La legittimità della diagnosi pre-impianto
Con ordinanza del 17.12.2007, adottata dal Tribunale di Firenze ex art. 700 c.p.c. [1], è stata autorizzata la c.d. diagnosi pre-impianto sull’embrione creato tramite fecondazione in vitro. Non è la prima decisione in tal senso e infatti già il Tribunale di Cagliari (stavolta con sentenza, precisamente del 24.09.2007 [2]) si era espresso favorevolmente.
Qualcuno ha già accennato al fatto che i giudici in questione avrebbero violato le disposizioni della legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita [3]; si è parlato di decisione arbitraria e "sovversiva", contraria non solo alla legge, ma anche alla Costituzione, al diritto naturale, all’etica, alla dignità umana; taluno è arrivato a minacciare il ricorso alla Corte Costituzionale per "conflitto d’attribuzione", perché, a suo dire, i giudici avrebbero occupato un campo a loro precluso (quello legiferante) in violazione del supremo principio di "separazione dei poteri".
Ma è proprio così? Veramente i giudici avrebbero violato la legge, l’avrebbero "riscritta" o quanto meno male interpretata? Per rispondere a tale domanda bisogna comprendere:
1) il fatto sottoposto all’attenzione dei giudici toscani;
2) l’effettiva portata delle disposizioni della l. 40/2004 sulla p.m.a.
2. Il fatto e la decisione del Tribunale di Firenze
Il caso portato innanzi al collegio fiorentino riguarda una coppia sterile portatrice di una rara e grave malattia congenita, per la precisione l’ “esostosi multipla ereditaria” (nota anche con l’acronimo EME; per saperne di più si può consultare l’URL http://www.acar2006.org/contr02_06_EME.htm). Conscia dunque dei rischi che potrebbero esservi per l’embrione, la coppia chiede, attraverso l’emanazione di un provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c., il superamento del divieto di diagnosi genetica pre-impianto espressamente stabilito dalle Linee Guida ministeriali adottate ai sensi dell’art. 7 della legge 40 cit. La coppia chiede altresì di crioconservare, ossia di conservare tramite ibernazione in azoto liquido (meglio utilizzare codesta perifrasi, sebbene un po’ lunga, piuttosto che il grossolano e, per certi aspetti, macabro termine “surgelare”!) gli embrioni non utilizzati, fino a quando la diagnosi non sia stata effettuata, per essere poi reimpiantati non appena possibile.
Secondo la coppia, l’analisi e la procedura sopra descritte consentirebbero tra l’altro alla futura madre di prendere una decisione seria e ponderata al fine di portare avanti una gravidanza responsabile e consapevole, di cui anche all’art. 1 della legge 194/1978 sulla tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria di gravidanza.
Risultato: il Tribunale autorizza entrambe le cose e, si legge in dispositivo, “ordina al Centro di Fecondazione Assistita (omissis) di procedere alla diagnosi genetica pre-impianto degli embrioni creati tramite fecondazione in vitro dei gameti di (omissis) e di trasferire in utero solo gli embrioni sani o portatori sani rispetto alla patologia di cui soffre (omissis), con crioconservazione degli embrioni malati sino all’esito della tutela di merito, il tutto secondo le migliori regole della scienza in relazione alla salute della madre”.
3. I riferimenti normativi e le motivazioni
Prima di emettere giudizi affrettati, è assolutamente indispensabile conoscere il quadro normativo di
riferimento, che qui di seguito, brevemente, viene riportato:
* La legge 40/2004:
- L’art. 6 prevede anzitutto che prima del ricorso e in ogni fase di applicazione delle tecniche di p.m.a. il medico informa in maniera dettagliata i soggetti interessati (che devono essere maggiorenni di sesso diverso, coniugati o conviventi, in età potenzialmente
fertile, entrambi viventi) sui metodi, sui problemi bioetici e sui possibili effetti collaterali sanitari e psicologici conseguenti all’applicazione delle tecniche stesse, sulle probabilità di successo e sui rischi dalle stesse derivanti, nonché sulle relative conseguenze giuridiche per la donna, per l’uomo e per il nascituro. L’informazione è necessaria per garantire il formarsi di una volontà consapevole e consapevolmente espressa; tanto per capirci, ai fini della formazione del c.d. “consenso informato”, condizione di legittimità imprescindibile per ogni e qualsivoglia forma di trattamento sanitario (e la p.m.a. tale è), salvi i casi di trattamenti sanitari obbligatori per legge, ai sensi dell’art. 32 Cost. [4].
- L’art. 7 (rubricato "Linee guida") prevede che le linee guida contenenti l’indicazione delle procedure e delle tecniche di p.m.a. vengano definite dal Ministro della salute con proprio decreto, avvalendosi dell’Istituto superiore di sanità e previo parere del Consiglio superiore di sanità. Attualmente le linee guida sono contenute nel D.M. 8 giugno 2004.
- L’art. 13 vieta qualsiasi sperimentazione sull’embrione umano. La ricerca clinica e sperimentale è consentita «a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso, e qualora non siano disponibili metodologie alternative». La suddetta disposizione vieta anche «ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti ovvero interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio genetico dell’embrione o del gamete ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche, ad eccezione degli interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche…» [5].
- L’art. 14, comma 3, stabilisce che «qualora il trasferimento nell’utero degli embrioni non risulti possibile per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione è consentita la crioconservazione [6] degli embrioni stessi fino alla data del trasferimento, da realizzare non appena possibile». Il comma 5 garantisce agli interessati il diritto ad essere informati sul numero e, su loro richiesta, sullo stato di salute degli embrioni prodotti e da trasferire nell’utero.
§ Le linee-guida ministeriali, adottate ai sensi dell’art. 7 della l. 40/2004, prevedono che «ogni indagine relativa allo stato di salute degli embrioni creati in vitro, ai sensi dell’articolo 14, comma 5, dovrà essere di tipo osservazionale». Questa è dunque la cornice in cui ci si deve muovere. Ed entro tale cornice i giudici toscani così hanno ragionato:
- non v’è dubbio che le c.d. linee guida sono contenute in un decreto che ha carattere meramente esecutivo e cioè attuativo di disposizioni di legge che stabiliscono condizioni, principi, direttive e limiti di carattere generale, che vanno solo specificate attraverso una normativa tecnica di dettaglio, perché possano divenire in concreto operative;
- se così è, il decreto rientra a pieno titolo nell’ambito delle fonti secondarie, ergo subordinate alla legge;
- la legge 40 vieta sì la sperimentazione sugli embrioni, ma consente la ricerca clinica e sperimentale sul medesimo nel caso in cui essa sia indispensabile alla tutela della di lui salute e sviluppo, laddove dunque la finalità sia quella esclusivamente diagnostica e dunque individuante una grave malattia genetica o ereditaria etc. e, conseguentemente, terapeutica. Allo stesso modo è vietata ogni pratica eugenetica, ma è vietata come fine a se stessa, e non quando abbia le finalità suddette, cioè di tutela della salute dell’embrione (e quindi per eliminare o ridurre i rischi di contrarre gravi affezioni o malattie);
- però, per far sì che la ricerca di cui sopra abbia i suoi effetti positivi, deve essere consentito al medico di poter effettuare concretamente la diagnosi e la terapia. Ciò può essere reso possibile di fatto solo con una completa diagnosi pre-impianto, al pari di quella prenatale, possibile per la gravidanza naturale [7], e non solo con una diagnosi meramente osservazionale (che avrebbe ben poca efficacia [8]), come invece stabiliscono le linee guida, andando a limitare una disposizione legislativa e quindi una fonte di tipo gerarchicamente sovra-ordinato, cosa che è contro i principi generali del nostro ordinamento giuridico;
- ergo, le linee guida hanno dato un’interpretazione delle norme legislative in materia di sperimentazione sugli embrioni estremamente restrittiva, rappresentativa di un certo punto di vista, di un modo di pensare (in tal caso del Governo di allora), certo moralmente rispettabile, ma non in linea con i canoni esegetici del nostro ordinamento e non corrispondente alla ratio legis. Tale visione è tanto più ingiustificata se si pensa che linee guida dispongono su temi attinenti alle libertà e ai diritti fondamentali della persona, argomenti per i quali esiste una riserva assoluta di legge (v. per es. gli artt. 13, 14, 15, 32 Cost.), con l’ovvia conseguenza che il decreto che contiene le linee guida non potrà che essere normativa di dettaglio e a carattere puramente tecnico (come sopra detto);
- ergo ancora, le linee guida vanno disapplicate nella parte in cui si pongono in contrasto con le disposizioni di legge in virtù del principio della gerarchia delle fonti.
A ciò si aggiunga anche che la legge 40 prevede sanzioni severe in caso di violazione dell’art. 13. Si tratta di sanzioni penali (reclusione da due a sei anni e multa da 50.000 a 150.000 euro, con possibilità di aumento: v. art. 13, comma 4) e si sa che per esse vige il principio di legalità sotto il profilo della tassatività e del divieto di analogia (nonché, di estensione in malam partem). Orbene nulla è detto sulla tipologia e sulle modalità di diagnosi pre-impianto. Il che equivale a dire che essa è legittima in qualsivoglia forma venga posta in essere purché rispetti i limiti e le finalità stabilite dalla legge. Interpretando altrimenti la disposizione, verrebbe a sanzionarsi un comportamento non previsto dal legislatore, con buona pace del rispetto dei principi supremi del diritto penale (degno di uno Stato realmente liberale e democratico), quali per l’appunto quelli di tassatività e del divieto di analogia.
Aggiungasi ancora che, sempre diversamente ragionando, si verrebbe a discriminare la posizione del feto concepito naturalmente e quella dell’embrione creato con le tecniche della p.m.a. E cioè, se la diagnosi prenatale è consentita per il feto che si trova nel grembo materno (v. per es. art. 7 della l. 194/1978) e nessuno dubita della sua legittimità, non si vede perché esse non siano da consentirsi allo stesso modo per gli
embrioni in vitro prima che vengano impiantati nell’utero. Netta sarebbe la violazione del principio di eguaglianza ex art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza: la distinzione qui varrebbe discriminazione e
dunque del tutto ingiustificata e ingiustificabile sul piano dei principi generali dell’ordinamento costituzionale. Inoltre ancora una volta è bene chiarire che bene primario resta in ogni caso quello della salute psico-fisica della donna, della sua libertà e autodeterminazione ai fini di una gravidanza consapevole e
responsabile, già affermata dalla legge 194/1978. E la gravidanza assumerà siffatti connotati solo se la madre
sia messa in grado, su sua richiesta, di conoscere effettivamente i rischi cui potrebbe andare incontro il futuro
nascituro, quanto alla possibilità di essere portatore di gravi malattie genetiche ed ereditarie, con indubbi riflessi negativi (in termini di preoccupazioni, ansie, stress etc.) sulla salute psichica della donna. Senza obliare che un embrione "malato" potrebbe avere (come affermato dalla migliore scienza medica) conseguenze negative sulla stessa integrità fisica della madre, per es. cagionando improvvise e indesiderate interruzioni di gravidanza o aborti spontanei (con tutto ciò che, anche stavolta, ne deriverebbe per la salute psichica ed emotiva della gestante). Dignità, libertà e salute della donna prima di tutto, come anche affermò la Corte Costituzionale con una decisione ormai datata, ma quanto mai attuale: Ci si riferisce alla sent. n° 27/1975, nella quale la C.C. affermò che «il danno o pericolo conseguente al protrarsi di una gravidanza può essere previsto, ma non è sempre immediato e non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita, ma anche alla salute della madre che è già persona, e quello dell’embrione che persona deve ancora diventare» [9].
Non già dunque i giudici si sono posti contra legem, bensì essi hanno ricondotto la normativa nell’alveo che le compete, ristabilendo il diritto e i suoi principi, primo fra tutti quello di separazione dei poteri e di rispetto della gerarchia delle fonti, per il quale il Governo, nella sua attività normativa regolamentare e quindi di rango secondario e subordinato, deve meramente attuare le disposizioni legislative, caso mai integrandole e specificandole, ma non imporre una propria interpretazione o visione o ratio, derogando e innovando rispetto a quelli che risultano essere lo spirito e la portata originaria e originale della legge così come licenziata dal Parlamento. Insomma, il Governo, non il Tribunale di Firenze, ha invaso il campo riservato al Parlamento; di qui la disapplicazione della disposizione delle linee guida sull’indagine meramente osservazionale.
Siamo solo agli inizi e la tematica merita maggior approfondimento. Diritto, morale e scienza si intersecano inevitabilmente e la soluzione non è facile, laddove occorre conciliare esigenze diverse e talora contrapposte quali la libertà di coscienza, la libertà di ricerca scientifica, il rispetto dei diritti e delle libertà inviolabili dell’individuo e della sua dignità. Non si può apoditticamente stabilire quale istanza debba prevalere sempre e comunque a scapito delle altre, ma solo stabilire quando, in quali circostanze, entro quali limiti possa prevalere l’una o l’altra, affrontando a mente fredda e con animo sereno, senza isterismi, problematiche così complesse in ordine alle quali, lo si ribadisce, si è solo all’inizio del percorso e di strada da fare ce n’è ancora tanta. A maggior ragione se si pensa che anche il TAR del Lazio si è recentemente espresso in modo negativo nei confronti delle Linee guida, seguendo dunque il percorso già iniziato dai giudici cagliaritani e fiorentini [10].
Merita peraltro di essere segnalata Cass., Sez. I Pen., sent. 25.05.2007 n° 20673, reperibile all’URL http://www.altalex.com/index.php?idnot=37440, in base alla quale il ricorso alle tecniche di p.m.a. è consentito solo quando sia accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed è comunque circoscritta ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico, nonché di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico. Mentre non è possibile equiparare i suddetti requisiti al caso dell’impedimento al rapporto.
1 Il testo integrale è consultabile all’URL http://www.altalex.com/index.php?idstr=20&idnot=39813
2 Il testo integrale è consultabile all’URL http://www.altalex.com/index.php?idnot=38969&idstr=20
3 Si tratta della l. 19 febbraio 2004, n. 40, rubricata "Norme in materia di procreazione medicalmente assistita", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio 2004. Siffatta legge ha tentato di regolamentare la delicata e controversa materia dell’inseminazione artificiale ed è anche il primo provvedimento normativo in tal senso. Fino all’entrata in vigore della legge era stata la giurisprudenza a sopperire alle carenze di disciplina.
A oggi la l. 40/2004 si ispira ai principi, che qui di seguito vengono indicati in sintesi:
Ø il ricorso alla p.m.a. è consentito al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana, sempre che non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuoverne le cause e cioè solo quando sia accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione;
Ø è permessa solo l’inseminazione artificiale "omologa". Infatti, ai sensi dell’art. 4, comma 3, della l. cit. è vietato il ricorso a tecniche di p.m.a. di tipo eterologo, id est con donazione di seme o ovuli da parte di terzi, nonché risulta vietata la c.d. "surrogazione di maternità" (meglio nota come "utero in affitto");
Ø è indispensabile il consenso informato dei soggetti interessati (argomento sul quale si tornerà successivamente);
Ø la p.m.a. è consentita solo a coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi. In tal senso il ricorso alla p.m.a. risulta vietato ai single, ai minori e alle coppie omosessuali, così come, stando alla lettera della legge, alle coppie per le quali è stata dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio a seguito di scioglimento del medesimo (divorzio) o morte di uno dei coniugi o conviventi (divieto di impianto dell’embrione post mortem);
Ø le tecniche di p.m.a. possono essere attuate solo da strutture autorizzate dalle regioni e iscritte (obbligatoriamente) nel registro nazionale istituito con decreto del Ministro della salute presso l’Istituto superiore di sanità;
Ø è garantito il diritto all’obiezione di coscienza (sempre revocabile) al personale sanitario ed esercente le attività sanitarie ausiliarie che non intenda prendere parte alle procedure per l’applicazione delle tecniche di p.m.a.
Inoltre la legge è in toto diretta ad affermare una forte tutela di colui che venga concepito attraverso le tecniche di p.m.a. e dell’embrione. Non a caso:
Ø i nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di p.m.a. hanno lo stato di figli legittimi o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime;
Ø qualora si ricorra a tecniche di p.m.a. di tipo eterologo, nonostante il divieto di legge, il coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da atti concludenti non può esercitare l’azione di disconoscimento della paternità di cui all’art. 235 c.c. (essendosi recepiti in sostanza i principi stabiliti dalla sent. 22/09/1998, n° 347 della Corte Costituzionale e ribaditi da Cass., Sez. I civ., 22/09/1999, n°2315), né effettuare l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, di cui all’art. 263 c.c.; allo stesso modo il terzo donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi;
Ø la madre del nato a seguito dell’applicazione di tecniche di p.m.a non può dichiarare la volontà di non essere nominata a differenza di quanto previsto ai sensi dell’art. 30, comma 1, del d.P.R. 396/2000, per la procreazione naturale;
Ø è vietata qualsiasi sperimentazione sull’embrione umano, salvo che entro determinati limiti e per certe finalità (come si vedrà nel prosieguo della trattazione), salvi ancora taluni divieti assoluti (es. di clonazione o di ibridazione) e salvi pur sempre limiti all’applicazione delle tecniche di p.m.a. agli embrioni medesimi.
La violazione degli obblighi stabiliti dalla l. 40/2004 è punita talora in via amministrativa tramite sanzioni di tipo
pecuniario, talora tramite sanzioni penali, detentive, pecuniarie e accessorie (come la sospensione o addirittura
l’interdizione dalla professione medica).
4 "Art. 32.
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana".
Alcune brevi considerazioni si impongono.
Quanto al diritto alla salute, trattasi dell’’unico caso in cui il costituente ha usato l’aggettivo "fondamentale" in riferimento a un diritto dell’individuo, tale e tanta è l’importanza dello stesso, da intendersi come stato di benessere psico-fisico e non solo come mera assenza di malattia. Si tratta cioè di un quadro generale"positivo" riferito a tutto l’organismo umano nelle sue componenti strutturali e funzionali, con indubbio riflesso benefico sulla psiche e sulle condizioni di vita della persona.
Per quel che concerne i trattamenti sanitari, essi sono possibili solo se consentiti dall’interessato. E il consenso non può che essere consapevole (informato), libero (privo di vizi della volontà quali l’errore, la violenza o il dolo), spontaneo (senza che sia stato determinato da circostanze o costrizioni esterne), reso da una persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, specifico (id est riferito ad un particolare trattamento e certamente giammai omnibus) attuale (perdurante, persistente per tutto l’arco del trattamento e non solo iniziale) e sempre revocabile. Al di fuori del
consenso i t.s. possono essere resi obbligatori solo per espressa disposizione di legge (con riserva "assoluta" e "statuale", devesi ritenere) e pur sempre nel rispetto assoluto e incondizionato (cui non può sottrarsi nemmeno il legislatore) della persona umana (cioè della sua dignità, del suo decoro, del suo pudore e dei suoi diritti inviolabili, quali quelli alla vita e all’integrità psico-fisica, alla libertà fisica etc.). Ipotesi di t.s.o. sono quelle previste in materia di malattie mentali (v. artt. da 33 a 35, nonché l’art. 64 e ss. della legge 833/1978, istitutiva del "Servizio Sanitario Nazionale"; in particolare l’art. 64 e ss. ha sostituito la precedente legge 180/1978, confluita per l’appunto nelle disposizioni suddette), vaccinazioni obbligatorie e/o trattamenti di malattie infettive e diffusive, tossicodipendenze e/o abuso di sostanze stupefacenti e psicotrope (v. art. 75 del T.U. 309/1990, come succ. modif. dal D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito nella L. 21 febbraio 2006, n. 499), accertamenti terapeutici cui l’istituto assicurativo ha il diritto di sottoporre gli infortunati e i tecnopatici e che possono essere disposti dalla magistratura.
Come può vedersi, ci si trova innanzi a casi-limite nei quali:
Ø un soggetto non sarebbe in grado di esprimere un consenso pieno e veramente consapevole a causa delle sue precarie condizioni (fisiche o psichiche) di salute;
Ø il trattamento risulta necessario per la tutela non solo della salute dell’interessato, ma anche della collettività, come di altri interessi rilevanti ad essa pertinenti.
Purtuttavia, proprio perché trattasi di casi-limite e proprio perché il rispetto della persona umana è assoluto, il legislatore di volta in volta sarà chiamato a valutare attentamente i benefici dei trattamenti coattivi, che non solo dovranno essere di gran lunga superiori rispetto ai rischi, ma anche dovranno essere effettivi, concreti, ben documentati e accertati secondo la migliori scienza e tecnica medica e clinica del momento storico di riferimento. Ma v’è di più: i trattamenti devono risultare "indispensabili", id est necessari in senso assoluto e senza altra alternativa, in quanto altri rimedi (meno radicali) si rivelerebbero del tutto inadeguati e insufficienti. Infine il rifiuto della persona di sottoporsi ai t.s.o. deve poter sanzionato in via meramente indiretta, per es. lasciandosi libera scelta tra il subire il t.s.o. per esercitare determinate istanze e pretese (frequenza scolastica, esercizio di una certa attività lavorativa etc.) da una parte e dall’altra
il rifiutare il t.s.o. rinunciando alle suddette. Ad ogni modo è da escludersi ogni forma di esecuzione in forma specifica (nemo ad factum cogi potest).
Il consenso informato è ad oggi ritenuto come una delle più grandi conquiste della società civile ed ha operato una vera e propria "rivoluzione copernichiana". Esso ha infatti ribaltato il tradizionale punto di vista che vigeva in campo medico-sanitario: dal "dovere di curare" di stampo ippocratico-paternalistico si è passati al "diritto" del paziente di ricevere la cure ovvero di rifiutarle (e quindi di trascurarsi, di lasciarsi morire). I referenti costituzionali sono senza dubbio da individuare negli artt. 2, 13 e, per l’appunto, 32 Cost. Esistono poi convenzioni internazionali che fanno espresso riferimento al consenso informato: si pensi all’art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E., sottoscritta a Nizza nel 2000, oggi ribadita col Trattato di Lisbona (v. art. 3); si pensi altresì agli artt. da 5 a 10 della Convenzione per la protezione dei Diritti dell’Uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti dell’applicazioni della biologia e della medicina, altrimenti nota come Convenzione sui Diritti dell’Uomo e la biomedicina, sottoscritta ad Oviedo nel 1997. Anche la normativa di settore sulle professioni sanitarie, in particolare il nuovo Codice deontologico medico, prevede specifici obblighi e modalità di informazione e di raccolta del consenso al trattamento sanitario (v. in particolare gli artt. da 30 a 35).
In tema di consenso a interventi sul proprio corpo, già la legislazione ante-Costituzione e precisamente l’art. 5 c.c., vietava, e tutt’oggi vieta, gli atti dispositivi del proprio corpo quando causano una lesione permanente della propria integrità fisica o comunque siano contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume. In effetti consentire a certi trattamenti sanitari, specialmente a quelli chirurgici (i più invasivi e demolitivi) significa disporre del proprio corpo, id est consentire a subire lesioni (altrimenti incriminabili in mancanza della o contro la volontà dell’interessato), e cioè asportazioni di parti del proprio corpo per ottenere un miglioramento del proprio stato di salute o almeno un allungamento della propria esistenza e una riduzione delle sofferenze. Talora l’intervento chirurgico prevede anche innesti e inserimenti di parti organiche di altri individui (viventi o defunti; si pensi ai trapianti di organi, di cute, di tessuti etc.) ovvero di protesi artificiali (occhi di vetro, arti artificiali, bypass cardiaci o intestinali, cuore artificiale, microchip per riacquistare l’uso della vista o dell’udito etc.) in sostituzione delle parti asportate.
Il consenso informato rileva in molti campi considerati nel nostro ordinamento. Di seguito alcuni esempi in ordine cronologico:
- nel trapianto di rene tra viventi (v. art. 4 della l. 458/1967);
- nel trapianto parziale di fegato tra viventi (v. l. 483/1999);
- nella legge istitutiva del SSN (v. art. 33, commi 1 e 5, della l. 833/1978; in precedenza v. art. 1 della l. 180/1978); in materia di interruzione volontaria di gravidanza (v. art. 14 l. 194/1978);
- in tema di emotrasfusioni (v. art. 3, comma 3, della l. 107/1990);
- in materia di prevenzione e lotta contro l’AIDS (v. art. 5, comma 3, della l. 135/1990);
- in materia di sperimentazione clinica di medicinali ad uso umano (v. in particolare l’art. 2, lett. l) e artt. da 3 a 5 del d.lgs. 211/2003);
- in materia di p.m.a. (v. art. 6 della l. 40/2004).
Da ultimo alcune osservazioni:
- un trattamento sanitario effettuato contra voluntatem, in caso di evento fausto, va a configurare, a seconda dei casi, fattispecie criminose, di cui agli artt. 605 (sequestro di persona), 610 (violenza privata), 613 (stato di incapacità procurato tramite violenza) c.p. Senza contare che sussiste comunque la responsabilità civile per danno, per difetto di informazione preventiva (c.d. deficit informativo) e mancata raccolta del consenso (v. Cass. 5444/2006, il cui testo è reperibile all’URL http://www.altalex.com/index.php?idnot=35651); solo un accertato e documentato stato di necessità varrebbe ad escludere la responsabilità penale (v. art. 54 c.p.) e, in difetto di colpa, quella civile.
- in caso di evento infausto, il medico, eventualmente in concorso con i delitti di cui sopra, rischia l’incriminazione per lesioni volontarie o (in caso di decesso) per omicidio preterintenzionale (art. 584 c.p.) o, nella migliore delle ipotesi, quella di morte o lesioni in conseguenza di delitto doloso (art. 586 c.p.); salvo il risarcimento del danno patrimoniale (es. spese per cure mediche per riparare la lesione), morale soggettivo (art. 185 c.p.), biologico, presunto nell’an, (es. per diminuzione accertata in via medico-legale della propria integrità fisica), eventualmente esistenziale (es. in caso di morte, per perdita dell’affetto di un familiare caro, da provarsi, anche per testimoni o presunzioni semplici, nell’an, nel nesso eziologico e nell’elemento psicologico).
5 L’art. 13 vieta altresì (in quanto pratiche contrarie alla dignità umana, come tra l’altro i procedimenti di selezione
eugenetica):
- la produzione di embrioni umani a fini di ricerca o di sperimentazione o comunque a fini diversi da quello previsto dalla legge 40;
- interventi di clonazione mediante trasferimento di nucleo o di scissione precoce dell’embrione o di ectogenesi sia a fini procreativi sia di ricerca;
- la fecondazione di un gamete umano con un gamete di specie diversa e la produzione di ibridi o di chimere.
V. altresì l’art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E. (che vieta espressamente le pratiche eugenetiche e la clonazione a scopo riproduttivo), il Protocollo aggiuntivo alla Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e la dignità dell’essere umano nei confronti delle applicazioni della biologia e della medicina sul divieto di clonazione di esseri umani (c.d. Protocollo aggiuntivo sul divieto di clonazione di esseri umani) e l’art. 11 della Dichiarazione universale sul genoma umano e i diritti umani dell’Unesco (11.11.1997).
L’art. 13 della Convenzione di Oviedo, per converso, consente interventi sul genoma umano per esclusive ragioni preventive, diagnostiche o terapeutiche e solamente se non ha come scopo di introdurre una modifica nel genoma dei discendenti.
6 A proposito di crioconservazione dell’embrione, v’è da segnalare un caso particolarissimo portato all’attenzione della giurisprudenza italiana prima dell’entrata in vigore della l. 40/2004. Nella specie una donna reclamava il suo diritto all’impianto di embrioni crioconservati dopo la morte del partner-donatore. All’epoca la pratica non era espressamente vietata dalla legge (come accade invece oggi), ma era proibita dall’art. 11 del Codice di autoregolamentazione per la p.m.a. (adottato dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei medici il 2/11/1998). Sulla base di tale disposizione un centro medico di Palermo, cui la donna si era rivolta, rifiuta di effettuare l’impianto. La donna ricorre al Tribunale palermitano
ex art. 700 c.p.c. ed ottiene una decisione favorevole (ord. dell’8 gennaio 1999), con la quale il collegio siciliano dispone in via cautelare e urgente che il centro medico procedesse all’embryo-transfer fino a che la gravidanza non avesse avuto successo. Il Tribunale assunse tale decisione dopo aver costatato l’inesistenza di una normativa statale che
vietasse espressamente l’impianto post mortem e più in generale l’utilizzo di embrioni congelati.
7 Tra le tecniche di diagnosi prenatale più diffuse, efficaci e collaudate, ricordiamo l’amniocentesi e la villocentesi, così come esistono tipi di esami non invasivi (a differenza delle due tecniche citate, che prevedono prelievo di liquido tramite puntura) basati sugli screening ecografici (per saperne di più, v. la voce "Diagnostica prenatale" all’URL http://it.wikipedia.org/wiki/Diagnostica_prenatale
8 Tale tipo di indagine in effetti risulterebbe superficiale in quanto «consentirebbe unicamente di valutare la compattezza e lo stato di aggregazione delle cellule costituenti l’embrione, ma non di individuare eventuali anomalie
genetiche» (così il Trib. di Cagliari cit.).
9 La decisione è citata in motivazione nell’ordinanza qui in commento. I giudici altresì pongono l’accento sulla «necessità di salvaguardare la pari dignità di uomo e donna (…), impedendo quello che autorevole dottrina ha definito come la legislazione in ordine al corpo della donna come "luogo pubblico", contro e oltre il suo privato convincimento (…)».
10 La notizia è del 23 gennaio 2007 ed è disponibile online sul sito del Corriere della sera all’URL http://www.corriere.it/cronache/08_gennaio_23/tar_lazio_fecondazione_3e19eaf4-c9cb-11dc-97c6-0003ba99c667.shtml, così come anche altri quotidiani di rilevanza nazionale (es. Il Sole 24 ORE e LA STAMPA) hanno dato ampio risalto al fatto. Tra l’altro i giudici amministrativi romani hanno sollevato questione di legittimità costituzionale in ordine a talune disposizioni della l. 40/2004, cosicché sarà ora necessario attendere che si pronunci la Consulta.
Con ordinanza del 17.12.2007, adottata dal Tribunale di Firenze ex art. 700 c.p.c. [1], è stata autorizzata la c.d. diagnosi pre-impianto sull’embrione creato tramite fecondazione in vitro. Non è la prima decisione in tal senso e infatti già il Tribunale di Cagliari (stavolta con sentenza, precisamente del 24.09.2007 [2]) si era espresso favorevolmente.
Qualcuno ha già accennato al fatto che i giudici in questione avrebbero violato le disposizioni della legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita [3]; si è parlato di decisione arbitraria e "sovversiva", contraria non solo alla legge, ma anche alla Costituzione, al diritto naturale, all’etica, alla dignità umana; taluno è arrivato a minacciare il ricorso alla Corte Costituzionale per "conflitto d’attribuzione", perché, a suo dire, i giudici avrebbero occupato un campo a loro precluso (quello legiferante) in violazione del supremo principio di "separazione dei poteri".
Ma è proprio così? Veramente i giudici avrebbero violato la legge, l’avrebbero "riscritta" o quanto meno male interpretata? Per rispondere a tale domanda bisogna comprendere:
1) il fatto sottoposto all’attenzione dei giudici toscani;
2) l’effettiva portata delle disposizioni della l. 40/2004 sulla p.m.a.
2. Il fatto e la decisione del Tribunale di Firenze
Il caso portato innanzi al collegio fiorentino riguarda una coppia sterile portatrice di una rara e grave malattia congenita, per la precisione l’ “esostosi multipla ereditaria” (nota anche con l’acronimo EME; per saperne di più si può consultare l’URL http://www.acar2006.org/contr02_06_EME.htm). Conscia dunque dei rischi che potrebbero esservi per l’embrione, la coppia chiede, attraverso l’emanazione di un provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c., il superamento del divieto di diagnosi genetica pre-impianto espressamente stabilito dalle Linee Guida ministeriali adottate ai sensi dell’art. 7 della legge 40 cit. La coppia chiede altresì di crioconservare, ossia di conservare tramite ibernazione in azoto liquido (meglio utilizzare codesta perifrasi, sebbene un po’ lunga, piuttosto che il grossolano e, per certi aspetti, macabro termine “surgelare”!) gli embrioni non utilizzati, fino a quando la diagnosi non sia stata effettuata, per essere poi reimpiantati non appena possibile.
Secondo la coppia, l’analisi e la procedura sopra descritte consentirebbero tra l’altro alla futura madre di prendere una decisione seria e ponderata al fine di portare avanti una gravidanza responsabile e consapevole, di cui anche all’art. 1 della legge 194/1978 sulla tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria di gravidanza.
Risultato: il Tribunale autorizza entrambe le cose e, si legge in dispositivo, “ordina al Centro di Fecondazione Assistita (omissis) di procedere alla diagnosi genetica pre-impianto degli embrioni creati tramite fecondazione in vitro dei gameti di (omissis) e di trasferire in utero solo gli embrioni sani o portatori sani rispetto alla patologia di cui soffre (omissis), con crioconservazione degli embrioni malati sino all’esito della tutela di merito, il tutto secondo le migliori regole della scienza in relazione alla salute della madre”.
3. I riferimenti normativi e le motivazioni
Prima di emettere giudizi affrettati, è assolutamente indispensabile conoscere il quadro normativo di
riferimento, che qui di seguito, brevemente, viene riportato:
* La legge 40/2004:
- L’art. 6 prevede anzitutto che prima del ricorso e in ogni fase di applicazione delle tecniche di p.m.a. il medico informa in maniera dettagliata i soggetti interessati (che devono essere maggiorenni di sesso diverso, coniugati o conviventi, in età potenzialmente
fertile, entrambi viventi) sui metodi, sui problemi bioetici e sui possibili effetti collaterali sanitari e psicologici conseguenti all’applicazione delle tecniche stesse, sulle probabilità di successo e sui rischi dalle stesse derivanti, nonché sulle relative conseguenze giuridiche per la donna, per l’uomo e per il nascituro. L’informazione è necessaria per garantire il formarsi di una volontà consapevole e consapevolmente espressa; tanto per capirci, ai fini della formazione del c.d. “consenso informato”, condizione di legittimità imprescindibile per ogni e qualsivoglia forma di trattamento sanitario (e la p.m.a. tale è), salvi i casi di trattamenti sanitari obbligatori per legge, ai sensi dell’art. 32 Cost. [4].
- L’art. 7 (rubricato "Linee guida") prevede che le linee guida contenenti l’indicazione delle procedure e delle tecniche di p.m.a. vengano definite dal Ministro della salute con proprio decreto, avvalendosi dell’Istituto superiore di sanità e previo parere del Consiglio superiore di sanità. Attualmente le linee guida sono contenute nel D.M. 8 giugno 2004.
- L’art. 13 vieta qualsiasi sperimentazione sull’embrione umano. La ricerca clinica e sperimentale è consentita «a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso, e qualora non siano disponibili metodologie alternative». La suddetta disposizione vieta anche «ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti ovvero interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio genetico dell’embrione o del gamete ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche, ad eccezione degli interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche…» [5].
- L’art. 14, comma 3, stabilisce che «qualora il trasferimento nell’utero degli embrioni non risulti possibile per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione è consentita la crioconservazione [6] degli embrioni stessi fino alla data del trasferimento, da realizzare non appena possibile». Il comma 5 garantisce agli interessati il diritto ad essere informati sul numero e, su loro richiesta, sullo stato di salute degli embrioni prodotti e da trasferire nell’utero.
§ Le linee-guida ministeriali, adottate ai sensi dell’art. 7 della l. 40/2004, prevedono che «ogni indagine relativa allo stato di salute degli embrioni creati in vitro, ai sensi dell’articolo 14, comma 5, dovrà essere di tipo osservazionale». Questa è dunque la cornice in cui ci si deve muovere. Ed entro tale cornice i giudici toscani così hanno ragionato:
- non v’è dubbio che le c.d. linee guida sono contenute in un decreto che ha carattere meramente esecutivo e cioè attuativo di disposizioni di legge che stabiliscono condizioni, principi, direttive e limiti di carattere generale, che vanno solo specificate attraverso una normativa tecnica di dettaglio, perché possano divenire in concreto operative;
- se così è, il decreto rientra a pieno titolo nell’ambito delle fonti secondarie, ergo subordinate alla legge;
- la legge 40 vieta sì la sperimentazione sugli embrioni, ma consente la ricerca clinica e sperimentale sul medesimo nel caso in cui essa sia indispensabile alla tutela della di lui salute e sviluppo, laddove dunque la finalità sia quella esclusivamente diagnostica e dunque individuante una grave malattia genetica o ereditaria etc. e, conseguentemente, terapeutica. Allo stesso modo è vietata ogni pratica eugenetica, ma è vietata come fine a se stessa, e non quando abbia le finalità suddette, cioè di tutela della salute dell’embrione (e quindi per eliminare o ridurre i rischi di contrarre gravi affezioni o malattie);
- però, per far sì che la ricerca di cui sopra abbia i suoi effetti positivi, deve essere consentito al medico di poter effettuare concretamente la diagnosi e la terapia. Ciò può essere reso possibile di fatto solo con una completa diagnosi pre-impianto, al pari di quella prenatale, possibile per la gravidanza naturale [7], e non solo con una diagnosi meramente osservazionale (che avrebbe ben poca efficacia [8]), come invece stabiliscono le linee guida, andando a limitare una disposizione legislativa e quindi una fonte di tipo gerarchicamente sovra-ordinato, cosa che è contro i principi generali del nostro ordinamento giuridico;
- ergo, le linee guida hanno dato un’interpretazione delle norme legislative in materia di sperimentazione sugli embrioni estremamente restrittiva, rappresentativa di un certo punto di vista, di un modo di pensare (in tal caso del Governo di allora), certo moralmente rispettabile, ma non in linea con i canoni esegetici del nostro ordinamento e non corrispondente alla ratio legis. Tale visione è tanto più ingiustificata se si pensa che linee guida dispongono su temi attinenti alle libertà e ai diritti fondamentali della persona, argomenti per i quali esiste una riserva assoluta di legge (v. per es. gli artt. 13, 14, 15, 32 Cost.), con l’ovvia conseguenza che il decreto che contiene le linee guida non potrà che essere normativa di dettaglio e a carattere puramente tecnico (come sopra detto);
- ergo ancora, le linee guida vanno disapplicate nella parte in cui si pongono in contrasto con le disposizioni di legge in virtù del principio della gerarchia delle fonti.
A ciò si aggiunga anche che la legge 40 prevede sanzioni severe in caso di violazione dell’art. 13. Si tratta di sanzioni penali (reclusione da due a sei anni e multa da 50.000 a 150.000 euro, con possibilità di aumento: v. art. 13, comma 4) e si sa che per esse vige il principio di legalità sotto il profilo della tassatività e del divieto di analogia (nonché, di estensione in malam partem). Orbene nulla è detto sulla tipologia e sulle modalità di diagnosi pre-impianto. Il che equivale a dire che essa è legittima in qualsivoglia forma venga posta in essere purché rispetti i limiti e le finalità stabilite dalla legge. Interpretando altrimenti la disposizione, verrebbe a sanzionarsi un comportamento non previsto dal legislatore, con buona pace del rispetto dei principi supremi del diritto penale (degno di uno Stato realmente liberale e democratico), quali per l’appunto quelli di tassatività e del divieto di analogia.
Aggiungasi ancora che, sempre diversamente ragionando, si verrebbe a discriminare la posizione del feto concepito naturalmente e quella dell’embrione creato con le tecniche della p.m.a. E cioè, se la diagnosi prenatale è consentita per il feto che si trova nel grembo materno (v. per es. art. 7 della l. 194/1978) e nessuno dubita della sua legittimità, non si vede perché esse non siano da consentirsi allo stesso modo per gli
embrioni in vitro prima che vengano impiantati nell’utero. Netta sarebbe la violazione del principio di eguaglianza ex art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza: la distinzione qui varrebbe discriminazione e
dunque del tutto ingiustificata e ingiustificabile sul piano dei principi generali dell’ordinamento costituzionale. Inoltre ancora una volta è bene chiarire che bene primario resta in ogni caso quello della salute psico-fisica della donna, della sua libertà e autodeterminazione ai fini di una gravidanza consapevole e
responsabile, già affermata dalla legge 194/1978. E la gravidanza assumerà siffatti connotati solo se la madre
sia messa in grado, su sua richiesta, di conoscere effettivamente i rischi cui potrebbe andare incontro il futuro
nascituro, quanto alla possibilità di essere portatore di gravi malattie genetiche ed ereditarie, con indubbi riflessi negativi (in termini di preoccupazioni, ansie, stress etc.) sulla salute psichica della donna. Senza obliare che un embrione "malato" potrebbe avere (come affermato dalla migliore scienza medica) conseguenze negative sulla stessa integrità fisica della madre, per es. cagionando improvvise e indesiderate interruzioni di gravidanza o aborti spontanei (con tutto ciò che, anche stavolta, ne deriverebbe per la salute psichica ed emotiva della gestante). Dignità, libertà e salute della donna prima di tutto, come anche affermò la Corte Costituzionale con una decisione ormai datata, ma quanto mai attuale: Ci si riferisce alla sent. n° 27/1975, nella quale la C.C. affermò che «il danno o pericolo conseguente al protrarsi di una gravidanza può essere previsto, ma non è sempre immediato e non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita, ma anche alla salute della madre che è già persona, e quello dell’embrione che persona deve ancora diventare» [9].
Non già dunque i giudici si sono posti contra legem, bensì essi hanno ricondotto la normativa nell’alveo che le compete, ristabilendo il diritto e i suoi principi, primo fra tutti quello di separazione dei poteri e di rispetto della gerarchia delle fonti, per il quale il Governo, nella sua attività normativa regolamentare e quindi di rango secondario e subordinato, deve meramente attuare le disposizioni legislative, caso mai integrandole e specificandole, ma non imporre una propria interpretazione o visione o ratio, derogando e innovando rispetto a quelli che risultano essere lo spirito e la portata originaria e originale della legge così come licenziata dal Parlamento. Insomma, il Governo, non il Tribunale di Firenze, ha invaso il campo riservato al Parlamento; di qui la disapplicazione della disposizione delle linee guida sull’indagine meramente osservazionale.
Siamo solo agli inizi e la tematica merita maggior approfondimento. Diritto, morale e scienza si intersecano inevitabilmente e la soluzione non è facile, laddove occorre conciliare esigenze diverse e talora contrapposte quali la libertà di coscienza, la libertà di ricerca scientifica, il rispetto dei diritti e delle libertà inviolabili dell’individuo e della sua dignità. Non si può apoditticamente stabilire quale istanza debba prevalere sempre e comunque a scapito delle altre, ma solo stabilire quando, in quali circostanze, entro quali limiti possa prevalere l’una o l’altra, affrontando a mente fredda e con animo sereno, senza isterismi, problematiche così complesse in ordine alle quali, lo si ribadisce, si è solo all’inizio del percorso e di strada da fare ce n’è ancora tanta. A maggior ragione se si pensa che anche il TAR del Lazio si è recentemente espresso in modo negativo nei confronti delle Linee guida, seguendo dunque il percorso già iniziato dai giudici cagliaritani e fiorentini [10].
Merita peraltro di essere segnalata Cass., Sez. I Pen., sent. 25.05.2007 n° 20673, reperibile all’URL http://www.altalex.com/index.php?idnot=37440, in base alla quale il ricorso alle tecniche di p.m.a. è consentito solo quando sia accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed è comunque circoscritta ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico, nonché di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico. Mentre non è possibile equiparare i suddetti requisiti al caso dell’impedimento al rapporto.
1 Il testo integrale è consultabile all’URL http://www.altalex.com/index.php?idstr=20&idnot=39813
2 Il testo integrale è consultabile all’URL http://www.altalex.com/index.php?idnot=38969&idstr=20
3 Si tratta della l. 19 febbraio 2004, n. 40, rubricata "Norme in materia di procreazione medicalmente assistita", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio 2004. Siffatta legge ha tentato di regolamentare la delicata e controversa materia dell’inseminazione artificiale ed è anche il primo provvedimento normativo in tal senso. Fino all’entrata in vigore della legge era stata la giurisprudenza a sopperire alle carenze di disciplina.
A oggi la l. 40/2004 si ispira ai principi, che qui di seguito vengono indicati in sintesi:
Ø il ricorso alla p.m.a. è consentito al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana, sempre che non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuoverne le cause e cioè solo quando sia accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione;
Ø è permessa solo l’inseminazione artificiale "omologa". Infatti, ai sensi dell’art. 4, comma 3, della l. cit. è vietato il ricorso a tecniche di p.m.a. di tipo eterologo, id est con donazione di seme o ovuli da parte di terzi, nonché risulta vietata la c.d. "surrogazione di maternità" (meglio nota come "utero in affitto");
Ø è indispensabile il consenso informato dei soggetti interessati (argomento sul quale si tornerà successivamente);
Ø la p.m.a. è consentita solo a coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi. In tal senso il ricorso alla p.m.a. risulta vietato ai single, ai minori e alle coppie omosessuali, così come, stando alla lettera della legge, alle coppie per le quali è stata dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio a seguito di scioglimento del medesimo (divorzio) o morte di uno dei coniugi o conviventi (divieto di impianto dell’embrione post mortem);
Ø le tecniche di p.m.a. possono essere attuate solo da strutture autorizzate dalle regioni e iscritte (obbligatoriamente) nel registro nazionale istituito con decreto del Ministro della salute presso l’Istituto superiore di sanità;
Ø è garantito il diritto all’obiezione di coscienza (sempre revocabile) al personale sanitario ed esercente le attività sanitarie ausiliarie che non intenda prendere parte alle procedure per l’applicazione delle tecniche di p.m.a.
Inoltre la legge è in toto diretta ad affermare una forte tutela di colui che venga concepito attraverso le tecniche di p.m.a. e dell’embrione. Non a caso:
Ø i nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di p.m.a. hanno lo stato di figli legittimi o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime;
Ø qualora si ricorra a tecniche di p.m.a. di tipo eterologo, nonostante il divieto di legge, il coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da atti concludenti non può esercitare l’azione di disconoscimento della paternità di cui all’art. 235 c.c. (essendosi recepiti in sostanza i principi stabiliti dalla sent. 22/09/1998, n° 347 della Corte Costituzionale e ribaditi da Cass., Sez. I civ., 22/09/1999, n°2315), né effettuare l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, di cui all’art. 263 c.c.; allo stesso modo il terzo donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi;
Ø la madre del nato a seguito dell’applicazione di tecniche di p.m.a non può dichiarare la volontà di non essere nominata a differenza di quanto previsto ai sensi dell’art. 30, comma 1, del d.P.R. 396/2000, per la procreazione naturale;
Ø è vietata qualsiasi sperimentazione sull’embrione umano, salvo che entro determinati limiti e per certe finalità (come si vedrà nel prosieguo della trattazione), salvi ancora taluni divieti assoluti (es. di clonazione o di ibridazione) e salvi pur sempre limiti all’applicazione delle tecniche di p.m.a. agli embrioni medesimi.
La violazione degli obblighi stabiliti dalla l. 40/2004 è punita talora in via amministrativa tramite sanzioni di tipo
pecuniario, talora tramite sanzioni penali, detentive, pecuniarie e accessorie (come la sospensione o addirittura
l’interdizione dalla professione medica).
4 "Art. 32.
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana".
Alcune brevi considerazioni si impongono.
Quanto al diritto alla salute, trattasi dell’’unico caso in cui il costituente ha usato l’aggettivo "fondamentale" in riferimento a un diritto dell’individuo, tale e tanta è l’importanza dello stesso, da intendersi come stato di benessere psico-fisico e non solo come mera assenza di malattia. Si tratta cioè di un quadro generale"positivo" riferito a tutto l’organismo umano nelle sue componenti strutturali e funzionali, con indubbio riflesso benefico sulla psiche e sulle condizioni di vita della persona.
Per quel che concerne i trattamenti sanitari, essi sono possibili solo se consentiti dall’interessato. E il consenso non può che essere consapevole (informato), libero (privo di vizi della volontà quali l’errore, la violenza o il dolo), spontaneo (senza che sia stato determinato da circostanze o costrizioni esterne), reso da una persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, specifico (id est riferito ad un particolare trattamento e certamente giammai omnibus) attuale (perdurante, persistente per tutto l’arco del trattamento e non solo iniziale) e sempre revocabile. Al di fuori del
consenso i t.s. possono essere resi obbligatori solo per espressa disposizione di legge (con riserva "assoluta" e "statuale", devesi ritenere) e pur sempre nel rispetto assoluto e incondizionato (cui non può sottrarsi nemmeno il legislatore) della persona umana (cioè della sua dignità, del suo decoro, del suo pudore e dei suoi diritti inviolabili, quali quelli alla vita e all’integrità psico-fisica, alla libertà fisica etc.). Ipotesi di t.s.o. sono quelle previste in materia di malattie mentali (v. artt. da 33 a 35, nonché l’art. 64 e ss. della legge 833/1978, istitutiva del "Servizio Sanitario Nazionale"; in particolare l’art. 64 e ss. ha sostituito la precedente legge 180/1978, confluita per l’appunto nelle disposizioni suddette), vaccinazioni obbligatorie e/o trattamenti di malattie infettive e diffusive, tossicodipendenze e/o abuso di sostanze stupefacenti e psicotrope (v. art. 75 del T.U. 309/1990, come succ. modif. dal D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito nella L. 21 febbraio 2006, n. 499), accertamenti terapeutici cui l’istituto assicurativo ha il diritto di sottoporre gli infortunati e i tecnopatici e che possono essere disposti dalla magistratura.
Come può vedersi, ci si trova innanzi a casi-limite nei quali:
Ø un soggetto non sarebbe in grado di esprimere un consenso pieno e veramente consapevole a causa delle sue precarie condizioni (fisiche o psichiche) di salute;
Ø il trattamento risulta necessario per la tutela non solo della salute dell’interessato, ma anche della collettività, come di altri interessi rilevanti ad essa pertinenti.
Purtuttavia, proprio perché trattasi di casi-limite e proprio perché il rispetto della persona umana è assoluto, il legislatore di volta in volta sarà chiamato a valutare attentamente i benefici dei trattamenti coattivi, che non solo dovranno essere di gran lunga superiori rispetto ai rischi, ma anche dovranno essere effettivi, concreti, ben documentati e accertati secondo la migliori scienza e tecnica medica e clinica del momento storico di riferimento. Ma v’è di più: i trattamenti devono risultare "indispensabili", id est necessari in senso assoluto e senza altra alternativa, in quanto altri rimedi (meno radicali) si rivelerebbero del tutto inadeguati e insufficienti. Infine il rifiuto della persona di sottoporsi ai t.s.o. deve poter sanzionato in via meramente indiretta, per es. lasciandosi libera scelta tra il subire il t.s.o. per esercitare determinate istanze e pretese (frequenza scolastica, esercizio di una certa attività lavorativa etc.) da una parte e dall’altra
il rifiutare il t.s.o. rinunciando alle suddette. Ad ogni modo è da escludersi ogni forma di esecuzione in forma specifica (nemo ad factum cogi potest).
Il consenso informato è ad oggi ritenuto come una delle più grandi conquiste della società civile ed ha operato una vera e propria "rivoluzione copernichiana". Esso ha infatti ribaltato il tradizionale punto di vista che vigeva in campo medico-sanitario: dal "dovere di curare" di stampo ippocratico-paternalistico si è passati al "diritto" del paziente di ricevere la cure ovvero di rifiutarle (e quindi di trascurarsi, di lasciarsi morire). I referenti costituzionali sono senza dubbio da individuare negli artt. 2, 13 e, per l’appunto, 32 Cost. Esistono poi convenzioni internazionali che fanno espresso riferimento al consenso informato: si pensi all’art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E., sottoscritta a Nizza nel 2000, oggi ribadita col Trattato di Lisbona (v. art. 3); si pensi altresì agli artt. da 5 a 10 della Convenzione per la protezione dei Diritti dell’Uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti dell’applicazioni della biologia e della medicina, altrimenti nota come Convenzione sui Diritti dell’Uomo e la biomedicina, sottoscritta ad Oviedo nel 1997. Anche la normativa di settore sulle professioni sanitarie, in particolare il nuovo Codice deontologico medico, prevede specifici obblighi e modalità di informazione e di raccolta del consenso al trattamento sanitario (v. in particolare gli artt. da 30 a 35).
In tema di consenso a interventi sul proprio corpo, già la legislazione ante-Costituzione e precisamente l’art. 5 c.c., vietava, e tutt’oggi vieta, gli atti dispositivi del proprio corpo quando causano una lesione permanente della propria integrità fisica o comunque siano contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume. In effetti consentire a certi trattamenti sanitari, specialmente a quelli chirurgici (i più invasivi e demolitivi) significa disporre del proprio corpo, id est consentire a subire lesioni (altrimenti incriminabili in mancanza della o contro la volontà dell’interessato), e cioè asportazioni di parti del proprio corpo per ottenere un miglioramento del proprio stato di salute o almeno un allungamento della propria esistenza e una riduzione delle sofferenze. Talora l’intervento chirurgico prevede anche innesti e inserimenti di parti organiche di altri individui (viventi o defunti; si pensi ai trapianti di organi, di cute, di tessuti etc.) ovvero di protesi artificiali (occhi di vetro, arti artificiali, bypass cardiaci o intestinali, cuore artificiale, microchip per riacquistare l’uso della vista o dell’udito etc.) in sostituzione delle parti asportate.
Il consenso informato rileva in molti campi considerati nel nostro ordinamento. Di seguito alcuni esempi in ordine cronologico:
- nel trapianto di rene tra viventi (v. art. 4 della l. 458/1967);
- nel trapianto parziale di fegato tra viventi (v. l. 483/1999);
- nella legge istitutiva del SSN (v. art. 33, commi 1 e 5, della l. 833/1978; in precedenza v. art. 1 della l. 180/1978); in materia di interruzione volontaria di gravidanza (v. art. 14 l. 194/1978);
- in tema di emotrasfusioni (v. art. 3, comma 3, della l. 107/1990);
- in materia di prevenzione e lotta contro l’AIDS (v. art. 5, comma 3, della l. 135/1990);
- in materia di sperimentazione clinica di medicinali ad uso umano (v. in particolare l’art. 2, lett. l) e artt. da 3 a 5 del d.lgs. 211/2003);
- in materia di p.m.a. (v. art. 6 della l. 40/2004).
Da ultimo alcune osservazioni:
- un trattamento sanitario effettuato contra voluntatem, in caso di evento fausto, va a configurare, a seconda dei casi, fattispecie criminose, di cui agli artt. 605 (sequestro di persona), 610 (violenza privata), 613 (stato di incapacità procurato tramite violenza) c.p. Senza contare che sussiste comunque la responsabilità civile per danno, per difetto di informazione preventiva (c.d. deficit informativo) e mancata raccolta del consenso (v. Cass. 5444/2006, il cui testo è reperibile all’URL http://www.altalex.com/index.php?idnot=35651); solo un accertato e documentato stato di necessità varrebbe ad escludere la responsabilità penale (v. art. 54 c.p.) e, in difetto di colpa, quella civile.
- in caso di evento infausto, il medico, eventualmente in concorso con i delitti di cui sopra, rischia l’incriminazione per lesioni volontarie o (in caso di decesso) per omicidio preterintenzionale (art. 584 c.p.) o, nella migliore delle ipotesi, quella di morte o lesioni in conseguenza di delitto doloso (art. 586 c.p.); salvo il risarcimento del danno patrimoniale (es. spese per cure mediche per riparare la lesione), morale soggettivo (art. 185 c.p.), biologico, presunto nell’an, (es. per diminuzione accertata in via medico-legale della propria integrità fisica), eventualmente esistenziale (es. in caso di morte, per perdita dell’affetto di un familiare caro, da provarsi, anche per testimoni o presunzioni semplici, nell’an, nel nesso eziologico e nell’elemento psicologico).
5 L’art. 13 vieta altresì (in quanto pratiche contrarie alla dignità umana, come tra l’altro i procedimenti di selezione
eugenetica):
- la produzione di embrioni umani a fini di ricerca o di sperimentazione o comunque a fini diversi da quello previsto dalla legge 40;
- interventi di clonazione mediante trasferimento di nucleo o di scissione precoce dell’embrione o di ectogenesi sia a fini procreativi sia di ricerca;
- la fecondazione di un gamete umano con un gamete di specie diversa e la produzione di ibridi o di chimere.
V. altresì l’art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E. (che vieta espressamente le pratiche eugenetiche e la clonazione a scopo riproduttivo), il Protocollo aggiuntivo alla Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e la dignità dell’essere umano nei confronti delle applicazioni della biologia e della medicina sul divieto di clonazione di esseri umani (c.d. Protocollo aggiuntivo sul divieto di clonazione di esseri umani) e l’art. 11 della Dichiarazione universale sul genoma umano e i diritti umani dell’Unesco (11.11.1997).
L’art. 13 della Convenzione di Oviedo, per converso, consente interventi sul genoma umano per esclusive ragioni preventive, diagnostiche o terapeutiche e solamente se non ha come scopo di introdurre una modifica nel genoma dei discendenti.
6 A proposito di crioconservazione dell’embrione, v’è da segnalare un caso particolarissimo portato all’attenzione della giurisprudenza italiana prima dell’entrata in vigore della l. 40/2004. Nella specie una donna reclamava il suo diritto all’impianto di embrioni crioconservati dopo la morte del partner-donatore. All’epoca la pratica non era espressamente vietata dalla legge (come accade invece oggi), ma era proibita dall’art. 11 del Codice di autoregolamentazione per la p.m.a. (adottato dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei medici il 2/11/1998). Sulla base di tale disposizione un centro medico di Palermo, cui la donna si era rivolta, rifiuta di effettuare l’impianto. La donna ricorre al Tribunale palermitano
ex art. 700 c.p.c. ed ottiene una decisione favorevole (ord. dell’8 gennaio 1999), con la quale il collegio siciliano dispone in via cautelare e urgente che il centro medico procedesse all’embryo-transfer fino a che la gravidanza non avesse avuto successo. Il Tribunale assunse tale decisione dopo aver costatato l’inesistenza di una normativa statale che
vietasse espressamente l’impianto post mortem e più in generale l’utilizzo di embrioni congelati.
7 Tra le tecniche di diagnosi prenatale più diffuse, efficaci e collaudate, ricordiamo l’amniocentesi e la villocentesi, così come esistono tipi di esami non invasivi (a differenza delle due tecniche citate, che prevedono prelievo di liquido tramite puntura) basati sugli screening ecografici (per saperne di più, v. la voce "Diagnostica prenatale" all’URL http://it.wikipedia.org/wiki/Diagnostica_prenatale
8 Tale tipo di indagine in effetti risulterebbe superficiale in quanto «consentirebbe unicamente di valutare la compattezza e lo stato di aggregazione delle cellule costituenti l’embrione, ma non di individuare eventuali anomalie
genetiche» (così il Trib. di Cagliari cit.).
9 La decisione è citata in motivazione nell’ordinanza qui in commento. I giudici altresì pongono l’accento sulla «necessità di salvaguardare la pari dignità di uomo e donna (…), impedendo quello che autorevole dottrina ha definito come la legislazione in ordine al corpo della donna come "luogo pubblico", contro e oltre il suo privato convincimento (…)».
10 La notizia è del 23 gennaio 2007 ed è disponibile online sul sito del Corriere della sera all’URL http://www.corriere.it/cronache/08_gennaio_23/tar_lazio_fecondazione_3e19eaf4-c9cb-11dc-97c6-0003ba99c667.shtml, così come anche altri quotidiani di rilevanza nazionale (es. Il Sole 24 ORE e LA STAMPA) hanno dato ampio risalto al fatto. Tra l’altro i giudici amministrativi romani hanno sollevato questione di legittimità costituzionale in ordine a talune disposizioni della l. 40/2004, cosicché sarà ora necessario attendere che si pronunci la Consulta.