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La legittimazione processuale nel caso di declaratoria di fallimento della società

Paesaggio
Ph. Marta Stranges / Paesaggio

La legitimatio ad processum in appello assume rilievo - e deve, dunque, essere verificata - in relazione alla fase di notifica dell’atto di appello e non nella (successiva) fase di deposito dell’atto, in quanto quest’ultima è utile ai diversi fini della tempestiva costituzione in giudizio.

Il tema oggetto dell’odierno contributo, concerne la legittimazione processuale del fallito a proporre ricorso in appello, nel particolare caso in cui l’appello venga notificato in un momento precedente al deposito della sentenza dichiarativa del fallimento, e, poi, depositato in pendenza di fallimento.

Com’è noto, la dichiarazione di fallimento genera una serie di effetti giuridicamente rilevanti che interessano e caratterizzano la posizione giuridico-soggettiva del contribuente dichiarato fallito.

E invero, la dichiarazione di fallimento, pur non sottraendo al fallito la titolarità dei rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, comporta ai sensi della Legge Fallimentare, ex articolo 43, la perdita della sua capacità di stare in giudizio nelle relative controversie, spettando la legittimazione processuale esclusivamente al curatore (salvo che questi rimanga inerte, in tal caso il fallito conserva in via eccezionale la legittimazione ad agire per la tutela dei suoi diritti patrimoniali).

Tanto premesso, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza 8 maggio 2019, n. 12146, è tornata ad occuparsi del ruolo del contribuente fallito nel rapporto tributario, fornendo un ulteriore chiarimento sul momento in cui avviene la perdita della capacità processuale del fallito e i riflessi che questa assume in sede giudiziale. In particolare, al vaglio della Suprema Corte è stata posta la questione dell’ammissibilità o meno del ricorso in appello depositato da un soggetto per il quale, il medesimo giorno, era stata emessa sentenza dichiarativa di fallimento.

È opportuno, per poter meglio comprendere le ragioni che hanno portato la Suprema Corte a tale decisione, esporre il caso oggetto di contenzioso.

Ebbene, nel corso di una controversia con il Fisco - avente ad oggetto un avviso di rettifica del valore doganale di prodotti di cartoleria - accadeva che in relazione a una delle due società contro cui era stato emesso l’atto impugnato, entrambe già in liquidazione, interveniva declaratoria di fallimento con sentenza da parte del Tribunale, Sezione Fallimentare, che veniva emessa proprio lo stesso giorno in cui la società provvedeva al deposito dell’appello. Conseguentemente, giusta autorizzazione del Tribunale del 10 ottobre 2016, succedeva e si costitutiva in giudizio il curatore in data 4 novembre 2016. La vicenda processuale vedeva in primo grado, per questioni di merito, soccombente la società ricorrente le cui doglianze, in secondo grado, in riforma della sentenza dei primi giudici, venivano accolte.

Proponeva, dunque, ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Dogane, eccependo quale primo motivo la violazione degli articoli 22 e 53 Decreto Legislativo 546/92, in combinato disposto con gli articoli 16 e 43 del RD n. 267/1942 per non avere la CTR rilevato d’ufficio l’inammissibilità del ricorso in appello per carenza di legittimazione passiva, in quanto l’appello era stato depositato in data 10 dicembre 2015 ovvero proprio lo stesso giorno in cui era stata depositata la sentenza del Tribunale Ordinario– Sezione Fallimentare - con cui veniva dichiarato il fallimento della società.

Precisamente, secondo l’Ufficio, la legittimazione processuale, anche delle controversie in corso, spetta al solo curatore fallimentare proprio dal giorno del deposito della sentenza civile dichiarativa del fallimento, così rendendo “tamquam non esset” il deposito dell’atto di appello avvenuto contestualmente alla declaratoria di fallimento.

Tanto premesso, i giudici di legittimità, ritenendo infondate le conclusioni a cui era giunta l’Agenzia delle Dogane, con la sentenza de qua hanno posto l’attenzione sul momento determinativo - ai fini della verifica della legittimazione processuale - della proposizione del ricorso in appello, chiarendo il principio secondo cui “la legittimazione ad processum del ricorrente ad incardinare l’appello va verificata al momento della proposizione del ricorso ovvero della notifica di esso e non già al momento del deposito del ricorso notificato.

A tal proposito, la Suprema Corte, partendo dalle norme del processo tributario, hanno riconosciuto la legittimazione processuale della società in ragione del combinato disposto degli articoli 20 (rubricato “Proposizione del ricorso”) e 53 (rubricato “Forma dell'appello”) del Decreto Legislativo 546/92 laddove - in virtù del richiamo espresso formulato dall’articolo 53 cit, - il ricorso in appello deve essere proposto nelle forme di cui all' articolo 20 cit., che espressamente prevede “il ricorso è proposto mediante la notifica a norma del precedente articolo 16, co. 2 e 3 (…)”.

Da una lettura delle citate norme, dunque, emerge chiaramente che due sono gli adempimenti fondamentali per l’impugnazione di un atto: la notifica dell’atto di appello e il suo deposito.

Ebbene, secondo la sentenza in commento, il momento determinativo della legittimazione processuale va individuato nella fase di notifica dell’atto, non avendo alcuna incidenza la successiva fase di deposito che, invece, assume rilevanza ai fini della verifica della tempestiva costituzione in giudizio dell’appellante.

Nel caso di specie, dunque, essendo la declaratoria di fallimento successiva alla proposizione dell’appello con la notifica del ricorso “nessuna incidenza assume sulla legittimazione processuale della società (in concordato preventivo) la coincidenza della data di deposito della sentenza declaratoria di fallimento con quella del deposito nella segreteria della commissione tributaria(...)”.

Secondo i giudici di legittimità, dunque, non si è concretizzato alcun difetto di legittimazione processuale della società derivante dalla sopravvenuta dichiarazione di fallimento, in quanto la declaratoria di fallimento della società è intervenuta successivamente alla proposizione dell’appello, per cui la legittimazione processuale a tale data della società ancora in bonis è evidente, incontestata essendo poi la successiva costituzione del fallimento in corso di causa.

Sul punto la Suprema Corte, richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale, ha, inoltre, chiarito che l’eccezione relativa alla perdita della capacità processuale del fallito (conseguente alla dichiarazione di fallimento), essendo posta a tutela della massa dei creditori, ha carattere relativo e può essere rilevata dal solo curatore. Tale eccezione assume, tuttavia, carattere assoluto – così divenendo opponibile da chiunque e rilevabile anche d’ufficio – nel particolare caso in cui la curatela abbia dimostrato il suo interesse per il rapporto dedotto in lite.

Per mera completezza si precisa che la esclusiva legittimazione processuale del curatore (in seguito alla dichiarazione di fallimento) è derogata nel caso in cui lo stesso rimanga inerte: in tal caso il fallito conserva in via eccezionale la legittimazione ad agire per la tutela dei suoi diritti patrimoniali. Occorre, tuttavia, che l'inerzia del curatore sia stata determinata da un totale disinteresse degli organi fallimentari e non sia, invece conseguente ad una negativa valutazione di questi ultimi circa la convenienza della controversia (sul punto numerose sono le pronunce giurisprudenziali Cassazione S.U.. 24.12.09, n. 27346, Cassazione 25.10.13, n. 24159; Cassazione 6.7.16, n. 13814; Cassazione 2.2.18, n. 2626, Cassazione n. 13814/2016). Pertanto, non distonica si presenta la pronuncia della Suprema Corte di Cassazione n. 5392/2016, secondo cui "l'avviso di accertamento, concernente crediti fiscali i cui presupposti si siano determinati prima della dichiarazione di fallimento del contribuente, deve essere notificato non solo al curatore, ma anche al fallito, il quale conserva la qualità di soggetto passivo del rapporto tributario, pur essendo condizionata la sua azione all'inerzia della curatela, sicché, in caso contrario la pretesa tributaria dovrà considerarsi inefficace nei suoi confronti e l'atto impositivo non diventa definitivo, considerando che costui non è parte necessaria nel giudizio d'impugnazione instaurato dal curatore".

Ebbene, alla luce di quanto fin qui affermato si osserva che, sebbene la dichiarazione di fallimento non comporti la cessazione dell'impresa, questa provoca, tuttavia, la perdita della legittimazione processuale e sostanziale del suo titolare, nella cui posizione subentra il curatore fallimentare. Ne consegue, che gli atti del procedimento tributario formati in epoca successiva alla dichiarazione di fallimento del contribuente, devono indicare quale destinatario l'impresa assoggettata alla procedura concorsuale e, quale legale rappresentante della stessa, il curatore. È di tutta evidenza che una forte incidenza, dunque, assume la declaratoria di fallimento che funge da spartiacque in relazione alla legittimazione processuale laddove prima della suddetta sentenza legittimato ad processum è il ricorrente fallito; invece, successivamente alla sentenza, legittimato ad processum è il curatore.

Tale distinzione potrebbe, tuttavia, non è essere l’unica. E invero, occorrerà procedere ad un’ulteriore verifica nella particolare ipotesi - come quella oggetto della sentenza in commento– in cui la declaratoria di fallimento della società intervenga successivamente alla proposizione dell’appello mediante notifica (data in cui la società, ancora in bonis, è legittimata ad processum), ma prima del deposito.

Sul punto, si osserva che la legittimazione processuale ad incardinare il giudizio in appello rileva esclusivamente nella fase della proposizione dell’appello mediante notifica del ricorso, non assumendo alcuna incidenza nella successiva fase di deposito del ricorso notificato. A tal proposito, giova evidenziare che la legittimazione processuale assume incidenza e deve essere valutata nel momento della notifica del ricorso in appello e non già al momento del deposito del ricorso notificato, utile, invece, per la verifica della tempestiva costituzione in giudizio dell’appellante.

In conclusione, deve, quindi, ritenersi valido l’atto di appello che sia stato ritualmente e tempestivamente notificato da chi era dotato di legittimazione processuale al momento della notifica, non assumendo alcuna incidenza che la data di deposito nella segreteria della commissione tributaria sia coincisa con la data di deposito della sentenza di declaratoria di fallimento.