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La materia della maternità

Stormi a Marina di Ravenna
Ph. Ermes Galli / Stormi a Marina di Ravenna

Abstract

L’articolo si propone di indagare la sostanza dell’essere madri, scandagliandone il senso più profondo attraverso riferimenti giuridici, filosofici e letterari.

 

“Verrà il giorno in cui la donna riunirà in sé la bellezza e conoscenza, versatilità e virtù, delicatezza fisica e forza d’animo?” (Kahlil Gibran). La donna accoglie e raccoglie tutte le virtù della vita nella maternità, da quella biologica a quella educativa. È emblematico che “donna” cominci con “do”, come la prima nota musicale e come la prima persona singolare del presente indicativo del verbo dare, ma anche come “don”, un rintocco delle campane: in altre parole rappresenta l’inizio della vita e, poi, occorre la cooperazione di altri.

“La condizione delle madri, non solo nel nostro Paese, migliorerà non solo con servizi migliori e più numerosi, ma soprattutto nella riscoperta di modalità integrate di sostegno ai progetti di vita, in cui la libertà, la creatività e le responsabilità di madri, padri e famiglie vengano promosse e sostenute con interventi mirati, non sostitutivi, ma promozionali: sussidiari, appunto” (il sociologo Francesco Belletti, nel commento al Rapporto di Save the Children su “Madri Equilibriste. La maternità in Italia”, maggio 2018). “[La Repubblica] Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo” (art. 31 comma 2 Cost.). Donna: determinazione, dignità, diritti. Donare e donarsi nella femminilità che non è necessariamente dondolarsi sui tacchi o crogiolarsi solo di ciò che è estetico ed esteriore per farsi desiderare dai “maschi” e non dagli uomini. Essere donna è ricevere un dono e farsi donazione di vita e amore e comporta il rispettare (anche le altre donne) e il farsi rispettare.

Maternità non è tanto un’esperienza materiale quanto materializzare la vita in ogni forma o momento. Maternità non è solo generare ma rigenerare, non solo dare alla luce ma dare luce, non solo alimentare ma nutrire, non solo allevare ma allenare, non solo edulcorare ma edificare la vita.

“E quando la mamma va a trovarli, le mettono le mani sul viso, la toccano bene dalla fronte al mento e alle orecchie, per sentir com’è fatta, e quasi non si persuadono di non poterla vedere, e la chiamano per nome molte volte come per pregarla che si lasci, che si faccia vedere una volta!” (“I ragazzi ciechi” dal libro “Cuore” di Edmondo De Amicis). La mamma dà continuamente la vita ad un figlio, nel metterlo al mondo e nel gestire l’attaccamento-distacco sino all’età adulta (si tengano presenti le tensioni durante il periodo adolescenziale); deve fare attenzione che la sua maternità non diventi ipercura, discuria o incuria, anche nella gestione dell’eventuale separazione/divorzio dal coniuge. Maternità è anche saper dare un taglio dal figlio che porterà sempre con sé la madre nella cicatrice dell’ombelico. Una delle espressioni più ripetute nelle “Linee guida sull’infanzia e l’adolescenza” (a cura dell’AICS, Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, 2021) è la “salute materno-infantile” perché è stata e continua ad essere una priorità alla base di ogni nuova vita.

Il “volto” della mamma: il primo che si percepisce pur senza vederlo, l’ultimo che si cerca pur di rivederlo. La mamma: fonte di vita, guida di vita, luce di vita. Quello di cui dovrebbero tener conto coloro che oscurano o ostacolano la maternità con rappresaglie quotidiane o con altre forme di egoismo ed individualismo. Quante mamme esemplari nel silenzio e nella fatica di ogni giorno e quante altre affette da sindromi (tra cui la sindrome di Medea) e cause di sindromi (la sindrome di Munchausen in caso di ipercura)! La sofferenza di una madre e la sua capacità di accoglierla e raccoglierla nel silenzio (come la vita esplode nel silenzio del grembo) sono infinite ed anche per questo la maternità è una generazione e non solo gestazione, per cui “No” ad ogni alterazione o morbosità della maternità.

La scrittrice Silvana De Mari annota: “La libertà passa dalle madri, perché non può nascere un uomo libero da una donna schiava. Che ogni bambina, ogni donna sia libera”. La femminilità, che si sostanzia nella maternità (da quella adottiva a quella spirituale, sull’esempio di Maria e Madre Teresa di Calcutta) è forma e fonte di libertà, che si manifesta col primo gesto di vita, il taglio del cordone ombelicale (il taglio da ogni legaccio).

Secondo la giornalista Sabina Fadel “[…] gli atteggiamenti materni fondamentali: la presenza/assenza della madre (entrambe importantissime per lei e per il figlio), il suo desiderio (che non può e non deve esaurirsi nella maternità, pena gravare il figlio di un peso insopportabile), la sua cura (antidoto all’incuria assoluta del nostro tempo), la sua eredità (non quella della Legge, ma quella del sentimento della vita), il suo dono (quello del respiro e di uno sguardo fiducioso sul mondo)”. Nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si usa l’aggettivo “materno” solo nell’art. 24 lettera “e” in cui si parla di “vantaggi dell’allattamento materno”. Il riferimento all’allattamento materno richiama il senso e la funzione della maternità: con l’allattamento la mamma non solo nutre il corpo, ma nutre tutta la vita biopschica del figlio. Come una mamma sa riconoscere, valutare e gestire i tempi e le dosi dell’allattamento e successivamente dello svezzamento così, poi, deve saper riconoscere, valutare e gestire tempi e modi dell’attaccamento/distacco, altrimenti rischia di innescare rapporti patologici o patogeni col figlio. L’allattamento materno è una lezione di maternità per le mamme stesse: allattare è dare al figlio il necessario e quando necessario, preparare e prepararsi allo svezzamento che comporta il distacco fisico e l’autonomia del figlio. Quell’allattamento richiamato pure nell’art 5 della Carta dei diritti del bambino nato prematuro (approvata dal Senato della Repubblica il 21 dicembre 2010).

“[Voi] avete riempito la mia vita di una dolcezza tale come nessun altro avrebbe mai potuto fare. Siete il più “rinfrescante” dei miei ricordi, quello che risveglia la mia gioia. E ogni oggetto, anche il più piccolo, che proviene da voi è capace di riscaldarmi il cuore: un vostro maglione, un vostro guanto, non fanno che proteggermi. Sappiate che considero la mia vita meravigliosa!” (da “Lettere a mia madre” di Antoine de Saint-Exupéry). Una madre dovrebbe non solo generare vita, ma pensieri e ricordi di vita, rendere la vita meravigliosa per i figli, e non provocare disturbi (come la cosiddetta “madre drago” o divorante di figlie anoressiche) o altro ancora. Solo una vera madre sa accettare una scelta di morte (non solo fisica) del figlio e piangerne in silenzio. Anche questo è dare continuamente la vita: soffrire alla soglia del cuore chiuso del proprio figlio senza osare bussare per non disturbare (come quando si aspetta che finiscano le doglie e che il figlio venga alla luce). La maternità è una vocazione, una missione, di tutto di più. E non sono sufficienti una gravidanza e un successivo parto per essere o sentirsi madri. È vero che genitorialità è responsabilità, ma i figli ricordino che responsabilità è altresì bilateralità e reciprocità come nel cordone ombelicale e nel taglio dello stesso.

“A volte è bene che una madre chiuda tutti i manuali e rimanga sul divano, senza maglietta, senza difese, senza domande, con suo figlio addosso: è leggero e caldo. Sta per addormentarsi. Chiude anche lei gli occhi, provando a sbagliare da sola” (da “Esercizi di meraviglia” della filosofa Vittoria Baruffaldi). “Nell’assolvimento del loro compito essi [i genitori] debbono venire innanzitutto guidati dall’interesse superiore del fanciullo” (art. 18 par. 1 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). In particolare la maternità è imparare a sentire le esigenze del figlio in un continuo equilibrio tra sé e il mondo esterno, come quando si porta il feto in grembo.

Uno dei diritti più controversi tra i diritti della persona nell’ordinamento italiano, in particolare tra i diritti delle donne, è il diritto all’anonimato della donna partoriente che non vuole riconoscere il figlio (art. 30 DPR 396/2000 e art. 28 comma 7 L. 184/1983, legge sull’adozione). Interessante il contenuto della Lettera aperta a una donna che non ha riconosciuto il proprio nato e vuole continuare a restare anonima: “[…] Chiediamo ai figli adottivi di comprendere ed accogliere una decisione che ha consentito loro di nascere e di crescere nella loro famiglia adottiva: il desiderio anche profondo, di conoscere chi li ha messi al mondo deve sapersi fermare di fronte a questa decisione e non deve andare a sconvolgere l’esistenza di queste donne e dei loro cari con cui hanno costruito, forse anche faticosamente, una vita serena insieme… […]. Se così non fosse, non dovremo poi stupirci se le gestanti, che in futuro non intenderanno riconoscere il proprio nato, non potendo più contare sulla garanzia dell’anonimato, non si rivolgeranno più all’ospedale per partorire: potranno essere costrette a partorire in condizioni precarie e rischiose per la salute loro e dei loro nati e anche cadere nella rete di trafficanti di bambini; potranno aumentare, oltre agli aborti, gli infanticidi e gli abbandoni dei neonati in luoghi e con modalità che potranno mettere in pericolo la loro vita… […] garantire alle gestanti in difficoltà – anche col supporto di personale adeguatamente preparato – gli aiuti di cui necessitano prima, durante e dopo il parto, accompagnandole a decidere responsabilmente se riconoscere o meno il proprio nato e sostenendole fino a quando sono in grado di provvedere autonomamente a se stesse e, se hanno riconosciuto il neonato, al proprio figlio. Sono loro che rischiano di essere abbandonate!” (a cura dell’ANFAA-Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie, Torino 18-11-2017). Bisogna ricordare che la maternità non è connaturata all’essere donna ma deve essere frutto di una scelta e, possibilmente, in una relazione d’amore: c’è differenza tra un figlio e un neonato solo partorito.

Anche la scelta dell’anonimato e del dare il figlio appena partorito in adozione è una scelta consapevole e responsabile. “Maternità responsabile”, locuzione comparsa una delle prime volte nella legge istitutiva dei consultori n. 405/1975: essere mamma è tagliare il cordone ombelicale ogni volta che sia necessario per la propria crescita personale e soprattutto per quella del figlio/a che è altra persona da sé. In tal modo si è vera madre come il lievito madre che si moltiplica nei suoi prodotti e la madre terra che si rigenera nelle sue creature. Nelle culture orientali si parla e si rappresenta graficamente il “mandala” (cerchio, ciclo, centro). Il primo mandala che apre e si apre alla vita è la maternità: così l’ovulo, il grembo, il seno. E così dovrebbe essere in ogni fase della vita, anche quando in caso di separazione/divorzio la madre deve aprire i figli a conservare e coltivare le relazioni col padre.

“I beni più preziosi non devono essere cercati, ma attesi” (la filosofa francese Simone Weil). A cominciare dalla maternità che non deve essere cercata in ogni modo o, addirittura, pretesa, ma semplicemente, naturalmente e amorevolmente attesa.

Mamma: una parola di vita, la vita in una parola, una parola senza tempo, di ogni tempo, oltre ogni tempo e contrattempo! Chi muore per il “desiderio” di avere un figlio, chi muore per dare alla luce un figlio, chi muore ogni giorno per l’amore per un figlio: anche questo è la maternità.

Maternità: quel grande cuore che contiene le persone più importanti e che è trasfuso nei figli.