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La magistratura che verrà nelle speranze del Presidente della Repubblica

Sergio Mattarella
Sergio Mattarella

Pochi giorni fa il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha presenziato alla celebrazione del decennale della Scuola superiore della magistratura.

Il suo indirizzo di saluto è stato l’occasione per sottolineare una volta di più l’essenzialità di alcune questioni e l’indispensabilità del loro inserimento nell’agenda politica.

La prima: occorre ritrovare il rigore, rivitalizzare le radici deontologiche, rifuggire da autoreferenzialità e protagonismo, obiettivi questi che devono appartenere ad ogni singolo magistrato e all’intero ordine giudiziario.

La seconda: occorre riformare il CSM per evitare il rischio che la sua azione si esaurisca in “una sterile difesa corporativa” e sia condizionata dalle “appartenenze” e per recuperare la sua funzione di presidio dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura; occorre inoltre adottare un nuovo sistema elettorale che “sappia sradicare accordi e prassi elusive di norme che, poste a tutela della competizione elettorale, sono state talvolta utilizzate per aggirare le finalità della legge”.

La terza: la funzione giustizia avrà un ruolo importante per la modernizzazione e la ripresa del Paese e la realizzazione degli obiettivi del PNRR; occorre quindi usare bene le nuove risorse e i nuovi strumenti organizzativi e normativi messi a disposizione dell’amministrazione della giustizia ma a questo sforzo la magistratura deve rispondere con “un cambiamento organizzativo e di mentalità non più rinviabile” e aumentando, anche grazie al potenziamento dell’ufficio del processo, gli standard di produttività.

La quarta: “le decisioni della magistratura devono essere “comprensibili e riconoscibili” e, per essere tali, vanno improntate ai canoni costituzionali della ragionevolezza e dell’equità, valori che devono guidare nel giudizio” e i percorsi intellettuali che le precedono non possono mai risolversi in arbitrio o “mera esercitazione intellettuale”.

Non si tratta per la verità di questioni nuove.

Il Capo dello Stato le indica da tempo con tutta l’autorevolezza della sua carica e del suo prestigio personale. Eppure, al di là di qualche fiammata temporanea, di generiche condivisioni di principio e di vaghe esternazioni su questo o quel canale social, nulla è successo che mostri una reale e sincera sensibilità all’ascolto, all’approfondimento e all’azione concreta.

Questo vale per la politica e quindi per il legislatore, entrambi finora incapaci anche solo di analizzare compiutamente l’attuale picco negativo di credibilità della giurisdizione e i fenomeni collettivi e le condotte individuali che lo hanno causato.

Vale anche per il CSM la cui complessiva attività non dimostra certo il cambio di passo che sarebbe stato necessario dopo la devastante perdita di credibilità derivata dal cosiddetto “caso Palamara”.

Vale per la magistratura nel suo complesso per ciò che concerne la tensione all’organizzazione e all’adozione di soluzioni idonee ad agevolare un aumento della produttività.

Vale per gli organismi rappresentativi della magistratura, ANM e singole correnti, che faticano a liberarsi da prospettive di pura difesa dell’esistente e di chiusura ad ogni novità che metta in discussione anche solo in minima parte il pacchetto che, denominato genericamente autonomia e indipendenza, contiene non pochi e non minimali privilegi corporativi.

Vale per quei singoli magistrati o quei singoli gruppi di magistrati alle cui attività il Capo dello Stato ha associato il rischio di arbitri e pure (e spesso compiaciute) esercitazioni intellettuali.

Chissà quanti altri avvertimenti saranno necessari prima che gli auspici presidenziali vengano realizzati.