x

x

La pena infinita di Mimmo Lucano

Mimmo Lucano
Mimmo Lucano

Qualche elemento di valutazione sulla recente condanna di 13 anni e 2 mesi di carcere inflitta a Mimmo Lucano dal Tribunale di Locri, raddoppiando la richiesta della Procura.

Sembra chiaro che il Tribunale ha utilizzato un metro diverso dalla Procura per calcolare la pena. La dosimetria della pena è, però, anche espressione di un giudizio, è certamente un calcolo aritmetico, ma costituisce un criterio per valutare la gravità dei fatti-reato, e imprime una direzione. La proporzione è intrinsecamente significativa, attuazione dell'antico adagio "Malum pro malo".

Ai 6 anni chiesti per la concussione, nella requisitoria i Pm avevano aggiunto 23 mesi, uno ciascuno, per tutti gli altri reati commessi sotto il vincolo della continuazione.

A differenza dei Pm, i giudici hanno diviso i reati in due diversi filoni, e ogni gruppo contiene all'interno il vincolo della continuazione.

Il primo filone è quello più grave, con 10 anni e 4 mesi di carcere e comprende ben 16 reati, tra i quali rientrano: associazione per delinquere, che prevede da 3 a 7 anni di reclusione; truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, tra i 2 e i 7 anni di reclusione; e peculato, aggravato dal danno di rilevante entità, punito con una pena che va da 4 a 10 anni di reclusione.
Quest’ultimo rappresenta la pena più grave da cui i giudici sono partiti: essendo la pena minima del peculato di 4 anni, potevano spingersi fino a un massimo di 12 anni , il triplo di 4.

La scelta di non partire dalla pena più bassa, quella di 4 anni, ma da una più alta, probabilmente dipende dalla circostanza che Mimmo Lucano è stato condannato proprio per un peculato che riguardava una somma altissima, quasi 800 mila euro.
Dirimente sulla quantità della pena è anche la riqualificazione, avvenuta ex officio, di uno degli abusi d’ufficio nel reato più grave di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche.

Questo breve memento arriva solo a freddo, leggendo il dispositivo.

Ma si tratta di elementi tecnici. Asettici.

Il problema rimane nel messaggio, perché, pur nel rispetto di una sentenza, e volendo attendere la motivazione e un'attenta lettura, come dicevo, il semplice dispositivo sembra aver creato disagio, forse perché in parte umanamente incomprensibile.
Lo è nella misura in cui era visibile nell'insieme un progetto di solidarietà unico al mondo. E, per realizzare questo grande progetto, le attività amministrative si erano moltiplicate, centuplicate. Un uomo mite avrà forse commesso degli errori, trascinato dal progetto, da un'idea forte, e probabilmente questi errori possono (in ipotesi) anche avere una rilevanza giuridica.

Ma la dosimetria della pena può mediare tra fatto-reato ed errore, che spesso avviene per ingenuità o mancanza di preparazione.

E, allora, questa stessa dosimetria poteva lasciare un minimo spazio di sopravvivenza delle gesta di Lucano, un angolo dove poter ancora osservare quel progetto di solidarietà, non azzerando il piccolo ma grande mondo di Riace, che, in fondo non era solo di Mimmo Lucano, ma di chi doveva essere soccorso dal mare e lì veniva integrato.

Il vaso di pandora, semmai, era scheggiato, non rotto.

Ad aiutare nel calcolo della pena poteva almeno entrare il giudicato cautelare della Cassazione che nel 2019 aveva annullato il divieto di dimora: rilevava, infatti, la Suprema corte che non solo non erano provate le «opacità» che avrebbero caratterizzato l'azione di Lucano per l’affidamento di questi servizi alle cooperative L'Aquilone e Ecoriace, ma è la legge che consente «l'affidamento diretto di appalti» in favore delle cooperative sociali «finalizzate all'inserimento lavorativo delle persone svantaggiate» a condizione che gli importi del servizio siano «inferiori alla soglia comunitaria».

Ecco, uno sguardo di insieme poteva servire a ricalibrare il tiro. Perché, altrimenti, ed è questo il segnale, nessuno continuerà a seguire la strada solidale, spaventato dal fatto che gli errori, gli eccessi, costano veramente caro, troppo.
Tra errore e messaggio, tra comportamento e sentenza, lo iato, quello scarto eccessivo, è rigidità, non insegnamento. Il principio di proporzionalità della pena rispetto alla gravità del reato esige in via generale che la pena sia adeguatamente calibrata non solo al concreto contenuto di offensività del fatto di reato per gli interessi protetti, ma anche al disvalore soggettivo espresso dal fatto medesimo.

E il quantum di disvalore soggettivo dipende in maniera determinante non solo dal contenuto della volontà criminosa (dolosa o colposa) e dal grado del dolo o della colpa, ma anche dall’eventuale presenza di fattori che hanno influito sul processo motivazionale dell’autore, rendendolo più o meno rimproverabile (Corte Cost., sentenza n. 73 del 2020).
La condanna di Mimmo Lucano porta le lancette indietro nel tempo, quando Calamandrei pronunciò queste parole, come difensore di Dolci:

[Il Pubblico Ministero] ha detto che i giudici non devono tenere conto delle "correnti di pensiero". Ma cosa sono le leggi se non esse stesse delle correnti di pensiero? Se non fossero questo non sarebbero che carta morta. [...] E invece le leggi sono vive perché dentro queste formule bisogna far circolare il pensiero del nostro tempo, lasciarci entrare l'aria che respiriamo, metterci dentro i nostri propositi, le nostre speranze, il nostro sangue, il nostro pianto. Altrimenti, le leggi non restano che formule vuote, pregevoli giochi da legulei; affinché diventino sante esse vanno riempite con la nostra volontà.»