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La responsabilità degli enti ex D. Lgs. 231/2001: natura giuridica e ammissibilità di una costituzione di parte civile proposta direttamente nei confronti dell’ente

Il decreto legislativo 231 del 2001 contiene la disciplina della responsabilità degli enti, la quale identifica una fattispecie complessa, poiché aggiuntiva e dipendente da reato.

La responsabilità dell’ente infatti, presuppone la commissione di un reato da parte della persona fisica appartenente all’ente.

Al fine di esaminare la natura giuridica di tale fattispecie di responsabilità e di verificare l’ammissibilità di una costituzione di parte civile direttamente nei confronti dell’ente, giova premettere l’analisi dei criteri di addebito della responsabilità.

Tale fattispecie di responsabilità si affianca a quella della persona fisica autrice del reato, poiché postula quale presupposto per la sua configurazione la commissione di talune fattispecie di reato da parte dei soggetti che hanno agito per conto, nell’interesse o a vantaggio dell’ente.

La disciplina dei criteri di addebito è dettata agli articoli 5 e seguenti del decreto.

In particolare tali disposizioni contengono la disciplina dei criteri di addebito oggettivi e soggettivi. Nell’ambito dei criteri oggettivi di addebito il decreto legislativo 231 del 2001 disciplina una triplice categoria di elementi.

In primo luogo occorre la commissione di un reato presupposto, qualificato e cioè ricompreso tra le fattispecie indicate dagli articoli 25 e seguenti del decreto. Ne deriva che solo alla commissione di talune fattispecie di reato consegue la configurabilità della responsabilità dell’ente.

In secondo luogo è necessario che il reato sia commesso da un soggetto qualificato, e cioè appartenente alle categorie enunciate dall’articolo 5. Nell’ambito di tali categorie sono ricompresi oltre ai vertici statutari, e cioè i soggetti che rivestono formalmente funzioni di rappresentanza, amministrazione e decisione, anche i soggetti che rivestono anche di fatto funzioni di controllo o di gestione, nonché inoltre, le persone sottoposte alla direzione e vigilanza dei soggetti enunciati precedentemente.

Il legislatore ha aderito ad una impostazione funzionale e pragmatica nell’individuazione dei vertici apicali, riconoscendo l’appartenenza a tale categoria non solo dei soggetti formalmente investiti di tali incarichi, ma anche ai soggetti che materialmente e di fatto svolgono tali funzioni.

In terzo luogo occorre, ai fini dell’addebito della responsabilità dell’ente che il reato sia commesso a vantaggio o nell’interesse dell’ente. Il primo elemento richiede un’indagine diagnostica ex post, al fine di verificare l’effettiva utilità per l’ente della commissione del reato da parte della persona fisica; il secondo invece, deve essere valutato con un’indagine prognostica ex ante. Tali criteri sono ontologicamente differenziati e alternativi.

Ai fini della configurazione della responsabilità dell’ente occorre inoltre la sussistenza del criterio di addebito soggettivo, che si identifica con la colpa organizzativa.

La necessaria colpevolezza dell’ente si evince a contrario dalla disposizione dell’articolo 6, il quale sancisce che l’ente può essere esentato dalla responsabilità se dimostra di aver adottato un modello organizzativo idoneo.

Ricostruita la disciplina dei criteri di addebito della responsabilità, è consentito esaminare il tema dibattuto della natura giuridica di tale fattispecie di responsabilità, dalla cui soluzione deriva l’ammissibilità o meno di una costituzione di parte civile direttamente nei confronti dell’ente.

Con riferimento al tema della natura della responsabilità dell’ente sono state prospettate in dottrina e in giurisprudenza varie impostazioni.

Secondo una prima impostazione tale fattispecie di responsabilità ha natura amministrativa; secondo un’altra opinione tale responsabilità ha natura penale.

E’ stata prospettata invero, una terza impostazione, secondo cui il dibattito sulla natura giuridica della responsabilità risulta sterile ed inutile. Tale opinione tuttavia, è contraddetta proprio dalla prospettazione stessa della questione della ammissibilità della costituzione di parte civile direttamente nei confronti dell’ente (ai sensi del combinato disposto degli articoli 74 c.p.p. e 185, comma 2 c.p.). Tale questione infatti, viene risolta diversamente a seconda che la responsabilità dell’ente sia qualificata come amministrativa o penale.

Un’ulteriore impostazione inoltre, identifica in tale fattispecie un tertium genus di responsabilità.

Si preferisce affrontare la disamina sulla natura giuridica della responsabilità dell’ente partendo dall’impostazione che la identifica quale fattispecie di responsabilità di natura amministrativa.

Tale impostazione si fonda su una pluralità di argomentazioni.

In primo luogo vi è il dato testuale; il decreto infatti, qualifica tale responsabilità come amministrativa. Tale elemento tuttavia, risulta piuttosto debole, in quanto il nomen attribuito alla fattispecie di responsabilità non rappresenta un requisito dirimente.

Più convincente per vero, appare la seconda argomentazione, che si fonda sull’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme. In virtù di tale impostazione occorre interpretare la norma in modo tale da porla al riparo da eventuali dubbi di incostituzionalità.

Qualificando la fattispecie di responsabilità come amministrativa infatti, gli articoli 6 e 58 del decreto sarebbero al riparo da dubbi di costituzionalità.

L’articolo 6, in particolare, dispone che l’ente può ottenere l’esenzione dalla responsabilità se dimostra l’assenza di colpa. Se la fattispecie di responsabilità dell’ente fosse qualificata come penale tale norma sarebbe in contrasto con la disposizione del secondo comma dell’articolo 27 della Costituzione, che sancisce il principio di presunzione di non colpevolezza, la quale sarebbe intaccata dall’inversione dell’onere della prova, enunciato nell’articolo 6.

L’articolo 58 poi, attribuendo al pubblico ministero (e non al giudice) il potere di disporre l’archiviazione, si porrebbe in contrasto con l’articolo 112 della Costituzione, che sancisce l’obbligatorietà dell’azione penale. Se la fattispecie di responsabilità in discussione fosse qualificata come penale l’articolo 58 si porrebbe in antitesi con il necessario controllo giudiziale sancito dalla carta costituzionale, poiché il giudice sarebbe privato del potere-dovere di esercitare l’azione penale.

Dalla natura amministrativa della responsabilità dell’ente deriverebbe dunque, l’inammissibilità della costituzione di parte civile direttamente nei confronti dell’ente. Sulla base di tale ricostruzione sarebbe ammessa soltanto la costituzione di parte civile indirettamente nei confronti dell’ente, per responsabilità derivante da fatto altrui e non da fatto proprio colpevole.

A fronte dell’impostazione riferita, secondo un’altra opinione tale fattispecie di responsabilità deve essere qualificata come penale. Sicché, seguendo tale impostazione dovrebbe risolversi la questione dell’ammissibilità della costituzione di parte civile direttamente nei confronti dell’ente in senso affermativo.

Tale tesi ha trovato il sostegno di parte della dottrina e di talune pronunce della giurisprudenza.

La ricostruzione in termini di responsabilità penale si fonda essenzialmente su un triplice ordine di argomentazioni.

In primo luogo viene valorizzato l’argomento dell’estensione alla fattispecie di cui al decreto 231 dei principi classici della responsabilità penale, e cioè: riserva di legge, tassatività e irretroattività.

La prima argomentazione tuttavia, sembra debole, poiché si è obiettato che tali principi sono comuni al diritto sanzionatorio in generale e non sono esclusivi del diritto penale. La conferma di tale assunto è offerta dalla lettura delle disposizioni contenute nella legge 689 del 1981, che disciplina l’illecito amministrativo.

Più robusta appare la seconda argomentazione, condivisa dalla giurisprudenza, che si fonda sull’assunto secondo cui il legislatore, qualificando come amministrativa tale fattispecie di responsabilità avrebbe posto in essere una “frode delle etichette”, al fine di superare il problema a lungo prospettato ed espresso dal brocardo: societas delinquere non potest.

In terzo luogo la Cassazione ha enunciato quale dato a sostegno dell’impostazione, quello del rinvio, contenuto nel decreto 231, alla disciplina processuale del codice di procedura penale.

A tale tesi parte della dottrina ha obiettato, tuttavia, che non tutto quello che applica il giudice penale è pena e che le norme del codice di procedura penale si applicano in quanto compatibili e non in via esclusiva.

Nell’ambito dell’impostazione che ha ricostruito in termini di responsabilità penale quella degli enti, si è sviluppata una impostazione, che ha ricondotto tale fattispecie nell’ambito dell’istituto del concorso di persone nel reato, ai sensi dell’articolo 110 c.p. Secondo tale impostazione l’ente concorrerebbe nel reato della persona fisica per omissione del modello di organizzazione preventivo.

A tale tesi la dottrina ha obiettato che ai fini della configurabilità del concorso è necessario un contributo causale, o quantomeno agevolativo nella commissione del reato, che nel caso di specie non sarebbe ravvisabile.

Secondo una terza impostazione la fattispecie in discussione non sarebbe riconducibile a nessuna delle due fattispecie e rappresenterebbe un tertium genus di responsabilità, introdotta al fine di reprimere e di sanzionare i fenomeni delinquenziali perpetrati attraverso lo schermo giuridico delle persone giuridiche.

Esaurita l’analisi della questione controversa della natura giuridica della responsabilità dell’ente, occorre verificare l’ammissibilità della costituzione di parte civile direttamente nei confronti dell’ente.

In particolare, entra in rilievo la disciplina dettata dal combinato disposto degli articoli 74 c.p.p. e 185, comma secondo, prima parte del c.p. , che disciplinano la costituzione di parte civile direttamente nei confronti del colpevole del reato.

Secondo una prima ricostruzione la soluzione della questione della proponibilità di una costituzione di parte civile direttamente nei confronti dell’ente dipenderebbe dalla natura di tale fattispecie di responsabilità.

Giova, in via preliminare, premettere che la costituzione di parte civile direttamente nei confronti dell’ente presuppone una responsabilità per fatto proprio.

Sicché si dovrebbe concludere che, in disparte la questione dell’ammissibilità di una costituzione di parte civile indirettamente nei confronti dell’ente, la quale sarebbe senz’altro ammessa a prescindere dalla natura attribuita alla responsabilità dell’ente, la costituzione di parte civile direttamente nei confronti dell’ente invece, dipenderebbe dalla qualificazione della fattispecie di responsabilità come penale.

Solamente sulla base di questa ricostruzione infatti, sarebbe ammissibile una costituzione di parte civile direttamente nei confronti dell’ente, in quanto colpevole, per fatto proprio e non altrui (nel qual caso sarebbe ammessa la costituzione di parte civile in via indiretta nei confronti dell’ente, ai sensi della seconda parte del secondo comma dell’articolo 185 c.p. , in combinato disposto con l’articolo 74 c.p.p.).

E’ stata prospettata in giurisprudenza tuttavia, una diversa impostazione, di tipo evolutivo, che ha sganciato la questione della quale si discorre dal problema relativo alla natura giuridica della responsabilità.

Tale tesi si fonda su una interpretazione teleologica ed estensiva del combinato disposto degli articoli 74 c.p.p e 185 c.p. , laddove ammettono la costituzione di parte civile nei confronti del colpevole del reato.

In particolare, secondo tale impostazione evolutiva, alla base delle norme sulla costituzione di parte civile vi sarebbe l’esigenza di concentrazione processuale, che implicherebbe la necessità che lo stesso giudice che conosca della causa del danno debba conoscere dei danni stessi.

Dunque, dall’esigenza di concentrazione processuale deriverebbe la necessità di interpretare le norme sul colpevole del reato in via analogica, non solo al colpevole del reato, ma anche al colpevole di illeciti pure qualificati come amministrativi.

Tale applicazione analogica non troverebbe ostacolo nell’articolo 14 delle disposizioni preliminari al codice civile, che vieta l’analogia in materia penale, poiché le norme che disciplinano la costituzione di parte civile sono norme di carattere civile o processuale penale e non penali sostanziali, sicché il divieto di analogia non opererebbe.

Il decreto legislativo 231 del 2001 contiene la disciplina della responsabilità degli enti, la quale identifica una fattispecie complessa, poiché aggiuntiva e dipendente da reato.

La responsabilità dell’ente infatti, presuppone la commissione di un reato da parte della persona fisica appartenente all’ente.

Al fine di esaminare la natura giuridica di tale fattispecie di responsabilità e di verificare l’ammissibilità di una costituzione di parte civile direttamente nei confronti dell’ente, giova premettere l’analisi dei criteri di addebito della responsabilità.

Tale fattispecie di responsabilità si affianca a quella della persona fisica autrice del reato, poiché postula quale presupposto per la sua configurazione la commissione di talune fattispecie di reato da parte dei soggetti che hanno agito per conto, nell’interesse o a vantaggio dell’ente.

La disciplina dei criteri di addebito è dettata agli articoli 5 e seguenti del decreto.

In particolare tali disposizioni contengono la disciplina dei criteri di addebito oggettivi e soggettivi. Nell’ambito dei criteri oggettivi di addebito il decreto legislativo 231 del 2001 disciplina una triplice categoria di elementi.

In primo luogo occorre la commissione di un reato presupposto, qualificato e cioè ricompreso tra le fattispecie indicate dagli articoli 25 e seguenti del decreto. Ne deriva che solo alla commissione di talune fattispecie di reato consegue la configurabilità della responsabilità dell’ente.

In secondo luogo è necessario che il reato sia commesso da un soggetto qualificato, e cioè appartenente alle categorie enunciate dall’articolo 5. Nell’ambito di tali categorie sono ricompresi oltre ai vertici statutari, e cioè i soggetti che rivestono formalmente funzioni di rappresentanza, amministrazione e decisione, anche i soggetti che rivestono anche di fatto funzioni di controllo o di gestione, nonché inoltre, le persone sottoposte alla direzione e vigilanza dei soggetti enunciati precedentemente.

Il legislatore ha aderito ad una impostazione funzionale e pragmatica nell’individuazione dei vertici apicali, riconoscendo l’appartenenza a tale categoria non solo dei soggetti formalmente investiti di tali incarichi, ma anche ai soggetti che materialmente e di fatto svolgono tali funzioni.

In terzo luogo occorre, ai fini dell’addebito della responsabilità dell’ente che il reato sia commesso a vantaggio o nell’interesse dell’ente. Il primo elemento richiede un’indagine diagnostica ex post, al fine di verificare l’effettiva utilità per l’ente della commissione del reato da parte della persona fisica; il secondo invece, deve essere valutato con un’indagine prognostica ex ante. Tali criteri sono ontologicamente differenziati e alternativi.

Ai fini della configurazione della responsabilità dell’ente occorre inoltre la sussistenza del criterio di addebito soggettivo, che si identifica con la colpa organizzativa.

La necessaria colpevolezza dell’ente si evince a contrario dalla disposizione dell’articolo 6, il quale sancisce che l’ente può essere esentato dalla responsabilità se dimostra di aver adottato un modello organizzativo idoneo.

Ricostruita la disciplina dei criteri di addebito della responsabilità, è consentito esaminare il tema dibattuto della natura giuridica di tale fattispecie di responsabilità, dalla cui soluzione deriva l’ammissibilità o meno di una costituzione di parte civile direttamente nei confronti dell’ente.

Con riferimento al tema della natura della responsabilità dell’ente sono state prospettate in dottrina e in giurisprudenza varie impostazioni.

Secondo una prima impostazione tale fattispecie di responsabilità ha natura amministrativa; secondo un’altra opinione tale responsabilità ha natura penale.

E’ stata prospettata invero, una terza impostazione, secondo cui il dibattito sulla natura giuridica della responsabilità risulta sterile ed inutile. Tale opinione tuttavia, è contraddetta proprio dalla prospettazione stessa della questione della ammissibilità della costituzione di parte civile direttamente nei confronti dell’ente (ai sensi del combinato disposto degli articoli 74 c.p.p. e 185, comma 2 c.p.). Tale questione infatti, viene risolta diversamente a seconda che la responsabilità dell’ente sia qualificata come amministrativa o penale.

Un’ulteriore impostazione inoltre, identifica in tale fattispecie un tertium genus di responsabilità.

Si preferisce affrontare la disamina sulla natura giuridica della responsabilità dell’ente partendo dall’impostazione che la identifica quale fattispecie di responsabilità di natura amministrativa.

Tale impostazione si fonda su una pluralità di argomentazioni.

In primo luogo vi è il dato testuale; il decreto infatti, qualifica tale responsabilità come amministrativa. Tale elemento tuttavia, risulta piuttosto debole, in quanto il nomen attribuito alla fattispecie di responsabilità non rappresenta un requisito dirimente.

Più convincente per vero, appare la seconda argomentazione, che si fonda sull’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme. In virtù di tale impostazione occorre interpretare la norma in modo tale da porla al riparo da eventuali dubbi di incostituzionalità.

Qualificando la fattispecie di responsabilità come amministrativa infatti, gli articoli 6 e 58 del decreto sarebbero al riparo da dubbi di costituzionalità.

L’articolo 6, in particolare, dispone che l’ente può ottenere l’esenzione dalla responsabilità se dimostra l’assenza di colpa. Se la fattispecie di responsabilità dell’ente fosse qualificata come penale tale norma sarebbe in contrasto con la disposizione del secondo comma dell’articolo 27 della Costituzione, che sancisce il principio di presunzione di non colpevolezza, la quale sarebbe intaccata dall’inversione dell’onere della prova, enunciato nell’articolo 6.

L’articolo 58 poi, attribuendo al pubblico ministero (e non al giudice) il potere di disporre l’archiviazione, si porrebbe in contrasto con l’articolo 112 della Costituzione, che sancisce l’obbligatorietà dell’azione penale. Se la fattispecie di responsabilità in discussione fosse qualificata come penale l’articolo 58 si porrebbe in antitesi con il necessario controllo giudiziale sancito dalla carta costituzionale, poiché il giudice sarebbe privato del potere-dovere di esercitare l’azione penale.

Dalla natura amministrativa della responsabilità dell’ente deriverebbe dunque, l’inammissibilità della costituzione di parte civile direttamente nei confronti dell’ente. Sulla base di tale ricostruzione sarebbe ammessa soltanto la costituzione di parte civile indirettamente nei confronti dell’ente, per responsabilità derivante da fatto altrui e non da fatto proprio colpevole.

A fronte dell’impostazione riferita, secondo un’altra opinione tale fattispecie di responsabilità deve essere qualificata come penale. Sicché, seguendo tale impostazione dovrebbe risolversi la questione dell’ammissibilità della costituzione di parte civile direttamente nei confronti dell’ente in senso affermativo.

Tale tesi ha trovato il sostegno di parte della dottrina e di talune pronunce della giurisprudenza.

La ricostruzione in termini di responsabilità penale si fonda essenzialmente su un triplice ordine di argomentazioni.

In primo luogo viene valorizzato l’argomento dell’estensione alla fattispecie di cui al decreto 231 dei principi classici della responsabilità penale, e cioè: riserva di legge, tassatività e irretroattività.

La prima argomentazione tuttavia, sembra debole, poiché si è obiettato che tali principi sono comuni al diritto sanzionatorio in generale e non sono esclusivi del diritto penale. La conferma di tale assunto è offerta dalla lettura delle disposizioni contenute nella legge 689 del 1981, che disciplina l’illecito amministrativo.

Più robusta appare la seconda argomentazione, condivisa dalla giurisprudenza, che si fonda sull’assunto secondo cui il legislatore, qualificando come amministrativa tale fattispecie di responsabilità avrebbe posto in essere una “frode delle etichette”, al fine di superare il problema a lungo prospettato ed espresso dal brocardo: societas delinquere non potest.

In terzo luogo la Cassazione ha enunciato quale dato a sostegno dell’impostazione, quello del rinvio, contenuto nel decreto 231, alla disciplina processuale del codice di procedura penale.

A tale tesi parte della dottrina ha obiettato, tuttavia, che non tutto quello che applica il giudice penale è pena e che le norme del codice di procedura penale si applicano in quanto compatibili e non in via esclusiva.

Nell’ambito dell’impostazione che ha ricostruito in termini di responsabilità penale quella degli enti, si è sviluppata una impostazione, che ha ricondotto tale fattispecie nell’ambito dell’istituto del concorso di persone nel reato, ai sensi dell’articolo 110 c.p. Secondo tale impostazione l’ente concorrerebbe nel reato della persona fisica per omissione del modello di organizzazione preventivo.

A tale tesi la dottrina ha obiettato che ai fini della configurabilità del concorso è necessario un contributo causale, o quantomeno agevolativo nella commissione del reato, che nel caso di specie non sarebbe ravvisabile.

Secondo una terza impostazione la fattispecie in discussione non sarebbe riconducibile a nessuna delle due fattispecie e rappresenterebbe un tertium genus di responsabilità, introdotta al fine di reprimere e di sanzionare i fenomeni delinquenziali perpetrati attraverso lo schermo giuridico delle persone giuridiche.

Esaurita l’analisi della questione controversa della natura giuridica della responsabilità dell’ente, occorre verificare l’ammissibilità della costituzione di parte civile direttamente nei confronti dell’ente.

In particolare, entra in rilievo la disciplina dettata dal combinato disposto degli articoli 74 c.p.p. e 185, comma secondo, prima parte del c.p. , che disciplinano la costituzione di parte civile direttamente nei confronti del colpevole del reato.

Secondo una prima ricostruzione la soluzione della questione della proponibilità di una costituzione di parte civile direttamente nei confronti dell’ente dipenderebbe dalla natura di tale fattispecie di responsabilità.

Giova, in via preliminare, premettere che la costituzione di parte civile direttamente nei confronti dell’ente presuppone una responsabilità per fatto proprio.

Sicché si dovrebbe concludere che, in disparte la questione dell’ammissibilità di una costituzione di parte civile indirettamente nei confronti dell’ente, la quale sarebbe senz’altro ammessa a prescindere dalla natura attribuita alla responsabilità dell’ente, la costituzione di parte civile direttamente nei confronti dell’ente invece, dipenderebbe dalla qualificazione della fattispecie di responsabilità come penale.

Solamente sulla base di questa ricostruzione infatti, sarebbe ammissibile una costituzione di parte civile direttamente nei confronti dell’ente, in quanto colpevole, per fatto proprio e non altrui (nel qual caso sarebbe ammessa la costituzione di parte civile in via indiretta nei confronti dell’ente, ai sensi della seconda parte del secondo comma dell’articolo 185 c.p. , in combinato disposto con l’articolo 74 c.p.p.).

E’ stata prospettata in giurisprudenza tuttavia, una diversa impostazione, di tipo evolutivo, che ha sganciato la questione della quale si discorre dal problema relativo alla natura giuridica della responsabilità.

Tale tesi si fonda su una interpretazione teleologica ed estensiva del combinato disposto degli articoli 74 c.p.p e 185 c.p. , laddove ammettono la costituzione di parte civile nei confronti del colpevole del reato.

In particolare, secondo tale impostazione evolutiva, alla base delle norme sulla costituzione di parte civile vi sarebbe l’esigenza di concentrazione processuale, che implicherebbe la necessità che lo stesso giudice che conosca della causa del danno debba conoscere dei danni stessi.

Dunque, dall’esigenza di concentrazione processuale deriverebbe la necessità di interpretare le norme sul colpevole del reato in via analogica, non solo al colpevole del reato, ma anche al colpevole di illeciti pure qualificati come amministrativi.

Tale applicazione analogica non troverebbe ostacolo nell’articolo 14 delle disposizioni preliminari al codice civile, che vieta l’analogia in materia penale, poiché le norme che disciplinano la costituzione di parte civile sono norme di carattere civile o processuale penale e non penali sostanziali, sicché il divieto di analogia non opererebbe.