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La libertà e la legge

Bruno Leoni, 1961
Bruno Leoni - La libertà e la legge
Bruno Leoni - La libertà e la legge
La libertà e la legge - Bruno Leoni

La libertà e la legge - Bruno Leoni

Perché leggere questo libro

Bruno Leoni è stato, dal dopoguerra fino alla sua tragica morte nel 1967, lo studioso italiano di scienze sociali più conosciuto all’estero, ma nel nostro paese è rimasto isolato perché il suo liberalismo radicale era del tutto estraneo alla cultura prevalente.

Proprio la vicenda del suo capolavoro, La libertà e la legge, testimonia l’eclisse del pensiero liberale italiano in quegli anni. Il libro venne stampato nel 1961 negli Stati Uniti con il titolo di Freedom and the Law, e poi ristampato nel 1972.

Leoni neanche si preoccupò di predisporre una traduzione in lingua italiana, tanto le sue tesi gli parevano lontane da quelle che circolavano nel dibattito italiano. L’edizione italiana del libro è uscita solo nel 1994, e da allora si è avuta una grande riscoperta del suo pensiero, con la fioritura di numerose pubblicazioni, iniziative, convegni.

 

PUNTI CHIAVE

  • Il diritto è un ordine spontaneo
  • La legge nasce dalla società, non dallo Stato
  • La norma giuridica nasce dall’incontro delle pretese individuali
  • Il diritto giurisprudenziale produce più certezza della legislazione parlamentare
  • Il diritto pretorio romano e la common law inglese sono esempi di diritto non legislativo
  • Il diritto decretato è incompatibile con la libertà di mercato
  • La legislazione statale è inefficiente quanto la pianificazione economica centralizzata

 

Riassunto

La conquista statuale del diritto

Leoni, che era avvocato oltre che insegnante di filosofia del diritto all’università di Pavia, fa notare, all’inizio del libro, che la libertà non è solo un concetto economico o politico, ma anche e soprattutto un concetto giuridico, e per questa ragione il pericolo maggiore per la libertà individuale oggi proviene dall’errata ma dominante identificazione del diritto con la legislazione statale. Il peso crescente della legislazione in quasi tutti gli ordinamenti giuridici, infatti, è probabilmente il carattere più impressionante della nostra epoca.

Mentre la common law dei paesi anglosassoni e le corti di giustizia ordinarie stanno costantemente perdendo terreno a favore della legge scritta e delle autorità amministrative, nei paesi continentali il diritto civile sta subendo un parallelo processo di sommersione per le migliaia di leggi che riempiono i codici ogni anno. Oggi si pensa che la legislazione offra un rimedio veloce, razionale e di ampia portata contro ogni genere di male e di inconvenienti, rispetto alle decisioni giudiziarie, alla soluzione delle dispute da parte di arbitri privati, alle convenzioni, ai costumi e ad altri tipi di sistemazioni spontanee da parte degli individui.

Un fatto che non viene notato quasi mai, continua Leoni, è che il rimedio della legislazione statale può essere troppo veloce per essere efficace, troppo imprevedibilmente ampio per essere del tutto benefico, e connesso troppo direttamente con le opinioni e gli interessi contingenti di un manipolo di persone, i legislatori, per essere un rimedio per tutti gli interessati. Non è affatto vero che l’inflazione legislativa sia necessaria per affrontare i problemi più complessi della moderna società industriale. Al contrario, lo sviluppo della scienza e della tecnologia all’inizio della nostra era moderna fu reso possibile grazie a procedure adottate in contrasto totale con quelle consuete della legislazione.

La ricerca tecnica e scientifica richiedeva e richiede ancora l’iniziativa e la libertà individuale perché possano prevalere, eventualmente anche contro autorità contrarie, le conclusioni e i risultati ottenuti dagli individui. La legislazione, invece, si basa sempre sul principio di autorità e sulla prevalenza della maggioranza.

 

I pericoli della democrazia totalitaria

Nei paesi occidentali di oggi, osserva Leoni, gli individui hanno ancora in buona parte la possibilità di decidere e agire come tali in molti campi, come nel commercio, nel linguaggio, nei rapporti personali e in molti altri tipi di relazioni sociali (parlare, vestirsi, scegliere il coniuge, viaggiare). Tuttavia essi sembrano aver accettato un ordinamento in cui un gruppo ristretto di persone, che raramente conoscono, può decidere che cosa tutti debbano fare, entro limiti definiti in modo vago o praticamente senza nessun limite.

Sempre meno gente sembra rendersi conto che, come la lingua e la moda sono un prodotto della convergenza di azioni e decisioni spontanee da parte di un gran numero di individui, così anche la legge può essere il prodotto di una simile convergenza di azioni individuali.

Per millenni, prima della monopolizzazione del diritto in capo allo Stato avvenuta in epoca contemporanea, le persone concepivano il diritto come un ordine corrispondente alla volontà “comune”, cioè come una volontà che si poteva presumere esistente in tutti i cittadini.

Oggi invece ci si è abituati all’idea del diritto come espressione della volontà particolare di certi individui e gruppi che sono abbastanza fortunati da avere dalla loro parte una maggioranza contingente di legislatori in un dato momento. In questo modo la legge è giunta a somigliare sempre più a una specie di diktat che le maggioranze vincenti nelle assemblee legislative impongono sulle minoranze, spesso col risultato di sovvertire aspettative individuali di lunga data e di crearne di completamente prive di precedenti.

L’uomo comune, insomma, oggi vede sempre più il diritto come qualcosa di estraneo, come un fulmine che gli può cadere addosso all’improvviso dall’alto.

La legislazione comporta sempre e inevitabilmente la costrizione degli individui che le sono soggetti, anche quando viene approvata dai “rappresentanti” democratici. Che la democrazia rappresentativa sia un’impostura, come diceva Joseph Schumpeter, è forse eccessivo; però bisogna ammettere, scrive Leoni, che più sono numerose le persone che si cerca di rappresentare col processo legislativo, più sono numerosi gli ambiti in cui si cerca di rappresentarli, più la parola “rappresentanza” perde di significato e si allontana dalla effettiva volontà dei rappresentati.

Oggi ci troviamo di fronte a una potenziale guerra giuridica di tutti contro tutti, condotta per mezzo della legislazione e della rappresentanza.

L’alternativa può essere solo uno stato di cose in cui tale guerra giuridica non possa aver luogo, o almeno non in modo tanto ampio e pericoloso quanto minaccia di essere. Per questa ragione, dice Leoni, dobbiamo cercare di ridurre la vasta area attualmente occupata dalle decisioni collettive nella politica e nel diritto, e nello stesso tempo attuare uno stato di cose simile a quello che prevale nell’ambito del linguaggio, della common law, del libero mercato, della moda, del costume, ove tutte le scelte individuali si adattano reciprocamente e nessuna è mai messa in minoranza.

 

La vitalità del diritto giurisprudenziale: diritto romano e common law

Per fortuna, osserva Leoni, non serve rifugiarsi in Utopia per trovare ordinamenti giuridici diversi da quelli attuali. La storia del diritto pretorio romano, dello ius commune elaborato dai giuristi sulla base del Corpus Juris di Giustiniano, dello ius mercatorum sviluppato dai ceti mercantili medioevali e della common law inglese ci danno una lezione del tutto differente da quella dei sostenitori dell’inflazione legislativa. I romani all’epoca della repubblica, gli uomini del medioevo e gli inglesi, infatti condividevano l’idea che il diritto fosse qualcosa da scoprire piuttosto che da decretare, e che nessuno fosse così potente nella società da essere in posizione di identificare la sua propria volontà con la legge del paese. Il compito di “scoprire” la legge era affidato ai pretori, ai giureconsulti e ai giudici, categorie paragonabili agli esperti scientifici di oggi.

«Il giurista romano», spiega Leoni «era una specie di scienziato: gli oggetti della sua ricerca erano le cause che i cittadini sottoponevano al suo studio, proprio come gli industriali oggi potrebbero sottoporre a un fisico o a un ingegnere un problema tecnico dei loro impianti o della loro produzione» (p. 95). Anche la nuova era della codificazione all’inizio del diciannovesimo secolo cominciò con l’idea modestissima di ristabilire e riaffermare il diritto dei giuristi riscrivendolo nei codici, ma senza modificarlo o sovvertirlo.

Il diritto che nasce dai precedenti giudiziari, spiega Leoni, è fondamentalmente diverso da quello emanato dai corpi legislativi, almeno sotto tre aspetti: in primo luogo i giudici sono in sostanza degli arbitri che possono intervenire solo quando il loro intervento è richiesto dagli interessati; in secondo luogo la decisione del giudice ha effetto solo sulle parti in causa e non riguarda, se non incidentalmente, gli estranei al processo; in terzo luogo queste decisioni vengono raggiunte quasi sempre facendo riferimento alle decisioni di altri giudici su casi simili, e perciò vengono prese con la collaborazione di tutte le parti in causa, sia passate sia presenti.

Tutto ciò significa che gli autori di queste decisioni non hanno nessun potere reale sugli altri cittadini oltre a quello che i cittadini stessi sono disposti a dar loro quando richiedono una decisione su una vertenza particolare. Inoltre questo stesso potere è ulteriormente limitato dall’inevitabile riferimento di ogni decisione alle decisioni prodotte in casi simili da altri giudici.

In definitiva, osserva Leoni, «tutto il processo può essere descritto come una specie di collaborazione ampia, continua e per lo più spontanea fra giudici e giudicati allo scopo di scoprire qual è la volontà della gente in una serie di esempi definiti – una collaborazione che può essere paragonata, per molti aspetti, a quella che esiste fra tutti i partecipanti ad un mercato libero» (p. 25).

I sostenitori della legislazione sostengono che solo una legge scritta garantisce la certezza ai cittadini, mentre il diritto giurisprudenziale sarebbe caotico e disordinato. In realtà, osserva Leoni, il diritto che nasce dalla prassi dei tribunali offre ai consociati un tipo di certezza ben più rilevante di quello legato al testo scritto, perché dà agli individui la possibilità di fare piani a lungo termine in base a una serie di regole adottate spontaneamente dalla gente comune e accertate dai giudici per secoli e generazioni. Per questo motivo il diritto romano, pur non essendo costituito da una serie di regole espresse con precisione paragonabili a quelle di un codice scritto, aveva una certezza tale da mettere i cittadini in grado di fare liberamente e con fiducia progetti per il futuro.  

 

Pianificazione economica e pianificazione giuridica

I romani accettavano dunque un concetto di certezza del diritto secondo cui il diritto non doveva mai essere soggetto a cambiamenti improvvisi e imprevedibili. In più, il diritto non doveva mai essere subordinato alla volontà o al potere arbitrario di qualsiasi assemblea legislativa e di qualsiasi persona, compresi i senatori e gli altri magistrati. Questo concetto romano di certezza a lungo termine era essenziale per la libertà di cui i cittadini romani godevano abitualmente negli affari e nella vita privata.

Essi mettevano infatti le relazioni giuridiche tra i cittadini su un piano molto simile a quello delle libere relazioni economiche nel mercato: «Non posso, in effetti, concepire un mercato veramente libero – commenta Leoni – se esso non è radicato a sua volta in un ordinamento giuridico libero dalle interferenze arbitrarie, cioè improvvise e imprevedibili, delle autorità o di qualsiasi altra persona» (p. 96). Non è un caso che «il libero mercato fu al suo culmine nei paesi di lingua inglese quando la common law era praticamente il solo diritto del paese riguardo alla vita e agli affari privati. D’altra parte, fenomeni come le attuali interferenze governative nel mercato sono sempre connesse a un aumento della legiferazione» (p. 102).

Leoni applica quindi al mondo del diritto la concezione austriaca del mercato come ordine spontaneo, con un meccanismo di vera e propria simmetria. Se la libera interazione fra i soggetti produce, dal punto di vista economico, lo scambio di beni e servizi, rapportati in una proporzione che prende il nome di prezzo, che cosa viene prodotto da questa stessa interazione dal punto di vista giuridico?

La risposta di Leoni è che in tal caso si scambiano “pretese”, le quali vengono rapportate in una proporzione che prende il nome di norma: le norme dette “giuridiche corrispondono infatti, nel mondo delle pretese, ai prezzi di mercato; il processo della formazione delle norme appare analogo a quello della formazione dei prezzi.

L’idea sottostante a tale teoria è che, esattamente come c’è un mercato dei beni, c’è un mercato del diritto. Le regole corrispondono ai prezzi: sono l’espressione delle condizioni richieste per lo scambio di azioni e di comportamenti.

E, proprio come per i prezzi, le regole non sono imposte, ma scoperte. Il novanta per cento del “diritto vivente” è basato su regole spontaneamente scoperte dagli attori. Gli esperti del diritto (giuristi, giudici, giureconsulti) intervengono nell’ambito di una fascia marginale di casi, in cui le condizioni per lo scambio delle azioni non sono chiare, decise o accettate.

Lo scambio produce pertanto le condizioni economiche (i prezzi) e giuridici (le norme e l’ordinamento) che lo rendono possibile. «Se non erro – scrive Leoni – c’è più di un’analogia fra l’economia di mercato e il diritto giudiziario o dei giuristi, come c’è più di un’analogia fra l’economia pianificata e la legislazione. Se si considera che l’economia di mercato ha avuto più successo a Roma e nei paesi anglosassoni, entro la struttura di un diritto rispettivamente di giuristi e giudiziario, sembra ragionevole concludere che non si tratti di una mera coincidenza» (p. 27).

Se Friedrich A. von Hayek ha presentato il mercato come lo strumento attraverso cui mobilitare le conoscenze largamente disperse all’interno della società e di cui i prezzi sono la sintesi, Leoni ha utilizzato la stessa idea con riferimento al diritto. Pertanto, la critica di Ludwig von Mises all’economia pianificata, secondo cui è impossibile per le autorità calcolare i veri bisogni dei cittadini, secondo Leoni è perfettamente applicabile anche alla legislazione statale, dato che i legislatori non avranno mai una conoscenza sufficiente dell’infinità di elementi e di fattori che riguardano le relazioni tra gli individui.

Malgrado l’espansione della legislazione, la vitalità del diritto spontaneo è ancora visibile nelle nostre attuali società, dove il tasso di “evasione” delle norme legislative, spesso assurde, incomprensibili o inapplicabili, ha raggiunto livelli elevatissimi. Anche la fuga dalla giustizia statale, troppo lenta, inefficiente e lontana nei suoi pronunciamenti dal sentire comune, è ben documentata. Nel frattempo le esigenze del mondo degli affari generano un diritto vivente fatto di nuove forme contrattuali e arbitrali che testimoniano l’insopprimibile capacità della società civile di generare dal basso delle norme giuridiche applicate e rispettate senza necessità dell’intervento statale.

 

CITAZIONI RILEVANTI

La legislazione statale è autoritaria e antiscientifica

«La legislazione … è il punto terminale di un processo in cui prevale sempre l’autorità, proprio contro la libertà e l’iniziativa individuali. Mentre i risultati scientifici e tecnologici sono sempre dovuti a minoranze relativamente piccole o a individui particolari, spesso in opposizione a maggioranze ignoranti o indifferenti, la legislazione, specialmente oggi, riflette sempre la volontà di una maggioranza contingente entro un consiglio di legislatori che non sono necessariamente più istruiti o illuminati dei dissidenti. Ove prevalgono le maggioranze e le autorità, come nella legislazione, gli individui devono, a ragione o a torto, arrendersi» (p. 8).

 

L’affidabilità del diritto romano

«Il diritto privato romano era qualcosa che doveva essere descritto o scoperto, non qualcosa che dovesse essere decretato – un mondo di cose che esistevano e facevano parte della comune eredità dei cittadini romani. Nessuno promulgava queste leggi, e nessuno poteva cambiarle esercitando il suo arbitrio personale. Questo non significava immutabilità: ma certamente nessuno andava a letto la sera facendo i suoi progetti sulla base di una norma esistente, solo per alzarsi la mattina dopo e scoprire che la regola era stata rovesciata da una innovazione legislativa» (p. 95).

 

La rivincita del diritto spontaneo

«Ci sono oggi paesi in cui la funzione giudiziaria svolta da giudici nominati ufficialmente dal governo e basata sul diritto decretato è così lenta, impacciata e costosa, che la gente preferisce ricorre ad arbitri privati per la soluzione delle controversie. Inoltre, ove il diritto decretato sembra troppo astruso, l’arbitro è spesso propenso ad abbandonare il fondamento del diritto decretato a favore di altri criteri di giudizio. D’altra parte, gli uomini d’affari amano ricorrere, quando possibile al negoziato piuttosto che ai giudizi ufficiali basati sul diritto decretato. Sebbene manchiamo di statistiche per la maggior parte dei paesi, sembra ragionevole pensare che la tendenza stia crescendo e possa considerarsi come un sintomo di un nuovo sviluppo» (p. 198).

 

L’autore

Bruno Leoni

Bruno Leoni (1913-1967) nasce ad Ancona il 26 aprile 1913. Nel 1942 diventa professore straordinario di Dottrina dello Stato presso l’università di Pavia, ma la guerra lo tiene per qualche anno lontano dagli studi e dall’insegnamento. Nel corso del conflitto entra a far parte di A Force, un’organizzazione segreta alleata incaricata di recuperare prigionieri e salvare soldati. Finita la guerra, Bruno Leoni inizia la sua attività accademica insegnando Filosofia del diritto e ricoprendo l’incarico di preside della facoltà di Scienze Politiche dal 1948 al 1960.

Diventa membro della Mont Pelerin Society (di cui sarà segretario e poi presidente), e in queste riunioni ha l’opportunità di entrare in contatto con una scuola di pensiero, il liberalismo classico, del tutto estranea al clima intellettuale dell’Italia di allora, dominato dal marxismo e dal neopositivismo. Questi scambi intellettuali con i più grandi esponenti del liberalismo hanno un’importanza decisiva nella maturazione delle idee di Leoni, il quale non avrebbe mai potuto elaborare le sue tesi originali se la sua attività scientifica fosse rimasta confinata al dibattito italiano. Nel 1950 fonda la rivista “Il Politico” e svolge un’intensa attività pubblicistica, scrivendo numerosi articoli per il quotidiano economico “Il Sole 24 Ore”. Nel 1961 pubblica negli Stati Uniti Freedom and the Law, frutto di una serie di conferenze tenute in California nel 1958. Per molti decenni, grazie a questa sua opera, il nome di Bruno Leoni sarà molto più noto all’estero che in Italia. Nel frattempo continua a svolgere anche la professione di avvocato, e proprio nello svolgimento di questa attività viene assassinato, in tragiche circostanze, il 21 novembre 1967.

 

INDICE DEL LIBRO

IX         Introduzione di Raimondo Cubeddu

3          Premessa

30        Quale libertà?

50        Libertà e costrizione

67        Libertà e rule of law

87        Libertà e certezza del diritto

108      Libertà e legislazione

126      Libertà e rappresentanza

149      Libertà e volontà comune

172      Analisi di alcune difficoltà

194      Conclusione

211      Note

217      Indice dei nomi

 

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NOTA BIBLIOGRAFICA

Bruno Leoni, La libertà e la legge, Liberilibri, Macerata, 1994, traduzione di Maria Chiara Pievatolo, introduzione di Raimondo Cubeddu, p. 220.

Titoto originale: Freedom and the Law.