x

x

La prescrizione nei danni lungolatenti

- INTRODUZIONE

Il legislatore civile, ex art. 2934 c.c. e ssgg., disciplina l’istituto giuridico della prescrizione, spiegando come ogni diritto si estingue nel caso in cui il legittimo titolare non lo esercita ovvero non lo usa [1] (ex artt. 954 u.c., 970, 1014, 1073 c.c.) per il tempo determinato dalla legge, nei limiti in cui non si tratti di diritti indisponibili o di altri diritti indicati dalla legge.

In tal senso, si cerca di evitare l’inerzia del titolare del diritto esercitabile (id est non sottoposto ad alcuna condizione sospensiva, ad esempio), proprio al fine di evitare che possano sussistere situazioni giuridiche ovvero rapporti negoziali incerti, in ossequio all’esigenza generale di certezza del diritto; laddove, infatti, lo stesso legislatore avesse optato per la soluzione contraria e non avesse formulato l’istituto giuridico della prescrizione, vi sarebbe stato, evidentemente, il rischio di individuare un vulnus all’intero ordinamento giuridico, a scapito di una tutela effettiva che lo stesso ordinamento vorrebbe garantire.

Se, infatti, l’ordinamento mira a risolvere i contrasti interpretativi nascenti da rapporti giuridici negoziali ovvero ex facto, allora, a fortiori, sarebbe necessario individuare un meccanismo giuridico concreto volto ad attribuire certezza ai singoli rapporti tra i consociati, tanto più che l’inerzia all’esercizio di un diritto soggettivo induce la generalità delle persone a pensare che tale diritto non esista o sia stato abbandonato [2], determinando confusione e sovraccarico del contenzioso.

Tuttavia, se la definizione e la ratio [3] dell’istituto de quo sembrano sufficientemente chiari, particolari problemi ermeneutici si pongono nell’ambito dell’individuazione del c.d. dies a quo, soprattutto nell’ipotesi di prescrizione breve, ex art. 2947 c.c., attinente al risarcimento del danno extracontrattuale. Infatti, in tali ipotesi, il legislatore sembra individuare il dies a quo nel momento della verificazione del fatto antigiuridico (“...dal giorno in cui il fatto si è verificato...”) e non nel momento della percezione del danno [4], ponendo significativi problemi interpretativi nel caso di c.d. danni lungolatenti, dove la verificazione del danno è temporalmente sfalsata rispetto alla condotta antigiuridica, con la conseguenza che lo stesso danneggiato, laddove abbia la percezione del danno in un momento di gran lunga successivo alla sua causazione, rischierebbe di non poter più far valere la pretesa risarcitoria perchè l’azione sarebbe prescritta.

Se, infatti, per “fatto”, ex art. 2947 c.c., si intende il momento della condotta antigiuridica ovvero della causazione del danno, allora nelle ipotesi di danni lungolatenti il danneggiato rischierebbe, non di rado, di restare sprovvisto di tutela giuridica, creando un vulnus all’intero meccanismo risarcitorio, ex art. 2043 c.c., nonchè allo stesso diritto di difesa, ex art. 24 Cost.

Viceversa, laddove si opti per la tesi contraria, volta ad individuare il dies a quo nel momento della percezione del danno, non si risolverebbe definitivamente il problema dei danni lungolatenti, perchè il danneggiante correrebbe il rischio di restare esposto all’azione risarcitoria altrui sine die, in contrasto con l’esigenza generalizzata di certezza del diritto.

Appare chiaro, infatti, che interpretando il concetto di “fatto”, ex art. 2947 c.c., nel senso di percezione della carica lesiva della condotta altrui, l’azione risarcitoria non cadrebbe mai in prescrizione, perchè il danneggiato potrebbe in ogni momento sostenere di aver percepito il danno, individuando un vulnus all’istituto giuridico della prescrizione, difficilmente giustificabile, a scapito della posizione giuridica del danneggiante e dei principi generali di certezza del diritto.

Sotto tali profili argomentativi, pertanto, si coglie a pieno la problematica sottostante, tanto più che neanche il richiamo all’art. 2935 [5] c.c. è, di per sé, sufficiente a risolvere il problema interpretativo, poichè non è chiaro “il giorno in cui il diritto può essere fatto valere”, potendo coincidere, evidentemente, tanto con il momento della causazione del danno quanto con quello della percezione.

- TESI GARANTISTA

Secondo l’impostazione tradizionale, l’art. 2947 c.c. andrebbe interpretato in senso garantista verso il danneggiato, decodificando l’inciso “dal giorno in cui il fatto si è verificato” nel senso di percezione della lesività del fatto antigiuridico altrui, attraverso un’interpretazione estensiva.

Il dies a quo, rilevante ai fini della decorrenza della prescrizione dell’illecito aquiliano, sarebbe riferibile al momento in cui il danneggiato subisce gli effetti della condotta altrui ovvero il danno [6], poichè solo da questo momento il soggetto leso può decidere liberamente se agire o meno in via risarcitoria, secondo lo schema dell’art. 2935 c.c.; con la conseguenza che nel caso di danni c.d. lungolatenti il dies a quo non decorrerebbe dal momento della causazione del danno ab origine, ma dal verificarsi degli effetti dannosi percepibili.

A sostegno di tale tesi, si sottolinea come lo stesso istituto giuridico della prescrizione vada analizzato in modo sistematico, collegando l’art. 2947 c.c. con gli artt. 2043 e 2935 c.c.. Se, infatti, si opta per un’interpretazione sistematica, si dice, l’art. 2947 c.c. depone esclusivamente nel senso che il dies a quo è quello della percezione del danno, poichè sarebbe lo stesso art. 2935 c.c. ad imporlo. L’art. 2935 c.c., dunque, laddove spiega come la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, sembra imporre all’interprete una strada ben precisa, poichè il diritto può essere fatto valere, evidentemente, solo nel caso in cui si abbia consapevolezza del diritto nascente da illecito dannoso, id est la percezione del danno permette di far valere un diritto. Diversamente, infatti, l’art. 2935 c.c. perderebbe di significato e di portata applicativa, perchè l’impostazione seguita dal legislatore volta essenzialmente ad individuare il dies a quo attraverso il criterio della possibilità di far valere un diritto, e non attraverso il criterio della mera decorrenza temporale, sarebbe elusa a vantaggio del danneggiante che potrebbe non essere più chiamato a rispondere del fatto illecito, soltanto perchè in concreto il danneggiato era impossibilitato (a causa della natura di certi danni, come quelli lungolatenti, appunto) a percepire il danno.

D’altronde, si precisa, anche l’art. 2043 c.c. sembrerebbe deporre nello stesso senso. Infatti, laddove il legislatore spiega la struttura giuridica del danno extracontrattuale, si riferisce al danno ingiusto, non alla condotta; con la conseguenza che il danneggiato dovrà essere messo in condizioni tali da poter percepire [7] la lesività della condotta ovvero, più in particolare l’ingiustizia. In altri termini, si dice come con l’art. 2043 c.c. il legislatore abbia inteso chiarire in modo lapalissiano che l’attenzione dell’interprete deve concentrarsi sul momento del danno, collegato solo eziologicamente ad una condotta umana antigiuridica, ma non temporalmente, proprio in considerazione del fatto che talvolta il momento di verificazione (ovvero, più precisamente, manifestazione [8]) del danno non è coincidente con quello della condotta antigiuridica.

D’altronde, tale impostazione interpretativa sembra coerente con i fatti giuridici che in concreto si possono presentare, soprattutto prendendo in considerazione la molteplicità delle vicende umane dove alla condotta offensiva, possono seguire solo eventualmente danni risarcibili, come nell’ipotesi di assenza dell’elemento della colpa, dove il danno sussiste seppur non risarcibile, ovvero nel caso di sussistenza di cause di giustificazione (legittima difesa, ex art. 2044 c.c., stato di necessità, ex art. 2045 c.c., ecc.), dove è dubbio se sussista ad ogni modo l’ingiustizia del danno; id est, in tutti questi casi il danneggiato deve avere il tempo non solo di percepire il danno, ma anche la lesività risarcibile del fatto, per meglio esercitare il suo diritto di difesa costituzionalmente garantito, ex art. 24 Cost.

In altre parole, se l’art. 2947 c.c. si collega all’art. 2935 c.c., nonché all’art. 2043 c.c., emerge come non solo il dies a quo deve essere individuato nel momento di verificazione del danno, ma il danneggiato deve essere messo in condizioni di percepirne anche l’ingiustizia, il nesso eziologico, l’atteggiamento doloso o colposo, ovvero più semplicemente la possibilità risarcitoria. Solo in tal senso, infatti, il danneggiato potrà decidere liberamente se intraprendere la via giudiziaria o meno, in pieno rispetto dell’art. 24 Cost.; diversamente argomentando, nei danni lungolatenti il danneggiato resterebbe in una posizione giuridica sprovvista di tutela, in contrasto, tra l’altro, con la lettera della legge e con il suo spirito garantista. La stessa ratio giustificatrice dell’art. 2043 c.c., d’altronde, sembra improntata alla tutela piena del danneggiato, per cui anche nell’ipotesi di dubbio interpretativo attinente al dies a quo, bisognerebbe propendere per la tesi più favorevole al danneggiato.

Tale tesi interpretativa, tra l’altro, sostenuta da parte della giurisprudenza [9], ha ampliato il concetto di percezione del danno, derivante dal combinato disposto degli artt. 2947-2935-2043 c.c. e dall’art. 24 Cost., fino a comprendervi l’effettiva conoscibilità, risolvendo il problema del dies a quo non già come mera possibilità di accertare una realtà fenomenica, ma come concreta possibilità di apprezzare l’ “ingiustizia” del fatto stesso, nonché la sua riconducibilità eziologica alla condotta dolosa o colposa di un terzo.

Accogliendo tale tesi, dunque, la prescrizione non decorrerebbe dalla data di verificazione dell’illecito, né da quella in cui la vittima ha avuto la percezione del danno, ma da quella in cui la vittima ha avuto la concreta possibilità di percepire che il danno da lei patito andava ascritto alla condotta illecita di un terzo.

- TESI RIGOROSA

Secondo altra impostazione [10], invece, l’art. 2947 c.c. andrebbe interpretato in modo tale da individuare il dies a quo nel momento in cui è stata tenuta la condotta illecita, anche nel caso in cui il danno sia stato scoperto dal danneggiato in epoca successiva in modo incolpevole (ad esempio nell’ipotesi, appunto, di danni lungolatenti).

Infatti, l’inciso “...dal giorno in cui il fatto si è verificato...”, ex art. 2947 c.c., sarebbe assolutamente chiaro nell’individuare il dies a quo nel momento in cui si tiene la condotta antigiuridica, id est fatto inteso come condotta.

Il legislatore, sembrerebbe far riferimento alla verificazione del fatto e non alla sua manifestazione, con la conseguenza applicativa che anche nell’ipotesi di danni lungolatenti la prescrizione dell’azione risarcitoria dovrebbe incominciare a decorrere dal momento della condotta antigiuridica. Diversamente argomentando, si dice, si rischierebbe di entrare in contrasto con la lettera della legge che parla di verificazione e non di manifestazione del fatto antigiuridico nel senso di percepibilità del danno.

D’altronde, si dice, lo stesso discorso attinente alle condotte antigiuridiche solo eventualmente dannose, ovvero ai danni lungolatenti che richiederebbero un’interpretazione estensiva dell’art. 2947 c.c., al fine di non svuotare di significato la norma e non entrare in contrasto con lo spirito dell’art. 24 Cost., sarebbe da ridurre di portata argomentativa, in quanto si opterebbe per un’interpretazione estensiva sostanzialmente non ammessa dallo stesso legislatore, ex art. 12 Disp.Prel.c.c.

In particolare, infatti, il legislatore, ex art. 12 Disp.Prel.c.c., sembra limitare la possibilità di optare per una tesi estensiva ovvero analogica [11], solo nell’ipotesi in cui la controversia non possa essere decisa “con una precisa disposizione”, diversamente dell’ipotesi de quo. In altri termini, in tal senso, l’interpretazione estensiva sarebbe utilizzabile come criterio di supporto di natura residuale, e non principale, con la conseguenza applicativa che nei casi di norma sufficientemente chiara e puntuale l’impostazione estensiva deve, per così dire, cedere il passo alla tesi rigorosa, come nel caso, appunto, di problemi attinenti all’individuazione del dies a quo.

Si precisa, poi, come, anche qualora si volesse sostenere che la tesi c.d. garantista non opta per un’interpretazione analogica o estensiva vietata dal legislatore nel caso de quo, ma sistematica, comunque, pure gli artt. 2935-2043 c.c. sembrerebbero individuare il dies a quo nel momento della causazione (non manifestazione) del danno ovvero nel momento della condotta antigiuridica [12], e non nel momento della percepibilità o percezione del danno.

Lo stesso art. 2935 c.c., richiamato dalla tesi c.d. garantista, sembrerebbe, al contrario, deporre a favore della tesi rigorosa. Infatti, laddove il legislatore, ex art. 2935 c.c., spiega che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui “il diritto può essere fatto valere”, sembra individuare un criterio interpretativo di contenuto formale e giuridico, ma non naturalistico, id est non si riferisce al momento della manifestazione del danno in senso fenomenico, ma al momento giuridico in cui si può far valere un certo diritto, in coerenza con lo stesso art. 2947 c.c.

In altri termini, secondo tale impostazione, il dies a quo andrebbe individuato nel giorno in cui il diritto può essere fatto valere, da intendersi come momento di verificazione del fatto giuridico, ex art. 2947 c.c., poichè, si dice, si può disporre di un diritto nel momento in cui la legge lo consente, e non nel momento in cui il soggetto percepisce il danno; id est, il rapporto condotta-danno va inteso in senso giuridico, ma non naturalistico, con la conseguenza che il dies a quo sarà determinato dalla condotta antigiuridica.

Lo stesso art. 2043 c.c., poi, sembrerebbe deporre nello stesso senso. Infatti, anche in tale norma, a rigore, il legislatore prenderebbe precipuamente in considerazione la condotta, laddove usa i termini come “fatto doloso o colposo”, “cagiona ad altri” e “colui che ha commesso il fatto”, proprio al fine di confermare come il dies a quo a fini prescrizionali vada individuato nel momento della condotta. Nè varrebbe in contrario, si dice, richiamare la presunta ratio della norma volta a tutelare il danneggiato, perchè qualora si optasse per un’interpretazione forzata si esporrebbe il danneggiante alla possibilità di subire un’azione risarcitoria in qualsiasi momento, cioè sine die, con la conseguenza, tra le altre, che sarebbe impossibile verificare in concreto la percepibilità del danno, tanto più che sarebbe un elemento assolutamente soggettivo e diverso da persona a persona, soprattutto nei c.d. danni lungolatenti.

Proprio al fine di non soggettivizzare troppo il concetto di dies a quo ovvero ridurre al minimo le incertezze giuridiche, allora, il legislatore avrebbe riferito il termine “fatto”, ex art. 2947 c.c., al momento della condotta, soprattutto alla luce della sussistenza di danni lungolatenti (ovvero condotte eventualmente dannose).

D’altronde, si precisa, il concetto di diritto di difesa, ex art. 24 Cost., non va interpretato come abuso del diritto, come si verificherebbe, di certo, nel caso in cui si esponesse il danneggiato al rischio di un’azione risarcitoria sine die.

Optando per tale ipotesi ermeneutica, pertanto, nel caso di danni lungolatenti il dies a quo prescrizionale, ex art. 2947 c.c., inizierebbe a decorrere dal giorno in cui è stata tenuta la condotta illecita, ex art. 2043 c.c., e non dal momento della manifestazione ovvero percepibilità del danno.

- CONCLUSIONI

Il problema interpretativo, effettivamente, sembra piuttosto complesso, poichè entrambe le tesi esposte sembrano presentare luci ed ombre difficilmente conciliabili.

Tuttavia, sembra maggiormente condivisibile la tesi c.d. garantista, soprattutto in considerazione di danni lungolatenti, ovvero nelle condotte eventualmente dannose. In particolare, l’art. 2043 c.c., che sembra essere la norma-cardine del sistema risarcitorio extracontrattuale, se letta nel suo complesso, in verità, richiede la sussistenza di un danno per la sua applicazione concreta, e non una condotta generica.

Se, allora, l’illecito aquiliano per la sua applicazione richiede la sussistenza di un danno, sarebbe incoerente ed illogico far decorrere la prescrizione da un momento in cui tale danno ancora non sì è manifestato, id est non è divenuto percepibile e, quindi, inesistente in senso soggettivo. In altri termini, la natura giuridica dell’illecito extracontrattuale richiedendo ai fini applicativi una serie di elementi strutturali (dolo o colpa, condotta antigiuridica, danno ingiusto), impone all’interprete di far decorrere la prescrizione dal giorno in cui si verifica l’illecito nella sua completezza, e non parzialmente; diversamente argomentando, si violerebbe non solo la lettera della legge e la ratio dell’istituto dell’illecito aquiliano, ma si arriverebbe al paradosso per cui la prescrizione relativa ad un illecito civile inizierebbe a decorrere in un momento in cui l’illecito, ex art. 2043 c.c., non si è ancora realizzato nella sua interezza, creando un vulnus al sistema risarcitorio difficilmente giustificabile.

D’altronde, sotto tali profili interpretativi, la struttura giuridica dell’illecito extracontrattuale nell’ambito di danni lungolatenti, sembra ricalcare lo schema delle fattispecie a formazione progressiva laddove sussista una condicio iuris di efficacia, ovvero una condicio applicativa relativa alla sussistenza di un danno, con il corollario logico-interpretativo che il diritto “può essere fatto valere”, ex art. 2935 [13] c.c., dal giorno in cui si verifica il danno.

In questo senso, dunque, ben si comprende come anche interpretando l’art. 2935 c.c. in senso giuridico-formale, e non in senso naturalistico, comunque il dies a quo a fini prescrizionali andrebbe individuato nel momento di percepibilità ovvero, secondo altra tesi, di percezione del danno.

Se, allora, si sottolinea come l’art. 2043 c.c. richiede la sussistenza di un danno e l’art. 2935 c.c. si interpreta nel senso che si può far valere un diritto dal giorno in cui si verifica complessivamente lo schema dell’illecito, evidentemente, tutte gli argomenti posti a sostegno della tesi rigorosa si svuotano notevolmente di portata argomentativa, a tutto vantaggio della tesi c.d. garantista.

Sotto quest’ottica interpretativa, pertanto, sembra maggiormente condivisibile la tesi garantista.



[1] Vd. Panza, voce Prescrizione, in Digesto, Disc. Priv. (sez.civ.), XIV, Torino, 1996, p. 226 ss.; Torrente-Schlesinger, Manuale di Diritto Privato, Milano, p. 139 ss.

[2] In questo senso si spiegherebbe la ratio degli artt. 954, 970, 1014, 1073 c.c.

[3] La decadenza, invece, non trova fondamento nell’inerzia del titolare, ma nel decorso, sic et simpliciter, di un termine perentorio, per cui, in genere, viene esclusa ogni considerazione relativa alla situazione soggettiva del titolare.

[4] Sull’argomento vd. Vitucci, La Prescrizione, in Il Codice Civile diretto da Schlesingher, Milano, 1990.

[5] Vd. Cass. 8234/1998.

[6] Vd. Gazzoni, Manuale di Diritto Privato, Napoli, 2001; Panza, Contributo allo studio della prescrizione, 1984.

[7] Vd Cass. 9927/2000; Cass. 3206/1989; Cass. 5412/1983.

[8] Vd. in tal senso Cass. 5913/2000.

[9] Vd. Cass. 2645/2003, dove è stato sostenuto che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno biologico causato dal contagio di poliomelite in conseguenza del contatto con un soggetto sottoposto a vaccinazione iniziasse a decorrere non dal momento in cui la malattia si è manifestata, ma dal momento in cui è divenuta conoscibile, secondo l’ordinaria diligenza, la derivazione causale della malattia dal contagio con persona sottoposta a vaccinazione; Cass. 3444/1999.

[10] Vd. Monateri, La responsabilità civile, Torino, 1998.

[11] Vd. Cass. 1490/1995.

[12] Vd. Cass. 1547/2004.

[13] Vd. Cass.8234/1998.

- INTRODUZIONE

Il legislatore civile, ex art. 2934 c.c. e ssgg., disciplina l’istituto giuridico della prescrizione, spiegando come ogni diritto si estingue nel caso in cui il legittimo titolare non lo esercita ovvero non lo usa [1] (ex artt. 954 u.c., 970, 1014, 1073 c.c.) per il tempo determinato dalla legge, nei limiti in cui non si tratti di diritti indisponibili o di altri diritti indicati dalla legge.

In tal senso, si cerca di evitare l’inerzia del titolare del diritto esercitabile (id est non sottoposto ad alcuna condizione sospensiva, ad esempio), proprio al fine di evitare che possano sussistere situazioni giuridiche ovvero rapporti negoziali incerti, in ossequio all’esigenza generale di certezza del diritto; laddove, infatti, lo stesso legislatore avesse optato per la soluzione contraria e non avesse formulato l’istituto giuridico della prescrizione, vi sarebbe stato, evidentemente, il rischio di individuare un vulnus all’intero ordinamento giuridico, a scapito di una tutela effettiva che lo stesso ordinamento vorrebbe garantire.

Se, infatti, l’ordinamento mira a risolvere i contrasti interpretativi nascenti da rapporti giuridici negoziali ovvero ex facto, allora, a fortiori, sarebbe necessario individuare un meccanismo giuridico concreto volto ad attribuire certezza ai singoli rapporti tra i consociati, tanto più che l’inerzia all’esercizio di un diritto soggettivo induce la generalità delle persone a pensare che tale diritto non esista o sia stato abbandonato [2], determinando confusione e sovraccarico del contenzioso.

Tuttavia, se la definizione e la ratio [3] dell’istituto de quo sembrano sufficientemente chiari, particolari problemi ermeneutici si pongono nell’ambito dell’individuazione del c.d. dies a quo, soprattutto nell’ipotesi di prescrizione breve, ex art. 2947 c.c., attinente al risarcimento del danno extracontrattuale. Infatti, in tali ipotesi, il legislatore sembra individuare il dies a quo nel momento della verificazione del fatto antigiuridico (“...dal giorno in cui il fatto si è verificato...”) e non nel momento della percezione del danno [4], ponendo significativi problemi interpretativi nel caso di c.d. danni lungolatenti, dove la verificazione del danno è temporalmente sfalsata rispetto alla condotta antigiuridica, con la conseguenza che lo stesso danneggiato, laddove abbia la percezione del danno in un momento di gran lunga successivo alla sua causazione, rischierebbe di non poter più far valere la pretesa risarcitoria perchè l’azione sarebbe prescritta.

Se, infatti, per “fatto”, ex art. 2947 c.c., si intende il momento della condotta antigiuridica ovvero della causazione del danno, allora nelle ipotesi di danni lungolatenti il danneggiato rischierebbe, non di rado, di restare sprovvisto di tutela giuridica, creando un vulnus all’intero meccanismo risarcitorio, ex art. 2043 c.c., nonchè allo stesso diritto di difesa, ex art. 24 Cost.

Viceversa, laddove si opti per la tesi contraria, volta ad individuare il dies a quo nel momento della percezione del danno, non si risolverebbe definitivamente il problema dei danni lungolatenti, perchè il danneggiante correrebbe il rischio di restare esposto all’azione risarcitoria altrui sine die, in contrasto con l’esigenza generalizzata di certezza del diritto.

Appare chiaro, infatti, che interpretando il concetto di “fatto”, ex art. 2947 c.c., nel senso di percezione della carica lesiva della condotta altrui, l’azione risarcitoria non cadrebbe mai in prescrizione, perchè il danneggiato potrebbe in ogni momento sostenere di aver percepito il danno, individuando un vulnus all’istituto giuridico della prescrizione, difficilmente giustificabile, a scapito della posizione giuridica del danneggiante e dei principi generali di certezza del diritto.

Sotto tali profili argomentativi, pertanto, si coglie a pieno la problematica sottostante, tanto più che neanche il richiamo all’art. 2935 [5] c.c. è, di per sé, sufficiente a risolvere il problema interpretativo, poichè non è chiaro “il giorno in cui il diritto può essere fatto valere”, potendo coincidere, evidentemente, tanto con il momento della causazione del danno quanto con quello della percezione.

- TESI GARANTISTA

Secondo l’impostazione tradizionale, l’art. 2947 c.c. andrebbe interpretato in senso garantista verso il danneggiato, decodificando l’inciso “dal giorno in cui il fatto si è verificato” nel senso di percezione della lesività del fatto antigiuridico altrui, attraverso un’interpretazione estensiva.

Il dies a quo, rilevante ai fini della decorrenza della prescrizione dell’illecito aquiliano, sarebbe riferibile al momento in cui il danneggiato subisce gli effetti della condotta altrui ovvero il danno [6], poichè solo da questo momento il soggetto leso può decidere liberamente se agire o meno in via risarcitoria, secondo lo schema dell’art. 2935 c.c.; con la conseguenza che nel caso di danni c.d. lungolatenti il dies a quo non decorrerebbe dal momento della causazione del danno ab origine, ma dal verificarsi degli effetti dannosi percepibili.

A sostegno di tale tesi, si sottolinea come lo stesso istituto giuridico della prescrizione vada analizzato in modo sistematico, collegando l’art. 2947 c.c. con gli artt. 2043 e 2935 c.c.. Se, infatti, si opta per un’interpretazione sistematica, si dice, l’art. 2947 c.c. depone esclusivamente nel senso che il dies a quo è quello della percezione del danno, poichè sarebbe lo stesso art. 2935 c.c. ad imporlo. L’art. 2935 c.c., dunque, laddove spiega come la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, sembra imporre all’interprete una strada ben precisa, poichè il diritto può essere fatto valere, evidentemente, solo nel caso in cui si abbia consapevolezza del diritto nascente da illecito dannoso, id est la percezione del danno permette di far valere un diritto. Diversamente, infatti, l’art. 2935 c.c. perderebbe di significato e di portata applicativa, perchè l’impostazione seguita dal legislatore volta essenzialmente ad individuare il dies a quo attraverso il criterio della possibilità di far valere un diritto, e non attraverso il criterio della mera decorrenza temporale, sarebbe elusa a vantaggio del danneggiante che potrebbe non essere più chiamato a rispondere del fatto illecito, soltanto perchè in concreto il danneggiato era impossibilitato (a causa della natura di certi danni, come quelli lungolatenti, appunto) a percepire il danno.

D’altronde, si precisa, anche l’art. 2043 c.c. sembrerebbe deporre nello stesso senso. Infatti, laddove il legislatore spiega la struttura giuridica del danno extracontrattuale, si riferisce al danno ingiusto, non alla condotta; con la conseguenza che il danneggiato dovrà essere messo in condizioni tali da poter percepire [7] la lesività della condotta ovvero, più in particolare l’ingiustizia. In altri termini, si dice come con l’art. 2043 c.c. il legislatore abbia inteso chiarire in modo lapalissiano che l’attenzione dell’interprete deve concentrarsi sul momento del danno, collegato solo eziologicamente ad una condotta umana antigiuridica, ma non temporalmente, proprio in considerazione del fatto che talvolta il momento di verificazione (ovvero, più precisamente, manifestazione [8]) del danno non è coincidente con quello della condotta antigiuridica.

D’altronde, tale impostazione interpretativa sembra coerente con i fatti giuridici che in concreto si possono presentare, soprattutto prendendo in considerazione la molteplicità delle vicende umane dove alla condotta offensiva, possono seguire solo eventualmente danni risarcibili, come nell’ipotesi di assenza dell’elemento della colpa, dove il danno sussiste seppur non risarcibile, ovvero nel caso di sussistenza di cause di giustificazione (legittima difesa, ex art. 2044 c.c., stato di necessità, ex art. 2045 c.c., ecc.), dove è dubbio se sussista ad ogni modo l’ingiustizia del danno; id est, in tutti questi casi il danneggiato deve avere il tempo non solo di percepire il danno, ma anche la lesività risarcibile del fatto, per meglio esercitare il suo diritto di difesa costituzionalmente garantito, ex art. 24 Cost.

In altre parole, se l’art. 2947 c.c. si collega all’art. 2935 c.c., nonché all’art. 2043 c.c., emerge come non solo il dies a quo deve essere individuato nel momento di verificazione del danno, ma il danneggiato deve essere messo in condizioni di percepirne anche l’ingiustizia, il nesso eziologico, l’atteggiamento doloso o colposo, ovvero più semplicemente la possibilità risarcitoria. Solo in tal senso, infatti, il danneggiato potrà decidere liberamente se intraprendere la via giudiziaria o meno, in pieno rispetto dell’art. 24 Cost.; diversamente argomentando, nei danni lungolatenti il danneggiato resterebbe in una posizione giuridica sprovvista di tutela, in contrasto, tra l’altro, con la lettera della legge e con il suo spirito garantista. La stessa ratio giustificatrice dell’art. 2043 c.c., d’altronde, sembra improntata alla tutela piena del danneggiato, per cui anche nell’ipotesi di dubbio interpretativo attinente al dies a quo, bisognerebbe propendere per la tesi più favorevole al danneggiato.

Tale tesi interpretativa, tra l’altro, sostenuta da parte della giurisprudenza [9], ha ampliato il concetto di percezione del danno, derivante dal combinato disposto degli artt. 2947-2935-2043 c.c. e dall’art. 24 Cost., fino a comprendervi l’effettiva conoscibilità, risolvendo il problema del dies a quo non già come mera possibilità di accertare una realtà fenomenica, ma come concreta possibilità di apprezzare l’ “ingiustizia” del fatto stesso, nonché la sua riconducibilità eziologica alla condotta dolosa o colposa di un terzo.

Accogliendo tale tesi, dunque, la prescrizione non decorrerebbe dalla data di verificazione dell’illecito, né da quella in cui la vittima ha avuto la percezione del danno, ma da quella in cui la vittima ha avuto la concreta possibilità di percepire che il danno da lei patito andava ascritto alla condotta illecita di un terzo.

- TESI RIGOROSA

Secondo altra impostazione [10], invece, l’art. 2947 c.c. andrebbe interpretato in modo tale da individuare il dies a quo nel momento in cui è stata tenuta la condotta illecita, anche nel caso in cui il danno sia stato scoperto dal danneggiato in epoca successiva in modo incolpevole (ad esempio nell’ipotesi, appunto, di danni lungolatenti).

Infatti, l’inciso “...dal giorno in cui il fatto si è verificato...”, ex art. 2947 c.c., sarebbe assolutamente chiaro nell’individuare il dies a quo nel momento in cui si tiene la condotta antigiuridica, id est fatto inteso come condotta.

Il legislatore, sembrerebbe far riferimento alla verificazione del fatto e non alla sua manifestazione, con la conseguenza applicativa che anche nell’ipotesi di danni lungolatenti la prescrizione dell’azione risarcitoria dovrebbe incominciare a decorrere dal momento della condotta antigiuridica. Diversamente argomentando, si dice, si rischierebbe di entrare in contrasto con la lettera della legge che parla di verificazione e non di manifestazione del fatto antigiuridico nel senso di percepibilità del danno.

D’altronde, si dice, lo stesso discorso attinente alle condotte antigiuridiche solo eventualmente dannose, ovvero ai danni lungolatenti che richiederebbero un’interpretazione estensiva dell’art. 2947 c.c., al fine di non svuotare di significato la norma e non entrare in contrasto con lo spirito dell’art. 24 Cost., sarebbe da ridurre di portata argomentativa, in quanto si opterebbe per un’interpretazione estensiva sostanzialmente non ammessa dallo stesso legislatore, ex art. 12 Disp.Prel.c.c.

In particolare, infatti, il legislatore, ex art. 12 Disp.Prel.c.c., sembra limitare la possibilità di optare per una tesi estensiva ovvero analogica [11], solo nell’ipotesi in cui la controversia non possa essere decisa “con una precisa disposizione”, diversamente dell’ipotesi de quo. In altri termini, in tal senso, l’interpretazione estensiva sarebbe utilizzabile come criterio di supporto di natura residuale, e non principale, con la conseguenza applicativa che nei casi di norma sufficientemente chiara e puntuale l’impostazione estensiva deve, per così dire, cedere il passo alla tesi rigorosa, come nel caso, appunto, di problemi attinenti all’individuazione del dies a quo.

Si precisa, poi, come, anche qualora si volesse sostenere che la tesi c.d. garantista non opta per un’interpretazione analogica o estensiva vietata dal legislatore nel caso de quo, ma sistematica, comunque, pure gli artt. 2935-2043 c.c. sembrerebbero individuare il dies a quo nel momento della causazione (non manifestazione) del danno ovvero nel momento della condotta antigiuridica [12], e non nel momento della percepibilità o percezione del danno.

Lo stesso art. 2935 c.c., richiamato dalla tesi c.d. garantista, sembrerebbe, al contrario, deporre a favore della tesi rigorosa. Infatti, laddove il legislatore, ex art. 2935 c.c., spiega che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui “il diritto può essere fatto valere”, sembra individuare un criterio interpretativo di contenuto formale e giuridico, ma non naturalistico, id est non si riferisce al momento della manifestazione del danno in senso fenomenico, ma al momento giuridico in cui si può far valere un certo diritto, in coerenza con lo stesso art. 2947 c.c.

In altri termini, secondo tale impostazione, il dies a quo andrebbe individuato nel giorno in cui il diritto può essere fatto valere, da intendersi come momento di verificazione del fatto giuridico, ex art. 2947 c.c., poichè, si dice, si può disporre di un diritto nel momento in cui la legge lo consente, e non nel momento in cui il soggetto percepisce il danno; id est, il rapporto condotta-danno va inteso in senso giuridico, ma non naturalistico, con la conseguenza che il dies a quo sarà determinato dalla condotta antigiuridica.

Lo stesso art. 2043 c.c., poi, sembrerebbe deporre nello stesso senso. Infatti, anche in tale norma, a rigore, il legislatore prenderebbe precipuamente in considerazione la condotta, laddove usa i termini come “fatto doloso o colposo”, “cagiona ad altri” e “colui che ha commesso il fatto”, proprio al fine di confermare come il dies a quo a fini prescrizionali vada individuato nel momento della condotta. Nè varrebbe in contrario, si dice, richiamare la presunta ratio della norma volta a tutelare il danneggiato, perchè qualora si optasse per un’interpretazione forzata si esporrebbe il danneggiante alla possibilità di subire un’azione risarcitoria in qualsiasi momento, cioè sine die, con la conseguenza, tra le altre, che sarebbe impossibile verificare in concreto la percepibilità del danno, tanto più che sarebbe un elemento assolutamente soggettivo e diverso da persona a persona, soprattutto nei c.d. danni lungolatenti.

Proprio al fine di non soggettivizzare troppo il concetto di dies a quo ovvero ridurre al minimo le incertezze giuridiche, allora, il legislatore avrebbe riferito il termine “fatto”, ex art. 2947 c.c., al momento della condotta, soprattutto alla luce della sussistenza di danni lungolatenti (ovvero condotte eventualmente dannose).

D’altronde, si precisa, il concetto di diritto di difesa, ex art. 24 Cost., non va interpretato come abuso del diritto, come si verificherebbe, di certo, nel caso in cui si esponesse il danneggiato al rischio di un’azione risarcitoria sine die.

Optando per tale ipotesi ermeneutica, pertanto, nel caso di danni lungolatenti il dies a quo prescrizionale, ex art. 2947 c.c., inizierebbe a decorrere dal giorno in cui è stata tenuta la condotta illecita, ex art. 2043 c.c., e non dal momento della manifestazione ovvero percepibilità del danno.

- CONCLUSIONI

Il problema interpretativo, effettivamente, sembra piuttosto complesso, poichè entrambe le tesi esposte sembrano presentare luci ed ombre difficilmente conciliabili.

Tuttavia, sembra maggiormente condivisibile la tesi c.d. garantista, soprattutto in considerazione di danni lungolatenti, ovvero nelle condotte eventualmente dannose. In particolare, l’art. 2043 c.c., che sembra essere la norma-cardine del sistema risarcitorio extracontrattuale, se letta nel suo complesso, in verità, richiede la sussistenza di un danno per la sua applicazione concreta, e non una condotta generica.

Se, allora, l’illecito aquiliano per la sua applicazione richiede la sussistenza di un danno, sarebbe incoerente ed illogico far decorrere la prescrizione da un momento in cui tale danno ancora non sì è manifestato, id est non è divenuto percepibile e, quindi, inesistente in senso soggettivo. In altri termini, la natura giuridica dell’illecito extracontrattuale richiedendo ai fini applicativi una serie di elementi strutturali (dolo o colpa, condotta antigiuridica, danno ingiusto), impone all’interprete di far decorrere la prescrizione dal giorno in cui si verifica l’illecito nella sua completezza, e non parzialmente; diversamente argomentando, si violerebbe non solo la lettera della legge e la ratio dell’istituto dell’illecito aquiliano, ma si arriverebbe al paradosso per cui la prescrizione relativa ad un illecito civile inizierebbe a decorrere in un momento in cui l’illecito, ex art. 2043 c.c., non si è ancora realizzato nella sua interezza, creando un vulnus al sistema risarcitorio difficilmente giustificabile.

D’altronde, sotto tali profili interpretativi, la struttura giuridica dell’illecito extracontrattuale nell’ambito di danni lungolatenti, sembra ricalcare lo schema delle fattispecie a formazione progressiva laddove sussista una condicio iuris di efficacia, ovvero una condicio applicativa relativa alla sussistenza di un danno, con il corollario logico-interpretativo che il diritto “può essere fatto valere”, ex art. 2935 [13] c.c., dal giorno in cui si verifica il danno.

In questo senso, dunque, ben si comprende come anche interpretando l’art. 2935 c.c. in senso giuridico-formale, e non in senso naturalistico, comunque il dies a quo a fini prescrizionali andrebbe individuato nel momento di percepibilità ovvero, secondo altra tesi, di percezione del danno.

Se, allora, si sottolinea come l’art. 2043 c.c. richiede la sussistenza di un danno e l’art. 2935 c.c. si interpreta nel senso che si può far valere un diritto dal giorno in cui si verifica complessivamente lo schema dell’illecito, evidentemente, tutte gli argomenti posti a sostegno della tesi rigorosa si svuotano notevolmente di portata argomentativa, a tutto vantaggio della tesi c.d. garantista.

Sotto quest’ottica interpretativa, pertanto, sembra maggiormente condivisibile la tesi garantista.



[1] Vd. Panza, voce Prescrizione, in Digesto, Disc. Priv. (sez.civ.), XIV, Torino, 1996, p. 226 ss.; Torrente-Schlesinger, Manuale di Diritto Privato, Milano, p. 139 ss.

[2] In questo senso si spiegherebbe la ratio degli artt. 954, 970, 1014, 1073 c.c.

[3] La decadenza, invece, non trova fondamento nell’inerzia del titolare, ma nel decorso, sic et simpliciter, di un termine perentorio, per cui, in genere, viene esclusa ogni considerazione relativa alla situazione soggettiva del titolare.

[4] Sull’argomento vd. Vitucci, La Prescrizione, in Il Codice Civile diretto da Schlesingher, Milano, 1990.

[5] Vd. Cass. 8234/1998.

[6] Vd. Gazzoni, Manuale di Diritto Privato, Napoli, 2001; Panza, Contributo allo studio della prescrizione, 1984.

[7] Vd Cass. 9927/2000; Cass. 3206/1989; Cass. 5412/1983.

[8] Vd. in tal senso Cass. 5913/2000.

[9] Vd. Cass. 2645/2003, dove è stato sostenuto che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno biologico causato dal contagio di poliomelite in conseguenza del contatto con un soggetto sottoposto a vaccinazione iniziasse a decorrere non dal momento in cui la malattia si è manifestata, ma dal momento in cui è divenuta conoscibile, secondo l’ordinaria diligenza, la derivazione causale della malattia dal contagio con persona sottoposta a vaccinazione; Cass. 3444/1999.

[10] Vd. Monateri, La responsabilità civile, Torino, 1998.

[11] Vd. Cass. 1490/1995.

[12] Vd. Cass. 1547/2004.

[13] Vd. Cass.8234/1998.