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La natura giuridica del contratto preliminare

1) Introduzione

Per oltre un secolo, il dibattito dottrinale sul preliminare ha riguardato la configurabilità stessa di tale istituto nel nostro ordinamento giuridico, la forma di tutela da apportare al promissario diligente nel caso di inadempimento dell’altro contraente e il suo ambito di applicazione limitato o no alla vendita.

Con la tipizzazione del contratto preliminare, ad opera del legislatore del 1942, si credeva che i diversi orientamenti potessero essere ridotti ad unità.

In verità la previsione di poche norme per giunta settoriali, come l’articolo 1351 cod. civ. che non lo definisce ma ne prevede solo la forma per relationem, ha alimentato ancora di più le dispute sul preliminare, che è sembrato essere una formula vuota da riempire di significato.

In particolare l’attenzione si è soffermata sulla natura giuridica del preliminare e del definitivo e sui loro rapporti.

Le molte teorie che sono state proposte possono essere ricondotte a due categorie, a seconda che il definitivo sia considerato un contratto (tesi c.d. francese), pur in presenza dell’alternativa costituita dalla sentenza ai sensi dell’articolo 2932, ovvero di un atto dovuto di adempimento (tesi c.d. tedesca).

Elemento comune di tutte queste teorie è quello di avere esaminato la natura giuridica del contratto preliminare di compravendita, in conseguenza del fatto che, come già è stato detto, la giurisprudenza si è occupata, in prevalenza, di dirimere liti in merito a tale tipologia contrattuale.

2) La ricostruzione teorica tradizionale

Secondo ampia dottrina il definitivo va qualificato sia come contratto, ed in quanto tale costituisce esercizio di autonomia privata, sia come atto dovuto, in quanto adempimento di una obbligazione, ipotizzando una duplicità di cause concorrenti.

Stabilito tale principio di carattere generale, tra gli stessi fautori della dottrina tradizionale, emergono alcune divergenze a proposito della causa del contratto definitivo.

Un primo orientamento riconosce pari dignità sia al profilo causale proprio del definitivo sia alla causa solvendi. (CARIOTA FERRARA L.)

Tale teoria, risalente nel tempo, è stata di recente ripresa e sviluppata da N. Visalli il quale ha affermato che è ben possibile la coesistenza della natura negoziale e di adempimento di un preesistente obbligo nello stesso atto e che la natura negoziale del definitivo deriva dalla funzione principale svolta dallo stesso che è il c.d. controllo delle sopravvenienze.

Tale orientamento è supportato da alcune previsioni codicistiche.

Alcuni autori aderendo a questo orientamento hanno cercato di stabilire con quali modalità si pone la relazione tra la causa solutoria e causa negoziale.

In particolare si è affermato (NICOLO’ R.) che il rapporto esistente tra atto del debitore e negozio giuridico sia quello tra contenente (atto dovuto) e contenuto (volontà della conclusione del definitivo) con non poche critiche[i].

Resta in ogni caso difficoltoso per i fautori di tale orientamento spiegare come un singolo atto possa avere due cause distinte e separate.

Gli assertori della teoria della doppia causa si sono posti il problema delle conseguenze, sul successivo negozio, dell’invalidità della premessa. Cariota Ferrara ha sostenuto che la nullità e l’annullabilità del preliminare non reagiscono sul definitivo; altri autori hanno teorizzato la possibilità di chiedere la ripetizione della prestazione effettuata col secondo contratto. (RASCIO R.)

Un secondo orientamento attribuisce maggiore rilevanza alla causa solvendi su quella propria del definitivo, specie in caso di contratti ad effetti reali. (GIORGIANNI M.)

Questa opinione si sta affermando soprattutto in riferimento al preliminare di vendita dove il definitivo è visto come atto traslativo solvendi causa e come tale non astratto, perciò non contrastante con il principio causalistico.

Secondo grande parte della dottrina e la giurisprudenza quasi unanime, nel definitivo assume importanza prevalente il profilo causale cosiddetto interno, lasciando uno spazio residuo molto limitato alla causa solvendi.

Qualcuno ha affermato che il contratto definitivo tende a riprodurre nel suo seno l’intera struttura negoziale (consenso più causa) e quindi appare difficile assegnargli anche valore di mero atto esecutivo di un accordo precedente. (DI MAJO A.)

Il preliminare si atteggerebbe dunque quale "mero presupposto di fatto e/o guida o parametro” per la futura condotta negoziale delle parti.

Aderisce a tale orientamento un altro autore (MAZZAMUTO S.) il quale però traccia una linea di demarcazione tra la sequenza preliminare ­definitivo e quella tra preliminare-sentenza costitutiva: nel primo caso si espande pienamente il potere di autonomia privata delle parti; nel secondo caso invece c’è una attuazione coattiva del programma obbligatorio che può tollerare solo un intervento di verifica e specificazione del giudice.

La giurisprudenza, anche se nelle sentenze difetta un rigoroso approfondimento teorico dei concetti, ha statuito la funzione solutoria e, in pari tempo, negoziale del contratto definitivo con l’enunciazione di due postulati: primo, esso non deve avere un contenuto tale da alterare la fisionomia del preliminare nei connotati essenziali; secondo, la sua funzione solutoria prevale se quella negoziale non si può sviluppare autonomamente su alcuni elementi oggettivi secondari per mancanza di accordo tra le parti[ii].

3) Le ricostruzioni teoriche non tradizionali

Altri autori hanno invece ritenuto incompatibile la doppia qualifica del definitivo sia come contratto, sia come atto dovuto, poiché l’atto di autonomia e l’adempimento di un obbligo sarebbero categorie inconciliabili.

Sulla base di questa pretesa debolezza logica della tesi tradizionale taluno ha tentato nuove vie per definire la sequenza preliminare-definitivo.

Parte della dottrina (GABRIELLI G.) ha affermato che i contraenti con il definitivo rinnovano integralmente il giudizio di convenienza espresso al momento della conclusione del preliminare, esercitando il controllo sugli eventuali vizi originari o sulle sopravvenienze, con possibilità di rifiutare la stipula del definitivo, qualora il controllo dia esito negativo.

Tale impostazione ha il vantaggio di ritardare la libera valutazione del compimento dell’affare in sede di definitivo.

Questo orientamento ha elementi di contatto con quello di Visalli, il quale ha teorizzato la funzione del definitivo come controllo delle sopravvenienze, ma è più accesamente contrattualista ritenendo che chi stipula il definitivo non esprime la stessa volontà del preliminare ma una totalmente nuova.

In altre parole viene superata la teoria del definitivo con duplicità di cause concorrenti poiché il definitivo risulta caratterizzato dalla sola causa negoziale e cioè quella relativa all’interesse pratico che il rapporto in concreto tende a realizzare e che giustifica l’attribuzione delle parti.

Seguendo la riportata impostazione del problema, però non si comprende in che cosa si distingua il contratto definitivo da un comune contratto che non sia preceduto dal preliminare e non rappresenti adempimento di un obbligo precedente.

Gazzoni ha invece criticato tale impostazione poiché risulta essere meramente descrittiva di ciò che avviene nella prassi. E’ vero che in sede di definitivo le parti esercitano un controllo ma da questo non deriva la necessità di configurare due negozi autonomi e distinti.

A questo si aggiunga che il rifiuto del promittente acquirente di stipulare il definitivo nel caso di sopravvenienze non deve essere valutato come rinnovazione del giudizio di convenienza delle parti ma come potere che ha il creditore di rifiutare l’adempimento inesatto.

Altra dottrina riprendendo la tesi precedentemente esposta, ha affermato che il preliminare deve essere inquadrato come accordo iniziale di un procedimento traslativo destinato ad essere attuato con un definitivo compiuto venditionis causa. (DE MATTEIS R.) II preliminare e il definitivo devono essere considerati entrambi atti negoziali "che racchiudono sotto il profilo causale il significato unitario dell’intera operazione economica".

Secondo un altro autore (NICOLETTI C. A.) il contratto preliminare sarebbe una "pattuizione con riserva di completamento". Il definitivo quindi svolgerebbe il ruolo di completare il contenuto negoziale dell’accordo e per questo motivo avrebbe la natura giuridica di contratto.

Non si capisce, però, che senso abbia la negozialità del contratto definitivo, il cui contenuto è predeterminato nel preliminare.

Inoltre tale autore afferma che nella categoria del contratto preliminare possa rientrare sia la promessa di vendita tradizionale sia una dichiarazione più complessa nella quale vengano anche stabilite le modalità della vendita.

Questa ricostruzione rischia di creare una categoria talmente ampia da essere priva di valore scientifico, includendo sia dichiarazioni che non possono assurgere a categorie contrattuali sia fattispecie contrattuali.

Minoritarie appaiono le posizioni di coloro i quali hanno escluso la natura contrattuale del preliminare.

Secondo un primo orientamento (FERRO LUZZI L.) molto minoritario, il preliminare deve essere qualificato come atto giuridico in senso stretto che apparterrebbe alla fase precontrattuale e il cui inadempimento darebbe perciò luogo a responsabilità precontrattuale ai sensi dell’articolo 1337 cod. civ.

A tale impostazione può subito obiettarsi che non si comprende allora perché il legislatore abbia inserito un articolo quale il 1351 cod. civ., richiedendo per il preliminare la forma per relationem se non abbia voluto intenderlo come un vero e proprio contratto.

Un altro autore (ALABISO A.) ipotizzando che col preliminare le parti si riserverebbero un potere discrezionale al fine di meglio specificare col definitivo il programmato assetto di interessi, lo ha assimilato ai contratti normativi.

Così ad una normazione astratta del preliminare segue la concreta, idonea a regolamentare gli interessi delle parti.

In realtà mediante il contratto normativo, le parti prestabiliscono quale sarà il contenuto e quali saranno gli aspetti del contenuto di futuri contratti, che si riservano di concludere; il contratto normativo non obbliga le parti a contrarre. La teoria qui esposta è quindi criticabile poiché dimentica che dal contratto preliminare scaturisce un vero e proprio obbligo di addivenire al definitivo.

Ha escluso la natura contrattuale del preliminare anche un altro autore (PALERMO G.) il quale lo ha classificato come negozio di configurazione volto a fissare la causa perseguita, rimanendo dopo di esso, le parti libere di determinare definitivamente la causa medesima fino alla conclusione del definitivo. Questo, così, risulterebbe essere il momento conclusivo di un complesso procedimento di composizione progressiva dei contrapposti interessi perseguiti.

Secondo tale teoria quindi le parti, attraverso il preliminare "stabiliscono i comportamenti che essi potranno, e non già dovranno, tenere, al fine di compiere le reciproche attribuzioni patrimoniali".

Il definitivo, unico contratto inteso dal punto di vista giuridico, o, in mancanza, la sentenza ai sensi dell’articolo 2932 cod. civ. "avrebbe allora valore erga omnes di titolo formale di un acquisto già, in realtà avvenuto inter partes in virtù della contrattazione reale", cioè a dire dell’accordo configurativo che ha cristallizzato la volontà.

Tale tesi è criticabile in quanto dal preliminare in verità scaturisce un obbligo vero e proprio sanzionabile con il rimedio dell’ esecuzione in forma specifica.

Inoltre, in ambito di compravendita, aderendo a tale impostazione si correrebbe il rischio di trasformare tale contratto da consensuale a reale, riconducendo il preliminare configurativo alla fase precontrattuale, come accade per l’accordo che precede la consegna nei contratti reali.

La dottrina moderna, mantenuta ferma la concezione del contratto preliminare come fonte di un obbligo a contrarre, partendo dal presupposto che la funzione del contratto produttivo di effetti senza essere preceduto dal preliminare non possa coincidere con quella del contratto definitivo, ha affrontato il problema dell’individuazione della funzione di quest’ultimo.

Così un autore (RASCIO R.) ha sviluppato la tesi della "funzione novativa" del contratto definitivo. Secondo tale teoria, mentre il contratto preliminare dispone in anticipo il contenuto dell’ulteriore contratto rispetto al quale ha funzione preparatoria, il contratto definitivo lascia intatto il regolamento di interessi predisposto dal preliminare, ma sostituisce i suoi effetti a quelli strumentali e preparatori del preliminare.

In poche parole il definitivo "opererebbe non sul regolamento già prefissato ma sugli effetti i quali, da preliminari, diverrebbero definitivi".

A questa dottrina sono state mosse parecchie critiche, alcune infondate, altre più penetranti.

Un primo autore (MONTESANO L.) ha criticato tale tesi, in quanto costruisce il contratto preliminare come fonte di un "mostro di obbligazione che non si può estinguere mai con l’adempimento" ma con una novazione che è un fatto estintivo dell’obbligazione differente dall’adempimento. Al fine di salvare il carattere negoziale del definitivo si dà origine ad un’obbligazione la cui estinzione non avverrà mai naturalmente con l’adempimento. In realtà questa critica è confutabile poiché l’autore non ha mai confuso la fattispecie analizzata dalla novazione dell’obbligazione. La sostituzione novativa non si riferisce all’obbligo a contrarre ma alla vicenda preliminare che non è estinta visto che le parti la rievocano.

Una diversa critica parte dalla constatazione che, secondo la dottrina in esame, il contratto definitivo contemporaneamente adempie alla funzione novativa e alla funzione negoziale tipica che regolamenta gli interessi delle parti. Si è così alle prese con una novazione sui generis che, se è vero che non presenta il noto dualismo causa solutionis e funzione negoziale, dà vita ad un nuovo dualismo tra la causa atipica comune a tutti i definitivi (la funzione novativa) e la causa tipica propria di ciascun definitivo.

Dal punto di vista strettamente operativo, la funzione novativa non trova assolutamente riscontro nell’intento dei contraenti, nel senso che non si può dimostrare che questi, nello stipulare un definitivo, intendano novare il contratto preliminare o quanto meno il regolamento di interessi in esso inserito.

Secondo un altro autore (GABRIELLI G.), in ogni caso l’effetto novativo non sarebbe in grado di giustificare la negozialità del definitivo visto che questo rimane pur sempre un atto dovuto.

Infine, per altri (PEREGO E.), le perplessità nell’aderire a tale teoria nascono dalla "elevazione del perfezionamento della procedura di formazione del contratto a elemento causale tipizzante il contratto definitivo". In poche parole si critica la ricerca del profilo funzionale del contratto definitivo secondo un approccio meramente procedimentale.

Può essere intesa come una variazione sul tema della novazione la teoria secondo la quale il definitivo opera una "trasformazione della fattispecie" fissata nel preliminare. Secondo questa teoria le parti col definitivo rendono fisso il regolamento di interessi già predisposto con il preliminare. In tal senso si parla di trasformazione degli effetti che da preliminari diventano definitivi. Il preliminare non viene costruito come frazione di fattispecie del contratto definitivo produttiva di effetti preliminari, perché in esso esiste un elemento come la volontà di promettere, che è del tutto estraneo alla fattispecie del definitivo. E’ anche vero che quest’ultimo si avvale degli elementi della prima fattispecie ma solo in quanto ne è la sua trasformazione.

A tale orientamento sono state mosse alcune critiche. C’è chi ha sostenuto che spesso col contratto definitivo vengono introdotte clausole secondarie non previste dal preliminare e ciò contrasterebbe con la mera trasformazione della fattispecie. In realtà, se si parte dal presupposto che l’integrazione del regolamento d’interessi già previsto in sede di preliminare non è la funzione del definitivo, tale integrazione allora è frutto di accordi successivi che sono del tutto indifferenti rispetto la sequenza preliminare-definitivo.

Altra critica sollevata è che, nella prassi, le parti quando vogliono addivenire al definitivo non rendono una dichiarazione di rendere fisso l’accordo raggiunto in via preliminare ma direttamente concludono un contratto che regola i loro interessi.

Secondo Perego si confondono due aspetti differenti: quello della trasformazione del tipo e quello della documentazione della trasformazione. Il definitivo per motivi legati alla pubblicità dovrà rivestire la forma di scrittura privata autenticata o di atto pubblico. Così il preliminare oltre all’impegno essenziale per la trasformazione del tipo, dovrà contenere un altro accordo del tutto distinto, di futura documentazione del definitivo.

Tuttavia lo stesso autore è consapevole che tale teoria sia applicabile ai soli contratti preliminari bilaterali: nel passaggio dal preliminare unilaterale al definitivo si attua una trasformazione dell’impegno assunto dal soggetto vincolato ma nessuna trasformazione esiste per l’altro soggetto che si impegna soltanto alla fine.

Al fine di superare il grave problema della individuazione della funzione negoziale del contratto definitivo, sono state elaborate altre teorie più spregiudicate ed innovative che, sviluppando analisi diverse tra loro, convergono nell’attribuire al preliminare il ruolo di fonte degli effetti contrattuali finali.

La prima di queste dottrine (SATTA S.) analizzando la questione da un punto di vista processualistico, ritiene che il preliminare non obblighi le parti a contrarre, in quanto la stipula del definitivo debba essere considerata come atto non dovuto che le parti possono concludere al fine di evitare la sentenza di esecuzione in forma specifica. Secondo Satta con l’introduzione dell’articolo 2932 cod. civ. si impone una ridefinizione del contratto preliminare: esso non deve essere configurato come pactum de contrahendo avente ad oggetto una "prestazione di volontà" ma da esso scaturisce invece "il titolo per la costituzione di una situazione giuridica (finale) determinabile in forza del contratto definitivo" che si pone alternativo alla sentenza. Quindi il contratto preliminare non è un contratto obbligatorio e la sentenza ex art. 2932 cod. civ. non ha nulla a che vedere con l’esecuzione forzata, ma ha natura costitutiva.

A questa teoria è stato obiettato che non si può trascurare il dettato normativo dell’articolo 2932 cod. civ. che fa riferimento ad una situazione obbligatoria[iii].

E’ stata criticata anche la modalità di approccio dell’autore alla problematica: da alcuni è stato sostenuto che la ricostruzione di un istituto di diritto sostanziale dovrebbe prescindere dalla sua tutela prevista, per l’ipotesi di inadempimento: la ricostruzione invece dovrebbe essere effettuata avendo come riferimento la sequenza preliminare-definitivo.

Altra dottrina (MONTESANO L.), movendo da una considerazione più ampia, ritiene che laddove vi sia un obbligo a contrarre, l’atto esecutivo di tale obbligo, per definizione, non potrebbe mai essere un atto negoziale. Ciò significa che se un soggetto è tenuto giuridicamente sulla base di un obbligo a compiere un negozio giuridico, in realtà tale atto non dovrebbe essere mai considerato una fattispecie inquadrabile nella categoria astratta e dogmatica dei negozi giuridici, a causa della incompatibilità tra doverosità dell’atto e negozialità.

La funzione del binomio preliminare-definitivo andrebbe individuata, allora, in una "funzione meramente ripetitiva (o riproduttiva) del contratto definitivo". Secondo tale teoria le parti, adottando la sequenza preliminare-definitivo, intenderebbero semplicemente ripetere, nel contratto definitivo, il regolamento di interessi già prefissato nel preliminare o riprodurlo per mere finalità confessorie.

Il preliminare così risulterebbe unica fonte degli effetti ultimi mentre il definitivo avrebbe funzione di documentazione probatoria, operando nello stesso tempo come condizione sospensiva e termine iniziale degli effetti del primo. La sentenza ex articolo 2932 cod. civ. rivestirebbe il ruolo di risolvere tale condizione di efficacia.

La funzione risolutiva della sentenza tuttavia è stata criticata da parte della dottrina in quanto lo stesso codice civile all’articolo 2932 fa riferimento alla funzione costitutiva degli effetti del contratto non concluso.

Tale teoria risente dell’influenza dell’orientamento francese secondo cui la promessa di vendita vale vendita ed infatti tale costruzione teorica del rapporto preliminare-definitivo ricorda molto il contratto con patto di ripetizione dell’ordinamento transalpino.

A tale orientamento viene contestato il presupposto stesso da cui muove ossia la presunta incompatibilità tra l’obbligo di contrarre e la negozialità dell’atto di adempimento di tale obbligo, quasi che tutti i negozi avessero bisogno della spontaneità.

Tale teoria comunque ha riscosso ben pochi consensi ed è stata criticata anche in maniera molto aspra dalla dottrina prevalente.

Analogamente anche chi (PINO A.) sostiene che il preliminare non sia un vero e proprio tipo contrattuale, ma appaia piuttosto come un modo di essere di un contratto, finisce per ritenerlo come fonte degli effetti contrattuali, di cui il definitivo differisce temporalmente la decorrenza.

4) II preliminare di vendita come vendita obbligatoria

Recentemente, un autore (GAZZONI F.) ha messo in discussione gli orientamenti sopra analizzati, sollecitato soprattutto dalla constatazione che il settore degli scambi in cui si necessita in maniera quasi esclusiva il ricorso alla scissione in due fasi del procedimento è quello dei trasferimenti immobiliari e dall’ulteriore constatazione che il ricorso al preliminare in tale settore è fenomeno peculiare dell’esperienza giuridica italiana.

E’ avvenuta, cosi, la vigorosa riproposizione di una concezione della sequenza di preliminare e definitivo quale strumento negoziale idoneo a far rivivere il sistema della distinzione tra titulus e modus adquirendi[iv]: titulus il contratto preliminare, che si porrebbe quale unica fonte negoziale del regolamento di interessi; mero modus il cosiddetto contratto definitivo al quale viene assegnata esclusivamente la funzione di antecedente formale del solo effetto traslativo.

Lo stesso Gazzoni è consapevole che, anche ricorrendo a tale ricostruzione teorica, resta aperta la disputa sulla natura contrattuale o meno del definitivo.

Infatti viene precisato che tale tipologia di vendita obbligatoria (preliminare) si ricaverebbe mediante una interpretazione estensiva di quanto previsto dall’articolo 1476 n. 2 cod. civ. che riguarda propriamente la vendita di cosa futura, la vendita di cose determinate solo nel genere e la vendita di cose altrui.

Appare lapalissiano che, secondo questa impostazione, dunque, il preliminare di compravendita sarebbe una vendita obbligatoria, vincolando il promittente alienante a far acquistare al promissario acquirente la proprietà della cosa o del diritto; il contratto definitivo assumerebbe invece la natura di pagamento traslativo.

Tuttavia tra i fautori di tale dottrina non c’è concordanza di vedute in merito alla natura giuridica del pagamento traslativo stesso.

Secondo alcuni il definitivo è un contratto traslativo con doppia causa, esterna (solutoria) e interna (negoziale).

Per altri il definitivo è invece un modus adquirendi, un atto dovuto pari all’adempimento. Secondo questa impostazione la funzione della sentenza ex 2932 cod. civ. sarebbe la stessa del definitivo, completando, quale modus, la fattispecie traslativa.

L’orientamento dottrinale, così affermatosi, resta comunque esposto a parecchie obiezioni e critiche.

In primis si critica che il contratto preliminare sia un istituto presente anche in ordinamenti dove la scissione tra titulus e modus è già presente come regola.

Altra critica mossa riguarda la difficoltà a configurare un preliminare di vendita obbligatoria secondo la scissione tra titulus e modus adquirendi[v].

Secondo altri (NIVARRA L.) bisogna pur tenere conto della lettera della legge la quale, proprio al comma 2 dell’art. 2645 bis usa la locuzione "contratto definitivo", la stessa utilizzata all’art. 1351 cod. civ., in tema di forma del contratto preliminare che all’origine della sequenza presuppone un preliminare e non una vendita cosiddetta obbligatoria, che in realtà è una normale compravendita ad effetto reale differito (tanto è vero che dottrina autorevolissima - Pugliatti - la giudica suscettibile di trascrizione).

Alla rappresentazione della scissione nei termini sopra accennati ha dato impulso la constatazione della sempre maggiore diffusione del fenomeno, sempre legato al settore dei trasferimenti immobiliari, dell’anticipata esecuzione, a seguito della conclusione di un preliminare, di obbligazioni che avrebbero causa, in realtà, soltanto nel perfezionamento del definitivo. La tesi della vendita obbligatoria è anche contestata da coloro[vi] i quali alla sequenza titulus/modus adquirendi sostituiscono diverse sequenze.

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Note:

[i] Molto critico è F. GAZZONI op. cit., che in merito alla metafora usata da Nicolò scrive: "quel che accade nel mondo delle farfalle non sembra trasferibile nel mondo del diritto".

Invece P. RESCIGNO, Incapacità naturale e adempimento, Napoli, 1950 p. 117 scrive : "Non si capisce perché si debba qualificare negozio l’adempimento quando oggetto del facere dedotto in obbligazione sia il compimento di un negozio o si parli al massimo, del contratto come contenuto della prestazione".

[ii] La Corte di Cassazione ha anche stabilito che il contratto definitivo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al negozio voluto, sottovalutando il ruolo svolto dal preliminare (Cass. Civ., 7 luglio 1994 n. 6402).

[iii] L’articolo 2932 cod. civ. prevede al primo comma: "Se colui che è obbligato a concludere un contratto non adempie l’obbligazione, l’altra parte, qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo, può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso".

[iv] Tale sistema proprio del diritto romano comune, mantenuto negli ordinamenti dell’area di lingua tedesca, era stato abbandonato dal nostro sistema per recepire il principio dell’efficacia immediatamente traslativa del consenso traslativo.

[v] Secondo Gazzoni il preliminare di definitivo ad effetti obbligatori non ha senso come non ha alcuna utilità prevedere un preliminare di preliminare.

[vi] Si è già parlato della teoria di Palermo e di quella di Ferro Luzzi.

1) Introduzione

Per oltre un secolo, il dibattito dottrinale sul preliminare ha riguardato la configurabilità stessa di tale istituto nel nostro ordinamento giuridico, la forma di tutela da apportare al promissario diligente nel caso di inadempimento dell’altro contraente e il suo ambito di applicazione limitato o no alla vendita.

Con la tipizzazione del contratto preliminare, ad opera del legislatore del 1942, si credeva che i diversi orientamenti potessero essere ridotti ad unità.

In verità la previsione di poche norme per giunta settoriali, come l’articolo 1351 cod. civ. che non lo definisce ma ne prevede solo la forma per relationem, ha alimentato ancora di più le dispute sul preliminare, che è sembrato essere una formula vuota da riempire di significato.

In particolare l’attenzione si è soffermata sulla natura giuridica del preliminare e del definitivo e sui loro rapporti.

Le molte teorie che sono state proposte possono essere ricondotte a due categorie, a seconda che il definitivo sia considerato un contratto (tesi c.d. francese), pur in presenza dell’alternativa costituita dalla sentenza ai sensi dell’articolo 2932, ovvero di un atto dovuto di adempimento (tesi c.d. tedesca).

Elemento comune di tutte queste teorie è quello di avere esaminato la natura giuridica del contratto preliminare di compravendita, in conseguenza del fatto che, come già è stato detto, la giurisprudenza si è occupata, in prevalenza, di dirimere liti in merito a tale tipologia contrattuale.

2) La ricostruzione teorica tradizionale

Secondo ampia dottrina il definitivo va qualificato sia come contratto, ed in quanto tale costituisce esercizio di autonomia privata, sia come atto dovuto, in quanto adempimento di una obbligazione, ipotizzando una duplicità di cause concorrenti.

Stabilito tale principio di carattere generale, tra gli stessi fautori della dottrina tradizionale, emergono alcune divergenze a proposito della causa del contratto definitivo.

Un primo orientamento riconosce pari dignità sia al profilo causale proprio del definitivo sia alla causa solvendi. (CARIOTA FERRARA L.)

Tale teoria, risalente nel tempo, è stata di recente ripresa e sviluppata da N. Visalli il quale ha affermato che è ben possibile la coesistenza della natura negoziale e di adempimento di un preesistente obbligo nello stesso atto e che la natura negoziale del definitivo deriva dalla funzione principale svolta dallo stesso che è il c.d. controllo delle sopravvenienze.

Tale orientamento è supportato da alcune previsioni codicistiche.

Alcuni autori aderendo a questo orientamento hanno cercato di stabilire con quali modalità si pone la relazione tra la causa solutoria e causa negoziale.

In particolare si è affermato (NICOLO’ R.) che il rapporto esistente tra atto del debitore e negozio giuridico sia quello tra contenente (atto dovuto) e contenuto (volontà della conclusione del definitivo) con non poche critiche[i].

Resta in ogni caso difficoltoso per i fautori di tale orientamento spiegare come un singolo atto possa avere due cause distinte e separate.

Gli assertori della teoria della doppia causa si sono posti il problema delle conseguenze, sul successivo negozio, dell’invalidità della premessa. Cariota Ferrara ha sostenuto che la nullità e l’annullabilità del preliminare non reagiscono sul definitivo; altri autori hanno teorizzato la possibilità di chiedere la ripetizione della prestazione effettuata col secondo contratto. (RASCIO R.)

Un secondo orientamento attribuisce maggiore rilevanza alla causa solvendi su quella propria del definitivo, specie in caso di contratti ad effetti reali. (GIORGIANNI M.)

Questa opinione si sta affermando soprattutto in riferimento al preliminare di vendita dove il definitivo è visto come atto traslativo solvendi causa e come tale non astratto, perciò non contrastante con il principio causalistico.

Secondo grande parte della dottrina e la giurisprudenza quasi unanime, nel definitivo assume importanza prevalente il profilo causale cosiddetto interno, lasciando uno spazio residuo molto limitato alla causa solvendi.

Qualcuno ha affermato che il contratto definitivo tende a riprodurre nel suo seno l’intera struttura negoziale (consenso più causa) e quindi appare difficile assegnargli anche valore di mero atto esecutivo di un accordo precedente. (DI MAJO A.)

Il preliminare si atteggerebbe dunque quale "mero presupposto di fatto e/o guida o parametro” per la futura condotta negoziale delle parti.

Aderisce a tale orientamento un altro autore (MAZZAMUTO S.) il quale però traccia una linea di demarcazione tra la sequenza preliminare ­definitivo e quella tra preliminare-sentenza costitutiva: nel primo caso si espande pienamente il potere di autonomia privata delle parti; nel secondo caso invece c’è una attuazione coattiva del programma obbligatorio che può tollerare solo un intervento di verifica e specificazione del giudice.

La giurisprudenza, anche se nelle sentenze difetta un rigoroso approfondimento teorico dei concetti, ha statuito la funzione solutoria e, in pari tempo, negoziale del contratto definitivo con l’enunciazione di due postulati: primo, esso non deve avere un contenuto tale da alterare la fisionomia del preliminare nei connotati essenziali; secondo, la sua funzione solutoria prevale se quella negoziale non si può sviluppare autonomamente su alcuni elementi oggettivi secondari per mancanza di accordo tra le parti[ii].

3) Le ricostruzioni teoriche non tradizionali

Altri autori hanno invece ritenuto incompatibile la doppia qualifica del definitivo sia come contratto, sia come atto dovuto, poiché l’atto di autonomia e l’adempimento di un obbligo sarebbero categorie inconciliabili.

Sulla base di questa pretesa debolezza logica della tesi tradizionale taluno ha tentato nuove vie per definire la sequenza preliminare-definitivo.

Parte della dottrina (GABRIELLI G.) ha affermato che i contraenti con il definitivo rinnovano integralmente il giudizio di convenienza espresso al momento della conclusione del preliminare, esercitando il controllo sugli eventuali vizi originari o sulle sopravvenienze, con possibilità di rifiutare la stipula del definitivo, qualora il controllo dia esito negativo.

Tale impostazione ha il vantaggio di ritardare la libera valutazione del compimento dell’affare in sede di definitivo.

Questo orientamento ha elementi di contatto con quello di Visalli, il quale ha teorizzato la funzione del definitivo come controllo delle sopravvenienze, ma è più accesamente contrattualista ritenendo che chi stipula il definitivo non esprime la stessa volontà del preliminare ma una totalmente nuova.

In altre parole viene superata la teoria del definitivo con duplicità di cause concorrenti poiché il definitivo risulta caratterizzato dalla sola causa negoziale e cioè quella relativa all’interesse pratico che il rapporto in concreto tende a realizzare e che giustifica l’attribuzione delle parti.

Seguendo la riportata impostazione del problema, però non si comprende in che cosa si distingua il contratto definitivo da un comune contratto che non sia preceduto dal preliminare e non rappresenti adempimento di un obbligo precedente.

Gazzoni ha invece criticato tale impostazione poiché risulta essere meramente descrittiva di ciò che avviene nella prassi. E’ vero che in sede di definitivo le parti esercitano un controllo ma da questo non deriva la necessità di configurare due negozi autonomi e distinti.

A questo si aggiunga che il rifiuto del promittente acquirente di stipulare il definitivo nel caso di sopravvenienze non deve essere valutato come rinnovazione del giudizio di convenienza delle parti ma come potere che ha il creditore di rifiutare l’adempimento inesatto.

Altra dottrina riprendendo la tesi precedentemente esposta, ha affermato che il preliminare deve essere inquadrato come accordo iniziale di un procedimento traslativo destinato ad essere attuato con un definitivo compiuto venditionis causa. (DE MATTEIS R.) II preliminare e il definitivo devono essere considerati entrambi atti negoziali "che racchiudono sotto il profilo causale il significato unitario dell’intera operazione economica".

Secondo un altro autore (NICOLETTI C. A.) il contratto preliminare sarebbe una "pattuizione con riserva di completamento". Il definitivo quindi svolgerebbe il ruolo di completare il contenuto negoziale dell’accordo e per questo motivo avrebbe la natura giuridica di contratto.

Non si capisce, però, che senso abbia la negozialità del contratto definitivo, il cui contenuto è predeterminato nel preliminare.

Inoltre tale autore afferma che nella categoria del contratto preliminare possa rientrare sia la promessa di vendita tradizionale sia una dichiarazione più complessa nella quale vengano anche stabilite le modalità della vendita.

Questa ricostruzione rischia di creare una categoria talmente ampia da essere priva di valore scientifico, includendo sia dichiarazioni che non possono assurgere a categorie contrattuali sia fattispecie contrattuali.

Minoritarie appaiono le posizioni di coloro i quali hanno escluso la natura contrattuale del preliminare.

Secondo un primo orientamento (FERRO LUZZI L.) molto minoritario, il preliminare deve essere qualificato come atto giuridico in senso stretto che apparterrebbe alla fase precontrattuale e il cui inadempimento darebbe perciò luogo a responsabilità precontrattuale ai sensi dell’articolo 1337 cod. civ.

A tale impostazione può subito obiettarsi che non si comprende allora perché il legislatore abbia inserito un articolo quale il 1351 cod. civ., richiedendo per il preliminare la forma per relationem se non abbia voluto intenderlo come un vero e proprio contratto.

Un altro autore (ALABISO A.) ipotizzando che col preliminare le parti si riserverebbero un potere discrezionale al fine di meglio specificare col definitivo il programmato assetto di interessi, lo ha assimilato ai contratti normativi.

Così ad una normazione astratta del preliminare segue la concreta, idonea a regolamentare gli interessi delle parti.

In realtà mediante il contratto normativo, le parti prestabiliscono quale sarà il contenuto e quali saranno gli aspetti del contenuto di futuri contratti, che si riservano di concludere; il contratto normativo non obbliga le parti a contrarre. La teoria qui esposta è quindi criticabile poiché dimentica che dal contratto preliminare scaturisce un vero e proprio obbligo di addivenire al definitivo.

Ha escluso la natura contrattuale del preliminare anche un altro autore (PALERMO G.) il quale lo ha classificato come negozio di configurazione volto a fissare la causa perseguita, rimanendo dopo di esso, le parti libere di determinare definitivamente la causa medesima fino alla conclusione del definitivo. Questo, così, risulterebbe essere il momento conclusivo di un complesso procedimento di composizione progressiva dei contrapposti interessi perseguiti.

Secondo tale teoria quindi le parti, attraverso il preliminare "stabiliscono i comportamenti che essi potranno, e non già dovranno, tenere, al fine di compiere le reciproche attribuzioni patrimoniali".

Il definitivo, unico contratto inteso dal punto di vista giuridico, o, in mancanza, la sentenza ai sensi dell’articolo 2932 cod. civ. "avrebbe allora valore erga omnes di titolo formale di un acquisto già, in realtà avvenuto inter partes in virtù della contrattazione reale", cioè a dire dell’accordo configurativo che ha cristallizzato la volontà.

Tale tesi è criticabile in quanto dal preliminare in verità scaturisce un obbligo vero e proprio sanzionabile con il rimedio dell’ esecuzione in forma specifica.

Inoltre, in ambito di compravendita, aderendo a tale impostazione si correrebbe il rischio di trasformare tale contratto da consensuale a reale, riconducendo il preliminare configurativo alla fase precontrattuale, come accade per l’accordo che precede la consegna nei contratti reali.

La dottrina moderna, mantenuta ferma la concezione del contratto preliminare come fonte di un obbligo a contrarre, partendo dal presupposto che la funzione del contratto produttivo di effetti senza essere preceduto dal preliminare non possa coincidere con quella del contratto definitivo, ha affrontato il problema dell’individuazione della funzione di quest’ultimo.

Così un autore (RASCIO R.) ha sviluppato la tesi della "funzione novativa" del contratto definitivo. Secondo tale teoria, mentre il contratto preliminare dispone in anticipo il contenuto dell’ulteriore contratto rispetto al quale ha funzione preparatoria, il contratto definitivo lascia intatto il regolamento di interessi predisposto dal preliminare, ma sostituisce i suoi effetti a quelli strumentali e preparatori del preliminare.

In poche parole il definitivo "opererebbe non sul regolamento già prefissato ma sugli effetti i quali, da preliminari, diverrebbero definitivi".

A questa dottrina sono state mosse parecchie critiche, alcune infondate, altre più penetranti.

Un primo autore (MONTESANO L.) ha criticato tale tesi, in quanto costruisce il contratto preliminare come fonte di un "mostro di obbligazione che non si può estinguere mai con l’adempimento" ma con una novazione che è un fatto estintivo dell’obbligazione differente dall’adempimento. Al fine di salvare il carattere negoziale del definitivo si dà origine ad un’obbligazione la cui estinzione non avverrà mai naturalmente con l’adempimento. In realtà questa critica è confutabile poiché l’autore non ha mai confuso la fattispecie analizzata dalla novazione dell’obbligazione. La sostituzione novativa non si riferisce all’obbligo a contrarre ma alla vicenda preliminare che non è estinta visto che le parti la rievocano.

Una diversa critica parte dalla constatazione che, secondo la dottrina in esame, il contratto definitivo contemporaneamente adempie alla funzione novativa e alla funzione negoziale tipica che regolamenta gli interessi delle parti. Si è così alle prese con una novazione sui generis che, se è vero che non presenta il noto dualismo causa solutionis e funzione negoziale, dà vita ad un nuovo dualismo tra la causa atipica comune a tutti i definitivi (la funzione novativa) e la causa tipica propria di ciascun definitivo.

Dal punto di vista strettamente operativo, la funzione novativa non trova assolutamente riscontro nell’intento dei contraenti, nel senso che non si può dimostrare che questi, nello stipulare un definitivo, intendano novare il contratto preliminare o quanto meno il regolamento di interessi in esso inserito.

Secondo un altro autore (GABRIELLI G.), in ogni caso l’effetto novativo non sarebbe in grado di giustificare la negozialità del definitivo visto che questo rimane pur sempre un atto dovuto.

Infine, per altri (PEREGO E.), le perplessità nell’aderire a tale teoria nascono dalla "elevazione del perfezionamento della procedura di formazione del contratto a elemento causale tipizzante il contratto definitivo". In poche parole si critica la ricerca del profilo funzionale del contratto definitivo secondo un approccio meramente procedimentale.

Può essere intesa come una variazione sul tema della novazione la teoria secondo la quale il definitivo opera una "trasformazione della fattispecie" fissata nel preliminare. Secondo questa teoria le parti col definitivo rendono fisso il regolamento di interessi già predisposto con il preliminare. In tal senso si parla di trasformazione degli effetti che da preliminari diventano definitivi. Il preliminare non viene costruito come frazione di fattispecie del contratto definitivo produttiva di effetti preliminari, perché in esso esiste un elemento come la volontà di promettere, che è del tutto estraneo alla fattispecie del definitivo. E’ anche vero che quest’ultimo si avvale degli elementi della prima fattispecie ma solo in quanto ne è la sua trasformazione.

A tale orientamento sono state mosse alcune critiche. C’è chi ha sostenuto che spesso col contratto definitivo vengono introdotte clausole secondarie non previste dal preliminare e ciò contrasterebbe con la mera trasformazione della fattispecie. In realtà, se si parte dal presupposto che l’integrazione del regolamento d’interessi già previsto in sede di preliminare non è la funzione del definitivo, tale integrazione allora è frutto di accordi successivi che sono del tutto indifferenti rispetto la sequenza preliminare-definitivo.

Altra critica sollevata è che, nella prassi, le parti quando vogliono addivenire al definitivo non rendono una dichiarazione di rendere fisso l’accordo raggiunto in via preliminare ma direttamente concludono un contratto che regola i loro interessi.

Secondo Perego si confondono due aspetti differenti: quello della trasformazione del tipo e quello della documentazione della trasformazione. Il definitivo per motivi legati alla pubblicità dovrà rivestire la forma di scrittura privata autenticata o di atto pubblico. Così il preliminare oltre all’impegno essenziale per la trasformazione del tipo, dovrà contenere un altro accordo del tutto distinto, di futura documentazione del definitivo.

Tuttavia lo stesso autore è consapevole che tale teoria sia applicabile ai soli contratti preliminari bilaterali: nel passaggio dal preliminare unilaterale al definitivo si attua una trasformazione dell’impegno assunto dal soggetto vincolato ma nessuna trasformazione esiste per l’altro soggetto che si impegna soltanto alla fine.

Al fine di superare il grave problema della individuazione della funzione negoziale del contratto definitivo, sono state elaborate altre teorie più spregiudicate ed innovative che, sviluppando analisi diverse tra loro, convergono nell’attribuire al preliminare il ruolo di fonte degli effetti contrattuali finali.

La prima di queste dottrine (SATTA S.) analizzando la questione da un punto di vista processualistico, ritiene che il preliminare non obblighi le parti a contrarre, in quanto la stipula del definitivo debba essere considerata come atto non dovuto che le parti possono concludere al fine di evitare la sentenza di esecuzione in forma specifica. Secondo Satta con l’introduzione dell’articolo 2932 cod. civ. si impone una ridefinizione del contratto preliminare: esso non deve essere configurato come pactum de contrahendo avente ad oggetto una "prestazione di volontà" ma da esso scaturisce invece "il titolo per la costituzione di una situazione giuridica (finale) determinabile in forza del contratto definitivo" che si pone alternativo alla sentenza. Quindi il contratto preliminare non è un contratto obbligatorio e la sentenza ex art. 2932 cod. civ. non ha nulla a che vedere con l’esecuzione forzata, ma ha natura costitutiva.

A questa teoria è stato obiettato che non si può trascurare il dettato normativo dell’articolo 2932 cod. civ. che fa riferimento ad una situazione obbligatoria[iii].

E’ stata criticata anche la modalità di approccio dell’autore alla problematica: da alcuni è stato sostenuto che la ricostruzione di un istituto di diritto sostanziale dovrebbe prescindere dalla sua tutela prevista, per l’ipotesi di inadempimento: la ricostruzione invece dovrebbe essere effettuata avendo come riferimento la sequenza preliminare-definitivo.

Altra dottrina (MONTESANO L.), movendo da una considerazione più ampia, ritiene che laddove vi sia un obbligo a contrarre, l’atto esecutivo di tale obbligo, per definizione, non potrebbe mai essere un atto negoziale. Ciò significa che se un soggetto è tenuto giuridicamente sulla base di un obbligo a compiere un negozio giuridico, in realtà tale atto non dovrebbe essere mai considerato una fattispecie inquadrabile nella categoria astratta e dogmatica dei negozi giuridici, a causa della incompatibilità tra doverosità dell’atto e negozialità.

La funzione del binomio preliminare-definitivo andrebbe individuata, allora, in una "funzione meramente ripetitiva (o riproduttiva) del contratto definitivo". Secondo tale teoria le parti, adottando la sequenza preliminare-definitivo, intenderebbero semplicemente ripetere, nel contratto definitivo, il regolamento di interessi già prefissato nel preliminare o riprodurlo per mere finalità confessorie.

Il preliminare così risulterebbe unica fonte degli effetti ultimi mentre il definitivo avrebbe funzione di documentazione probatoria, operando nello stesso tempo come condizione sospensiva e termine iniziale degli effetti del primo. La sentenza ex articolo 2932 cod. civ. rivestirebbe il ruolo di risolvere tale condizione di efficacia.

La funzione risolutiva della sentenza tuttavia è stata criticata da parte della dottrina in quanto lo stesso codice civile all’articolo 2932 fa riferimento alla funzione costitutiva degli effetti del contratto non concluso.

Tale teoria risente dell’influenza dell’orientamento francese secondo cui la promessa di vendita vale vendita ed infatti tale costruzione teorica del rapporto preliminare-definitivo ricorda molto il contratto con patto di ripetizione dell’ordinamento transalpino.

A tale orientamento viene contestato il presupposto stesso da cui muove ossia la presunta incompatibilità tra l’obbligo di contrarre e la negozialità dell’atto di adempimento di tale obbligo, quasi che tutti i negozi avessero bisogno della spontaneità.

Tale teoria comunque ha riscosso ben pochi consensi ed è stata criticata anche in maniera molto aspra dalla dottrina prevalente.

Analogamente anche chi (PINO A.) sostiene che il preliminare non sia un vero e proprio tipo contrattuale, ma appaia piuttosto come un modo di essere di un contratto, finisce per ritenerlo come fonte degli effetti contrattuali, di cui il definitivo differisce temporalmente la decorrenza.

4) II preliminare di vendita come vendita obbligatoria

Recentemente, un autore (GAZZONI F.) ha messo in discussione gli orientamenti sopra analizzati, sollecitato soprattutto dalla constatazione che il settore degli scambi in cui si necessita in maniera quasi esclusiva il ricorso alla scissione in due fasi del procedimento è quello dei trasferimenti immobiliari e dall’ulteriore constatazione che il ricorso al preliminare in tale settore è fenomeno peculiare dell’esperienza giuridica italiana.

E’ avvenuta, cosi, la vigorosa riproposizione di una concezione della sequenza di preliminare e definitivo quale strumento negoziale idoneo a far rivivere il sistema della distinzione tra titulus e modus adquirendi[iv]: titulus il contratto preliminare, che si porrebbe quale unica fonte negoziale del regolamento di interessi; mero modus il cosiddetto contratto definitivo al quale viene assegnata esclusivamente la funzione di antecedente formale del solo effetto traslativo.

Lo stesso Gazzoni è consapevole che, anche ricorrendo a tale ricostruzione teorica, resta aperta la disputa sulla natura contrattuale o meno del definitivo.

Infatti viene precisato che tale tipologia di vendita obbligatoria (preliminare) si ricaverebbe mediante una interpretazione estensiva di quanto previsto dall’articolo 1476 n. 2 cod. civ. che riguarda propriamente la vendita di cosa futura, la vendita di cose determinate solo nel genere e la vendita di cose altrui.

Appare lapalissiano che, secondo questa impostazione, dunque, il preliminare di compravendita sarebbe una vendita obbligatoria, vincolando il promittente alienante a far acquistare al promissario acquirente la proprietà della cosa o del diritto; il contratto definitivo assumerebbe invece la natura di pagamento traslativo.

Tuttavia tra i fautori di tale dottrina non c’è concordanza di vedute in merito alla natura giuridica del pagamento traslativo stesso.

Secondo alcuni il definitivo è un contratto traslativo con doppia causa, esterna (solutoria) e interna (negoziale).

Per altri il definitivo è invece un modus adquirendi, un atto dovuto pari all’adempimento. Secondo questa impostazione la funzione della sentenza ex 2932 cod. civ. sarebbe la stessa del definitivo, completando, quale modus, la fattispecie traslativa.

L’orientamento dottrinale, così affermatosi, resta comunque esposto a parecchie obiezioni e critiche.

In primis si critica che il contratto preliminare sia un istituto presente anche in ordinamenti dove la scissione tra titulus e modus è già presente come regola.

Altra critica mossa riguarda la difficoltà a configurare un preliminare di vendita obbligatoria secondo la scissione tra titulus e modus adquirendi[v].

Secondo altri (NIVARRA L.) bisogna pur tenere conto della lettera della legge la quale, proprio al comma 2 dell’art. 2645 bis usa la locuzione "contratto definitivo", la stessa utilizzata all’art. 1351 cod. civ., in tema di forma del contratto preliminare che all’origine della sequenza presuppone un preliminare e non una vendita cosiddetta obbligatoria, che in realtà è una normale compravendita ad effetto reale differito (tanto è vero che dottrina autorevolissima - Pugliatti - la giudica suscettibile di trascrizione).

Alla rappresentazione della scissione nei termini sopra accennati ha dato impulso la constatazione della sempre maggiore diffusione del fenomeno, sempre legato al settore dei trasferimenti immobiliari, dell’anticipata esecuzione, a seguito della conclusione di un preliminare, di obbligazioni che avrebbero causa, in realtà, soltanto nel perfezionamento del definitivo. La tesi della vendita obbligatoria è anche contestata da coloro[vi] i quali alla sequenza titulus/modus adquirendi sostituiscono diverse sequenze.

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Note:

[i] Molto critico è F. GAZZONI op. cit., che in merito alla metafora usata da Nicolò scrive: "quel che accade nel mondo delle farfalle non sembra trasferibile nel mondo del diritto".

Invece P. RESCIGNO, Incapacità naturale e adempimento, Napoli, 1950 p. 117 scrive : "Non si capisce perché si debba qualificare negozio l’adempimento quando oggetto del facere dedotto in obbligazione sia il compimento di un negozio o si parli al massimo, del contratto come contenuto della prestazione".

[ii] La Corte di Cassazione ha anche stabilito che il contratto definitivo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al negozio voluto, sottovalutando il ruolo svolto dal preliminare (Cass. Civ., 7 luglio 1994 n. 6402).

[iii] L’articolo 2932 cod. civ. prevede al primo comma: "Se colui che è obbligato a concludere un contratto non adempie l’obbligazione, l’altra parte, qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo, può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso".

[iv] Tale sistema proprio del diritto romano comune, mantenuto negli ordinamenti dell’area di lingua tedesca, era stato abbandonato dal nostro sistema per recepire il principio dell’efficacia immediatamente traslativa del consenso traslativo.

[v] Secondo Gazzoni il preliminare di definitivo ad effetti obbligatori non ha senso come non ha alcuna utilità prevedere un preliminare di preliminare.

[vi] Si è già parlato della teoria di Palermo e di quella di Ferro Luzzi.