedersi solo nei tempi – certamente non brevi – di una consolidata applicazione ed osservanza”. 

[39] C. Carletti, M. Pagliuca, Parità ed empowerment di genere. Strumenti giuridici, programmi e politiche internazionali, regionali e nazionali, Roma, 2020, p. 215.

[40] Così, G.M. Cavaletto, A scuola di parità. Educare le giovani generazioni alla parità di genere, Milano, 2017, p. 13.

[41] È quanto affermato da Ignazio Visco, Governatore della Banca d’Italia, nel corso della Lectio magistralis “Economia, innovazione, conoscenza”, tenuta in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 2020-2021 del Gran Sasso Science Institute.