La procreazione assistita. Soluzioni interpretative in relazione alla fattispecie delle coppie affette da malattie genetiche
Molto si è dibattutto, negli ultimi tempi, delle problematiche giuridiche ed etiche legate all’entrata in vigore della legge n. 40/04 in materia di procreazione medicalmente assisitita.
Una delle questioni più delicate si è posta con riferimento alla particolari istanze avanzate dalle coppie di aspiranti genitori entrambi affetti da gravi malattie genetiche (come, ad esempio, la Betatalassemia), per le quali la speranza di generare un figlio sano è estremamente ridotta e rispetto alle quali, pertanto, il ricorso alla fecondazione assistita, previa diagnosi pre-impianto dell’embrione, potrebbe costituire un mezzo per avere un figlio non portatore della loro stessa malattia.
Vengono in rilievo, in merito, una serie di problematiche circa la legittimitá e le conseguenze della diagnosi prenatale.
E’ infatti evidente che alcune informazioni di carattere genetico del nascituro potrebbero portare ad azioni come la soppressione, la selezione eugenetica o l’utilizzo strumentale della vita nascente con violazioni gravi del diritto alla vita, del rispetto e della dignitá della persona.
A prescindere da valutazioni di carattere morale o religioso, che pure inevitabilmente investono la questione, di seguito viene prospettata, con rifermento a tale problematica, una delle possibili soluzioni interpretative alla luce della legge in vigore.
L’ipotesi è la seguente:
una coppia di coniugi, entrambi affetti da problemi di sterilità ed, altresì, portatori sani di una grave malattia genetica, dopo essersi sottoposta, con esito negativo, ad analisi e cure tese al ristabilimento della propria capacità riproduttiva, decide di ricorrere alla fecondazione assistita. Possono i nostri coniugi chiedere che gli embrioni creati in vitro siano sottoposti a diagnosi pre-impianto e, a seguito della stessa, rifiutare l’impianto di quelli eventualmente risultati non sani?
Al riguardo va considerato in diritto che:
- l’art. 1 della l. n. 40704 consente il ricorso alla procreazione medicalmente assistita "al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana", in via sussidiaria rispetto ad altri metodi terapeutici;
- lo stesso art. 1 prevede la tutela dei diritti di tutti i soggetti coinvolti nel procedimento procreativo, compreso il concepito;
- l’art. 13 comma 3 lett. b della suddetta legge vieta "ogni forma di selezione a scopo eugenetico" degli embrioni, nonchè ogni intervento volto ad alterarne o predeterminarne il patrimonio genetico, salvo che non abbia finalità terapeutiche o diagnostiche nei confronti dell’embrione stesso;
- l’art. 12 della Convenzione di Oviedo e l’art. 3 della Carta di Nizza stabiliscono, rispettivamente, il divieto di diagnosi predittive di malattie genetiche dell’embrione (se non a fini medici o di ricerca medica) e il divieto di pratiche eugenetiche, aventi come scopo la selezione delle persone;
- l’art. 14 comma 5 della l. n. 40/04 prevede che la coppia sia informata "sul numero e, su richiesta, sullo stato di salute degli embrioni prodotti e da trasferire nell’utero";
- le Linee Guida del Ministero della Salute del 16.07.04, adottate ai sensi dell’art. 7 l. n. 40/04, chiariscono che è proibita ogni diagnosi pre-impianto a finalità eugenetica e che ogni indagine relativa allo stato di salute degli embrioni creati in vitro, ai sensi dell’art. 14 comma 5, deve avere carattere meramente osservazionale;
- l’art.14 comma 1 vieta, altresì, la crioconservazione e la soppressione di embrioni, salvo quanto previsto dalla l.n. 194/78, in materia di interruzione volontaria della gravidanza;
- la l. n. 194/78 consente l’aborto solo quando "la prosecuzione della gravidanza comporterebbe un serio pericolo per la salute fisica o psichica della madre" (art. 4) e, dunque, a scopo "terapeutico" e non "eugenetico;
- la giurisprudenza si è espressa nel senso di ritenere giuridicamente infondata l’affermazione dell’esistenza di un "diritto" della donna di abortire i figli malati in quanto tali e, ancor più, l’affermazione di una tale diritto come preesistente alla gravidanza (Trib. Catania, 03.05.04);
- ai sensi degli articoli 6 comma 3 e 14 commi 1 e 3, è obbligatorio l’impianto di tutti gli embrioni prodotti in vitro, salvo i casi di "grave e documentata forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione" e di "gravi anomalie irreversibili dello sviluppo dell’embrione" (Linee Guida del Ministero della Salute del 16.07.04);
- la violazionedei divieti di cui agli articoli 13 e 14 della l. n. 40/04 da parte del medico è sanzionata penalmente (art. 13 commi 4 e 5 e art. 14 commi 6 e 7).
Alla luce dell’ esame della normativa vigente può dunque concludersi che:
- una coppia formata da persone affette da malattia genetica può accedere alle tecniche di fecondazione in vitro se sussistono i requisiti della sterilità e della sussidiarietà dell’intervento ex art. 1 l. n. 40/04; diversamente non potrebbe avervi accesso, in base alla legge in vigore, una coppia di persone affette da malattia genetica ma non sterili;
- la diagnosi pre-impianto ex art. 14 comma 5 può essere utilizzata solo per finalità meramente osservazionali e non per la selezione degli embrioni;
- ogni forma di selezione eugenetica, di crioconservazione e di soppressione degli embrioni è vietata;
- l’impianto di tutti gli embrioni prodotti in vitro, in via di principio, è obbligatorio ai sensi degli art. 6 comma 3 e 14 comma 3 (pur essendo stato chiarito che non si può operarne coattivamente l’impianto sulla donna);
- il medico che accogliesse una richiesta di selezione degli embrioni avanzata dalla coppia incorrerebbe nelle sanzioni penali di cui agli articoli13 commi 4 e 5 e 14 commi 6 e 7.
E’ auspicabile, comunque, che il Legislatore torni a considerare più attentamente la questione, valutando anche l’opportunità di una disciplina specifica di tali situazioni in ragione della loro peculiarità.
Molto si è dibattutto, negli ultimi tempi, delle problematiche giuridiche ed etiche legate all’entrata in vigore della legge n. 40/04 in materia di procreazione medicalmente assisitita.
Una delle questioni più delicate si è posta con riferimento alla particolari istanze avanzate dalle coppie di aspiranti genitori entrambi affetti da gravi malattie genetiche (come, ad esempio, la Betatalassemia), per le quali la speranza di generare un figlio sano è estremamente ridotta e rispetto alle quali, pertanto, il ricorso alla fecondazione assistita, previa diagnosi pre-impianto dell’embrione, potrebbe costituire un mezzo per avere un figlio non portatore della loro stessa malattia.
Vengono in rilievo, in merito, una serie di problematiche circa la legittimitá e le conseguenze della diagnosi prenatale.
E’ infatti evidente che alcune informazioni di carattere genetico del nascituro potrebbero portare ad azioni come la soppressione, la selezione eugenetica o l’utilizzo strumentale della vita nascente con violazioni gravi del diritto alla vita, del rispetto e della dignitá della persona.
A prescindere da valutazioni di carattere morale o religioso, che pure inevitabilmente investono la questione, di seguito viene prospettata, con rifermento a tale problematica, una delle possibili soluzioni interpretative alla luce della legge in vigore.
L’ipotesi è la seguente:
una coppia di coniugi, entrambi affetti da problemi di sterilità ed, altresì, portatori sani di una grave malattia genetica, dopo essersi sottoposta, con esito negativo, ad analisi e cure tese al ristabilimento della propria capacità riproduttiva, decide di ricorrere alla fecondazione assistita. Possono i nostri coniugi chiedere che gli embrioni creati in vitro siano sottoposti a diagnosi pre-impianto e, a seguito della stessa, rifiutare l’impianto di quelli eventualmente risultati non sani?
Al riguardo va considerato in diritto che:
- l’art. 1 della l. n. 40704 consente il ricorso alla procreazione medicalmente assistita "al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana", in via sussidiaria rispetto ad altri metodi terapeutici;
- lo stesso art. 1 prevede la tutela dei diritti di tutti i soggetti coinvolti nel procedimento procreativo, compreso il concepito;
- l’art. 13 comma 3 lett. b della suddetta legge vieta "ogni forma di selezione a scopo eugenetico" degli embrioni, nonchè ogni intervento volto ad alterarne o predeterminarne il patrimonio genetico, salvo che non abbia finalità terapeutiche o diagnostiche nei confronti dell’embrione stesso;
- l’art. 12 della Convenzione di Oviedo e l’art. 3 della Carta di Nizza stabiliscono, rispettivamente, il divieto di diagnosi predittive di malattie genetiche dell’embrione (se non a fini medici o di ricerca medica) e il divieto di pratiche eugenetiche, aventi come scopo la selezione delle persone;
- l’art. 14 comma 5 della l. n. 40/04 prevede che la coppia sia informata "sul numero e, su richiesta, sullo stato di salute degli embrioni prodotti e da trasferire nell’utero";
- le Linee Guida del Ministero della Salute del 16.07.04, adottate ai sensi dell’art. 7 l. n. 40/04, chiariscono che è proibita ogni diagnosi pre-impianto a finalità eugenetica e che ogni indagine relativa allo stato di salute degli embrioni creati in vitro, ai sensi dell’art. 14 comma 5, deve avere carattere meramente osservazionale;
- l’art.14 comma 1 vieta, altresì, la crioconservazione e la soppressione di embrioni, salvo quanto previsto dalla l.n. 194/78, in materia di interruzione volontaria della gravidanza;
- la l. n. 194/78 consente l’aborto solo quando "la prosecuzione della gravidanza comporterebbe un serio pericolo per la salute fisica o psichica della madre" (art. 4) e, dunque, a scopo "terapeutico" e non "eugenetico;
- la giurisprudenza si è espressa nel senso di ritenere giuridicamente infondata l’affermazione dell’esistenza di un "diritto" della donna di abortire i figli malati in quanto tali e, ancor più, l’affermazione di una tale diritto come preesistente alla gravidanza (Trib. Catania, 03.05.04);
- ai sensi degli articoli 6 comma 3 e 14 commi 1 e 3, è obbligatorio l’impianto di tutti gli embrioni prodotti in vitro, salvo i casi di "grave e documentata forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione" e di "gravi anomalie irreversibili dello sviluppo dell’embrione" (Linee Guida del Ministero della Salute del 16.07.04);
- la violazionedei divieti di cui agli articoli 13 e 14 della l. n. 40/04 da parte del medico è sanzionata penalmente (art. 13 commi 4 e 5 e art. 14 commi 6 e 7).
Alla luce dell’ esame della normativa vigente può dunque concludersi che:
- una coppia formata da persone affette da malattia genetica può accedere alle tecniche di fecondazione in vitro se sussistono i requisiti della sterilità e della sussidiarietà dell’intervento ex art. 1 l. n. 40/04; diversamente non potrebbe avervi accesso, in base alla legge in vigore, una coppia di persone affette da malattia genetica ma non sterili;
- la diagnosi pre-impianto ex art. 14 comma 5 può essere utilizzata solo per finalità meramente osservazionali e non per la selezione degli embrioni;
- ogni forma di selezione eugenetica, di crioconservazione e di soppressione degli embrioni è vietata;
- l’impianto di tutti gli embrioni prodotti in vitro, in via di principio, è obbligatorio ai sensi degli art. 6 comma 3 e 14 comma 3 (pur essendo stato chiarito che non si può operarne coattivamente l’impianto sulla donna);
- il medico che accogliesse una richiesta di selezione degli embrioni avanzata dalla coppia incorrerebbe nelle sanzioni penali di cui agli articoli13 commi 4 e 5 e 14 commi 6 e 7.
E’ auspicabile, comunque, che il Legislatore torni a considerare più attentamente la questione, valutando anche l’opportunità di una disciplina specifica di tali situazioni in ragione della loro peculiarità.