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La moribonda di ieri, i moribondi di oggi

Testamento de España
Testamento de España

Il Testamento de España, che una prevalente tradizione attribuisce a Melchor de Macanaz, ma di cui in realtà non si conoscono con certezza né autore né anno di compilazione, ha circolato a lungo in Spa­gna fin dalla metà del XVIII secolo in forma di manoscritto anonimo e poi in rare edizioni a stampa anche clandestine. Il componimento, costruito nella formula retorica della prosopopea, si rivela una graffiante satira sul dissesto politico, morale e fi­nanziario della Spa­gna nel Settecento. La nazione spagnola, carica di orgoglio e di superbia, sorride malinconicamente dei propri malcostumi e delle proprie disgrazie, accettandoli con dignità e serena rassegnazione. La testatrice Spagna amareggiata e sofferente, giunta in fin di vita, detta in prima persona con sottile autoironia le sue ultime volontà, lasciando come eredi la Nazione e i suoi Stati, e come grotteschi beni da ereditare le peggiori caratteristiche umane.

Il libello, non a caso, fu colpito dai fulmini del­l’In­quisizione che lo inserì nell’Índice General de los Libros Prohibidos.

È innegabile come questo Te­sta­men­to, dopo oltre due secoli e mezzo, faccia ancora ri­flettere sull’incurabilità di alcuni vizi dei popoli (specie mediterranei), sui mali politico-economici dei Paesi go­ver­nati da oligarchie parassi­ta­rie, e sulla sconsolante certezza che il più delle volte, malgrado i tentativi di ri­forma, ben poco sia destinato a cambiare.

Una lettura divertente e istruttiva, con colpo di scena finale tutto da scoprire. Una gemma letteraria senza tempo, ricca di sconcertanti analogie con il presente.

Melchor Rafael de Macanaz (Hellín, Spagna, 1670-1760), studia Lettere e Di­­ritto all’Università di Salamanca. Du­rante la Guerra di suc­ces­sione spagnola ap­pog­gia la fazione borbonica. Nel 1715, mentre è in atto il processo mosso con­tro di lui dall’Inquisizione ri­para in Francia e trascorre buona parte della vita in esilio. Richia­mato in Spa­gna con un tranello, nel 1748 viene ar­restato e rimane in car­cere fino al 1760. Ormai novantenne, torna al suo paese natale, dove muore poco dopo.

Alessandra Battistelli (Macerata, 1970) consegue il Ph.D. in Technology and Management of Cultural Heritage presso l’IMT Institute for Advanced Studies Lucca. Esperta in progetti di valoriz­zazione del patrimonio culturale, ha vissuto per lunghi periodi in Ame­rica Latina, dove ha svolto ricerche presso il Ministerio de Cultura de Colombia, la Facultad de Arquitectura y Bellas Artes de la Universidad de Boyacá e la Fundación Tierra Viva.

 

Riportiamo dunque il pomposo Incipit del Testamento (invitando chi legge a scoprirne poi nel libro le divertenti disposizioni) e, a seguire, parte del saggio introduttivo di Alessandra Battistelli:

 

In nome dell’Eternità e della Memoria, oggi, addì sette di agosto delle mie glorie, nell’anno duecentoquaranta della mia decadenza.

Io, la Spagna, Signora e Sovrana delle due Castiglie, del Leon, dell’Aragona, delle terre d’Andalusia, di Biscaglia, di Navarra, etc., Imperatrice delle Indie, Procuratrice e Subdelegata delle nazioni straniere, con illusorie pretese sull’Europa intera, sugli altri due angoli del Globo e su quanto ancora vi è da scoprire ai Poli,

Dichiaro

al cospetto del Notaio, la Storia, nominando come testimoni il Tempo e la Verità, come curatori ed esecutori testamentari l’Inganno, l’Ambizione e l’Ignoranza, quanto segue.

 

Premessa

Questo singolare scritto, se visto come un racconto, riserva un esito non immediatamente intuibile. Chi lo ha letto e tradotto si è trovato di fronte, proprio all’ultima pagina, un finale a sorpresa. Un vero coup de théâtre. E poiché è cosa sicuramente deprecabile o almeno insensata che chi introduce una storia ne sveli la trama, per quanto esile essa sia, la curatrice, in questa breve nota, si limiterà a illustrare del Testamento oltre all’aspetto stilistico-letterario, quello storico-sociale per inquadrarne il senso e per evidenziarne i punti di affinità con la situazione presente della Spagna e di tanti altri Paesi d’Europa, compreso, ovviamente, il nostro.

 

Storia del testo

Il Testamento de España appartiene a quel genere letterario di satira politica, diffuso nella Spagna del XVIII secolo, che continua la tradizione dei pamphlets clandestini e anonimi già circolanti nel secolo precedente sia in forma di manoscritti sia editi a stampa, che divennero poi particolarmente numerosi durante la Guerra di successione spagnola (1701-1714).

Il testo viene prevalentemente attribuito al giurista e politico spagnolo Melchor Rafael de Macanaz, anche se tale paternità non è certa.

Le copie e le edizioni da noi consultate, che presentano disparità e divergenze già nei titoli (El Testamento Político de España…; Testamento político de España…; Testamento de España; Discurso Politico y Testa mento de España; El Testamento de España…), ed altre versioni similari conservate presso biblioteche e archivi spagnoli attestano la fortuna di questa formula satirico-burlesca usata per muovere critiche alla politica e alla società del tempo.

La presente traduzione è condotta sulla copia manoscritta reperita presso la Biblioteca Nacional de España, classificata sotto la titolazione Testamento de España e catalogata con attribuzione a Melchor Rafael de Macanaz. In essa il copista dà indicazioni sulla presumibile data di stesura dello scritto (1716, 1717 o 1756).

Un testo con questo titolo e con riferimento a Macanaz apparirebbe tra gli scritti proibiti dall’Inquisizione spagnola, ma sappiamo anche che nella seconda metà del ’700 il Testamento era già ampiamente diffuso e circolava in Spagna in differenti versioni.

Per i temi analizzati, per le riforme politico-sociali che descrive, il Testamento può collocarsi all’interno degli scritti degli arbitristas e dei proyectistas diffusi in Spagna durante i secoli XVI, XVII e XVIII.

Da fonti storiche e biografiche Melchor Rafael de Macanaz è definito un arbitrista, forse tra gli ultimi, cioè un “suggeritore di proposte” indirizzate al Sovrano, ma, posto che sia lui l’autore, non sempre sembra approvare i suoi colleghi, e nemmeno i proyectistas, o gli economistas, figure tutte ricorrenti nel testo. Anzi, spesso ridicolizza gli uni e gli altri, ironizzando sulle loro proposte che, anziché sollevare il Paese, contribuiscono alla sua rovina.

 

Struttura narrativa

Il Testamento de España è un esempio classico di componimento costruito nella formula retorica della prosopopea.

Esso si snoda attraverso il racconto in prima persona di una figura femminile immaginaria che rappresenta la Spagna, la quale, giunta alla fine della sua vita tra delusioni, sconfitte e sofferenze, fa testamento prima di esalare l’ultimo respiro. I momenti del racconto, che al di là delle critiche mosse dall’autore rivela un soggetto appassionato nonché deluso dalla propria Nazione, sono tre.

Un Incipit, contenente l’identificazione della testatrice e un’indicazione enigmatica della data: prassi consueta per i libelli sediziosi, volta a preservare gli autori dall’occhiuta censura dell’epoca, e vezzo letterario che dà al testo un sapore tra il parabolico e il burlesco, addolcendo il registro di graffiante satira politica. L’enfatica elencazione degli sconfinati possedimenti dell’Impero spagnolo mira a esaltare l’antica grandezza della Spagna in contrapposizione alla sua attuale decadenza. A fungere da testimoni vengono chiamati il Tempo, la Verità, mentre l’Inganno, l’Ambizione e l’Ignoranza, personificazioni di figure esiziali per il presente e per il futuro del Paese, sono nominati curatori ed esecutori testamentari.

Una seconda parte, il “Testamento” vero e proprio della Spagna, la quale fa lascito della sua eredità alla Nazione. Attraverso l’uso frequente di un altro espediente retorico, l’antifrasi, l’autore modula la sua critica sottile e un’amara ironia. Infatti, eredi delle disposizioni testamentarie della Spagna sono la Nazione e i suoi Stati, mentre i beni da ereditare consistono in caratteristiche umane e della Nazione, e tutte negative: malcostume, corruzione, malgoverno, vizi e malanni di regni e regnanti.

E formulando le sue ultime volontà, nello stesso momento in cui evidenzia le cause di tali guasti e la necessità di riforme, la Spagna dispone che nulla cambi, ovvero prescrive riforme e regole che consacrano il mantenimento del malgoverno e di una decadenza ormai secolare.

Il lascito di questa grottesca eredità diviene quindi uno stratagemma per denunciare le contraddizioni e i mali della Spagna, e per analizzarne i problemi politici, sociali, istituzionali, militari. Nel quadro generale dei malanni che affliggono il Paese, un posto di primo piano occupano quelli di ambito ecclesiastico-religioso, per i loro riflessi deleteri sull’economia e sulla società: una critica anticlericale aspra e senza appello, diretta al malcostume e allo strapotere degli Ordini e delle Istituzioni della Chiesa.

Poi una parte conclusiva, fatta di puntuali “avvertimenti” a compendio di quanto già enunciato nella trattazione centrale. In essi l’autore denuncia, fra l’altro, l’arretratezza delle scuole e delle università, dove regna una «irrancidita Filosofia aristotelica», dove il sapere si misura da titoli ottenuti col denaro e non viene praticata la ricerca, provocando così la fuga degli ingegni «verso altri Paesi che li accolgono a braccia aperte».

Il sipario cala sul Testamento caricandosi di teatrale drammaticità sino alla pantomima, con la malinconica chiusa sigillata dall’epitaffio in latino «Ab Aeternitate», che la moritura Spagna chiede sia apposto sul proprio sepolcro.

Melchor de Macanaz, Testamento de España. Da un manoscritto del XVIII secolo, a cura di Alessandra Battistelli, collana Oche del Campidoglio, pagg. 110, euro 15.00, ISBN 978-88-98094-04-2.