x

x

La protezione del minore e della donna nel sistema normativo africano

Africa
Africa

Abstract

Negli ultimi decenni l’arrivo e lo stanziamento nei territori europei di individui provenienti da altre aree geografiche ha posto in forme sempre più complesse e pressanti il problema della convivenza tra differenti sistemi di norme e valori.

Le difficoltà di integrazione sono riconducibili generalmente alle condizioni economiche e sociali degli immigrati, ma in alcuni casi anche alle differenze di religione, di organizzazione sociale e, più genericamente, di cultura.

 

Indice:

1 La protezione del minore contro le pratiche sociali negative

2 Il matrimonio precoce in Africa

3 La Carta di Banjul

4 La tutela delle donne nella Carta Africana: Il protocollo di Maputo

 

1. La protezione del minore contro le pratiche sociali negative

A partire dal 1924, la comunità internazionale ha manifestato una particolare sensibilità per il mondo dei bambini, ritenendolo bisognoso di un’attenzione differenziata rispetto a quella rivolta al mondo degli adulti. Possiamo indicare come stadio più avanzato di quella ormai lontana proposizione d’intenti l’adozione della Carta africana sui diritti ed il benessere del fanciullo[1] e della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del minore[2] , che rappresentano la proiezione ad un livello di cooperazione internazionale tra Stati culturalmente più omogenei ed integrati di un progetto di ampio respiro ideato in seno alle Nazioni Unite e consacrato nel 1989 con l’adozione della Convenzione sui diritti del fanciullo.

Quali, riassumendo, le tappe fondamentali di questo processo di specificazione e di progressiva concentrazione geografica degli strumenti sovranazionali di tutela dei minori? E, più in particolare, come si sono venuti concretizzando in questo settore gli sforzi diretti, attraverso la creazione di meccanismi e procedure di varia natura, a rendere effettivi nella dinamica giuridica dei singoli ordinamenti riceventi i diritti attribuiti dalla norma internazionale?

 

2. Il matrimonio precoce in Africa

Secondo l’UNICEF, a meno che i progressi non subiscano una forte accelerazione, ci vorranno oltre 100 anni per porre fine ai matrimoni precoci in Africa occidentale e centrale, con conseguenze considerevoli e vitali per milioni di spose bambine e un impatto paralizzante sulla prosperità della regione.

La nuova “Report Card” dell’UNICEF intitolata “Achieving a future without child marriage: Focus on West and Central Africa” (Raggiungere un futuro senza matrimoni precoci: focus sull’Africa occidentale e centrale), rivela che, come conseguenza della rapida crescita della popolazione e di una diffusione tanto alta del fenomeno, anche raddoppiando il tasso attuale di riduzione dei matrimoni precoci non sarebbe sufficiente a ridurre il numero assoluto di ragazze che si sposano ogni anno.

Le nuove proiezioni, pubblicate questa settimana durante un incontro a Dakar sui matrimoni precoci, vogliono accendere i riflettori su di una regione in cui le ragazze affrontano i rischi maggiori di sposarsi durante l’infanzia.

Mentre la diffusione dei matrimoni precoci in Africa occidentale e centrale è diminuita nei due decenni passati, i progressi non sono stati uniformi, e ancora 4 donne su 10 si sposano prima dei 18 anni. Un terzo di esse, addirittura prima di compiere 15 anni.

Nell’Africa occidentale e centrale si trovano 6 dei 10 Stati con la maggiore incidenza di matrimoni precoci nel mondo: Niger, Repubblica Centrafricana, Ciad, Mali, Burkina Faso e Guinea.

Il rapporto evidenzia inoltre che i progressi sono possibili – anche nei paesi con un’ampia diffusione del fenomeno – dove è in atto una combinazione di strategie, come: emancipare le ragazze; mobilitare le famiglie e le comunità a cambiare comportamenti e atteggiamenti; fornire alle ragazze a rischio e a quelle sposate servizi adeguati e attuare leggi e politiche coerenti per proteggere e promuovere i diritti delle ragazze.

In questa regione 5 Stati – Gambia, Guinea Bissau, Togo, Ghana e Ruanda – spiccano perché nei 25 anni passati hanno raggiunto una diminuzione della pratica che oscilla tra il 40 e il 60%.

Far frequentare e proseguire la scuola fino a quando possibile alle ragazze è una delle strategie più efficaci per posticipare i matrimoni, poiché le giovani dotate di istruzione possono sviluppare abilità, conoscenze e fiducia in sé stesse, qualità di cui hanno bisogno per prendere delle decisioni per la loro vita.

Più a lungo una ragazza rimane a scuola, minori possibilità ci sono che debba sposarsi prima dei 18 anni e di avere figli in età adolescenziale.

 

3. La Carta di Banjul

Tra gli altri strumenti attraverso cui si è realizzata la specializzazione a livello territoriale della tutela internazionale dei minori si ricordano, in particolare, la Convenzione americana dei diritti dell’uomo e la Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, largamente ispirate alla Convenzione europea di diritti dell’uomo ed ai Patti internazionali.

La Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli o Carta di Banjul è una convenzione adottata dall’Unione Africana, adottata a Nairobi il 27 giugno 1981 nell’ambito della Conferenza dai ministri della Giustizia dell’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA).

Nel 1979, l’assemblea dei Capi di Stato e di Governo dei Paesi aderenti all’Organizzazione per l’Unità Africana (attuale Unione Africana) adottò una risoluzione che conferiva ad una commissione di esperti il compito di proporre una bozza di testo legislativo per la difesa dei diritti umani a livello continentale, basato sui precedenti modelli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1953 e della Convenzione americana dei diritti dell’uomo del 1978.

La proposta fu approvata all’unanimità dalla 18ª assemblea dell’OUA, svoltasi a Nairobi il 27 giugno 1981.

L’articolo 63 prevedeva che la convenzione entrasse in vigore tre mesi dopo il ricevimento da parte del Segretario Generale degli atti di ratifica o di adesione da parte di un numero di Paesi almeno pari alla maggioranza semplice degli Stati membri dell’OUA.

In base a tale disposizione, e a seguito della ratifica da parte di 35 dei 50 Paesi all’epoca aderenti, la Carta entrò in vigore il 21 ottobre 1986, data che divenne la ricorrenza annuale dell’“African Human Rights Day”.

Il 2 novembre 1987 ad Addis Abeba fu istituita l’African Commission on Human and Peoples’ Rights quale organismo titolato all’interpretazione della Carta e a sovraintenderne l’applicazione. La sua sede fu in seguito trasferita a Banjul, capitale del Gambia.

In base all’articolo 30 della Carta e al seguente protocollo attuativo adottato a Ouagadougou (Burkina Faso) il 9 giugno 1998, ad essa si aggiunse la nascita della prima Corte Africana dei diritti umani e dei popoli (African Court on Human and Peoples’ Rights), che avrebbe dovuto prendere possesso delle sue funzioni a decorrere dal 25 gennaio 2004. A luglio dello stesso anno, l’Unione Africana decise di unire questo organismo con la Corte di Giustizia Africana per formare una nuova “Corte Africana di Giustizia e dei Diritti Umani (African Court of Justice and Human Rights, ACJHR, che al 2019 sembra apparentemente inattiva), che avrebbe dovuto avere la competenza in merito all’interpretazione ed applicazione dei trattati dell’UA, oltre ai fatti di genocidiocrimini di guerra e crimini contro l’umanità

Nella stessa occasione, fu deciso di avviare i contatti con la Commissione Europea in previsione di un primo vertice sul tema dell’immigrazione illegale ed in particole modo di quella giovanile, che avrebbe dovuto avere luogo entro la prima metà febbraio del 2006, nel quadro di un partenariato politico-economico fra Africa ed Unione Europea. 

Al 2015, la Corte non aveva ancora attivato una sezione penale specializzata nel perseguimento di questi crimini, mentre la legittimazione attiva ad agire in giudizio era riservata alle singole persone fisiche ovvero alle ONG riconosciute dalla Commissione con lo status giuridico di osservatore, avverso i soli Stati che, oltre ad aderire alla Carta Africana, avessero esplicitamente sottoscritto anche il protocollo di attuazione del giugno ‘98.

L’elezione dei primi giudici risale solamente all’ottava sessione ordinaria del Consiglio Esecutivo dell’Unione Africana, tenutosi il 22 gennaio 2006 a Karthoum.

Al 2019 la Carta è stata ratificata da 53 Paesi, con il formale deposito dei relativi atti.

La Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli del 1981, istituisce la Corte africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, adottata il 9 giungo 1998 e non ancora entrata in vigore. Va, tuttavia, rilevato come in entrambi i casi al riconoscimento convenzionale del potere cautelare non si accompagna l’individuazione dell’efficacia dei provvedimenti che ne costituiscono estrinsecazione, sicché si ripropone il problema del loro carattere precettivo o meno nei confronti degli Stati contro cui sono pronunciati.

 

4. La tutela delle donne nella Carta Africana: il protocollo di Maputo

Anche l’Organizzazione mondiale della sanità, in un suo recente studio rapportato a dieci Paesi, evidenzia l’impressionante vastità delle manifestazioni di violenza, soprattutto domestica, nei confronti delle donne, indicando il problema stesso come una assoluta priorità anche per la sanità pubblica (in specie, avuto riguardo alle problematiche relative alle malattie sessualmente trasmesse, alle molteplici patologie fisiche nonché mentali e ai disturbi di natura psicologica accusabili dalle donne, quali conseguenze della violenza subìta).

Meritano poi menzione la Convenzione interamericana di Belèm do Parà del 1994 sulla prevenzione, la punizione e l’eliminazione della violenza contro le donne e il Protocollo di Maputo alla Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, sui diritti delle donne in Africa del 2003.

Ciò che viene concordemente riconosciuto è che, ad esempio, l’escissione non è isolabile dal contesto sociale di appartenenza degli individui, e non può dunque essere considerata un semplice caso di lesioni, da discutere di quale gravità, effettuate su un minore. È una pratica tradizionale che coinvolge numerosi contesti di differenza tra la cultura europea e quella africana: il rapporto tra uomo e donna, quello tra genitori e figli, tra l’individuo e il proprio corpo e quello tra l’individuo ed il gruppo di appartenenza.

L’intervento penale è insufficiente, improduttivo e sotto alcuni aspetti controproducente fino a che non si trasforma il sistema di relazioni sociali in cui si trovano le donne interessate. Meglio forse la strada, seguita da altri paesi europei come la Gran Bretagna, la Svezia, la Svizzera, di una normativa specifica che, accanto a sanzioni penali molto lievi, prevede altre forme di intervento pubblico in funzione dissuasiva.

Nella stessa direzione vanno anche le normative di alcuni Paesi africani che spingono all’abbandono dell’escissione attraverso incentivi diretti o indiretti e la messa in opera di programmi di informazione, educazione, assistenza medica, assistenza sociale.

La soluzione giudiziaria francese parte dalle categorie penalistiche esistenti e cerca di mediare tra le varie esigenze dei singoli casi in sede giudiziaria. La soluzione legislativa, invece, oltre all’ovvio vantaggio di costituire un punto di riferimento unitario per la giurisprudenza, riconosce la specificità di questa pratica, la difficoltà di ricondurla alle fattispecie esistenti e la necessità di disciplinarla in modo autonomo attraverso un’azione complessiva e non solo penale. L’escissione praticata all’interno di una comunità in cui costituisce una radicata consuetudine riceve così una qualificazione giuridica particolare. Lo stesso intervento praticato su una bambina europea o su una bambina africana assume valenze differenti.

La scelta legislativa, inoltre, attira l’opinione pubblica in modo più problematico e meno carico emotivamente dei processi in Corte d’assise, con tutta la risonanza e i significati simbolici che hanno assunto in Francia, dove i problemi dell’immigrazione africana sono, notoriamente, molto sentiti.

Per risolvere questo tipo di conflitti, la norma da applicare non può essere scelta solo secondo considerazioni apparentemente tecniche o secondo astratti principi, ma bisogna pensare alle conseguenze sull’individuo, sulla comunità cui appartiene e sulla società nel suo complesso.

L’imposizione senza mediazioni del nostro diritto in conflitto con le consuetudini di altri popoli, come hanno ripetutamente mostrato esperienze coloniali e attuali, risulta largamente inefficace e porta a manifestazioni di isolamento, di chiusura, talvolta di rigetto, verso le istituzioni dello Stato.

 

[1] Adottata dall’Organizzazione dell’Unità Africana il 24 settembre 1990 (v. African Legal Materials, in African Journal of International and Comparative Law, 1991, 173 e segg.).

[2] Adottata dal Consiglio d’Europa ed aperta alla firma a Strasburgo il 25 gennaio 1996.

Letture consigliate

  •  Saulle, Codice internazionale dei diritti del minore, 1991, 783 e segg. .
  •  African Legal Materials, in African Journal of International and Comparative Law, 1991, 173 e segg..
  • World Health organization, Understanding and addressing violence against women. Overvew, 2012.
  • “Protocol to the African Charter on Human and Peoples’ Rights on the Rights of Women in Africa”, 11 luglio 2013.