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La legge penale prevede solo per l’avvenire: incostituzionale la retroattività della spazzacorrotti

spazzacorrotti
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Abstract

Il presente contributo esamina in chiave attuale la pronuncia dalla Corte Costituzionale in ordine alle questioni sollevate dai Giudici di merito sull’applicazione retroattiva delle norme contenute nella Legge n. 3 del 2019; in particolare, la mancanza di una cd. disciplina transitoria che impedisse l’applicazione della nuova novella ai condannati per un reato commesso prima dell’entrata in vigore della legge n. 3/2019.

 

Indice:

1. Premesse

2. Modifiche introdotte dalla Spazzacorrotti

3. La posizione della Corte Costituzionale

4. Conclusioni

 

1. Premesse

La Legge n. 3 del 2019, recante "Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici", la c.d. Spazzacorrotti, ha modificato la normativa dei reati contro la Pubblica Amministrazione, sia dal punto di vista del diritto sostanziale, configurando un aumento dei limiti edittali dei predetti delitti e sia dal punto di vista processuale.

A distanza di un anno dalla pubblicazione, il provvedimento continua, tuttavia, a destare polemiche e controversie, non solo in relazione alla nota questione del blocco della prescrizione dopo il giudizio – di assoluzione o condanna – di primo grado, ma anche in ordine alle modifiche apportate al sistema di accesso alle misure alternative alla detenzione, previste dall’ordinamento penitenziario.

Proprio in relazione all’accesso ai benefici in esecuzione di pena nei mesi scorsi erano sorte le prime questioni costituzionali sollevate da alcuni giudici di merito in ordine alla mancanza nella normativa di alcun riferimento temporale ed ai conseguenti dubbi relativi alla eventuale applicabilità retroattiva delle modifiche introdotte.

Come si vedrà, in data 12 febbraio la Corte Costituzionale ha compiuto un primo passo per chiarire e delineare i confini applicativi della legge in esame, pubblicando un comunicato in cui si evidenzia e ribadisce in maniera chiara l’inapplicabilità della normativa per i casi antecedenti la stessa.

 

2. Modifiche introdotte dalla Spazzacorrotti

Prima di entrare nel merito della pronuncia emessa dai Giudici Costituzionali e dei risvolti che la stessa potrà avere su tutta la normativa in esame, risulta opportuno ricordare le modifiche introdotte dalla Legge n. 3 del 2019 in materia di ordinamento penitenziario.

In primo luogo, il comma 6 dell’articolo 1 della Legge Spazzacorrotti ha aumentato il catalogo dei reati cosiddetti ostativi - quelli che, cioè, impediscono l’accesso ai benefici penitenziari disciplinati dalla Legge n. 354 del 26 luglio 1975, articolo 4 bisinserendo anche i delitti contro la Pubblica Amministrazione.

Attualmente, dunque, in materia di esecuzione della pena i reati di corruzione sono equiparati a quelli di terrorismo, eversione dell’ordine democratico, associazione mafiosa, schiavitù, prostituzione e pornografia minorile, violenza sessuale di gruppo, sequestro di persona a scopo estorsivo, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ed associazione a fini di contrabbando e allo spaccio di stupefacenti.

Come annotato da diversi commentatori ed autori, la novella in esame è sorta con il conclamato obiettivo di aggravare l’intero assetto normativo relativo ai delitti contro la Pubblica Amministrazione, sia dal punto di vista del diritto sostanziale, sia dal punto di vista del diritto processuale ed infine anche sotto proprio sotto il profilo dell’esecuzione della pena.

Una siffatta rigidità normativa risulta essere derogata solamente dalla previsione di un’eccezione per coloro che intendano collaborare con la giustizia, i quali – ancorché condannati definitivamente per uno dei suddetti delitti – potranno continuare a beneficiare della normativa in materia di misure alternative alla detenzione.

Una prima rilevante conseguenza dell’allargamento dei delitti previsti dall’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario riguarda la sospensione dell’ordine di esecuzione di una pena detentiva definitiva, istituto disciplinato dall’articolo 656 codice procedura penale ed a fronte del quale la pena detentiva, ancorché definitiva, è dichiarata sospesa se la stessa non supera un certo limite, che a seconda dei casi va dai 3 ai 6 anni.

Ebbene, il comma 9 del medesimo articolo disciplina il divieto di sospendere l’esecuzione dei casi previsti proprio dall’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario.

Dunque, attualmente i condannati per i reati corruttivi non solo non potranno accedere ai benefici previsti dalla normativa sul punto ma la loro pena detentiva, di qualsiasi durata, non potrà essere sospesa, con tutte le rilevanti conseguenze del caso.

È evidente che le modifiche introdotte siano davvero importati ed incidano sensibilmente sulla vita dei condannati per questi reati.

Proseguendo in ordine all’esame delle modifiche introdotte occorre annotare come il successivo comma 7 del medesimo ed unico articolo 1 della Legge 3 del 2019 abbia introdotto un limite alle ripercussioni positive sulla pena della misura dell’affidamento in prova, escludendo che l’eventuale esito positivo del periodo di prova estingua le pene accessorie.

Aldilà delle valutazioni di merito sulla bontà della riforma e sui reali benefici che la normativa potrà apportare, occorre rilevare come fin da subito siano sorti dei problemi di efficacia temporale delle modifiche su descritte, in quanto la Legge Spazzacorrotti sul punto tace.

In altre parole la normativa non prevede alcun limite temporale rendendo possibile un’applicazione retroattiva delle modifiche introdotte. La criticità deriva dalla questione – non ancora chiarita definitivamente – in ordine alla natura delle norme penitenziarie: se alle stesse viene conferita natura sostanziale, allora dovranno essere sottoposte ai principi contenuti nell’articolo 25, comma 2, della Costituzione ed articolo 2 codice penale, diversamente se viene esclusa la natura sostanziale della normativa penitenziaria, la stessa seguirà il principio del tempus regit actum.

I giudici di Merito e di Legittimità hanno iniziato, dunque, a confrontarsi con tale problematicità legata alla questione temporale: risulta superfluo annotare come l’interpretazione in uno o nell’altro senso porti con sé delle rilevanti conseguenze per il condannato.

Appare opportuno riportare alcune prime pronunce emesse dalla Corte di Cassazione proprio in materia di applicazione della nuova normativa con riferimento ai profili di temporalità.

Importante una sentenza di novembre 2019 con la quale gli Ermellini hanno sancito che “il provvedimento di sospensione dell'esecuzione della pena, legittimamente emesso ai sensi dell'articolo 656 codice procedura penale, non può essere revocato per effetto del sopravvenire di una legge che ampli il catalogo dei reati ostativi alla sospensione di cui all'articolo 4-bis l. 26 luglio 1975 n. 354, in ragione del generale principio del "tempus regit actum", in forza del quale un atto processuale (qui, la sospensione dell'ordine di esecuzione) validamente compiuto secondo la legge vigente al momento della sua venuta in essere è "insensibile" alle modifiche di disciplina posteriori” (Cassazione penale sez. I, 14/11/2019, n.1799).

Ancora, sul punto la medesima Corte di Cassazione ha confermato come “la fattispecie complessa, che nasce con l'emissione dell'ordine di esecuzione, secondo la disciplina in vigore al momento dell'emissione, produce effetti nella sfera del condannato che non possono essere modificati in maniera unilaterale e neppure cancellati attraverso interventi successivi”. Ad affermarlo è, come detto, una sentenza della Cassazione (Cassazione penale sez. I, 20/09/2019, n.48499) che segna un punto a favore della irretroattività della legge n. 3 del 2019, sottolineando l'impossibilità di procedere alla revoca della sospensione dell'ordine di esecuzione della pena emesso in data anteriore all'entrata in vigore della legge.

Altri giudici, di merito (GIP del Tribunale di Como, Tribunale di Napoli, Corte di Appello di Lecce, Corte di Appello di Reggio Calabria, Tribunale di Sorveglianza di Venezia, Tribunale di Brindisi) ma anche di legittimità (Cassazione Penale, Sez. I, Ordinanza, 18 luglio 2019, n. 31853), hanno invece ritenuto di dover sollevare la questione alla Corte Costituzionale per contrasto con gli articoli 25 comma II e 177 della Costituzione nonché con l’articolo 7 CEDU, per la mancata previsione di una clausola temporale e transitoria che faccia decorrere le modificazioni peggiorative dalla data in cui la medesima legge è entrata in vigore.

 

3. La posizione della Corte Costituzionale

In risposta alle cesure sollevate la Corte Costituzione ha emesso un comunicato (il cui deposito della relativa sentenza è previsto per le settimane successive) in data 12 febbraio u.s. in cui ha dichiarato che interpretazione fatta in ordine all’applicazione retroattiva delle norme contenuta nella Legge in esame è costituzionalmente illegittima con riferimento alle misure alternative alla detenzione, alla liberazione condizionale e al divieto di sospensione dell’ordine di carcerazione successivo alla sentenza di condanna.

I giudici della Consulta hanno ribadito in maniera chiara che l’applicazione retroattiva di una disciplina che comporta una radicale trasformazione della natura della pena e della sua incidenza sulla libertà personale, rispetto a quella prevista al momento del reato, è incompatibile con il principio di legalità delle pene, sancito dall’articolo 25, secondo comma, della Costituzione.

L’interpretazione fornita dalla Corte Costituzionale pone un primo punto chiarificatore in ordine alla questione su descritta relativa alla natura delle norme che incidono sull’esecuzione della pena: le stesse devono rispettare il principio di cui all’articolo 25 della Costituzione ed all’articolo 2 codice penale ed hanno, quindi natura sostanziale.

Le modifiche disposte dalla Legge Spazzacorrotti su descritte possono trovare applicazione, quindi, solo per i fatti posteriori alla pubblicazione del provvedimento stesso. Questo dato trova conforto dai principi Costituzionali in materia.

Ed infatti, una decisione in tal senso era auspicabile alla luce proprio di quanto disposto dal già citato articolo 25, comma 2 della Costituzione che pone il divieto di punire un soggetto se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione del fatto. D’altra parte, reminiscenze universitarie, riportano la mente a quella frase – ripetuta in modo asfissiante – la “legge penale prevede solo per l’avvenire!”

Questo rilevante principio di irretroattività della legge penale discende dal principio di legalità, di cui, insieme a quello di tassatività, fa da corollario. In altre parole, il cittadino al momento della commissione di un fatto di reato deve poter conoscere la legge penale sostanziale cui andrà incontro: peraltro, a livello generale, uscendo dal perimetro del diritto penale, il principio di irretroattività della legge è confermato dall’articolo 11 delle Preleggi, che sancisce – per l’appunto – che la legge non disponga solo – come annotato sopra - per l'avvenire, non potendo avere effetto retroattivo.

Alla luce di queste riflessioni sembra, dunque, scontata la recente decisione della Consulta in adesione ai principi costituzionali, tuttavia, come detto, l’importanza di tale provvedimento risiede nel fatto per il quale viene in qualche modo superata la questione in ordine alla natura sostanziale della normativa penitenziaria, che incide sulla libertà personale, ed è sottoposta ai limiti sopradescritti.

 

4. Conclusioni

In conclusione, appare opportuno accogliere con favore la prima pronuncia della Corte Costituzionale sul punto che finalmente mette chiarezza in ordine alla natura sostanziale delle norme che incidono sulla libertà della persona e sull’esecuzione della pena e, conseguentemente, sulla loro irretroattività se di natura sfavorevole.

In altre parole, sottoporre il condannato ad un sistema di accesso alle misure alternative più sfavorevole di quello vigente all’epoca della commissione del fatto, ed in relazione al quale il condannato ha fatto affidamento, significherebbe ledere il principio di legalità nel suo corollario di irretroattività della norma più sfavorevole e di certezza del diritto.